mercoledì 22 febbraio 2012

26 Febbraio 2012 – I Domenica di Quaresima

«Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana».
È la prima domenica di quaresima. Siamo all’inizio del vangelo di Marco, e Gesù, subito dopo la teofania del battesimo in cui ha sperimentato la vicinanza col Padre, sentendosi amato, accolto e voluto incondizionatamente, deve affrontare un’altra esperienza: quaranta giorni di deserto, di preghiera, di penitenza e solitudine. Quaranta giorni: quaranta, da cui deriva la parola “quaresima” (40 giorni, appunto), è un numero simbolico: 40 sono i giorni che Mosè sta sul monte Sinai; 40 sono i giorni di cammino di Elia; 40 sono gli anni del popolo ebreo nel deserto; a 40 anni Maometto incominciò la sua missione; a 40 anni Buddha divenne un illuminato; a 40 anni Mosè sente la chiamata di Jahweh e fugge nel deserto, scappando dalla reggia del faraone. Questo numero, come anche il tre o il sette, non rappresenta, dunque, un tempo cronologico reale, scandito dalla somma dei giorni. Indica piuttosto una lunga attesa, una lunga prova, un tempo sufficiente per vedere le opere di Dio, un tempo entro il quale occorre decidersi ad assumere le proprie responsabilità senza ulteriori rimandi. È il tempo delle decisioni mature. Verso i 40 anni, infatti, avviene normalmente il grande cambiamento della nostra vita: la prima parte se ne è andata, è già alle spalle. Ci si sente realizzati, compiuti. Ma incominciamo anche a notare le prime avvisaglie dell’inevitabile declino: i tratti del volto si induriscono, le prime rughe fanno da corona agli occhi, la bellezza perde di luminosità, diventa più faticoso realizzare i propri sogni, molti ideali che sembravano il massimo dell’esistenza, si rivelano fatue illusioni e profonde delusioni. La vita ci chiama a puntare e a costruire su altre cose. Dall’esterno (lavoro, studio, casa, carriera, famiglia) si passa all’interno: che senso ha vivere? Perché vivo? Come vivere? La vita cioè ci chiama ad approfondire la nostra esistenza.
Ebbene: la Quaresima è il tempo propizio per questo passaggio; è il tempo nuovo in cui siamo chiamati a crescere, a fare un passo decisivo, a prendere decisioni risolutive, a fermarci e a porci domande profonde: “In cosa debbo crescere? In cosa debbo maturare? Cosa debbo lasciare e cosa di nuovo prendere?”. La quaresima è il tempo in cui si lascia una terra (l’Egitto), terra di schiavitù, per andare verso una terra di libertà (terra promessa). Un passaggio che si attua nel deserto. Sì, perché deserto vuol dire spogliarsi di fronte a se stessi, vedersi per quello che si è realmente. Significa affrontare le barriere, gli ostacoli, le montagne per diventare dei camminatori della vita: superare gli sbarramenti che non ci fanno evolvere, per poter progredire sulla strada che conduce verso noi e verso Dio. Questo è il percorso che ciascuno deve affrontare. Lo ha fatto Gesù, lo dobbiamo fare anche noi. È un’esperienza ineludibile.
È il nostro “esodo” dalla quotidianità, dalla spensieratezza, dall’indifferenza, dalla nostra sciatteria spirituale, dalla nostra tiepida quotidianità.
Viviamo soddisfatti, stiamo bene, tutto funziona; ma poi improvvisamente le cose cambiano, poi il meccanismo si inceppa, poi il rapporto si incrina. Capiamo che quel che facciamo non basta, cominciamo a pretendere di più; iniziamo a sentirci soffocati, insoddisfatti; ciò che prima ci andava bene adesso non ci soddisfa più. Nuove esigenze emergono; nuovi lati del carattere bussano alla porta; nuove situazioni e sfide ci si fanno avanti.
Il nostro cammino è giunto ai margini del deserto: dobbiamo affrontarlo; dobbiamo cambiare stile di vita, anche se non sappiamo cosa ci aspetterà; ci sono cose che dobbiamo assolutamente abbandonare, altre da correggere, altre da coltivare e promuovere: e per farlo possiamo contare soltanto su di noi e su Dio. Ogni uomo è chiamato ad uscire verso la sua terra promessa, verso se stesso, la sua anima, verso Dio: ma la strada del suo esodo passa attraverso il deserto, le barriere, gli ostacoli, gli stop della vita: ed è la crisi.
Una parola, “crisi”, che oggi è molto di moda: si va in crisi perché la vita ci chiama ad evolverci e a cambiare, ma noi non ne siamo capaci, non ci adeguiamo, recalcitriamo, stiamo bene come stiamo. E così entriamo in crisi: un momento di dolore, di grande passione, negativo quanto si vuole, ma anche positivo e tonificante. Anche noi, come gli Ebrei, ci ribelliamo: “Basta, io mi fermo! Ma chi me l’ha fatto fare! Stavo così bene prima!”. Ma dopo l’iniziale sgomento, ci scopriamo più profondi, più veri, più trasparenti, più inseriti nel mistero della vita, più capaci di amare, più uomini, più liberi. Ogni crisi ci costringe a tirare fuori nuova energia, più grinta, più voglia di attingere a nuove e impensate risorse.
Dio dice al popolo ebreo: “Ti ho portato nel deserto per vedere quello che avevi nel cuore”; è il deserto infatti che ci mostra immediatamente cosa abbiamo dentro, ci toglie tutte le illusioni che ci siamo costruite negli anni, tutti gli abbagli, ci toglie tutte le maschere, ci spoglia, ci riporta all’essenziale, all’originale innocente nudità.
Tentazione vuol dire: “Stai attento, perché tu questo, hai nel cuore!”. Significa essere messi alla prova, non per vedere se siamo buoni o cattivi, ma perché possiamo renderci conto, in maniera trasparente e chiara, cosa abbiamo dentro.
Il deserto è così, fratelli: è spietato perché ci mostra esattamente quello che siamo, senza fronzoli e ipocrisie. È come essere di fronte ad uno specchio: “Questo sei tu! Guardati! Non scappare! Non nasconderti!”. Per questo lo eviteremmo molto volentieri. Per questo lo consideriamo “pericoloso”. Per questo cerchiamo in tutti i modi di evitarlo.
Il nostro deserto sarà sempre il luogo dei demoni e di tutte le voci demoniache che ci scuotono dentro: “Vedi come sei realmente? Sei un mascalzone; te lo meriti, potevi ascoltarmi; non vali niente; sei un fallito; guarda cos’hai fatto; non sei capace neppure di amare; sei un’incapace; oh, se gli altri sapessero!”. Chi vorrebbe ascoltare queste voci? Chi vorrebbe misurarsi con loro? È molto meglio stordirle con il baccano, con fiumi di chiacchiere e di parole, con i rumori, con vuoti divertimenti, annegarle in mille cose inutili da fare.
Anche Gesù ha dovuto confrontarsi con l’animalesco, il terribile, il demoniaco: in una parola con il male. Non si può compiere nessun serio viaggio cristiano, evangelico, umano, senza questo terribile confronto. È nella nostra natura, ci segue passo passo. Qualche esempio?
Nessuno di noi ha problemi sessuali. Ovvio! È chiaro! Nessuno ha bisogno di confrontarsi con questa sfera, di conoscerla, di comprenderla, di integrarla. Ma allora non si capisce come mai la pornografia sia così diffusa; non si capisce perché certi “spettacoli” tv continuino ad essere proposti di notte; non si capisce perché nel web la mercificazione del nudo femminile e dell’erotismo abbiano così tanti consensi; non si capisce perché una grossa percentuale delle riviste cartacee in commercio, siano a carattere pornografico!
Nessuno di noi ha sentimenti di odio. Ovvio! È chiaro! Ma non si capisce perché talvolta ci si debba scagliare con tanta rabbia e brutalità contro chi sbaglia; perché succedano tante manifestazioni animalesche negli stadi e nei luoghi di divertimento giovanili (eppure sono i nostri giovani, i nostri figli: li abbiamo educati noi, sono venuti nelle nostre scuole, hanno frequentato le nostre chiese!). Violenze, omicidi, soprusi, insolenze, sono cronaca quotidiana: basta guardare come ci comportiamo al lavoro, per strada, in macchina. A volte ci relazioniamo non come persone, ma come “bestie”!
Nessuno di noi è ipocrita. Ovvio! È chiaro! Ma non si capisce perché a volte capita di sorridere del male altrui; siamo contenti che si dica male del nostro collega, che venga infangato; che gli altri siano considerati meno di noi; che sbaglino: “ben gli sta; sono proprio contento; così impara!”. Non mordiamo nessuno, ma siamo contenti se qualcun altro lo fa al posto nostro.
Noi mercoledì scorso ci siamo messi la cenere in testa: non è stato un gioco ma un bagno di umiltà: dobbiamo cioè avere l’umiltà di riconoscere che talvolta anche noi ci comportiamo così. Dobbiamo riconoscere che il male abita in noi forse più che negli altri.
Dopo questo incontro-scontro con i fantasmi e i demoni interiori, intenso e terribile, Gesù ha trovato tutta la forza per andare avanti. Da qui in poi, nessuno potrà più fermarlo.
Soltanto confrontandoci decisamente con il potenziale distruttivo che abbiamo dentro, anche noi potremo convertirlo in forza, vigore, energia, passione, potenza.
Il nostro valore non è dato dall’esterno, né da ciò che gli altri pensano di noi, né da ciò che conquistiamo; ma dalla nostra capacità di confrontarci con ciò che abbiamo dentro, gestendolo senza falsi timori, trasformando i nostri demoni in altrettanti angeli positivi. Niente di ciò che è dentro di noi è pericoloso se lo affrontiamo, lo conosciamo, lo addomestichiamo. Anche ciò che sembra distruttivo, pericoloso o malvagio può trasformarsi e diventare positivo, un angelo, una forza, una luce, una sensibilità, uno spazio d’amore. Diceva giustamente il poeta Rainer Maria Rilke: “Ho paura che se i miei demoni mi lasciano, se ne andranno anche i miei angeli”.
È dunque dopo l’esperienza tremenda del deserto che diventiamo consapevoli della nostra forza. Perché? Perché è il confronto, lo stare con la sofferenza, che ci matura, che ci fortifica, che ci rende potenti.
Le esperienze belle, piacevoli, ci rendono la vita meravigliosa; ma sono quelle dolorose che ci fanno crescere, che ci fanno cambiare radicalmente, che ci trasformano. È incontrando e addomesticando i nostri demoni, che arriveremo ad incontrare i nostri angeli; non giustifichiamo la nostra accidia, pensando di avere dentro solo demoni, solo schifezze, solo casini, difficoltà, problemi, confusioni. Non attacchiamoci a questo pretesto, non “tiriamo avanti”, carponi.
Soprattutto perché noi, fratelli, noi dentro abbiamo Dio, non dimentichiamolo. Lui è in noi. Scopriamo dunque il nostro valore! Riprendiamocelo tutto il nostro valore!
Siamo dei privilegiati, in tutto. Anche nella nostra vita normale. Abbiamo delle mani e con le mani possiamo accarezzare, abbracciare, costruire, lavorare, creare, dipingere, suonare, dare la mano, giocare, cullare, scalare, scrivere, unire la nostra mano alla mano di chi amiamo. Ci rendiamo conto di cosa possiamo fare? Ci rendiamo conto del valore delle nostre mani?.
Abbiamo degli occhi e possiamo vedere il sole, la luna e le stelle, il mare, il cielo, il volo degli uccelli, la neve che cade a fiocchi, il sorriso delle persone che amiamo, la luce nei loro occhi. Abbiamo delle orecchie e possiamo sentire la voce di chi ci ama, il pianto di chi soffre, il respiro tremante di chi ha paura, il canto degli uccelli, il rumore della risacca marina, il mormorio del vento, le voci gioiose dei bambini, la passione di chi parla.
Abbiamo poi un cuore e con il cuore possiamo dire: “Ti voglio bene. Lo sai che sei importante per me. Lo sai che ti amo! Nei tuoi momenti bui e difficili, io sarò al tuo fianco. Non ti preoccupare, non me ne andrò. Qui dentro sei a casa tua”. Possiamo accarezzare, abbracciare, baciare ed esprimere l’amore che abbiamo dentro. Possiamo farlo.
Abbiamo infine un’anima che può decidere di vivere, di spendersi per qualcosa di grande, di appassionarsi per la vita e per tutto ciò che vive, che può non accontentarsi del naturale, ma anela di entrare nel mistero dell’esistenza; abbiamo un’anima che può entrare in contatto con Dio, che può cogliere il senso di tutto, che può cogliere il vero senso della vita, che può lottare per grandi valori e ideali, che può cambiare certi destini, che può essere felice e vivere divinamente da liberata e illuminata.
Ci rendiamo conto di cosa abbiamo davanti, di come potremmo vivere? È difficile tutto questo?
Sì e no. Potremo vivere tutto questo solo dopo aver passato il deserto e aver vinto i nostri demoni.
E allora, che ne pensate fratelli? Non vale forse la pena di vivere coraggiosamente il nostro deserto per arrivare a questa beatitudine? Perché accettare di vivere come galline quando siamo fatti per volteggiare in cielo come aquile? Perché avere paura dei “quaranta giorni” di deserto, quando poi abbiamo una vita intera, un’eternità, da vivere nell’amore di Dio? Non dimentichiamo, fratelli, che siamo Figli di Dio; che Dio stesso è in noi e con noi.
Che vogliamo di più? Siamo ricchi, fratelli; possiamo vivere cose intense, grandi, enormi. L’importante è non dimenticare mai a chi apparteniamo; non dimenticare mai da dove proveniamo e dove siamo diretti; non dimenticare mai di quale dignità siamo rivestiti, e a quale dignità siamo chiamati. Soltanto dopo il nostro “deserto”. Buona quaresima, fratelli! Amen.


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