C'è un'interpellanza di Gesù che ritorna spesso, che certamente ci scuote e ci turba, ma che ci fa bene: "Voi chi dite che io sia?" "Per te chi sono io? Che importanza e che ruolo ho per te? Vivi bene anche senza di me oppure no? Chi sono per te? In che misura tu vivi per me?..."
Sono dure queste domande, ma sono vere. Come quando, dopo la risurrezione, Gesù chiederà ripetutamente a Pietro: "Mi ami tu?"
Nel testo di oggi Gesù sente il momento molto importante, perché "se ne stava pregando da solo ed erano con lui i discepoli", poi pone due domande: vuole sapere dai discepoli che cosa la gente pensi di lui, ma soprattutto che cosa essi, pensano di lui.
È la seconda domanda che conta. La prima serve perché incomincino a parlare e perché avvertano la differenza della loro posizione. Essi sanno che per Gesù non sono come tutti gli altri: essi sono stati scelti, ad essi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, essi hanno visto i miracoli, hanno ascoltato le sue parole profonde.
Pietro, a nome di tutti, risponde: "Tu sei il Cristo di Dio", il Messia, l'Unto di Dio.
Gesù ordina di non dirlo a nessuno perché "il Figlio dell'uomo deve patire molto,... essere ucciso, e risuscitare il terzo giorno". E' il primo annuncio della passione, un annuncio strettamente legato alla confessione di Pietro. Gesù vuol far capire che non sarà un messia, come loro se lo immaginano o si aspettano (potente, glorioso), ma un messia sofferente. Questo non se lo aspettavano, non lo comprendono, anzi reagiscono.
Ma Gesù sa che dovrà affrontare la sofferenza, il rifiuto, la morte e lo fa nella speranza, perché sa che la via di Dio non finisce nella morte, ma sempre nella vita; il Cristo risorgerà il terzo giorno e porterà a compimento la sua opera di salvezza. Ma i discepoli non potevano capire ancora, per questo li invita a non dire nulla a nessuno: andrebbero a spiegare una cosa che non hanno per niente chiara.
Ma Gesù li vuole aiutare e li invita a sperimentare ciò che annuncia. Quando uno vive certe cose o in un certo modo, capisce più facilmente e soprattutto intuisce una verità che è il progetto di Dio, ma che è insita anche nell'esistenza umana.
Quand'è che uno realizza la sua vita, la costruisce in maniera vera, appagante, e per sempre? La mentalità mondana offre le sue prospettive e le sue logiche individualistiche ed egoistiche, la verità di Dio apre all'amore, al "perdere" la vita, per salvarla veramente e per sempre.
Dice Gesù a tutti: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua".
Rinnegare se stessi, fare della propria vita un dono, perderla per realizzare il cammino della salvezza. I miei istinti, i miei desideri, il mio corpo, la mia impostazione... sono i miei padroni o li so dominare? E non per un mio perfezionismo, ma perché il prossimo si senta amato e aiutato.
Prendere la propria croce: ciascuno è chiamato ad assumere i propri doveri, le sofferenze, le fatiche, fino alla disponibilità a perdere la propria vita, fino al martirio.
La prova di queste affermazioni del vangelo è stata la vita e la missione di Gesù; è stata ed è la vita di tanti santi e di tanti martiri.
Se io sono disposto a morire per Cristo, allora Cristo è la vera vita, è il tutto. Ma questa è una grazia che dà il Signore al momento giusto. Però fa capire la portata della domanda iniziale: Per te chi sono io?
Nella misura in cui cerco di essere fedele al Signore, di non vergognarmi di Lui, di parlare di Lui, di proporlo ad altri; nella misura in cui vivo, gioisco e soffro per lui e con lui; nella misura in cui offro la mia vita come dono ai fratelli, nel tanto bene che posso compiere... riesco a rispondere non con le parole ma in verità: Tu sei per me il Cristo, il Salvatore, il Signore, il tutto della mia vita sulla terra e per l'eternità!
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