Il fuoco arde nei nostri cuori marchiati dallo sguardo di Cristo, dalla nostalgia a tratti insopportabile della totalità di Dio, dalla consapevolezza che la vita è una caccia al tesoro.
È fuoco il Cristo, fuoco che ci illumina e ci purifica, che ci inquieta e ci rasserena, che plasma mentalità nuova creando lacerazioni in noi e intorno a noi.
In ogni tempo, da allora, da Lui in avanti, i discepoli sono vissuti in questo mondo con i piedi ben piantati in terra e il cuore rivolto al dentro e al vero. Ma non è semplice: la vita è lotta spirituale, dicevamo, siamo chiamati a combattere in noi l'uomo vecchio, intorno a noi chi ci impedisce di diventare più uomini, credendo.
E questo tempo, tempo faticoso, tempo ambiguo, lancia ai discepoli una sfida che è quella di sempre: parlare di Cristo. La Chiesa, noi Chiesa, siamo chiamati a ridire l'essenziale, a parlare del Maestro.
In un tempo in cui il mondo parla continuamente della Chiesa, la Chiesa deve parlare di Cristo.
Non ripiegarsi su se stessa, non nascondersi dietro le barricate, ma fare memoria di essere chiamata, come profetizza Isaia, ad allargare le tende, a fare davvero del nostro messaggio un messaggio cattolico, cioè universale.
La Parola di oggi ci invita a guardarci dentro, a guardarci allo specchio per snidare i rischi del settarismo e della saccenteria che da sempre – purtroppo – abitano il cuore dei convertiti a Dio.
E gli altri? "Sono molti quelli che si salvano?" Il devoto fedele che pone la domanda, evidentemente mettendosi tra il gruppo dei salvati, non sa in quale vespaio si è cacciato. È la tentazione di sempre: sapere se siamo in regola o no, se i punti accumulati per la promozione sono a posto, se – insomma – possiamo stare al sicuro, se il posto in Paradiso è prenotato.
È la tentazione che colpisce noi discepoli, noi cattolici di lungo corso, quando smarriamo la dimensione dell'attesa, l'ansia del discepolato, quando crediamo che le mura della città siano talmente robuste da non necessitare, in fondo, della veglia della sentinella. Colpisce come un cancro noi discepoli, quando, dopo una strepitosa e travolgente esperienza di Dio, sentiamo d'improvviso di essere entrati in un gruppo a parte, e guardiamo con sufficienza "gli altri", quelli che non capiscono, che non conoscono, quelli che hanno fatto altri percorsi di Chiesa, quelli che la domenica, a Messa, si annoiano e non colgono la dimensione dell'interiorità, quelli che, fuori, non capiscono e ci attaccano, ci insultano, ci offendono, ci giudicano.
A noi, oggi, Dio rivolge la sua stimolante Parola.
Mantenere la vita di fede necessita di uno sforzo, dice il Signore, occorre passare per una porta stretta.
La vita è fatta di alti e bassi, di momenti esaltanti e di fatiche immani, ma non esiste altro modo per vivere.
La lettera agli ebrei ci dice che possiamo vivere i momenti bui e faticosi come un'opportunità di conversione, per guardare all'essenziale. La prova è opportunità: possiamo ripiegarci su noi stessi e spegnerci o entrare più in profondità e scoprire il volto di Dio.
Il Vangelo è esigente, ovvio. Non severo o difficile, ma autentico e impegnativo, come lo è salire su una montagna o affrontare una prova sportiva. Il nostro mondo tende a semplificare la vita, a virtualizzarla, ad appianare le difficoltà. Bene, ma non sempre funziona.
Per farsi trovare da Dio e restare nella sua luce bisogna faticare, lottare, non ci sono scorciatoie.
E non pensiamo, subito, alla vita morale, per favore, non pensiamo agli impegni che ci siamo assunti nella preghiera, ai consigli per diventare santi e a cose del genere, no.
E neppure, ve ne prego!, la "porta stretta" si riferisce alla sofferenza; smettiamola di coltivare quella triste attitudine dei cattolici a vedere tutto in negativo, a sottolineare, della vita, soltanto l'aspetto doloroso.
Gesù non parla di "sforzo" rinfocolando il sacro fuoco della nostra pia devozione, parla di "sforzo" intendendo la consapevolezza del nostro cammino interiore.
Ci vuole tutta la vita per diventare cristiani, tutta la vita per diventare uomini, tutta la vita per liberarci dai troppi condizionamenti che ci impediscono di cogliere l'assoluto di Dio in noi.
Attenti, allora, al rischio dell'abitudine, al modo più triste di essere cristiani, che è quello di credere di credere, di confondere la propria sensibilità, il proprio stile di preghiera, la propria esperienza in un gruppo convinto di rappresentare l'unico modo di essere cristiani.
Ciò che il Signore chiede a noi discepoli è l'autenticità della ricerca, il sapere che non esistono posti privilegiati, che la vigilanza è l'unica dimensione che ci fa seguire le orme del Signore.
Niente primi della classe, nella comunità, niente tessere a premi, niente diritti acquisiti, ma ricerca umile e autentica. Sempre.
Avremo delle sorprese, ammonisce il Signore. Persone che giudichiamo lontane da Dio, persone che in cuor nostro devotamente giudichiamo come peccatori e lontani da Dio, li vedremo a mensa col Signore. Perché l'uomo guarda l'apparenza, Dio guarda il cuore. Sarà divertente incontrare nel Regno persone che mai avremmo immaginato! Dio solo conosce nel cuore la fede delle persone, lasciamo a lui il giudizio; noi, per quanto possiamo, pensiamo a convertire noi stessi: e questo basta e avanza.
Animo allora, fratelli, Dio ci vuole bene e ci prende sul serio; ci scuote, se necessario, ci invita, ora e sempre a diventare veramente discepoli secondo il suo cuore. Proviamoci seriamente! Amen
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