Gesù prese con sé Pietro,
Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte...(Mt
17,1-9).
Il
vangelo di oggi ci racconta la trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, alla
presenza di tre dei suoi discepoli. In particolare dice: Gesù “fu trasfigurato davanti a loro e il suo volto brillò come il sole
e le sue vesti divennero candide come la luce”.
Un
evento eccezionale, straordinario, dunque: un evento che colpisce profondamente
i presenti. Un evento che ha ammutolito i tre, sopraffatti da una visione di
Gesù che mai si sarebbero aspettati di vedere. Un assaggio di paradiso,
riservato ai più intimi.
Ma per
noi, cristiani di oggi, cosa significa “trasfigurazione”? Potremo mai vivere noi,
figli dell’era tecnologica esasperata, momenti di una così esclusiva
spiritualità? Certamente. Tutti i giorni noi viviamo di trasfigurazione.
“Vivere
una trasfigurazione” è infatti molto più naturale di quanto possiamo immaginare;
letteralmente infatti trasfigurazione significa “vedere”, materializzate nelle persone,
nelle cose, nei fenomeni che ci circondano, emozioni particolarissime, emozioni
normalmente visibili soltanto attraverso gli occhi del cuore. In pratica fare una
esperienza di “trasfigurazione” significa vivere concretamente, toccare con
mano momenti celestiali, momenti indescrivibili di esaltazione divina, momenti speciali
che noi viviamo nella nostra quotidianità, quando le stesse sensazioni, le
stesse emozioni che “viviamo” soltanto nell’intimità del nostro cuore, diventano
riscontrabili e verificabili nella realtà: e ci sentiamo rapiti, posseduti da
una felicità incontenibile, da “settimo cielo”. In quei momenti comprendiamo
veramente cosa significhi amare. Solo infatti se siamo stati veramente innamorati,
se abbiamo letteralmente perso la testa e fatto cose pazze per chi amiamo, arriveremo
a capire cosa significhi trasfigurazione.
Gesù in
quel particolare momento, con la sua trasfigurazione, ha voluto far sperimentare
ai suoi una breve anticipazione della sua divinità: l’uomo “buono”, il maestro,
la guida, che fino ad allora loro conoscevano, improvvisamente si è rivelato
essere una divinità soprannaturale, Figlio di un Dio che è un Padre innamorato,
lui stesso un Dio ardente di passione, un Dio che infiamma d’amore chiunque ha
la fortuna di avvicinarlo.
Inutile
domandarci come sia stato materialmente possibile per Gesù un così evidente e sostanziale
cambiamento di aspetto. Inutile scomodare la scienza, inutile farci tutte le
alchimie e le supposizioni scientifiche per spiegare come ciò sia potuto accadere
nella realtà. Inutile cercare di capire lo stato d’animo, i pensieri, le
emozioni dei tre. Possiamo al massimo farcene un’idea pensando a certe
particolari esperienze del nostro vissuto: come per esempio la tenerezza che
proviamo nel contemplare il volto di un bimbo addormentato tra le braccia della
madre, oppure ammirare gli occhi di una donna quando stringe al cuore il figlio
appena partorito; o ancora il senso di beatitudine che ci invade nell’ammirare
un tramonto sul mare, o l’immensità del cielo riflesso negli occhi della
persona che amiamo; oppure l’ascolto di un coro monastico che innalza lodi a
Dio, nel silenzio tombale di un’abbazia: sono istanti unici, che irrompono nel
profondo della nostra anima, istanti che ci fanno capire cosa voglia dire
innamorarsi, stupirsi, commuoversi; istanti unici, carichi di intime, intense
sensazioni d’amore: in una parola, sono momenti di “trasfigurazione”.
Nella
nostra vita noi facciamo continue esperienze di trasfigurazione: quando ci
innamoriamo, quando nel buio di una situazione rivediamo la luce, quando da perduti
che eravamo ritroviamo noi stessi, quando scopriamo che la nostra vita, così
piccola e insignificante, ha un senso e uno scopo ben preciso per il mondo e per
oltre sei miliardi di fratelli.
Ma la
massima esperienza di trasfigurazione, la più esclusiva e tangibile, noi la
viviamo quando ci accostiamo alla Comunione: nell’Eucaristia noi assistiamo infatti
alla più solenne e importante delle trasfigurazioni: una Teofania che Dio
riserva esclusivamente ai singoli. Non è accompagnata né da terremoti, né da nubi,
né da lampi, né da tuoni. Ma è Dio stesso che viene in noi, nel nostro cuore, e
ci trasforma, ci trasfigura. È il Dio Amore che si lascia sentire, toccare,
gustare, mangiare.
Insomma,
come ho detto, anche noi, come Pietro, Giacomo e Giovanni, possiamo vivere le
nostre esperienze di trasfigurazione: momenti di grande introspezione, momenti
che ci infondono energia, fiducia, forza, coraggio di andare avanti e di
affrontare le difficoltà, le cadute, le crocifissioni della vita. Sono momenti in
cui, a contatto con la grazia di Dio, ci è impossibile non commuoverci, trattenere
le lacrime.
E
concludo: una volta pensavo che commuoversi, piangere, fosse una prerogativa
dei deboli. Oggi invece so che vuol dire essere vivi, presenti, vigili; vuol
dire sentire, analizzare, vedere, capire cosa significa vivere l’amicizia di
Dio; vuol dire lasciarsi toccare nell’intimo dal suo amore, lasciarsi colpire
da quanto di più bello Egli ci ha messo a disposizione. E di fronte a tali
esperienze di vita, così intime ed esaltanti, è veramente impossibile per un’anima
sensibile non commuoversi. Amen.
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