mercoledì 13 aprile 2011

17 Aprile 2011 – Domenica delle Palme

«Osanna, benedetto colui che viene nel nome del Signore».
Domenica delle Palme. Domenica dell’ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme, accolto da una folla festosa e plaudente. Una domenica in cui la Chiesa rivive la gloria, il rivelarsi di Dio, che sul dorso di un asinello, animale di pace, entra in ogni Gerusalemme umana, ed il suo compromettersi totale, drammatico, che si concluderà sulla croce, per liberarci da ogni male. Dovrebbe quindi essere una domenica di gioia, di festa, di partecipazione attiva; invece che tristezza certe processioni di oggi: un ripetitivo copione annuale di un corteo sgangherato, carico di parlottii e risatine, tragica esibizione di incredulità e di indifferenza (pure ‘sta parata ci voleva alla messa di oggi!), in cui lo sventolio dell’ulivo “miracoloso” (a me dammene tre rami perché non si sa mai!) costituisce purtroppo la massima espressione di una fede rattrappita e asfittica, oggi ahimè troppo diffusa.
Del resto anche noi, che abbiamo scelto di seguirlo più da vicino, anzi, che siamo stati scelti da una sua specifica chiamata, che ci professiamo suoi amici, forse, siamo talmente abituati alla morte di Dio, talmente riempiti di formali riflessioni e meditazioni, di stanche prediche sulla salvezza, di svogliate “lectio” quaresimali male assorbite, che ci siamo convinti di avere tutto chiaro, tutto colto, tutto imparato. Non ci serve null'altro. E assistiamo ancora una volta al dono supremo di Dio come se fosse una cosa dovuta, un evento banale, quasi abitudinario, presente sì nei nostri cuori, ma debole, scontato, inutile.
Peggio: ci fermiamo alla crosta, ascoltiamo e diciamo parole di cui non conosciamo veramente il significato, che ci scivolano addosso, che non ci toccano più di tanto.
Gesù è morto per noi. Ma nessuno sente più il bisogno di questa salvezza.
Egli è morto per i nostri peccati. E noi stiamo attenti solo a sottolineare i peccati degli altri.
Ha donato se stesso per noi. E noi non sappiamo che farcene di questo dono.
Avessimo almeno il coraggio di tornare a quei giorni, di riviverli, di lasciarci interrogare e scuotere! Avessimo il coraggio di penetrare dentro i nostri Vangeli, di toglierli dalla patina di incenso e di pura esteriorità che li avvolge, per guardare fisso negli occhi il Nazareno che ha deciso di donarsi fino in fondo per ciascuno di noi!
Oggi ci viene riproposto quello spettacolo: tutto è pronto, i protagonisti sono al loro posto. Ha inizio la morte di Dio.
Domani inizia la grande settimana, la più grande. La settimana piena di stupore e di sangue, di amore e di emozioni. Inizia la settimana Santa.
Anche quest’anno ci siamo arrivati, fratelli, come ogni anno. Pronti o meno, consapevoli o meno: è finito il deserto, il percorso della nostra “conversione”, il tempo dell'essenziale, il tempo della riscoperta di un Dio bellissimo, che non punisce, ma che come un Padre straordinario non giudica, anzi fa festa con noi. Un Dio diverso, un Dio difficile da accettare, un Dio esagerato.
Siamo arrivati: e – come ogni anno – ci fermiamo davanti all'inaudito, all'inimmaginabile: giorno per giorno, in questa settimana, vivremo le ultime ore di vita del Maestro, ne celebreremo i sentimenti, ci siederemo a guardare, a stupirci, ad ascoltare.
Dio muore, fratelli, Dio muore. Dio muore proprio per me, per noi!
E oggi ci accostiamo a una delle lezioni più belle che l'umanità abbia mai avuto: prepariamoci a rabbrividire!!! Gesù ci spiega, donando la sua vita, morendo sulla croce, cosa vuol dire amare. Amare: radice del verbo morire! No, non mi sono sbagliato! Gesù lo ha dimostrato al mondo: amare è morire.
Ma andiamo con ordine.
Oggi dunque Gesù entra a Gerusalemme trionfalmente. La gente applaude, agita in alto i rami strappati dalle palme e dagli ulivi, stende i propri mantelli al passaggio del Rabbì di Galilea. Piccola gloria prima del disastro, fragile riconoscimento prima del delirio. Gesù sa, sente, conosce ciò che sta per accadere.
Troppo instabile il giudizio dell'uomo, troppo vaga la sua fede, troppo ondivaga la sua volontà.
Ma che importa? Sorride, ora, il Nazareno e ascolta la lode rivolta a lui e che egli rivolge al Padre. Messia impotente e mite, energico e tenero, affaticato e deciso.
Non entra a Gerusalemme a cavallo di un puledro bianco, non ha soldati al suo fianco che lo proteggono, nessuna autorità lo riceve: entra in città cavalcando un ridicolo ciuchino, ricordando a noi, malati di protagonismo, che il potere è tale solo se collegato al “servire”, che la gloria degli uomini è inutile e breve.
Osanna, figlio di Davide, Osanna nostro incredibile Dio, nostro magnifico re.
Osanna dai tuoi figli poveri e illusi, feriti e mendicanti, Osanna re dei poveri, protettore dei falliti, Osanna!
Oggi la tua Chiesa innalza a te il grido di lode; santa e peccatrice, riconosce in te l'unica ragione di vivere, l'unica ricerca, l'unico annuncio, Osanna maestro amato.
Matteo si cala nel racconto, descrive meticolosamente la passione, racconta le ultime ore di battaglia, racconta dello scontro titanico tra il Dio rifiutato e la tenebra incombente che suggerisce a Gesù (a ragione?) di abbandonare l'uomo al suo destino.
Dopo, tutto diventa miracolo. È piena di inattesa dolcezza la morte di Dio.
Chiudiamo gli occhi, smettiamo di leggere e pensiamo.
Sono molti i personaggi che affollano questo racconto e si muovono intorno a Gesù arrestato, processato e condannato...
Ci sono dentro anch'io: mi riconosco un po’ in tutti questi comprimari. Non ne vengo fuori bene: la nitida verità, così come appare, mi riporta nell’anima il gusto acre e salato del rimorso. Mi sento coinvolto prima di tutto come “credente”. È vero, sono un credente tiepido, un credente del “quando mi fa comodo”, del “quando mi serve”: tuttavia mi risulta impossibile considerare questa come una storia qualunque, una storia del "c'era una volta...” una storia insomma in cui alla fine, senza far nulla, tutto si risolve in mio favore, “e vissero felici e contenti”. No, fratelli. Non è così. Questa è una storia straordinaria che ci deve coinvolgere in pieno, drammaticamente: nella mente, nel cuore, nella vita; oggi, domani, sempre: lo vogliamo o non lo vogliamo; ci sia o non ci sia la sua immagine a ricordarcelo: perché il Cristo in croce è marchiato a sangue nel nostro cuore!
Sono un “apostolo”. Uno di quelli che Gesù chiama a preparare e vivere la sua ultima cena per poi continuarla anche quando lui non ci sarà più. Ma mi dimentico che è la cena dell'amore e della condivisione, e mi perdo a discutere quanto valgo, nella continua ricerca di essere il primo, il più grande... Mentre Gesù mi ricorda che il vero potere è servire, e la vera grandezza è farmi piccolo tra i piccoli, povero tra i poveri.
Sono Pietro. Ho tanta voglia di credere e di rimanere fedele alla promessa fatta a Gesù. Ma basta il cenno di una serva qualsiasi per farmi prigioniero della paura. Basta poco e mi dimentico che Gesù ha bisogno di me. Lui con il suo sguardo mi riempie gli occhi di lacrime, e la mia faccia indurita cercherà poi di sciogliersi nell'emozione profonda del suo perdono.
Sono Giuda. Quante volte con un bacio ho tradito Gesù. Tradisco la sua fiducia, tradisco il suo amore di Padre; e nel momento in cui gli sono più vicino con il corpo, nell’Eucaristia, gli sono ancora lontanissimo con il cuore... C'è ancora spazio di perdono per me?
Sono Pilato. Anche se cerco di liberare Gesù perché qualcosa mi dice che è innocente..., mi lascio condizionare dal mondo. Non ascolto più la mia coscienza (che è il luogo vero dell'incontro con Dio) ma ascolto solo quello che viene da fuori di me, dalla gente, dal potere, dai pregiudizi...
Sono uno della folla che grida "Crocifiggilo, crocifiggilo". Quando invece qualche giorno prima ero li a osannarlo per chiedergli una guarigione e un miracolo. Come sono veloce a cambiare idea! Come sono facile a farmi influenzare dalla mentalità comune e dai "si dice...". Ma Gesù sulla croce, invece di maledirmi, dirà: "Padre, perdonalo, perché non sa quel che fa..."
Sono il Cireneo. Preso per caso e senza preavviso, aiuto Gesù a portare la sua croce che per un piccolo tratto diventa come mia. Mi servirà per imparare ad essere disponibile sempre, ogni volta che qualche derelitto ha bisogno di un sostegno, anche momentaneo? È vero, non gli risolverò il problema, ma almeno gli farò sentire una vicinanza amica...
Sono il buon ladrone, crocifisso vicino a Gesù. Sento che questo disgraziato è li per me e io con lui. Quando verrà il giorno in cui il dolore e la caducità della mia carne piegherà la mia illusione di immortalità, ti prego, Gesù, fammi sentire quella stessa promessa, fammi sentire nel cuore e nella mente la tua vicinanza e la tua pace. Il dolore non vince, anche quando è grande. Ma tra le tue braccia di Padre, sentirò il paradiso vicino a me...
Dunque Pietro, uno degli apostoli, uno della folla urlante, Giuda, Pilato e via dicendo...: sì, fratelli, dobbiamo riconoscere, purtroppo, che noi tutti siamo un pò questi personaggi.
Allora, riusciremo ancora a stupirci in questa Pasqua?
O sarà per noi soltanto la celebrazione di una vecchia storia sepolta nel passato?
Accetteremo con entusiasmo l'invito di Gesù di entrare e di accompagnarlo nella sua storia di salvezza?
Ebbene, fratelli cari, non c'è altra strada per risorgere, che ricominciare: sempre. Ogni anno, ogni mese, ogni giorno, ogni ora. Ogni nuova caduta deve essere occasione per dare nuovo senso alla nostra vita, una nuova dimensione, un nuovo percorso. Dobbiamo farci carico delle nostre difficoltà, delle nostre sconfitte, delle nostre debolezze: è la nostra croce. Dobbiamo farcene carico senza lasciarci schiacciare; dobbiamo abbracciarla questa croce; dobbiamo superare tutta la sua drammaticità, e trasformarla in occasione di salvezza, di felicità, per entrare come nuovi nella nuova dimensione di vita per Cristo, in Cristo, con Cristo.
Allora capiremo, fratelli e sorelle: allora capiremo che è così che siamo amati, che è così che siamo accolti. Approfittiamo di questi giorni per meditare con maggior intensità la passione di Gesù: non rendiamo inutile il nostro pensare, non riduciamoci ad essere famelici di piacere, di evasione, gente senza valori, senza riferimenti. Non sradichiamo la nostra fede per seminarvi sogni privi di speranza. Guardiamo con fiducia a Lui e capiremo che è Lui l’unica strada da percorrere, l’unica strada in grado di cambiare il mondo.
Meditiamo la sua passione: e non potremo che restare ancora una volta allibiti, costernati: perché assisteremo ancora una volta allo spettacolo della morte di un Dio, che si dona totalmente a noi.
Venerdì, inginocchiandoci davanti al crocifisso, sussurriamogli nel silenzio del nostro cuore:
"Signore eccomi, sono qui. Ti prego, fammi capire.
Come posso rimanere cieco e sordo di fronte a tanto tuo amore?
Come posso rimanere indifferente davanti a tanta tua sofferenza?
Come posso pensare che questa tua morte non mi salvi, che sia stata inutile?
Grazie, Gesù, per tanto amore.
Io credo, Signore, che tu sei il mio Dio di salvezza.
Io credo, Signore, che imparare ad amare significa, anche per me, imparare a morire per l'altro".
Buon cammino dunque fratelli e sorelle, in questa settimana santa.
Santa, perché tutti dobbiamo uscirne un po’ più santi, nella gioia del Cristo risorto. Amen.

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