L’avvento è il tempo liturgico che ci prepara al natale. È l’attesa di Gesù che deve venire.
A noi, quando parlano di attesa, di arrivo, capita che la prima cosa cui pensiamo sia l’autobus, o il treno, o l’aereo: siamo lì, aspettiamo il mezzo di trasporto che ci viene a prelevare: quello arriva, noi saliamo su, ci sediamo tranquilli, ci leggiamo il giornale o sonnecchiamo fino all’arrivo. Nessun problema per quest’attesa; nessun problema per questo arrivo. È un’occasione per lasciarci cullare tranquillamente, senza problemi, dalla vita.
Ma l’Avvento non è questo. Nei vangeli non è mai così: la venuta di Dio è sempre sconvolgente, destabilizzante: è sempre un’avventura! Quando Dio viene, Lui chiama a qualcosa di impossibile. Impossibile perché puntualmente, quando arriva il momento dell’arrivo, dobbiamo ancora farlo, dobbiamo ancora partire.
Dio viene e passa, ma non viene mai come noi ce l’aspettiamo o come noi vorremmo. A fatica lo riconosciamo, non ha un volto qualunque, ma ha un “portamento” che non conosciamo, che non sappiamo, che non ci aspettiamo.
Saremo particolarmente all’erta per riconoscerlo? Avremo il coraggio di tenere costantemente la porta aperta per accoglierlo?
Non conosciamo l’ora, il momento; praticamente non conosciamo quando è “tempo”: però qui Marco usa la parola kairos (Mc 13,33): non conosciamo cioè quando sarà il tempo propizio, il tempo favorevole, ben diverso dal chronos, che è il tempo dell’orologio: quello passa e basta: passa comunque, sia che siamo pronti o no. Natale verrà e questo è certo: sarà il 25 di dicembre. Ma per noi sarà per davvero un Natale “propizio, favorevole, preparato”(kairos), oppure sarà soltanto una festa del calendario (chronos)? Cristo viene per davvero: ma noi ci saremo? Saremo in grado di accoglierlo? Sapremo accettare la sua visita? Sapremo riconoscerlo? Sapremo dirgli: “Ti accoglierò in qualunque modo tu verrai!”?
Il vangelo inizia infatti dicendo: “State attenti, vegliate, vigilate”. Tre verbi che in sostanza sottolineano la stessa cosa: che non dobbiamo dormire, non dobbiamo addormentarci, dobbiamo essere svegli e desti.
Il messaggio è semplice e non ammette dubbi: “non addormentarti, rimani desto, rimani sveglio”. Perché se dormi, quando ti sveglierai, scoprirai che la realtà non è quella che tu pensavi, o quella che ti eri faticosamente costruito o nascosto.
La gente in genere non vuole verità, non vuole essere svegliata; la gente vuole dormire.
Quando facciamo “gli addormentati” diciamo: “È così, non possiamo farci nulla; siamo dentro al sistema”. Sveglia! Non è vero! Il fatto è che se ci svegliamo, dobbiamo prendere in mano la nostra vita e riconoscere che il come vivere dipende solo da noi. Oppure quando diciamo: “Tu sei la mia felicità!” pensando magari che soltanto quando troveremo l’uomo o la donna giusti saremo veramente felici, svegliamoci, non è vero. Se non siamo felici “dentro” di noi, non lo saremo mai!
Oppure: “Io non valgo nulla”. Sveglia, non è vero. Perché il giorno in cui lo scopriremo sul serio, non potremo più colpevolizzare gli altri e fingere dicendo: “guardate quanto sono sfortunato!”.
Oppure: “Io sono buono”. Sveglia, non è vero. Siamo buoni perché non ci conosciamo e non ci guardiamo dentro. Siamo buoni perché vogliamo ritenerci superiori, migliori degli altri e poi magari giudicarli. “Nessuno è buono, se non Dio solo”, ha detto Gesù (Mc 10,18).
Oppure: “Non possiamo farci niente”. Sveglia! Non è vero: è che è difficile mettersi in gioco in prima persona ed esporsi; è che è più comodo dire così, piuttosto che sporcarsi le mani.
Oppure: “Quando avrò ottenuto quella cosa, allora finalmente sarò felice”. Sveglia, non è così. Se pensiamo che siano le cose o le persone a farci felici, non saremo mai felici. La felicità non è un fine ma la conseguenza di una vita soddisfacente, significativa, realizzata, piena d’amore.
Il Natale è questo: prenderci cura della nostra dimensione interiore, di ciò che siamo, di ciò che abbiamo dentro.
Perché, immersi nella vita di tutti i giorni, rischiamo di perderci. Ci alziamo, facciamo colazione, portiamo i figli a scuola, andiamo a lavorare, lavoriamo sodo tutto il giorno; riprendiamo i figli e torniamo a casa. A casa poi si apre un’altra giornata: laviamo, stiriamo, sistemiamo, facciamo la spesa, prepariamo da mangiare, telefoniamo ai nostri “vecchi”, controlliamo i compiti dei figli, ecc. E poi: paghiamo le tasse, controlliamo il conto corrente, ci interessiamo dei problemi condominiali, stiamo attenti che non ci “imbroglino” con le bollette, con i conti della spesa ecc. La vita sembra una corsa, una guerra, un fare fare, ecc. E questo ogni giorno. E se non stiamo attenti, ci addormentiamo, dall’essere passiamo al fare: e quando vendiamo l’essere per il fare, per il materiale... allora il sonno è profondo. Quando per interesse non guardiamo in faccia nessuno... allora è sonno profondo. Quando le persone possono essere spostate, trattate, usate, come pacchi-oggetto (chiamiamole pure ristrutturazioni di società!), senza tener conto che sono esseri umani... allora è sonno profondo. Quando non ci interessa nulla della natura e inquiniamo, sporchiamo, distruggiamo, credendo che tutto il mondo sia nostro o che “non è niente” e neppure ci accorgiamo che anche quella è vita al pari della mia... allora è sonno profondo. Quando per divertirci, per trovare complicità, “sparliamo” della gente, magari senza sapere... è sonno profondo. Quando il lavoro viene prima dei figli e della moglie o quando i lavori di casa vengono prima delle carezze, dei baci, del ridere, dello scherzare e della complicità... è sonno profondo. Quando una regola viene applicata perché è una regola e non si tiene conto della sofferenza, dei bisogni, della diversità, del dolore che si arreca all’altro... allora è sonno profondo. Quando ci stordiamo davanti alla tv, al computer, allo smartphone, con mille chat e mille parole, pur di non entrare in contatto con noi stessi, con ciò che abbiamo dentro, con le nostre paure... allora è sonno profondo. Quando per sicurezza, per non andare in crisi, per non crearci problemi, evitiamo di farci certe domande, o evitiamo certe verità per non metterci in confusione... allora è sonno profondo.
Dal sonno profondo o ci si sveglia o si muore. Terribile è vivere una vita dormendo.
Svegliarsi significa accettare di vedere quella realtà che prima non vedevamo (o non volevamo vedere). Svegliarsi è accettare che la verità che credevamo di vedere, non è la verità: svegliarsi non è mai piacevole, ma è vivere la Vita. Amen.
Nessun commento:
Posta un commento