Oggi è la festa della Trinità. Ma cos’è la Trinità? Cosa vuol dire che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo? Cerchiamo a grandi linee di conoscere questi tre aspetti di Dio.
Dio è Padre, ed è in cielo: lo abbiamo conosciuto attraverso suo figlio; abbiamo cioè capito che Gesù ha un Padre, perché parla spesso con Lui, si rivolge a Lui amorevolmente; è un Padre che è sempre presente nella sua vita, anche se talvolta assente: per esempio lo ha riconosciuto esplicitamente in varie teofanie, ma poi non è intervenuto a salvarlo dal supplizio della croce, nonostante egli lo avesse pregato intensamente. Un Padre che è anche nostro Padre, pur non correndo sempre a risolvere immediatamente i nostri problemi. Egli sa veramente ciò di cui abbiamo bisogno: i suoi disegni sono diversi dai nostri; ma è Lui che dobbiamo pregare, come Gesù stesso ci ha raccomandato e insegnato: è insomma un Padre vicinissimo anche se può apparire talvolta lontano; è quaggiù e lassù, al di fuori del tempo e dello spazio.
Dio è Figlio, è il Dio che si è fatto uomo in Gesù, accettando in tutto la nostra condizione umana su questa terra. Gesù Cristo è il Dio che si incarna nel tempo e nello spazio della storia, che prende forma, umanità, visibilità. Gli apostoli e i primi cristiani lo hanno conosciuto di persona: hanno sentito le sue parole, hanno ascoltato le sue parabole, hanno visto i suoi miracoli, hanno toccato con mano la sua forza, la sua passione, la sua verità e non hanno avuto dubbi: “È veramente il Figlio di Dio”. E infine la sua resurrezione dai morti ne ha dato ampia conferma: poi però, dopo essere apparso per confortarli, se ne va.
Lo Spirito è invece il Dio che sarà sempre presente tra noi. I primi cristiani, subito dopo la partenza di Gesù da questo mondo, lo hanno sperimentato – e anche noi continuiamo a sperimentarlo - in una maniera nuova, difficile da capire e da comprendere; Gesù è sempre presente dentro di noi come Spirito, come energia, fuoco, ardore, speranza, lotta, fiducia. Il Dio Amore che lega indissolubilmente Padre e Figlio, continua a vivere in noi, come in ogni creatura.
Ebbene, queste esperienze di Dio, vissute dagli apostoli e dai primi cristiani, diviene nel corso degli anni il dogma della Trinità: l’Unico Dio, cioè, vive in Tre persone, distinte, diverse, ma non separate; è sempre lo stesso Dio, che vive e che è presente in modalità diverse, Uno e Trino.
Ogni volta che noi ci facciamo il segno della croce non facciamo nient’altro che invocare questo dogma, questa verità di fede: “Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
Questa è dunque la grande verità: Dio è Famiglia, è più persone. Le tre persone della Trinità sono in un continuo dono reciproco d’amore, in una continua “relazione” fra di loro. Una relazione che caratterizza il loro essere, la loro essenza: non esiste l’una senza l’altra.
Sant’Agostino nel suo De Trinitate definisce così la Trinità: il Padre è l’Amans, il Figlio è l’Amatus e lo Spirito Santo è l’Amor. C’è insomma un Dio che fa il “Padre”, l’amans, l’amante, colui che dona. C’è un Dio che è donato, il “Figlio”, l’amatus, il dono. E c’è l’amor, lo “Spirito”, la relazione d’amore che li lega insieme.
Dio quindi è Relazione, è rapporto, è connessione, è unione: «Dio ha tanto amato (gapw) il mondo, da donare (d°dwmi) il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16).
La festa della Trinità ci fa capire che tra due persone, fra me e te, quello che conta di più, quello che è più importante, non sono né io né tu, ma è la relazione che intercorre fra di noi. Non siamo cioè noi, presi individualmente, che rendiamo felice l’unione tra due persone, non sono le nostre qualità personali, ma è la qualità del nostro rapporto, è il “come” ci relazioniamo.
La maggior parte delle persone pensa, ad esempio, che la felicità coniugale dipenda dal trovare o meno la “persona giusta” con cui condividere la propria esistenza. Condiziona cioè il raggiungimento della felicità di una vita, all’incontro con uno che detenga un “pacchetto magico della felicità” già pronto e confezionato. Ma il principe azzurro non esiste, è un personaggio delle favole. Non possiamo demandare ad altri la responsabilità di farci vivere felici. È un traguardo che va costruito insieme: perché ciò che rende una vita meravigliosa non sono gli altri, per quanto buoni siano, ma è la qualità delle relazioni che noi instauriamo con loro. Pensiamo infatti solo per un attimo: cosa succederebbe se in una relazione noi non sapessimo “dare”? Succederebbe che l’altro, prima o poi, si stancherebbe di aspettare. E così di seguito: se in una relazione noi non sappiamo ricevere, l’altro non si sentirà mai importante. Se noi non stimiamo l’altro, l’altro si sentirà umiliato. Se non stimiamo noi stessi, costringeremo l’altro a farci sempre da mamma, a incoraggiarci, a dirci che ne abbiamo le capacità, che ce la possiamo fare. Se non vogliamo crescere, l’altro si sentirà imprigionato. Se vogliamo che le cose rimangano sempre uguali, l’altro si sentirà morire. Se siamo convinti di non valere, di essere inadeguati a tutto, ci attaccheremo morbosamente all’altro. Se non siamo mai ottimisti, vitali, gioiosi, divertenti, finiremo per contagiare l’altro con la nostra negatività, rendendo la relazione pesante e invivibile.
Dio è relazione. Dio è l’Amore. Il nostro amore deve essere pertanto “relazione”. L’amore è un movimento circolare continuo, una compenetrazione (pericoresi trinitaria) di due persone che si danno e che si ricevono, che si donano e che si accolgono. L’amore è quell’intervallo di spazio che esiste tra l’io e il tu, spazio in cui si crea il noi: l’amore è dove io non sono “io” e tu non sei “tu”, ma io e tu siamo “noi”.
Tutto ciò che esiste è creato ad immagine della Trinità: ognuno di noi ha bisogno di vivere in sé stesso i tre elementi che la costituiscono. Se ne manca uno non c’è comunione, perché la comunione è data dalla loro presenza in contemporanea:
1) L’amans, il Padre, il genitore. Noi tutti dobbiamo essere amantes, gli amanti, coloro che amano. L’amans è colui che prende l’iniziativa, che va, che non guarda cosa fanno gli altri: non guarda se fanno di più o di meno di lui. Lui ha dentro di sé l’amore, e lo dona gratuitamente. È il “genitore” per eccellenza: è talmente pieno d’amore che lo dona, lo riversa sugli altri. L’amore è dare, è donare. Ma per dare dobbiamo essere pieni, altrimenti credendo di dare, pretendiamo di ricevere. Siamo pieni d’amore? Lo doniamo. Siamo pieni di gioia? La doniamo. Siamo pieni di vitalità? La doniamo. Siamo pieni di allegria? La doniamo. Siamo pieni di felicità? La nostra gioia diventa iniziative, voglia di creare unioni, condivisioni, momenti gioviali.
Non possiamo mai dare ciò che non abbiamo. Luca parla chiaro in proposito: «L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore» (Lc 6,45). Chi dentro ha rabbia sarà sempre arrabbiato e ogni occasione sarà buona per arrabbiarsi; chi dentro ha tristezza vedrà tutto nero, tutto negativo e tutto pericoloso; ma chi dentro ha la gioia, trasmetterà serenità; e lo si può riconoscere dal volto, dai gesti, dalle parole e dai sorrisi che dona a chi incontra. La nostra vita esteriore non è nient’altro che la proiezione della nostra vita spirituale, interiore.
2) L’amatus, il Figlio, il bambino. Il Figlio è colui che riceve. Tutti noi abbiamo bisogno di ricevere. Abbiamo bisogno di coccole, di tenerezza, di ascolto, di gioia, di ridere, di lasciarci andare, di sentirci accolti, riconosciuti, amati. Il bambino è colui che si apre e riceve. Tutti siamo bambini. Ma a volte vogliamo ricevere senza aprirci. Vorremmo che gli altri ci ascoltassero, ma noi non vogliamo chiedere. Vorremmo tenerezza, affetto, ma non vogliamo mostrarci vulnerabili o bisognosi. Vorremmo conforto, protezione, ma non vogliamo farci vedere piangere o sofferenti. Vorremmo sentirci riconosciuti ma quando qualcuno ci fa un complimento o ci dice: “Ti voglio bene”, noi ci sottraiamo, ci sentiamo imbarazzati. Per ricevere dobbiamo invece aprirci, dobbiamo accettare di essere vulnerabili.
3) C’è poi l’amor, lo Spirito, l’amore, l’unione, il legame, l’essere adulti: io sono io e tu sei tu; l’amore, è ciò che ci unisce entrambi. Se però pretendo che tu “divenga” me, io ti uccido. Se invece io divengo te, mi uccido. L’amore non vuole cambiare l’altro: tu sei tu. Se cambierai, è una scelta tua. Io ti amo, non ti cambio. È l’adulto che fa così: io ti amo e non mi aspetto che tu cambi. Lo faccio perché l’amore nasce dal mio cuore, dal mio essere, da ciò che io ho dentro. Non voglio nulla in cambio. «Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?» (Mt 5,46); non è più amore, è solo interesse, è un barattare qualcosa!
L’amore è ciò che fa vivere. L’amore fa vivere tutto ciò che vive. Amore è che l’altro sia al massimo, sia se stesso anche se ciò è contro il suo volere o le sue idee.
Cosa vuol dire per noi, nel nostro lavoro, essere amore, essere unione? Cosa vuol dire essere amore con il nostro fratello? Cosa vuol dire essere amore con chi non sopportiamo? Madre Teresa, o Teresa di Lisieux, dicevano: “Oggi sarò l’amore”. E vivevano così quella giornata. Abbiamo di che imparare.
La festa della Trinità, per concludere, ci dice che Dio, il Tutto, è collegato al tutto; dice cioè che noi siamo in relazione con il Tutto (Dio) e con il tutto (gli altri). Siamo cioè interconnessi fra noi. Siamo collegati, interdipendenti.
Nessuno allora può più dire: “A che serve fare il bene, se poi sono l’unico a farlo?”. Nessuno può più pensare in questo modo, perché tutto quello che facciamo comporta realmente delle conseguenze per noi, per gli altri, per il mondo intero.
A noi invece piace molto pensarci “unici”, separati dagli altri: “La vita è mia e faccio quello che ne voglio”. E invece no: se urliamo, se bestemmiamo, se viviamo nel rancore e nella rabbia, la risonanza delle nostre azioni, dei nostri sentimenti, si diffonde e si riverbera nel mondo. Se, invece, amiamo incondizionatamente, se viviamo nel perdono lasciando andare e cadere l’odio e la rabbia, se compiamo gesti di bontà gratuita, se abbiamo compassione e tenerezza, tutto questo si riflette in noi, nella nostra famiglia e nel mondo. È la Trinità che ce lo ricorda: siamo collegati al Tutto e il tutto è collegato a noi. Tutto è in relazione e la relazione è tutto. Amen.
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