Leggendo il vangelo di oggi, può sembrare che tutto quello che è capitato a Maria e a Giuseppe prima e durante la nascita di Gesù, non li abbia toccati più di tanto. Possibile che non si siano resi conto chi fosse quel “loro” Figlio? Possibile che Maria non abbia capito le parole dell’angelo? Che Giuseppe non abbia capito quel sogno? Impossibile, ma sembra proprio di no!
Infatti cosa fanno? Siccome erano stati educati all’obbedienza della Legge, siccome da che mondo e mondo si è sempre fatto così, anch’essi continuano a fare così. Quindi portano Gesù, colui che è venuto a rompere con la tradizione e con il passato, a sottomettersi alla tradizione; lo portano cioè - lui che è Figlio di Dio! - a diventare figlio di Abramo.
Otto giorni dopo la nascita, infatti, lo portano nel tempio per la circoncisione. È la tradizione; una tradizione che crea abitudine e infonde sicurezza: noi sappiamo una cosa, la conosciamo bene, e la facciamo volentieri sapendo di essere in grado di farla, e questo ci dà sicurezza. Perché cambiare? L’abitudine, in fin dei conti, ci semplifica la vita. Ma quando l’abitudine diventa senza senso, una perdita di tempo, allora diventa anche inutile. Controproducente. Non è più un’abitudine è una schiavitù.
Tuttavia è difficile staccarsi di punto in bianco dalle tradizioni imposte dalla comunità. È difficile imboccare un’altra strada seguendo solo il proprio cuore; è difficile dar voce a ciò che si sente dentro; è difficile prendersi la responsabilità delle proprie scelte. È difficile staccarsi da ciò che ci hanno trasmesso i nostri padri, da quello che intere generazioni hanno sempre fatto, da ciò che tutti continuano ancora a fare.
Il popolo ebraico era vincolato, a proposito di neonati, da due tra le più antiche prescrizioni della legge: la purificazione della madre (Lv 12) e il riscatto del figlio primogenito (Es 13,1-2). La prima prescrive che, dopo la nascita del bambino, la madre, trovandosi in uno stato di impurità, non deve toccare alcuna “cosa santa” né entrare nel santuario. Trascorsi i quaranta giorni previsti dalla legge, la coppia deve invece salire al tempio perché la donna possa purificarsi, offrendo in sacrificio a Dio, in espiazione del suo peccato di impurità, un agnello oppure un colombo o una tortora. Subito dopo la purificazione della madre, essi devono “riscattare” il loro bambino, in quanto ogni primogenito, fin dalla nascita, è “proprietà” di Dio.
Maria e Giuseppe dunque, pur con tutto quello che avevano visto e vissuto nel loro cuore fin dall’inizio, accettano la tradizione e fanno tutto secondo la Legge religiosa: essendo poveri e non potendo offrire un agnello, ovviamente portano con sé soltanto un paio di tortore.
Compiuta la prima parte del rito, improvvisamente appare sulla scena un personaggio strano: un certo Simeone (che vuol dire “Jahweh ha ascoltato”). Non è detto che sia vecchio (normalmente i “sapienti” erano persone piuttosto anziane). Si dice invece che è un uomo giusto e timorato di Dio. Potrebbe far pensare ad un sacerdote, ma si dice che lo “Spirito Santo era sopra di lui” (nei vangeli i sacerdoti non hanno mai lo Spirito Santo!). Quindi non di un sacerdote si tratta, ma di un uomo di Dio, un profeta; Simeone non è un uomo del culto ma della Vita.
I “genitori” di Gesù, per riscattare il loro primogenito, cercano un uomo della Legge. Ma trovano un uomo dello Spirito. Le sue parole non si riferiscono a nessuna regola o prescrizione: sono parole piene di vita. Maria e Giuseppe rimangono ancora più impressionati di fronte ad esse: già i pastori avevano parlato di un “salvatore” (Lc 2,18), già l’angelo aveva annunciato a Maria che il suo sarebbe stato il Figlio dell’Altissimo (1,32); adesso questo uomo parla di “luce per illuminare le nazioni”. Cosa vuol dire tutto questo? Cosa vuol dire che questo figlio sarà “segno di contraddizione, rovina e resurrezione per molti in Israele”?
Sono andati al tempio pensando che un sacerdote purificasse la madre del bambino, invece trovano quest’uomo che annuncia a gran voce che sarà il loro bambino a “purificare” Israele.
Gesù cioè sarà per molti la “pietra d’angolo”, la pietra su cui costruire, su cui piantare le basi della propria vita; per molti altri, invece, sarà “pietra di scandalo”, ossia la pietra contro cui inciamperanno le loro infedeltà, la pietra che li farà cadere dall’arroganza delle loro scelte di vita.
Seguire Gesù non è cosa facile, piana, indolore. Non ci si trova davanti un bel sentiero, dritto, ombreggiato, con fontanelle d’acqua e panchine dove vuoi, con uccellini, sole, pieno di “vogliamoci bene” e “amiamoci tutti”. Gesù ci mette al contrario davanti a scelte difficili, a bivi oscuri, a cadute e rotture frequenti; Gesù ci pone davanti a verità dure da accettare, destinate a trasformare radicalmente la nostra vita; Gesù insomma ci mette di fronte a noi stessi, alla nostra coscienza, alle nostre responsabilità, alle quali non possiamo sfuggire. Sì, perché Gesù è un cammino di liberazione, di guarigione, di apertura, di smascheramento. Gesù non ci lascia sonnecchiare tranquilli. Ecco perché il suo Vangelo è contemporaneamente Vita per alcuni, morte per altri.
Simeone predice tutto questo a Maria, le predice ciò che succederà: in particolare le preannuncia sofferenze tremende: pur non dicendole nulla, le dice tutto. E Maria ascolta: lei ascolta, anche se non sa cosa Simeone intenda veramente dire.
La Maria che ci appare dal vangelo, è molto diversa dalla Madonna potente, onnisciente, sicura di sé, rappresentataci lungo i secoli dalla pietà popolare: per tre volte, in questo capitolo, viene detto per esempio che Maria non comprende; ed è vero: in quel momento lei effettivamente non arriva ancora a capire in pieno il suo ruolo, e meno ancora quello di suo figlio; lei non immagina mai cosa sarebbe successo; non immagina quanto le sarebbe costato quel “Si” affidato all’angelo, fin dove l’avrebbe portata; lei però conserva “tutte queste cose meditandole nel suo cuore”; pur non capendo, accoglie con la massima disponibilità il messaggio di Dio, aderendo in tutto e per tutto alla sua volontà. Maria non arriva a capire neppure suo figlio Gesù; però lo segue sempre, con trepidazione, con semplicità, con discrezione, con assoluta fiducia. E questo è il grande “passaggio”, il grande “merito” di Maria: passare dal ruolo di madre a quello di discepola di suo Figlio.
Maria, fin dall’inizio di questa sua “avventura”, non si rende conto di tutto, molte cose la turbano, molte cose non le tornano: per esempio non capisce la presenza dei pastori a Betlemme: i pastori erano ritenuti i rifiuti della società, erano considerati i peccatori per eccellenza: a forza di stare con le bestie erano diventati bestie anche loro. Che ci fa allora questa gentaglia da lei? Come mai soltanto questi “signori” vengono dal suo Bambino? “C’è qualcosa che non quadra”, pensa Maria. “Come mai il Figlio di Dio viene annunciato come il Salvatore da gente che la mia religione ha sempre guardato come cattivi, peccatori, disonesti?”. L’angelo le aveva promesso che Dio avrebbe dato a Gesù il “trono di Davide suo padre”; come mai, allora, Dio lo lascia circondare da questa gente poco raccomandabile, come mai Dio usa questi ceffi per onorarlo? L’angelo le aveva detto anche che quel figlio, Gesù, “sarà chiamato Figlio di Dio”. Sembrava che Maria avesse finalmente capito. Sembrava, perché dal vangelo non appare così; Maria infatti dimostra di non aver capito affatto cosa volesse dire “Figlio di Dio”; se avesse capito, non lo avrebbe portato nel tempio - lui, il Figlio di Dio appunto – per sottoporlo ad un adempimento legale che lo metteva sullo stesso piano degli altri mortali, ai figli di Abramo.
Ma c’è anche un’altra cosa che Maria non comprende: cosa vuol dire Simeone con “una spada ti trafiggerà l’anima?”. Cerchiamo anche noi di capirlo.
C’è da dire che nella Scrittura la “spada” è il simbolo della parola di Dio: “dalla sua bocca usciva una spada a doppio taglio” (Ap 1,16); e ciò per indicare l’incisività, l’efficacia infallibile, precisa e tagliente della Parola. Pertanto, la spada che trafiggerà Maria, altro non è che la Parola stessa del Dio suo Figlio!
Quale sarà infatti la prima parola che Gesù dice nel vangelo? È il rimprovero rivolto ai suoi genitori e soprattutto a sua madre: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?” (Lc 2,49). La parola di suo figlio è difficile per lei da capire, le causerà dispiacere, sconforto, incomprensione, derisione. In quel momento Maria dovrà rendersi conto che tutte le sue aspettative di madre, riposte su questo figlio, si realizzeranno in maniera ben diversa da come lei pensava. Gesù mette subito le cose in chiaro, sottraendosi alle naturali attese dei genitori. In altre parole, è come se Gesù avesse detto loro: “voi mi avete generato ma non siete mio padre e mia madre; mio padre e mia madre sono il Signore del cielo (padre) e della terra (madre)”. E ancora una volta, per la terza volta, il vangelo dice: “Ma essi non compresero le sue parole” (2,50).
La spada tagliente per Maria sono dunque le parole di Gesù: le creano una sofferenza, un dramma interiore: un dramma che esplode in tutta la sua “crudezza”, quando Gesù sembra rifiutarla proprio come madre. Un giorno lei e gli altri fratelli lo raggiungono, mentre in una casa è intento a predicare alla folla seduta intorno a lui: gli dicono:“Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano” (Mc 3,32). Gesù risponde in maniera dura e seccata: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. E girando lo sguardo su quelli che lo circondavano dice: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre” (Mc 3,33-34). Parole forti; parole che costringono Maria a cambiare radicalmente, a smettere il suo essere madre per convertirsi; a trasformarsi cioè in “discepola” per diventare “figlia” di suo figlio.
Maria capisce che per Gesù non conta più tanto come “madre”; ma può contare come “discepola”. L’intimità con suo figlio non è garantita più dal fatto naturale di essergli madre, ma dalla sua trasformazione in “discepola”, dall’instaurare cioè con lui un nuovo rapporto, dal creare una unione ancor più intima, una simbiosi inarrestabile col suo cuore e col suo sentire.
Per rimanere “intima” con suo figlio, Maria deve dunque compiere un cambiamento radicale. Perché sarà il suo nuovo ruolo di discepola, in aggiunta a quello di madre, che le consentirà di seguire Gesù fino in fondo, fino alla croce.
La spada per Maria non sono le sofferenze naturali di una madre per il figlio: preoccupazioni, ansie, timori, aspettative non accolte, ecc. La spada tagliente per Maria è capire che la sequela, il seguire suo Figlio come discepola, è più importante, viene prima del legame ancorché forte, naturale e di sangue, che esiste tra madre e figlio. Maria, per seguire il figlio, ha dovuto rinunciare al “privilegio” della sua posizione di madre. Questo intendeva dirle Simeone, il giorno della “presentazione” di Gesù al Tempio.
E a noi, cosa dice questa ricorrenza? Cosa significa, per noi oggi, “presentazione al tempio”? Beh, sicuramente significa “offrire” i nostri figli a Dio; ma non basta farlo una volta sola, all'inizio della loro vita, col battesimo; bisogna poi seguirli, continuare a educarli nella fede. Bisogna crescerli nella fede. Bisogna irrobustirli nella fede. Perché i genitori sono i primi evangelizzatori dei figli: non tanto con le prediche, ma con le piccole cose, con le preghiere che insegnano, con le risposte che danno alle loro domande, con i giudizi che esprimono e i discorsi che fanno in loro presenza, con la coerenza della loro vita famigliare cristiana.
Presentare i figli al Signore, educarli alla fede, significa anche accettare che crescano fedeli a Dio nella libertà delle loro scelte, attraversando pure dei periodi di crisi, magari evitabili.
Uno santo prete diceva: “Quando si è fatto tutto il possibile e non si può più parlare ai figli di Dio, è giunto il momento di parlare a Dio dei figli, cioè di pregare per loro, sempre”.
E poi dobbiamo mettere in conto anche la “spada”. Quella spada della sequela di Cristo che porta a rinnegare i rapporti di sempre, quelli familiari, quelli delle persone care: non perché si voglia loro male, ma semplicemente perché il loro parlare non decolla, non riesce più a spiccare il volo, non corre più in direzione di quella libertà, di quell’autonomia, di quell’osare, tipici del seguire le orme di Gesù in risposta alla sua chiamata. Una chiamata che impone spesso scelte dolorose, ma inevitabili; scelte che lacerano il cuore e l’anima; ma scelte che fanno vivere.
Ebbene la Spada affilata che plasma tutti, è seguire la Parola di Dio, elemento indispensabile per diventare veri discepoli di Gesù: cambiare costa sempre fatica; è come subire una lama che ci taglia, che ci pota. Crescere, maturare, fa sempre male: fa male abbandonare i nostri sogni, anche se irrealizzabili; fa male confrontarsi con la cruda realtà; fa male andare avanti con mille ferite che straziano il nostro cuore. Ma questa è la via sicura del “discepolato”. Raccomandiamoci a Maria, a nostra madre, a colei che per prima ha dovuto percorrerla. Amen.
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