Cos’è successo nel frattempo? Dopo la morte di Gesù, gli apostoli vengono presi da un profondo sconforto, dalla paura, dalla delusione. Si sono rinchiusi nel Cenacolo, stanno tutti insieme, hanno una paura folle. Il Cenacolo, in cui tutto ricorda ancora la presenza di Gesù, è per loro come un grembo materno, si sentono avvolti, protetti: lì si sentono al sicuro, nascosti. I cinquanta giorni, che sono trascorsi dalla Pasqua, sono stati per loro un tempo di forte crisi, di forte scelta, di ridiscussione della loro vita.
Poi scoppia questo terremoto: un uragano, uno scossone elettrizzante. Lo Spirito è sceso nei loro cuori, nelle loro menti. Ed ha letteralmente scombussolato la loro esistenza. I loro pensieri, le loro incertezze, la loro vita che prima andava in un senso, ora improvvisamente cambiano direzione. Da timorosi, dimessi e spaventati, diventano forti, intrepidi, battaglieri: diventano “altri”. Si sono lasciati “scombussolare” dallo Spirito: perché, fratelli miei, lo Spirito scombussola, e noi dobbiamo lasciarlo fare: perché mai, nessuno Spirito, potrà mai scendere in chi non accetta di lasciarsi scombussolare. Certo, non è una cosa da nulla; si tratta di prendere o lasciare; all’istante. Perché lo Spirito è impetuoso, distrugge all’istante le nostre sicurezze, i nostri progetti, i nostri rifugi mentali, i nidi della nostra tiepidezza.
Quando invochiamo lo Spirito, fratelli, ricordiamoci bene delle conseguenze: il nostro radicale cambiamento di punto in bianco non potrà più essere rimandato, non avremo più scuse, deve essere affrontato. Subito. Con generosità, senza calcoli o sconti.
Quanti cristiani invece pensano a vanvera dello Spirito: non sanno cosa significhi. Non sanno cosa comporti. Vogliono lo Spirito, ma non vogliono cambiare: stanno bene così come sono; ma non capiscono che così facendo rifiutano lo Spirito!
L’irruzione dello Spirito è accompagnato da una crisi. La parola greca “crisi” vuol dire separare, distinguere, dividere: la crisi è quindi un punto di svolta, di separazione, un momento in cui è necessario distinguere ciò che dobbiamo tenere e ciò che dobbiamo lasciare; riconoscere il nuovo e avere il coraggio di lasciare il vecchio. È pertanto impossibile crescere, evolvere, rinascere, sfuggendo le crisi. Tutte le nostre crisi; che sono tante: ci sono le crisi della vita: gli anni che corrono inesorabilmente; il passaggio dalla giovinezza all’età matura; i sessant’anni; la morte delle persone che amiamo; una persona amata che ci lascia, che si allontana da noi; le disavventure e le difficoltà economiche, la perdita del lavoro. Ci sono le crisi mentali e spirituali: la nostra fede non ci soddisfa più; abbiamo bisogno di maggiori certezze; le nostre sicurezze non ci servono più; le nostre convinzioni vengono scalzate. Ci sono le crisi affettive: il nostro modo di amare non va più bene, richiede nuovi impulsi, maggiore profondità; emergono paure, blocchi o cose che ignoravamo; ci accorgiamo di non essere poi così tanto liberi.
Ogni crisi è una sofferenza, un travaglio, un conflitto; ma ci matura, ci fa più forti, ci scuote.
La crisi è pertanto il momento della discesa dello Spirito, il momento in cui ci purifichiamo, in cui lasciamo spazio perché la Vita ci faccia più veri, più maturi, più liberi e più trasparenti; il momento in cui Dio ci modella e ci plasma, ci forgia e ci rende come Lui vuole: ecco perché chi evita la crisi, rimane infantile, involuto.
La festa di Pentecoste esprime dunque questa verità: Dio abita dentro di noi. Dio non è più presente fisicamente in mezzo a noi, ma è presente in noi con il suo Spirito.
Quando noi sentiamo questa affermazione pur registrandola con la mente e sapendola ripetere a memoria, in pratica rimaniamo interdetti: “Cosa vuol dire? Io non sento nulla! Cos’è questo Spirito?”. In effetti, se chiediamo alle persone cos’è lo Spirito, la maggior parte non sa cosa rispondere. E se non sa risponderci, è perché non lo conosce, non l’ha mai sperimentato, non l’ha mai vissuto. Molti pensano che lo Spirito sia un di più, un qualcosa che si aggiunge a quello che già siamo. Per cui ne possono fare anche a meno. Stanno benone così come sono. Ma lo Spirito, fratelli, non è un’aggiunta, non è un qualcosa di appiccicaticcio; è qualcosa che noi già abbiamo, già siamo, senza saperlo né averlo mai saputo.
Lo Spirito non decide un bel giorno della nostra vita di scendere dentro di noi, ma abita già in noi (ricordate il “soffio di vita” della creazione?). Lo Spirito pertanto altro non è che il modo con cui Dio abita in noi. Essere dello Spirito, spirituali, non vuol dire pregare molto, o fare cose pie e religiose, frequentare la chiesa o andare in pellegrinaggi. Essere spirituali vuol dire essere dello Spirito, vivere dimostrando a tutti chi abbiamo dentro, chi è la nostra guida che ci abita dentro. È uno stile di vita.
I mistici cristiani (Eckhart) dicevano: “Tutte le creature sono orme di Dio... Dio ha creato tutte le cose; non che le abbia fatte divenire, e poi se ne sia andato per la sua strada, ma è rimasto in esse”. Eppure se noi guardiamo una persona, non vediamo Dio, vediamo solo una persona. Che cosa invece vedevano i santi? Madre Teresa è chiara. Un giorno disse ad un giornalista: “Vede, io Dio lo vedo chiaramente. È qui in questo uomo che soffre o in quello lì, in quel letto, abbandonato da tutti. Dio è in me, è in lei. Io lo vedo. Se lei non lo vede purtroppo non dipende da me, ma solo da lei. Per me lui è evidente!”. Che cosa vedeva questa donna? Che occhi aveva per vedere Dio presente in ogni creatura? Era una santa; e i Santi, si sa, quando guardavano le persone, non vedevano il corpo, la materialità, ma la luce, lo Spirito che abitava in esse.
Ora cosa c’entra questo con la festa di Pentecoste? C’entra, fratelli, eccome: perché lo Spirito abita ogni cosa, è ogni cosa. Si tratta di andare oltre le apparenze. Gesù fu precisamente l’uomo del guardare oltre le apparenze, del guardare dentro la realtà. Questa cosa Lui la chiamava “Regno di Dio”. E lo diceva sempre: “Il Regno di Dio non è un paradiso lontano, ma è qui, oggi, adesso. Dipende dai tuoi occhi”. Gesù vedeva un fiore e vedeva Dio (vedeva la luce, lo Spirito del fiore). Gesù vedeva gli uccelli del cielo ed esclamava: “Che meraviglia; chi può vestire come loro? Come sono liberi!”. Gesù vedeva i fatti che accadevano e vi leggeva la mano di Dio che insegnava. Gesù vedeva i sofferenti, i poveracci, i bisognosi e mentre tutti cercavano di evitarli, Lui li abbracciava, li incontrava, li baciava, li accarezzava e coglieva il loro bisogno d’amore, donando amore. Gesù vedeva i peccatori e mentre tutti si fermavano all’apparenza (“Siete peccatori, avete sbagliato, lontani da Dio!”), Lui andava dentro. Sapeva cogliere la luce che li abitava dentro; sapeva vedere la forza e il desiderio di vita nascosti dentro di loro. Lui vedeva un pescatore qualsiasi e vi coglieva i desideri profondi del suo animo. Lui era vicino in croce ad un assassino, un omicida e, mentre tutti vedevano il malfattore, Lui gli disse: “Oggi sarai con me in Paradiso”. Fu condannato a morte e, mentre noi non proviamo che rabbia verso coloro che lo condannarono, Lui vide la luce che si nascondeva nel profondo delle loro tenebre e disse: “Padre perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Gesù non vedeva la materia; Gesù vedeva lo Spirito, la luce che c’è dentro ad ogni essere.
E noi? Ci sarà capitato di passare qualche volta davanti ad un albero secolare. Sta lì da tanto tempo, prima di noi; e chissà quanto tempo rimarrà lì, anche dopo di noi. Ma noi non ci siamo mai resi conto che c’è, che sta lì; non ci siamo mai fermati ad ammirarlo veramente, non ci siamo mai seduti alla sua ombra, insomma non lo abbiamo mai “visto” per quello che realmente è. Per noi è solo un tronco di legno; non ci siamo mai fermati ad “ascoltarlo”, a “parlargli”; non abbiamo mai imparato nulla da lui. Non abbiamo colto il suo Spirito, non lo abbiamo mai considerato come un essere vivente, che parla attraverso lo stormire delle sue fronde, non abbiamo mai provato ad entrare nella sua luce che cattura dal sole. Siamo troppo distratti, indifferenti: e come facciamo con quell’albero, così purtroppo facciamo anche con i nostri fratelli. E questo non va.
Abbiamo un sacco di cose da fare, e questo ci tiene tesi, ci assilla: ma non ci chiediamo mai il vero perché della nostra irrequietezza e del nostro nervosismo. Nel nostro intimo siamo sempre insoddisfatti, mai pienamente felici. Cerchiamo di farcene una ragione: “pazienza, bisogna accontentarsi; è così per tutti”; ma la verità è che non riusciamo a capire cosa sia quello che non va in noi. E continuiamo a correre, a fare, a produrre, e non ci accorgiamo di essere fermi, concentrati sul materiale. Non riusciamo ad entrare nello Spirito che c’è in ogni cosa. Questo è il problema, fratelli. Non riusciamo a vedere il divino, vedere Dio, che si nasconde dentro le persone e la vita stessa.
Ci siamo mai chiesto perché sbattiamo le porte così forte? Perché urliamo sempre quando parliamo? Perché siamo sempre arrabbiati? Perché non c’è luce nel nostro volto? Perché non sappiamo esprimere un sentimento che sia uno? Perché, se possiamo “fregare” gli altri, lo facciamo volentieri? Perché niente ci intenerisce? Perché non sappiamo dire “grazie”? Perché non sappiamo pregare? È chiaro: siamo fermi al materiale. Purtroppo viviamo in una società che è incapace di guardare allo spirituale, e questo non ci aiuta. È una vera malattia. Suo unico interesse è l’avere: “Quanto costa? Quanti soldi hai? Quanti soldi servono? Quanti soldi ti danno?”; come pure la centralità dell’io, l’egocentrismo: “Io…, io…; Io faccio così; se non ci fossi io; ti dico io cosa fare; io di qua, io di là; parlo io; io so; io non ho bisogno…”. Noi ci scandalizziamo per ciò che succede nel mondo, per le notizie dei telegiornali; ma dimentichiamo che siamo noi a comportarci così, è la società che noi stessi formiamo.
Perché, quando il valore che conta è vincere sempre, eccellere, essere sempre i primi in tutto, è naturale che lo Spirito passa in seconda linea; è in questo modo che lo perdiamo, che perdiamo l’anima dello “stare” insieme. Quando giudichiamo o valutiamo le persone in base al vestito; quando ammiriamo le auto e le case della gente, invidiandole; quando il nostro unico pensiero è il conto in banca; quando il divertimento viene prima di ogni cosa; quando tutto viene monetizzato; quando ragioniamo in base alla logica del “do ut des”; quando non sappiamo più pregare, non troviamo più il tempo per congiungere le mani, per fare silenzio, per metterci in contatto con la nostra anima, ebbene, fratelli, siamo già al capolinea: ci siamo sganciati dallo Spirito, abbiamo fatto del materialismo il centro della nostra vita. Siamo materia quando dovremmo essere Spirito: così siamo materia quando alla domenica vediamo sull’altare il pane, e siamo invece Spirito quando vediamo in quel pane, il Pane divino, il Cristo. Siamo materia quando vediamo nell’amico, nella persona che incontriamo, soltanto uno che ci importuna, che ci scoccia, che ci dà fastidio; siamo Spirito quando iniziamo a vedere il lui uno che soffre, che vive un dramma, uno che ha un cuore e un’anima. Siamo materia quando al mattino vediamo soltanto un altro giorno pesante da superare; siamo Spirito quando vediamo un’altra opportunità donatami da Dio per sperimentare la sua infinita bontà e misericordia. Siamo materia quando qualunque cosa ci fa innervosire; siamo Spirito quando iniziamo a chiederci il perché di questo nervosismo, cosa dobbiamo imparare e fare, cosa dobbiamo cambiare del nostro comportamento o del nostro modo di pensare. Siamo materia quando guardiamo alla nostra vita in termini di successi, di conquiste, di cose raggiunte, di posizione sociale, di quale immagine diamo agli altri; siamo Spirito quando finalmente iniziamo a percepire i movimenti del nostro cuore e della nostra anima. Così, materia è mangiare, Spirito è gustare; materia è respirare, Spirito è essere consapevoli del soffio di Vita che inspiriamo per noi ed espiriamo per gli altri. La nostra vita può essere insieme terribilmente materiale o divinamente Spirituale, può essere piena di buio o di luce. Tutto per noi può essere materia, o tutto può essere Spirito: dipende solo da noi; da come noi ci poniamo e guardiamo.
Ben venga allora, fratelli, questo uragano dello Spirito! Scenda nei nostri cuori quella scintilla divina che rianimi il nostro fuoco che langue. Perché a noi serve veramente una Pentecoste, una crisi, uno scossone, uno Spirito che distrugga i nostri nascondigli e ci butti fuori; che ci costringa ad uscire dai nostri cenacoli di paura. Uno Spirito che ci costringa a camminare a testa alta, sulle vie della vita, incuranti del mondo, impassibili di fronte alle sue insidiose lusinghe. Dio è con noi, fratelli; Dio è in noi! Ascoltiamolo! Amen.
Nessun commento:
Posta un commento