giovedì 19 dicembre 2019
22 Dicembre 2019 – IV Domenica di Avvento
“Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto” (Mt 1,18-24).
Per Giuseppe non fu sicuramente una notte facile quella! Lui i suoi progetti li aveva, eccome. Progetti modesti, da giovane artigiano: la bottega andava bene, merito della sua bravura e della sua affabilità con i clienti. Certo, non era una gran piazza, Nazareth, ma col tempo, chissà, avrebbe potuto ingrandirsi e, addirittura, trasferirsi nella vicina Sefforis. Da lì a poco avrebbe preso in casa la sua promessa sposa Maria, che tutti gli invidiavano per la bellezza e la modestia innata. Insomma, per Giuseppe, il pensiero di una famiglia con quella ragazza che gli aveva rapito il cuore, era fonte di gioia incontenibile.
Improvvisamente però, i progetti di Giuseppe vengono frantumati da un impensabile intervento di Dio: l’inattesa e impensabile gravidanza di Maria, della quale lui non è responsabile, lo getta nell’angoscia. Ma come: Maria? Proprio lei? Come è potuto succedere? Lui è l'unico a sapere che quel figlio non è frutto del suo seme. L'unico, insieme a Maria. Ed ora, cosa fare?
Non è il tempo della rabbia, questo, né del piangersi addosso; è il tempo di agire. Consegnarla alle autorità, abbandonandola al suo destino? Lui sa bene che il destino delle donne adultere è la pubblica lapidazione. No, non può fare questo.
La notte sopraggiunta alla tragica notizia, deve essere stata quindi terribile per il povero Giuseppe: l’ansia che lo tiene sveglio, il rigirarsi continuamente nel pagliericcio, le orribili visioni del domani che continuano a gettarlo nella disperazione più cupa. Ha sempre davanti agli occhi il volto sorridente di Maria: non riesce a capacitarsi, a credere alla realtà, non vuole arrendersi all'evidenza. Il suo orgoglio di maschio è sicuramente ferito, ma la tenerezza e le lacrime dell’innamorato hanno ben presto la meglio.
Il suo cuore improvvisamente si placa quando decide di seguire una soluzione alternativa: al rabbino avrebbe detto che si è stancato di Maria, che non l’ama più e che quindi scioglieva il contratto matrimoniale. Maria ne sarebbe uscita con l'onore compromesso, certo, ma avrebbe avuto la vita salva. Ecco, sì, questa è una buona idea. Perché Lui amava immensamente la sua giovane promessa sposa.
Il racconto potrebbe anche concludersi qui e noi potremmo già identificarci nella nostra vita personale con tutti i sogni infranti da un imprevisto, da una malattia, da un incidente, da una ingiustizia patita, dalle tante contrarietà che ci hanno ingiustamente frenato nelle nostre legittime aspirazioni. Parlo ovviamente non dei piccoli sogni legati a cose materiali, ma penso ai grandi progetti di vita, alla realizzazione di un futuro familiare e professionale dignitoso e stabile. Anche nel nostro cammino di fede possiamo a volte sperimentare impedimenti e disagi, quando pensiamo che Dio si sia allontanato da noi, e percepiamo la chiesa non come rifugio, ma come un ostacolo, con il risultato che quanto credevamo importante e fondamentale, ci sfugge e muore.
La storia di Giuseppe raccontata da Matteo, però, non finisce qui: non termina nemmeno con il suo proposito di agire nei confronti di Maria con bontà e rettitudine.
Dopo il dormiveglia tormentato dai dubbi e dall’angoscia, finalmente il sonno arriva: lo prende sul fare del mattino. Ed è lì che succede: un angelo, materializzatosi improvvisamente nel sonno, gli parla di una missione da compiere, di un figlio che avrebbe salvato il mondo, che lui, Giuseppe, non deve preoccuparsi di nulla, perché questa è la volontà dell’Altissimo. Un sogno strano, dolce, quasi vero. Maria era sua, era la sua sposa, ma Dio dall’eternità si era innamorato di lei, e aveva scelto il suo grembo verginale per la nascita del Verbo, suo Figlio.
Nel sogno Giuseppe tace: è stupito, attonito, senza parole. Poi si sveglia, sereno. I pensieri bui sono lontani, fuggiti con le tenebre: ora Giuseppe ha riacquistato tutta la sua forza e il suo entusiasmo: se Maria ha accettato di prestare il grembo a Dio, lui, Giuseppe, può anche fargli da padre a quel Dio che sarebbe nato.
Un nuovo progetto prende forma in Lui proprio dalle rovine del precedente, ormai irreparabilmente distrutto: Dio lo vuole coinvolgere in una storia che è decisamente superiore alle sue umane possibilità, una storia che vede come protagonista Maria, la sua giovane sposa:
Dio vuole entrare nella storia umana, servendosi della loro collaborazione.
Matteo, ottimo conoscitore dell’animo umano, ci fa notare che Giuseppe è “giusto”: cioè irreprensibile, autentico, onesto, un uomo pieno di dignità, non vendicativo; uno che non giudica secondo le apparenze; che pur ferito come marito, capisce che Dio, per assumere le sembianze umane, ha scelto Maria, e nella generosità del suo cuore, lascia prevalere la tenerezza e l’amore per quella sposa che deve condividere con Lui. È “giusto” perché, mettendosi dalla parte di Dio, si oppone alla follia dominante e al giudizio di morte della gente. Giuseppe è “giusto”, come potremmo esserlo tutti noi, se solo sapessimo amare come lui, e permettessimo umilmente a Dio di disporre di noi secondo la sua volontà.
Cerchiamo allora di imitarlo: mettiamo da parte la nostra voglia di apparire, coltiviamo seriamente in noi quelle virtù che devono essere sempre i nostri valori fondamentali: la mitezza, la bontà, la pazienza, la carità; impariamo a vivere la chiamata di Dio con il massimo impegno nell’umiltà, nel nascondimento: del resto, Dio conosce già perfettamente il nostro intimo e tutto quanto ci riguarda, e non gli serve una campagna pubblicitaria per quel poco che facciamo; il protagonismo ad ogni costo lasciamolo agli uomini del mondo: uomini che purtroppo oggi sono sempre più arroganti e ipocriti, gente che urla soltanto, per imporre il nulla che è in loro.
Di quanti Giuseppe avrebbe bisogno oggi la società! In politica, negli uffici, in famiglia, nei rapporti di coppia, nelle comunità religiose: uomini e donne “giusti”, sui quali Dio può veramente contare, dei quali può fidarsi in tutto, per realizzare nel mondo i suoi progetti di salvezza!
Ma non basta. Per far nascere Dio in noi, dobbiamo essere anche dei “sognatori”, gente che in questo mondo disincantato e cinico, ha il coraggio di credere ancora negli ideali, nelle promesse di Dio. Come Giuseppe, dobbiamo avere il coraggio del sogno, di piegare la nostra volontà a quella di Dio che ci chiede di collaborare al Suo progetto divino di salvare il mondo: un progetto che, dopo il suo ritorno al Padre, egli ha affidato alla sua Chiesa; un progetto divino che pertanto ci vede tutti responsabilmente coinvolti, consapevoli che se non sappiamo più sognare il nostro inserimento in Dio, se non inseguiamo gli ideali che Lui ci ha lasciato nel Vangelo, se non li ascoltiamo, se non li dimostriamo al mondo con la nostra vita, finiamo per soffocare lo Spirito di Dio in noi, continuando a vivere da parassiti, servi inutili, tralci infruttuosi, destinati ad essere recisi e bruciati.
Viviamo allora anche noi l’imminente Natale con la stessa fede di Giuseppe: viviamolo coinvolti come lui, nella sorpresa di un Dio perdutamente innamorato di noi, che non ci vuole inerti spettatori, pusillanimi e rinunciatari, ma discepoli innamorati in continua tensione verso il compimento della Sua volontà.
Questo è il mio cordiale e sincero augurio a tutti voi. Buon Natale.
Amen.
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