giovedì 19 maggio 2011

22 Maggio 2011 – V Domenica di Pasqua

«Io sono la via, la verità e la vita».
Il vangelo di oggi ci riporta alle ore immediatamente precedenti la passione di Gesù. Siamo nel cenacolo, durante l’ultima cena. Dopo aver lavato i piedi ai discepoli, Gesù fa un lungo discorso di addio: egli sta per andarsene, e lascia ai suoi il suo testamento spirituale, dice le cose più intime, le cose più profonde e care. Giuda è già uscito per tradirlo, e quindi tra non molto le guardie verranno ad arrestarlo; il tempo stringe, tutto ormai è pronto per il “consummatum est” finale. Il fantasma della croce proietta già la sua ombra sinistra lassù, sulla cima del Golgota. Gesù dunque ha ancora molte cose da dire ai suoi: soprattutto vuol far capire bene la portata della sua missione terrena, vuol spiegare ancora una volta il rapporto intimo e indissolubile che esiste tra lui e il Padre. I concetti sono piuttosto difficili; i discepoli annaspano, non capiscono, come appare evidente dai loro interventi: Pietro ha appena finito di dire “Darò la mia vita per te” che Gesù lo raggela predicendogli il suo ripetuto tradimento. Tommaso vorrebbe maggiore chiarezza: “Ma Signore se non sappiamo dove vai, come facciamo a conoscere la strada per raggiungerti?”. Filippo, dal canto suo gli dice: “Signore mostraci il Padre e questo ci basta”. Poveri discepoli! Sono pieni di confusione, di paura. Hanno capito che qualcosa di molto grave sta per accadere, sentono il pericolo; la paura per la vita di Gesù, e per la loro, è ormai palpabile. Un tumulto di domande assilla il loro cuore: “Che ne sarà di noi? Cosa ci accadrà? Dove andremo a finire? Finirà tutto? Ci siamo sbagliati a credere in Gesù?”. Domande più che giustificabili, per le quali si aspettano risposte chiare, rassicuranti: vogliono certezze: “Indicaci la strada; dicci come fare; dacci regole chiare su dove andare, come fare, cosa essere, e noi lo faremo”. Sono proprio spaventati. Il verbo greco tarassw (turbare), indica una profonda agitazione, sono sconvolti: “Gesù tu eri tutto, avevamo messo tutto in te, ci avevi appassionato il cuore... e adesso?”
Dobbiamo capire questi poveri uomini. Non è giusto infierire su di essi, come fa qualcuno, interpretando le loro parole come mancanza di fede, come volontà di prendere le distanze da Gesù, di disconoscerlo, di mettere in discussione gli anni passati insieme con lui. Lo Spirito che illuminerà le loro menti è ancora lontano, e quindi si comportano come possono. Gesù li tranquillizza: “Io me ne vado e voi sarete un po' tristi. Ma tranquilli: vado a prepararvi un posto. Non scappo. Ci rivedremo. Vado e poi torno a prendervi”. In altre parole: “Avete paura perché tutto sembra finire. Sembra: ma non è così. Dietro al buio si nasconde una luce più grande”.
Ecco fratelli miei: questo in sostanza dice Gesù ai suoi, e questo continua a dire a noi ogni giorno. Capite quanto sono importanti per noi queste parole? I pericoli sono tanti, le contrarietà, le sconfitte, il dolore, la paura, sono le nostre compagne di viaggio. Purtroppo non possiamo sottrarci alla paura; non possiamo evitare il dolore. Possiamo però affrontarlo confidando nelle parole di Gesù, perché ogni paura nasconde nel suo profondo una certezza più grande e ogni dolore una gioia più abbondante.
Le parole di Gesù devono rappresentare per noi la nostra ancora di salvezza: in ogni momento difficile della nostra vita, dobbiamo ricordarci chi siamo e chi è nostro Padre. Così, quando non siamo capiti e ci sentiamo attaccati da tutte le parti, facciamoci coraggio e diciamoci: “Niente paura, Lui sa”. Anche se gli altri non ci comprendono, Lui ci comprende, sempre: e questa è una certezza. Quando ci guardiamo allo specchio della nostra anima, e ci succede di vergognarci per quello che siamo o per quello che abbiamo fatto, diciamoci: “Non temere, sei figlio di Dio”. E capiremo che, per quanto in basso siamo caduti, non dobbiamo perdere la speranza del riscatto: possiamo e dobbiamo ripartire, dobbiamo ricominciare, nella certezza del suo amore paterno e materno.
Quando c'è tempesta nel nostro cuore e non sappiamo dove andare o cosa fare, rassicuriamoci: “Non aver paura, c'è Lui”. E con Lui raggiungeremo il porto sicuro. Quando dobbiamo affrontare il giudizio di un superiore, di un capo, di una autorità, che può modificare in parte o anche completamente la nostra vita, dobbiamo ripeterci: “Sei figlio di Dio: egli ti ama, nessuno può farti del male, abbi fiducia in Lui, egli è tuo Padre, ti aiuterà comunque”. E avremo nel cuore una grande pace.
Tutto questo, credetemi, funzionerà! Perché in certi momenti particolarmente forti e difficili abbiamo bisogno anche noi di certezze: dobbiamo allora gridare non una, ma due, dieci, cento volte la nostra fiducia in Dio, di metterci nelle sue mani: a volte lo faremo piangendo, a volte cantando o al ritmo del respiro. E questo, fratelli, è preghiera, questo significa pregare.
Certo la preghiera non è una “bacchetta magica” che ci risolve tutti i problemi: i problemi, sicuramente rimangono, ma in compenso ci dà la certezza che se anche tutto dovesse crollare, anche se dovessimo sbagliare tutto, Lui c'è sempre; e di Lui, di Dio, noi ci fidiamo.
“Nella casa del Padre ci sono molte dimore” dice Gesù; c’è posto per tutti. Ognuno ha il suo posto: un posto personalissimo che non è uguale a quello di nessun altro. Spesso molti si sentono soddisfatti, si sentono nel giusto, in perfetta regola, solo perché fanno quello che fanno gli altri. Dovrebbero invece sentirsi male: perché Dio non crea nessun doppione, nessun duplicato; non esiste un comportamento standard, uguale per tutti. Ogni fotocopia di vita è una vita sbagliata, non realizzata in proprio, non osata. Dio, in ciascuno di noi, è diverso da chiunque altro. Certo dare il buon esempio è importante: abbiamo sicuramente bisogno di vedere e di guardare gli altri per imparare, per capire; ma il Dio che si fa vedere da noi, che si manifesta in noi, che nasce in noi, è altro. Sì, è vero: Egli ci ha creati tutti a sua immagine e somiglianza; l'immagine, un marchio di fabbrica identico per tutti; ma è la “somiglianza a lui”, quella che ciascuno deve costruire in sé, che è per tutti diversa da chiunque altro. È qualcosa di unico, di originale, di personalissimo, un qualcosa mai scoperto prima. Sbagliano quindi quelli che ritengono una “divisione” una “separazione”, il cammino alternativo, diverso dal proprio, per raggiungere la stessa meta; sono cammini che rispondono a chiamate diverse. Come pure sbagliano quelle persone che per “comunione” intendono una assoluta uniformità, un totale appiattimento gli uni gli altri; questa è solo omologazione.
Lo slogan di Dio è: “Ognuno al suo posto perché ognuno ha il suo posto”. Ciascuno ha il suo compito. Ciascuno ha la sua strada: ogni cammino, ogni esperienza, ogni vita, sono unici, è l'originale: non possiamo confrontarli. Viviamo ciò che siamo e troviamo il nostro posto, unico, in questo mondo, perché ognuno è “unico” agli occhi di Dio.
Le vie dunque per arrivare a Dio sono molteplici: c'è chi arriva a Dio attraverso una vita consacrata, monastica e religiosa, e chi arriva attraverso la vita laicale; chi arriva attraverso il lavoro di una diocesi, di una parrocchia, di un monastero, di un istituto e chi arriva attraverso il lavoro di una famiglia; c'è chi arriva attraverso la conoscenza di sé in una vita contemplativa spesa a servizio di Dio, e c'è chi arriva attraverso la dedizione di sé in una vita attiva spesa a servizio degli uomini. C'è chi arriva rinunciando all’amore terreno, amando e unendosi unicamente Dio, e c'è chi arriva amando e unendosi a un altro essere umano, con la benedizione di Dio. E infine c'è anche chi non sceglie nessuna strada, perché non gli interessa arrivare a Dio, non ne ha voglia, pensa di farne a meno: beh, tranquilli: perché in questo caso è Dio che arriva a lui! È lui, il Pastore, che va a riprendersi la sua pecora smarrita.
Evitiamo, fratelli miei, di fare confronti antipatici, quando si tratta di vita di preghiera e di esperienze di fede. Dio non guarda mai la forma, ma il contenuto del cuore.
Se giudichiamo e disprezziamo gli altri per la strada che percorrono, convinti che è la nostra quella giusta, già siamo sulla strada sbagliata, ci siamo messi su una strada che non porta sicuramente a Dio.
Gesù dice: “Io sono la via... la verità... la vita!”; osserviamo l’ordine con cui le nomina, perché non è casuale: Gesù è la via che conduce alla verità, perché solo nella verità una vita è piena, sensata, realizzata, e merita di essere vissuta.
Gesù non dice: “Io ho la strada buona”; dice solo: “Io sono la strada”. Gesù non ha bisogno di darci altre regole, codici, indicazioni stradali da seguire: dobbiamo semplicemente seguire Lui. Gesù è tutto, è il cammino, l'unico, che ciascuno deve percorrere.
A quanti gli chiedevano cosa fare per avere la vita eterna, cosa fare per essere felici, cosa fare per andare al Padre, Gesù a tutti ha sempre detto: “Seguimi”. E questo compendia tutto.
Gesù non dice: “Io ho la verità”, ma dice: “Io sono la verità”. “Io”, soltanto Io.
Ci sono invece molte chiese, molte religioni (o pseudo tali), molti santoni o guru (sul tipo del recentemente scomparso Sai Baba) che si arrogano il diritto di dire: “Io ho la verità, io sono Dio, seguimi e ti farò “avatar” (incarnazione) di Dio”. Siamo seri, non indulgiamo alle stupidaggini! La verità non la si può possedere: la si può soltanto vivere. Non si può mai “avere” la verità; si può al massimo essere veri. La verità per queste persone equivale ad un pacco di conoscenze da applicare a proposito e a sproposito. Per Gesù invece, Verità (lÐqeia, togliere il velo) è scoprire quello che si è, è scoprire la propria realtà intima così com'è.
Gesù non dice: “Io ho la vita”, dice: “Io sono la vita”. Gesù non è una assicurazione stipulata per campare tranquillamente, senza sbalzi o problemi. Gesù è la Vita che dobbiamo vivere, che dobbiamo conquistare: “Vuoi vivere? Vivi!”. Ma non c'è altra possibilità per godere una vita piena, che buttarsi dentro Dio e viverla in Lui.
Sbaglia chi confonde la “vita” con il fare molte cose, con l'avere un sacco di esperienze, con il viaggiare molto: “vivere”, per il Vangelo, non è buttarsi allo sbaraglio, dove capita: ma è sentire, percepire, sperimentare la “Vita” che vive in noi.
E concludo con le parole di Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta!”. Facciamo nostra questa preghiera, fratelli. Facciamo nostro questo accorato invito perché Gesù ci renda partecipi della abbondanza di bene e di amore che il Padre rappresenta. Approfittiamo per sgomberare la nostra mente da tutte quelle immagini fasulle di Dio, che nel corso della nostra vita ci siamo creati per soddisfare il nostro egoismo. Smettiamola, fratelli, di credere in un Dio qualunque, in un Dio imprecisato e vago, in quel Dio addomesticato, di cui tutti più o meno ci siamo fatti un'idea: dobbiamo credere unicamente nel Dio di Gesù. Non facciamo come quelli che sono convinti di credere nel Dio di Gesù, e invece continuano a credere in divinità misteriose e inquietanti, costruite su misura. Il Dio di Gesù è un Dio adulto che ci tratta da adulti; un Dio che non ci allaccia le scarpe, né ci risolve i problemi: ci aiuta ad affrontarli, questo sì: ci spiega anche che molti dei nostri problemi non sono poi così fondamentali da doverli superare ad ogni costo, che la vita ha comunque dei tesori nascosti che siamo chiamati a scoprire. Il Dio di Gesù è un Dio vittorioso nella risurrezione, che ha un piano per la salvezza dell'umanità; che ha un sogno, la Chiesa, i suoi discepoli, che sono chiamati non a salvare il mondo, ma a vivere da salvati, costruendo quel Regno che lui è venuto ad inaugurare; un Regno di giustizia e di pace, di amore e di luce, di sguardo verso l'altrove e verso l’altro che ci vive accanto. Un Dio che continua a venire là dove la sua Chiesa si raduna, un Dio che si rende presente nei Sacramenti e nell'amore che i discepoli si scambiano. Un Dio adulto, dunque, splendido, affascinante, lontano e vicino, accessibile e misterioso, seducente e libero, che svela a ciascuno in particolare, nel profondo, chi siamo e qual è la nostra Via, cos'è la Verità, cos'è la Vita. Ecco, fratelli: cerchiamo di conoscere il Dio che ci ha conosciuti, che ci ha amati da sempre, singolarmente; cerchiamo di non sfuggirgli, di essere attenti quanto più possibile, alle sottili sfumature del suo Spirito, ai sussulti che ci trasmette nell'anima, all'essenziale della nostra esistenza terrena. Mettiamoci umilmente alla scuola del Maestro Gesù, chiediamogli se il Dio in cui crediamo, il Dio che professiamo, che celebriamo,  è veramente il Dio vivificante che Egli ci ha svelato. E non stanchiamoci mai di ascoltare e di meditare la sua Parola, fratelli: misuriamoci con essa; e che essa ci illumini, ci guidi, ci aiuti, ci converta. Amen.


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