Il bimbo vagisce con voce flebile, come fanno i cuccioli d'uomo appena nati. Gli occhi socchiusi, le minuscole mani serrate a pugno, appoggia il viso grinzoso all'acerbo seno della madre. Per un istante spalanca gli occhi, come ad essere rassicurato, poi ripiomba nel sonno. La madre, inesperta, attinge il dito mignolo in una tazza di coccio e glielo appoggia sulle piccola labbra che si dischiudono e si bagnano del latte di capra. Maria gli aggiusta la coperta di lana che protegge il corpo nudo del neonato dal freddo del deserto che lambisce le case di Betlemme. Sorride, Maria, e guarda Giuseppe, seduto sulla paglia, esausto dal lungo viaggio e dalle emozioni delle ultime ore. Ecco Dio, ecco l'uomo: enorme inerme, possente fragile, debole per scelta. Suscita tenerezza, viene voglia di prenderlo in mano, di accarezzarlo.
Sulle colline intorno a Betlemme, i pastori, i bastardi di Dio, i perdenti, gli uomini senza dignità, senza futuro, senza speranza, cercano di scaldarsi dalla gelida notte della Giudea. Nei loro cuori rabbia, rassegnazione, disincanto, come sono i sentimenti di coloro che hanno speso tutte le energie per sopravvivere. Fine di un giorno uguale come i precedenti, uguale come i futuri, senza scampo, senza tregua, senza luce.
Ma ecco che un angelo appare loro. “Andate a vedere – dice – vedrete come segno una mangiatoia. Per voi, non per gli altri, è nato il Salvatore. Proprio per voi che non sapete nemmeno cos'è, la salvezza”.
È grande Dio: una mangiatoia! Il segno che l'angelo dona ai pastori è ciò che essi conoscono meglio. Non cose irraggiungibili, complicate ed elitarie: essi possono incontrare Dio esattamente con ciò che sono, con ciò che conoscono. È Dio che si è fatto loro incontro, senza porre condizioni. E loro vanno, e vedono, e capiscono. Spiegano alla ragazzina provata dal parto e al suo fidanzato dell’annuncio degli angeli.
Maria sorride debolmente, Giuseppe non sa che pensare. Che storia meravigliosa!.
Dio nasce in un paese lontano, in condizioni disperate e gli unici che se ne accorgono sono i più poveri, quelli che mangiano solo una volta al giorno, poco pane e tanti disagi.
Tornano pieni di gioia al loro alienante lavoro, i pastori; nessun bel finale: l'odore delle pecore e delle capre è sempre lo stesso, il freddo è sempre pungente come prima.
Solo il loro cuore è cambiato.
Dio si è fatto uomo.
Ecco dunque Dio, voi che lo aspettate. Ecco Dio, voi che non ne sentite il bisogno. Ecco Dio, professionisti del sacro. Eccolo, inatteso, sconvolgente, stordente, folle.
Ecco Dio, fratelli: è un neonato con i pugni chiusi e la pelle arrossata, gli occhi che mal sopportano la luce e la piccola bocca che cerca l'acerbo seno della madre.
Ecco Dio, fratelli: è un bambino impotente, fragile, che va lavato e scaldato, cambiato e baciato, e viene tenuto a contatto della pelle ruvida del padre, Giuseppe, che lascia l'emozione inumidirgli gli occhi per poi tornare alla concretezza di una situazione difficile.
Ecco Dio, fratelli: non dona, chiede, non ha deliri di onnipotenza, ha svestito i panni della regalità, li ha deposti ai piedi della nostra inquieta umanità, non gli angeli, ma una ragazza inesperta e generosa si occupa di lui.
Ecco Dio, fratelli: un parto sconosciuto in mezzo alle decine di migliaia di parti di bambini derelitti destinati alla miseria e alla morte. Dio è così: prendere o lasciare, accogliere o rifiutare o, peggio, mistificare, come troppo spesso siamo capaci di fare noi, stravolgendo la cruda realtà del Natale, la disarmante fragilità di Dio e la sua follia d'amore, con la nostra frenesia mondana fatta di emozioni buoniste (sempre le solite e sempre più consumate), scordandoci completamente della fede.
Ecco Dio: un Dio che si annuncia a chi non se lo merita, a chi non lo prega, a chi maledice la vita tre volte al giorno. Un Dio che si fa riconoscere dai segni quotidiani, che si nasconde nelle piccole cose. Un Dio che cambia la vita che se anche resta la stessa, assume una luce diversa.
Ecco Dio, discepoli del Nazareno, che ancora non vi stancate di essere cristiani e di seguirlo e di pregarlo. Ecco Dio, diverso da come lo vorremmo.
Un Dio bambino, che non risolve i problemi, ma ne crea, chiedendo accoglienza.
Un Dio che non punisce i malvagi ma che dai malvagi è cercato per essere ucciso.
Un Dio che si rivolge a noi poveri, a noi perdenti, a noi inquieti, Lui per primo povero, perdente, inquieto per amore.
Se Dio è così significa che ama l'umanità al punto da diventare uomo.
Se Dio è così significa che Dio è accessibile e ragionevole, tenero e misericordioso; significa che l'idea di un Dio potente da tenere a bada, che si fa gli affari suoi, sommo egoista bastante a se stesso, è fasulla e pagana, perché Dio ama, ancor prima di essere amato.
Se Dio è così significa che ha bisogno di noi, come ha avuto bisogno di una madre e di un padre.
Significa che io posso riconoscere Dio e servirlo in ogni sconfitto, in ogni povero, in ogni abbandonato; che la fragilità degli uomini è il luogo che Dio vuole abitare, che, se vivo questo Natale con la morte nel cuore, allora è esattamente la mia festa, perché Dio abita anche la stalla della mia vita.
Vorrei abbracciarvi ad uno ad uno, compagni di viaggio. Centinaia di volti, di storie, di messaggi, di pianti e di sorrisi ricevuti come un dono prezioso durante il mio pellegrinaggio di speranza in quest’anno. Vorrei abbracciarvi ad uno ad uno, comunicandovi la speranza che riempie ancora il mio pavido cuore e la mia debole fede. Vorrei mostrarvi quanta grazia, quanta gioia, quanta pace Dio continua a suscitare. Un augurio speciale a tutti e a ciascuno. Buon Natale. Amen.
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