mercoledì 13 luglio 2022

17 Luglio 2022 – XVI Domenica del Tempo Ordinario


Lc 10,38-42

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,38-42).

 

Continuando il suo viaggio al sud verso Gerusalemme, Gesù giunge a Betania, località in cui risiede l’amico Lazzaro con le sorelle Marta e Maria. Evidentemente l’amico in quell’occasione è assente, perché il vangelo non fa alcun riferimento sulla sua presenza in casa: è infatti la stessa Marta che offre ospitalità a Gesù, il quale, stanco per il cammino, profondamente turbato per ciò che l’attende, l’accetta ben volentieri; un comportamento, comunque, che se per la nostra mentalità è assolutamente inattaccabile, in quanto espressione di un normale rapporto di amicizia e di cortesia, per quei tempi era invece improponibile e inaccettabile: anzi accettando l’ospitalità delle due donne, sembra quasi che Gesù voglia dimostrare pubblicamente la sua intolleranza per tutte quelle consuetudini, per quelle regole assurde, quelle prescrizioni apertamente stupide, che pur nella loro rigidezza insensata erano comunque tenute in grande considerazione dal popolo. Del resto Gesù non era nuovo a tali “disobbedienze”: Egli infatti aveva già ripetutamente dimostrato di non gradire l’inconsistenza, l’inutilità di questo modo di pensare e di agire, assolutamente mortificante per chiunque.

Va sottolineato in proposito, che Gesù, nella sua missione terrena, non è mai stato un “portatore di pace” come lo immaginiamo noi: noi siamo cresciuti con l'immagine di un Gesù sempre “buono e dolce”; di una persona tranquilla che non litiga mai, che cerca di evitare qualunque scontro, che non alza mai la voce, che rifugge sempre e comunque da qualunque genere di controversie proprio “ad tuendam charitatem”. Ma Gesù, come ci dimostra ampiamente il vangelo, non era affatto così. Egli al contrario per le autorità, soprattutto quelle religiose, era una spina nel fianco, rappresentava un vero punto di rottura, un “rivoluzionario”, un uomo che puntualmente stigmatizzava la loro falsità, la loro doppia vita. Non dobbiamo mai dimenticare infatti che furono proprio i capi religiosi che decretarono la sua crocifissione non perché inculcasse nel popolo dei principi di vita “dannosi”, agnostici, inaccettabili; ma perché erano principi di vita radicalmente “nuovi”, rivoluzionari, innovatori rispetto al loro stile di vita, alla loro legislazione, e quindi pericolosi, temibili.

Ma cerchiamo, a questo punto, di evidenziare il messaggio che Gesù vuole trasmetterci attraverso questa pagina del suo vangelo: Egli dunque giunge nel villaggio di Betania: è molto stanco, provato, sia nel corpo che nello spirito e, all’invito di Marta, decide di approfittare della sua offerta di ospitalità, fermandosi a casa dell’amico Lazzaro.

A questo punto Marta, felice di avere in casa un ospite così illustre, è presa immediatamente dall’ansia, si agita, corre per la casa a controllare che tutto sia in ordine, si affretta ad imbandire la tavola, a preparargli da mangiare; vuole insomma che l’accoglienza sia perfetta in tutto. Sua sorella Maria, al contrario, non si preoccupa di nulla: fa gli onori di casa a Gesù, lo fa accomodare e, “seduta ai suoi piedi”, si intrattiene a parlare con Lui: ascolta con attenzione i suoi discorsi, si rende conto immediatamente del suo turbamento, della sua profonda inquietudine; vuole capire il motivo di queste sue preoccupazioni; vuole condividere con Lui l’ansia del suo cuore, le sue difficoltà, la sua stanchezza, le sue paure.

Ci troviamo quindi di fronte a due comportamenti diametralmente opposti tra loro: quello di Marta è quello classico della donna attiva, pratica, della donna “casalinga”, abituata a mettere concretamente a loro agio le persone che le fanno visita; il suo è un atteggiamento che si concentra soprattutto sull’aspetto “concreto”, “materiale”, “esteriore” dell’ospitalità. Maria al contrario è una donna sensibile, sentimentale; la sua è un’accoglienza soprattutto “emotiva”, vuole che l’ospite si senta come a casa sua, che stia bene, sia rilassato, vuole soprattutto valorizzare la “spiritualità” dell’accoglienza, dell’amicizia: lei vuole conoscere a fondo il suo ospite, vuole capire, vuole imparare dai suoi insegnamenti, dalle sue esperienze di vita; vuole farsi partecipe delle sue emozioni; un comportamento quindi, il suo, eminentemente spirituale, ascetico, contemplativo. Ed è proprio questo il comportamento che Gesù dichiara apertamente di prediligere.

Ciò ovviamente non ci autorizza a pensare che Marta sia cattiva, che sia indifferente, insensibile alla visita di Gesù; anche perché è proprio lei che per prima lo invita a fermarsi, offrendogli ospitalità. Anche Lei è affezionata a Gesù: tant’’è che lo accoglie volentieri “nella sua casa”, lo accoglie cioè nel suo cuore, dentro di Lei, nei suoi sentimenti, nella sua parte più profonda e personale (casa). Ma allora in che cosa sbaglia qui Marta? Nel decidere autonomamente ciò di cui Gesù ha più bisogno in quel momento: si mette in movimento e fa tutto di sua iniziativa; nella sua mentalità casalinga pensa di anteporre i bisogni pratici, le necessità materiali dell’ospite, piuttosto che chiedersi prima quali fossero le sue reali esigenze, magari intrattenendosi anche lei nei saluti, nei convenevoli; ha pensato quindi che fosse più urgente cucinare la cena, preparargli la camera, rassettare la casa ecc., tutte cose indispensabili, è vero, ma che non dovevano essere anteposte alla gioia di stare un po’ con l’amico; faccende, quelle sue, che oltretutto vanno fatte con discrezione, con naturalezza, senza farle pesare sull’ospite, per non metterlo in ovvio imbarazzo. Gesù infatti, quando entra in casa delle sorelle, di che cosa ha più bisogno? Non certo di mangiare, di bere, di una casa pulita. Ha bisogno soprattutto di essere accolto, ascoltato, rassicurato, abbracciato. Ha bisogno di parlare, di confidarsi, di condividere con qualcuno l’ansia, la paura, per la sua ormai imminente tragedia.

Marta questo non lo sa, non ha avuto modo di capirlo: anzi si lamenta addirittura con Gesù perché la sorella è seduta con Lui e non le dà una mano; lei purtroppo appartiene a quel genere di persone, tanto comuni anche oggi, che non stanno mai ferme, che sono in perpetuo movimento, che vogliono risolvere personalmente ogni cosa, distruggendosi magari in mille faccende di nessun conto: ecco perché era convinta anche in quel momento di fare l’unica cosa giusta: “Mi sto occupando io di te, caro Gesù; sono io che provvedo a soddisfare le tue necessità; io non ho tempo per le chiacchiere e le fantasie di mia sorella!”. Solo che Marta, nel suo gran daffare, non capisce, a differenza della sorella, ciò di cui Gesù ha veramente bisogno: anzi non si rende neppure conto che è lei stessa, e non Gesù, che ha bisogno di essere aiutata, capita, riconosciuta, accettata. A lei questo suo bisogno non è chiaro, non lo riconosce, non vuole ammetterlo, non lo esprime; e così, indispettita, si lancia in accuse contro la sorella. Bisogna anche capirla Marta: è veramente risentita: il suo cuore ribolle dalla rabbia per come stanno andando le cose; non la sfiora alcun dubbio: Gesù si trova bene in casa sua, solo perché è lei che gli ha messo a disposizione il massimo confort; vorrebbe tanto, quindi, che Gesù le dicesse: “Ma che brava che sei! Che brava donna! Che cena squisita! Che bella casa! Hai fatto per me veramente l’impossibile: grazie di cuore!”; ma tutto ciò non succede! “E non succede, cara Marta, perché questo è solo il “tuo” bisogno, non quello di Gesù. Sei tu che hai deciso tutto. Ora ti offendi, ti senti vittima, delusa, tagliata fuori. Ti senti trascurata, perché Gesù preferisce intrattenersi con tua sorella piuttosto che con te; ma tu non hai fatto nulla per aprirgli il tuo cuore”.

Ecco allora l’evidente messaggio per noi: nella vita dobbiamo sempre aver presente ciò che noi vogliamo, ciò che gli altri si aspettano da noi, ciò di cui noi stessi abbiamo maggior bisogno; dobbiamo imparare a conoscere le nostre aspettative, ad esprimerle, esternarle: non possiamo proiettarle sugli altri, non possiamo pretendere che siano gli altri a capirle, offendendoci, irritandoci se ciò non avviene. Perché Marta non è stata diretta con sua sorella? Perché non le ha chiesto discretamente ma chiaramente di darle una mano? Perché ha continuato invece a mugugnare dentro di sé, senza parlarle? Perché ha inopportunamente coinvolto Gesù, cercando in Lui un alleato contro di lei?

Troppe persone sono purtroppo incapaci di affrontare direttamente le persone con le quali hanno qualche malinteso! Vanno piuttosto dal vicino, dal collega, dall’amico: ne parlano con tutti, meno che con gli interessati. Ma che c'entrano gli altri? Abbiamo una questione con Caio? Andiamo da Caio. Abbiamo un conto in sospeso con Tizio? Andiamo da Tizio. Andare da un altro non serve a nulla, se non a farci compatire e ad innescare una catena di pettegolezzi senza costrutto.

Maria, al contrario di Marta, coglie al volo il bisogno di Gesù, lo ascolta. Non è lei che parla, non è lei che decide ciò di cui Egli ha bisogno. Quando arriva, non dice una sola parola, semplicemente lo ascolta; svuota il suo cuore, fa spazio nella sua mente, perché Gesù entri e si senta pienamente accolto.

Quando dobbiamo incontrare qualcuno, non assilliamoci su come comportarci, su cosa dirgli, di quali argomenti parlare: impariamo piuttosto ad ascoltare, e poi tutto viene da sé. Non pretendiamo sempre di insegnare, di modificare tutto e tutti secondo i nostri gusti.

Facciamo come ha fatto Maria con Gesù: ascoltiamo, creiamo accoglienza, svuotiamoci di noi stessi, del nostro ego onnipresente, creiamo spazio, perché chiunque vuole entrare possa portare sé stesso, sentirsi a proprio agio, mostrarsi serenamente per quello che è.

Il vangelo dice che Maria, nell’ascoltare Gesù, stava seduta ai suoi piedi: stava cioè a contatto con la terra (humus), sottolineando con ciò il suo atteggiamento di umile (humilis) ascolto. Ed è così che anche noi dobbiamo accogliere i nostri fratelli; dobbiamo cioè far capire loro che siamo lì con la massima disponibilità. Essi questo lo sentono, lo percepiscono subito: e in quel piccolo spazio d'amore che offriamo, essi potranno finalmente esprimere le loro paure, le loro angosce, le loro speranze, le loro necessità, le loro contraddizioni, i loro sogni impossibili; avranno insomma la possibilità di piangere e di ridere, potranno disperarsi ed essere consolati, potranno sentirsi al sicuro, protetti, capiti, amati.

Ecco perché, invece di scegliere immediatamente il ruolo di Marta, più semplice e meno impegnativo, dobbiamo immedesimarci con decisione in quello di Maria: infatti solo costruendo “amore”, il mondo diventerà migliore. Poi affronteremo anche, come Marta, i problemi del lavoro, della casa, del cibo, delle cose da fare. Prima di tutto però dobbiamo sempre assicurare carità, amore, ascolto, perché sono le cose più importanti di cui il mondo ha bisogno: sono questi gli elementi essenziali che evitano a noi, insensibili, egocentrici, accartocciati nelle nostre aridità, di morire definitivamente dentro. Amen.

 

 

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