«Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno…».
Ad un certo punto della sua vita Gesù affronta decisamente il suo destino. La sua condotta di vita, troppo aperta, troppo chiara e manifesta, era già diventata pericolosa. Quello che diceva e quello che faceva era troppo provocante, troppo compromettente per la gente altolocata, per i ricchi del suo tempo, per i potenti, e di certo non gliel’avrebbero fatta passare liscia. Gesù era “troppo” per tutti, in tutti i sensi: non era l’uomo del compromesso, delle mezze misure, degli adattamenti o delle vie di mezzo. Il suo parlare era chiaro: “si si, no no!”. Era inevitabile quindi che decidesse a questo punto di completare la sua missione, affrontando quella che sarebbe stata la svolta decisiva della sua vita, la grande sfida col mondo: andare a Gerusalemme. Finché viveva e predicava in Palestina tutto sommato non interferiva più di tanto con i grossi poteri. Ma andando a Gerusalemme si sarebbe scontrato inevitabilmente con gli interessi dei potenti, con le più alte autorità religiose. Prima di tutto con gli anziani: per loro Gesù era troppo infantile, troppo acerbo, troppo sognatore, un romantico idealista. Per il loro cuore di ghiaccio, razionale, rigido, un uomo così era pericoloso; un uomo che si stupiva degli uccelli del cielo o dei gigli dei campi; un uomo che accoglieva i bambini o che accarezzava le donne, cosa avrebbe potuto fare di buono?: “Che sono queste smancerie? Che sono queste effusioni amorose? Romanticismo, cose da poeti, da adolescenti, da femminucce”. E, infatti, lo condanneranno a morte. Poi si sarebbe scontrato con i sommi sacerdoti: per i loro cuori pieni zeppi di leggi, di tabù, di regole, di prescrizioni, di cose da osservare, Gesù era troppo libero. Annunciava un Dio troppo vicino, un Dio che non faceva paura, che si chinava amorevolmente sull’ uomo. Un Dio troppo progressista, sociale, vicino alla liberazione dell’uomo; un uomo che si crede in contatto con Dio, che gli parla, che rivendica la pretesa che Dio parli al suo cuore; un Dio amico, vicino, che si preoccupa dei lebbrosi, dei pagani, degli esclusi; un Dio che mette tutti sullo stesso piano: ma che Dio è questo? Come si permette quest’uomo di pretendere di sapere chi è Dio? Di Dio bisogna avere paura, bisogna temerlo, obbedirgli, non come fa quest’uomo che lo chiama papà! Gesù era per loro una rivoluzione: parlava di un Dio che non conoscevano, metteva in discussione e in dubbio ciò in cui avevano sempre creduto. E, infatti, lo condanneranno a morte.
Infine avrebbe avuto grossi problemi anche con gli scribi: per i loro cuori così pieni di arroganza, così pieni di sé e del loro orgoglio (loro erano gli unici interpreti della Scrittura, loro sapevano tutto, cos’altro poteva essere annunciato di nuovo?) Gesù era una bomba che sconvolgeva il loro mondo e la loro vita, e stravolgeva tutto il loro sistema, i loro credo, le loro interpretazioni bibliche. Per loro Gesù era troppo pericoloso; quest’uomo che parla della Bibbia in un modo totalmente distorto, chi si crede di essere? Questo uomo non ascolta i padri, la tradizione: come può pretendere di saperne più di noi, noi, gli unici custodi e interpreti della Parola e della tradizione? E, infatti, lo condanneranno a morte.
Gesù percepisce l’ostilità che sta montando intorno alla sua persona. Il suo modo di vivere tocca e mette in discussione troppe persone, troppi interessi e troppi cuori. Tutto quello che fa, è osservato, sezionato, e si cerca ogni pretesto per metterlo in cattiva luce, per avere da ridire su di lui, per trovare malignità contro di lui, per accusarlo. È la sorte dei grandi uomini: siccome non li si può attaccare nella verità, li si attacca con le menzogne.
Gesù lo sente, sa tutto questo, lo intuisce; percepisce che si sta organizzando il pretesto per imbavagliarlo, per contenerlo, per metterlo a tacere, per tendergli inganni: Egli sa di essere un uomo scomodo e poiché non sarebbero mai riusciti a imbavagliarlo, a farlo stare zitto, prima o poi avrebbero trovato l’occasione per zittirlo definitivamente, uccidendolo. Come puntualmente avvenne.
E lo dice ai discepoli: “Guardate, mi potrebbero uccidere. Potrebbe capitare: preparatevi. Andare a Gerusalemme sarà molto pericoloso. Ho paura, ma devo andarvi lo stesso; non posso tirarmi indietro, non posso abbandonare la mia missione. Non posso tradire il mio cuore, tutto quello che sento e provo, la mia missione, il mio Dio. Io devo andare”.
Questo è il messaggio che Gesù si preoccupa di trasmettere ai suoi; ma gli apostoli sono scettici, fanno fatica a credere e ad accettare la cosa. Non può essere. Come si può perseguitare un uomo come Gesù? Come si fa a voler del male ad un uomo così? Come si può anche solo pensare di togliere la vita ad uno che dà la vita? E Pietro, sanguigno come al solito, sbotta improvvisamente: “Signore, questo non ti accadrà mai!”.
Pietro qui fa da maestro a Gesù; i ruoli si capovolgono e gli si mette davanti. Il vangelo dice che “trasse in disparte” Gesù. Gesù ha deciso di seguire la sua strada; Lui ha una direzione ben precisa, ha la sua missione da compiere; Pietro invece vorrebbe distoglierlo, lo tira fuori, lo tira in disparte dal suo andare. Ma Gesù, che poco prima gli aveva detto “Tu sei la pietra su cui fonderò la mia chiesa”, lo redarguisce, gli risponde severamente: «Lungi da me, satana»; letteralmente: “Dietro di me, satana”. “Io vado dove devo andare: non distrarmi; non cercare di intralciarmi il passo, togliti da mezzo, mettiti dietro!”.
E qui c’è un primo importante messaggio per noi, fratelli. “Qualunque cosa succeda nella nostra vita, dobbiamo andare sempre avanti”. Non fermiamoci, non arrendiamoci, soprattutto non compiangiamoci! Dopo ogni sconfitta, dopo ogni fallimento, dopo ogni caduta, quando non sappiamo dove andare, quando ci verrebbe voglia di cedere, continuiamo ad andare sempre avanti; se siamo caduti, rialziamoci e proseguiamo!.
Parole che ci vogliono dire anche un’altra cosa: “Niente e nessuno si metta tra voi e il vostro cammino, nessuno osi intralciare il vostro cammino”. Satana, che cerca sempre di pararsi davanti a noi, deve invece stare dietro, non ci deve infastidire, non deve pretendere di guidarci, di portarci dove vuole lui: siamo noi che andiamo dove vogliamo e dobbiamo andare.
Ma chi è Satana? Qui Satana è Pietro, l’amico di Gesù. Sicuramente Pietro non voleva male a Gesù, anzi pensava di fargli cambiare idea proprio perché gli voleva bene. Satana, quindi, non è sempre colui che ci odia, quel demonio che ci fa paura, con le corna e il fuoco, contro cui dobbiamo andare dall’esorcista. Satana spesso è proprio uno che ci vuol bene, Satana sono i nostri cari, le persone amiche, chi ci è vicino; Satana è chiunque si mette davanti a noi e pretende di consigliarci quale strada fare, secondo il suo modo di vedere le cose. Satana siamo addirittura noi stessi quando per pigrizia, per non faticare, per non accettare la responsabilità di essere adulti, ci mettiamo comodamente a traino di qualcun altro, lo seguiamo passo dopo passo; facciamo per filo e per segno quello che gli altri ci dicono, ci conformiamo supinamente a ciò che gli altri hanno stabilito per noi: “Davanti a te nessuno”, dice Gesù. Satana quindi è chi ha le soluzioni per noi, chi ha le risposte per noi, chi ci dice cosa è bene e cosa è male per noi. Satana sono tutte quelle persone che con la loro posizione, con la loro autorità, con la loro influenza, tentano di gestirci, di manovrarci, di manipolarci. Satana è questa società che decide per noi come dobbiamo vestirci, cosa dobbiamo comprare, cosa mangiare, dove dobbiamo andare in vacanza, quali programmi guardare in tv, cosa fa tendenza (cioè cosa deve piacerci), insomma come e cosa devo pensare. Ma attenzione: se accettiamo che qualcuno si sostituisca a noi, che si metta davanti a noi sulla nostra strada, vuol dire che noi accettiamo di stargli dietro, vuol dire che ci sta bene seguire questo qualcuno: e quindi rinunciamo a fare la “nostra” strada, quella che magari abbiamo iniziato con tanto entusiasmo.
Gesù non fu certo succube di qualcuno, non fu vittima di una cieca fatalità, ma affrontò ad occhi aperti e con grande volontà la sua missione di amore e risurrezione attraverso il dolore e una morte straziante. Gesù era perfettamente consapevole di quello a cui andava incontro: sapeva perfettamente che la sua non era una sofferenza occasionale, gratuita. Egli non era venuto per soffrire senza motivo. Al contrario durante tutta la sua vita aveva predicato a tutti amore, felicità, amicizia, libertà; Gesù non voleva, né per sé, né per gli altri, la sofferenza, ma la gioia; non la morte, ma la vita.
Nella nostra vita dobbiamo invece fare i conti con due forze contrapposte: la fantasia e la realtà. Con la fantasia tendiamo a soddisfare tutte le nostre aspirazioni, immaginiamo e viviamo situazioni da cui possiamo trarre tutto il massimo piacere possibile. Ma sono fantasie, e devono fare i conti con i fatti, con la realtà, con la vita concreta; una vita, in cui purtroppo non è possibile avere tutto ciò che si desidera, in cui esistono limiti invalicabili. In questo mondo non siamo da soli; ben presto dobbiamo imparare che bisogna convivere con altre persone, con altri progetti, con altre situazioni che ci impongono spesso delle rinunce, anche molto pesanti; non dobbiamo mai dimenticare che la nostra esistenza ha delle regole e dei limiti: è essenziale. Perché l’unica certezza che abbiamo sulla nostra vita, è il suo limite temporale: noi non vivremo per sempre; non potremo mai realizzare tutti i nostri sogni, i nostri progetti: non possiamo sposare tutte le donne che vorremmo, e neppure abbracciare tutte le professioni che ci piacciono o seguire tutte le vocazioni verso cui siamo attratti: di tutte le possibili strade, dobbiamo percorrerne una, la nostra, con impegno, entusiasmo e fedeltà. Non possiamo ridurci a pensare che siano le ricchezze di questo mondo a renderci felici: e neppure credere che l’accumulare “giocattoli” (case, cellulari, auto, vacanze speciali, vestiti, oggetti da esibire) o addirittura il “possedere” le persone, ci dia l’amore e la felicità di cui abbiamo bisogno. Se crediamo questo, siamo rimasti bambini, non siamo ancora cresciuti, pensiamo che tutto il mondo continui a girare intorno a noi. Continuiamo a vivere nel mondo dei sogni, della fantasia.
Crescere è doloroso, é faticoso. Abbandonare le maschere e i sogni illusori è difficile per tutti. Guardare in faccia la realtà, e non quello che si vorrebbe essere o avere, è a volte tragico. Non illuderci, non ingannarci, è traumatico: è come una spada che ci taglia in due. Vedere che il tempo passa, che non si è più giovani, che non si è più atletici, belli, vigorosi come una volta, che le difficoltà aumentano, non ci fa certo piacere, ma è la realtà che dobbiamo accettare e con cui convivere serenamente. Anzi dobbiamo cogliere il senso di tutto questo: accorgerci che possiamo essere feriti, vulnerabili, rivedere nitidamente in un flash back tutti gli errori commessi a causa del nostro orgoglio, renderci conto che fino ad oggi abbiamo vissuto una vita vuota, di facciata, insulsa, tutto questo ci fa un male cane, è uno smacco tremendo, una occasione salutare che ci deve catapultare in una nuova esistenza. Nella realtà. Nelle nostre vere possibilità. Sulla strada autentica della nostra vocazione, quella in cui Dio ci vuole. Dobbiamo ridimensionare le nostre illusioni: dobbiamo rinunciare ad un sacco di idee, di chimere, di sogni irrealizzabili, di illusioni, di fantasticherie; dobbiamo fare i conti con la vita reale, perché, fratelli miei, la realtà non si cambia, si può solo viverla: anche se dobbiamo farlo con sofferenza, con quella sana sofferenza che è l’umile accettazione della Volontà di Dio. Perché lui solo vuole il nostro bene.
«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà». Gesù è chiaro in proposito, e le sue parole ci devono portare alla logica conseguenza del “pensare secondo Dio” e non secondo gli uomini.
“Rinnegare”, in greco, significa “dire di no”. Non nel senso che dobbiamo sistematicamente rifiutare tutto, ma nel senso che dobbiamo dire dei “no” a certe illusioni di vita, traducendoli in altrettanti “sì” alla Vita. Dobbiamo rinnegare noi stessi, cioè dire di no alle nostre fantasie, a quelle maschere dietro le quali volentieri ci nascondiamo, per aderire generosamente a quelle situazioni in cui la Vita ci chiama.
Dobbiamo, dice il vangelo, “dire di no” a tutto ciò che non siamo noi, dobbiamo prendere la vita nelle nostre mani e viverla con maturità e sincerità. Perché la vita che abbiamo è unica, ed è un dono impareggiabile: dobbiamo prenderla e amarla così com’è. C’è un proverbio russo che dice: “Con le bugie giri tutto il mondo, ma non arrivi mai a casa”. Proprio così, fratelli miei! Chi mente a se stesso, chi si mostra all’esterno diverso da quello che è nel suo intimo, si allontanerà sempre di più da se stesso, dal suo bene.
“Chi vuol salvare la propria vita la perderà”: cioè, chi non vuole osare, chi non vuole rischiare di vivere in prima persona la sua vita, con tutto ciò che comporta, gioie, dolori, affanni, la perde. Solo chi è disposto a perdere le proprie convinzioni, le proprie idee, i propri egoismi, a mettersi in gioco, la trova. Perché per vivere autenticamente la nostra vita, dobbiamo in qualche modo “morire”. Chi vuol rimanere così com’è, perirà. Chi vuol fermare il tempo per non progredire, morirà; perché il tempo non si può fermare.
A che serve all’uomo vivere e fare un sacco di cose se poi perde la sua anima, la sua strada, se stesso? A che ci serve indossare una maschera e vivere una vita non nostra? A che ci serve ciò che facciamo, se poi non viviamo? Se poi non siamo felici? Se poi perdiamo Dio, la Speranza? Se poi perdiamo il dialogo profondo con chi amiamo? Se poi non riusciamo a esprimerci? Non è da sciocchi, da insensati? Lo sappiamo tutti che non funziona: nessuna maschera, nessuna vita non nostra, ci farà mai felici! Cosa possiamo sperare in cambio della nostra anima, della nostra vita? Quando abbiamo perso ciò che abbiamo dentro, abbiamo perso tutto. Ci siamo mai chiesti perché molte persone sono vuote, tristi, prive di vita? perché hanno perso l’unica cosa che non dovevano perdere, l’unica cosa che avevano: la loro anima, se stesse, la loro unicità. Ripeto: se dentro siamo vuoti, tutto ciò che ci circonda è vuoto.
E concludo: Dio dà a ciascuno secondo le sue azioni. Sì, è proprio così, fratelli. “Custodisci il tuo cuore perché da esso sgorga la vita”, dicono i Proverbi. Se corriamo dietro al mondo, all’effimero, avremo il mondo, l’effimero. Se seguiamo Gesù, avremo Gesù. Ognuno raggiungerà ciò che insegue. Se non inseguiamo niente, non arriveremo a niente! Chi insegue cose da poco, avrà poco; chi osa molto, avrà molto, magari non tutto ciò che insegue, ma sicuramente molto. Perché Dio ci dà in base alle nostre azioni, e non solo nel futuro, ma anche nel presente. In altre parole: la vita che viviamo dipende da noi, è nelle nostre mani: in fondo (e la cosa ci dà molto fastidio) ognuno è l’artefice della propria vita, della propria felicità o infelicità. Quindi non lamentiamoci, fratelli, perché, se la nostra vita è così, vuol dire che in qualche modo siamo stati noi a volerla così. Dice infatti il Siracide (15,17-18): “Davanti agli uomini ci sono la vita e la morte; a ognuno sarà dato quello che a lui piacerà”. Pensiamoci. Amen.
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