Con questa domenica iniziamo il tempo liturgico dell’Avvento. Gesù nel vangelo ci mette in guardia. “Aprite gli occhi, non vivete nella superficialità, come al tempo di Noè, in cui mangiavano, bevevano, si sposavano e facevano figli, ma non si accorgevano di nulla”. Vivevano nella falsità, si ingannavano l’un l’altro, ma il loro unico interesse era di disinteressarsi di tutto, non volevano aprire gli occhi, perché aprirli significava cambiare.
Se infatti noi “vediamo” una cosa, allora non siamo più gli stessi: sappiamo che c'è, e ci “scoccia” saperlo; ci “brucia” così tanto che, diciamo, era meglio non saperlo. È vero: aprire gli occhi è doloroso. Molti preferiscono vivere nell’illusione piuttosto che scoprire la realtà. Preferiscono ingannarsi. E questo ci dimostra a sufficienza quanta falsità regni nella vita di certe persone.
La gente mangia tutto, beve tutto, senza porsi mai nessuna domanda; la gente crede a tutto e digerisce tutto. “State attenti, aprite gli occhi, non vivete nella superficialità; non fatevi ingannare”, insiste dunque Gesù. E ce lo dice proprio in Avvento, all’inizio del nuovo anno liturgico, nel tempo che da oggi ci accompagnerà fino al 25 dicembre.
Sì, perché il 25 dicembre celebreremo il Natale, la venuta di Dio sulla terra (ad-ventus).
Ma Dio non viene il 25 di dicembre, Dio viene e ci incontra ogni giorno se noi lo lasciamo entrare, se permettiamo alla sua luce, al suo Sole, di illuminare la nostra vita, di riscaldarla, di svelarcela.
Quindi non prendiamoci in giro e non raccontiamoci frottole: Cristo può nascere mille volte a Betlemme, ma se non nasce dentro di noi è come se non fosse mai nato”, diceva il mistico tedesco Silesius.
In queste quattro settimane, noi accenderemo una candela a settimana (tradizione molto antica): quattro domeniche, quattro candele d’Avvento. Per dire: è un cammino di luce dove noi ogni giorno cerchiamo di accendere una luce nella nostra vita, dove noi ogni giorno cerchiamo di far entrare la luce del Sole, di Dio, perché ci possa rischiarare e illuminare.
Queste quattro candele hanno un senso, però, solo se rappresentano il segno reale di ciò che accade nella nostra vita. Altrimenti sono solo quattro ceri che bruciano e basta. Hanno senso se esprimono la luce che lentamente entra nella nostra vita e che rischiara il buio che ci opprime; se sono la luce che illumina le nostre paure e le vince; se sono la luce del Sole, di Dio, che ci dice: “Non abbiate paura, nessun buio vi può vincere. Non lasciatevi prendere dall’insoddisfazione, dallo sconforto, dal pessimismo, dallo scoraggiamento”.
Il richiamo costante e continuo dell’avvento è pertanto quello di vigilare, di essere svegli, di non addormentarci. “Esci dal sonno; vieni alla luce; svegliati; renditi conto che in certi giorni e in certe zone della tua anima vivi nel buio”.
Per uscire però dal sonno, dobbiamo prima accorgerci di dormire; per accendere una luce, dobbiamo prima accorgerci che c’è il buio. Ed è proprio per questo che l’avvento è difficile: perché aprirsi al Dio-che-viene, vuol dire mettere in crisi certe nostre posizioni conquistate faticosamente e alle quali ci aggrappiamo in tutti i modi.
Molti di noi in questo periodo non fanno in realtà niente; aspettano il 25 di dicembre come qualsiasi altro giorno, e basta. Dicono: “Ho tante altre cose, troppe cose, da fare!”. Ma non è vero: è vero invece il contrario: facciamo tante cose pur di evitare spazi di luce; così, in realtà, tutto rimane invariato, non cambia nulla: ma con il nostro comportamento, con l’indifferenza, con il dubbio, con il cinismo, con la banalizzazione, con il pessimismo, noi rifiutiamo la Luce-che-viene-per-noi: tutti i modi sono buoni per evitare il nostro coinvolgimento, per non consentire alla luce di entrarci dentro.
La parola “Eden”, il mitico giardino di Adamo ed Eva, significa “godimento, delizie”: per chi vive la propria verità (sono figlio di Dio), per chi dà spazio alla propria anima, per chi libera la luce che porta in sé, anche la vita attuale diventa un vero giardino di delizie e di godimento. Al contrario per quelli che perdono contatto con la propria identità profonda, non può che esserci insoddisfazione, noia, rabbia, depressione, risentimento, angoscia.
Quante persone, infatti, dopo aver perso ogni contatto con il Dio che è dentro di loro, vivono di espedienti, di complessi di inferiorità, di ansie continue: pretendono di essere chissà chi, vogliono sentirsi grandi, superiori agli altri, vogliono potere, prestigio; sentendosi svuotati, si riempiono di zavorra; e finiscono col sostituire il loro esistere per l’eterno, con il possedere il presente, il transitorio, il deperibile, il caduco. Se capissero che sono figli di Dio, che ai suoi occhi sono già grandissimi così come sono, che per Lui sono più preziosi di qualunque cosa al mondo, che Lui li conosce singolarmente e li ama proprio perché sono così, sicuramente non avrebbero nient’altro da desiderare, non avrebbero più nulla da dimostrare a nessuno!
Purtroppo, invece, chi ha perso il contatto con la Luce, con il calore dell’amore di Dio, è costretto a combattere contro se stesso, contro i suoi complessi d’inferiorità: si sente nessuno, vuoto, inutile; si distrugge confrontandosi con quelli che sono migliori di lui, si affanna per emularli, per darsi un contegno, per sentirsi importante, visto che per lui l’essere se stesso è semplicemente terribile: non si accetta, non si vuole, è disposto a svendere ogni briciolo di dignità pur di raggiungere dei traguardi, che comunque poi scoprirà fallimentari. Se sapesse invece che è figlio di Dio, che l’Altissimo ha posto dimora in lui fin dalla sua nascita, che nel suo cuore egli ospita il Re dei re, allora di certo si renderebbe conto chi egli sia veramente. Si accorgerebbe che - aldilà della sua vita, dei suoi errori, dei suoi fallimenti, di quello che non riesce a fare o ad essere – lui è sempre e comunque “qualcuno”: una creatura importante, preziosa, unica, irripetibile; perché lui – come ognuno di noi - è stato creato “grotta” di Dio, per custodire l’amore; “Maria” di Dio, per generare l’amore; “Giuseppe” di Dio, per difendere l’amore, “angelo” di Dio, per cantare l’amore.
Allora Avvento significa vegliare per non perdere la nostra vera identità di figli della Luce. Significa riconquistarla, se l’abbiamo persa. Avvento è rivestirci della nostra dignità di figli di Dio. Avvento è prendere coscienza di Chi ci inabita da sempre; è imparare a conoscere la nostra anima che anima la nostra vita. Avvento è cambiamento, luminosità, trasformazione, metamorfosi; perché come il bruco onnivoro, possiamo anche noi diventare leggiadre farfalle che si librano in alto nella luce del Sole eterno. Amen.
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