Fare memoria
Ricordati, dice Mosè al popolo, fa memoria del tuo cammino: della schiavitù e della libertà, e di quanto costi diventare liberi, di quanto deserto occorra attraversare per spogliarsi di tutte le sovrastrutture – sociali, caratteriali, religiose – che ti impediscono di credere e di amare nella nudità dell'essere.
Fa memoria, dice Mosè al popolo, della fame che hai patito e del pane che hai ricevuto, il pane del cammino.
La domenica ci raduniamo in obbedienza al comando del Signore, a quell'imperioso «Fate questo in memoria di me» pronunciato durante la Cena, per dare un senso alla nostra settimana, per orientarla verso il vero e il bene, per leggere le mille vicende della nostra vita in una prospettiva di Vangelo.
Fare memoria: questo è anzitutto l'eucarestia; una terapia contro la dimenticanza, una consapevole ed energica scossa che ci permette di rientrare in noi stessi per trovare, in noi stessi, il sorriso di Dio. Nonostante tutto.
E questa partecipazione, questo celebrare insieme, questo radunarsi, questo essere convocati ci rende uno, perché uno è il pane che mangiamo, dice Paolo ai litigiosi Corinzi. Vero, verissimo: niente e nessuno potrebbe radunare ogni domenica in Italia quasi dieci milioni di persone, anziani, coppie, giovani (pochi), persone di cultura diversa, di fede politica e calcistica diversa, tutti, in qualche modo, sedotti dal Nazareno.
Ci rende uno quello spezzare il pane, un'unità che sarebbe belle ritrovare, almeno un poco, anche fuori della chiesa, nel mondo, là dove l'eucarestia diventa vita, là dove mettiamo alla prova la verità del gesto che abbiamo fatto. Il nostro mondo ha urgente bisogno, immenso bisogno di unità, di speranza, di diversità armonizzata intorno ad un sogno, il sogno del Regno di Dio.
Ma i cristiani si nascondono, i “chiamati” vengono meno.
Facendo memoria, facendo unità, incontriamo interiormente, spiritualmente, l'immensità di Dio. Quel pane che ci è donato, dice Gesù, è presenza di Dio, ci cristifica, ci fa nuovi, ci unisce a lui, avviene uno scambio intimo, profondo, misterioso, fra la nostra povertà e la sua immensa grandezza.
«Non possiamo fare a meno di partecipare all'eucarestia», dicevano i martiri di Abitene ad uno sconcertato procuratore romano che li voleva salvare dalla pena di morte invitandoli a non radunarsi alla domenica.
Mio Dio, quanta distanza da noi...
Ogni tanto mi riemergono dall’infanzia certe raccomandazioni spicciole: lontane, lontanissime… sperdute nei meandri della memoria, ma che ancora oggi penso siano più che mai attuali…
Quando eravamo ragazzi ci dicevano infatti che le doti per ricevere bene l'Eucarestia erano:
- 1° essere in grazia di Dio. Essere in grazia di Dio vuol dire avere l'amore di Dio nel cuore: se ci sono dei rancori non si è in grazia di Dio. Quando si hanno sentimenti di vendetta bisogna evitare di parlare di grazia di Dio! Qualcuno oserà dire: "Io non ho fatto nessun peccato mortale". Vero, ma siccome serbi rancore non sei in grazia di Dio. Il Signore ha detto che anche il pensiero è già una decisione: un pensiero buono è una buona decisione, un pensiero cattivo è una cattiva decisione. Essere in grazia di Dio vuol dire non "tenere" dentro di sé delle cose negative, dei pensieri negativi. E' istintivo provare del rancore per chi ti ha fatto del male, o per chi ti ha fatto un'ingiustizia... ma, bisogna "cacciare" dal cuore il rancore. Un conto è sentire (provare) e un conto è acconsentire. Non dobbiamo permettere ad alcun pensiero cattivo di astio o di odio di rimanere dentro di noi: bisogna cacciarlo. Questo significa essere in grazia di Dio.
- 2° sapere e pensare Chi si va a ricevere. Quando si va a fare la comunione bisogna pensare a Dio: pensare a Lui. Pensare a Lui e non a noi attraverso Lui: pensare solo a Lui perché in quel momento ci deve essere solo Lui.
Questo è il grande raccoglimento che ci deve essere in noi quando andiamo a ricevere la Comunione. Certo, ci sono dei riti eucaristici, per esempio la S. Messa solenne nella quale si devono svolgere anche dei compiti, ma.... al momento della Comunione bisogna arrivare a pensare solo a Lui. Non so se il cantare quando si va a ricevere la Comunione sia veramente positivo!!! Non sono convinto che sia positivo. Vedo bene il cantare dopo, ma... prima e durante non bisogna essere disturbati per poter pensare solo a Lui.
Bisogna sentirsi piccoli davanti a Lui! I gradini dell'Altare, dove una volta ci si inginocchiava per ricevere la Comunione, sono rimasti, e se anche non ci si inginocchia più, devono però farci sentire "piccoli" davanti a "Qualche-cosa" di grande. Ecco: la festa del Corpus Domini ci porti allora a superare, con l'occhio della fede, quello che esteriormente sembra un gesto normale, come l'andare a prendere un pezzetto di ostia, per poter comprendere la Realtà che sta dietro e per riuscire a sapere e pensare Quello che andiamo a ricevere. Solo così la nostra vita sarà più forte, solo così gli altri, quelli che non credono, si renderanno conto che in noi c'è "Qualche-cosa" che ci rende forti.
Dobbiamo fare Eucaristia “in obbedienza”: è l'unica seria ragione che mi viene in mente per partecipare all'Eucarestia ogni domenica. Un'obbedienza seria, adulta, piena, affettuosa. Obbedisco a ciò che un amico immenso mi chiede, mi fido, lo faccio, ci sono.
Quel “Fate questo in memoria di me” detto da Gesù nella tragica fine della sua storia, quella cena Pasquale riempita di un nuovo significato, non più celebrazione della fuga dall'Egitto, ma dono totale di Dio all'umanità, è una richiesta perentoria che Gesù fa ai suoi ignari apostoli, e con loro a noi.
“Rifatelo”, dice il Signore. E noi lo rifacciamo, quel gesto, con stupore e rispetto, con passione e costanza, da duemila anni, per rendere presente il Signore. Non nella rispettosa memoria storica, non nell'emotività, non nella stanchezza dell'abitudine, non nel rischio di una ritualità vuota e ridondante, ma nella fede della sua presenza reale nei poveri segni del pane e del vino.
Già: Gesù volle usare proprio il pane e il vino, la sostanza e la gratuità, l'essenziale e il superfluo della vita, il lavoro e la festa per farlo diventare la presenza della totalità di Dio.
Gesù è davvero presente quando la sua comunità si raduna, ne ascolta le parole e ne ripete il sacrificio.
Che ci crediamo o no, che ce ne accorgiamo o no, nella povertà immensa delle nostre annoiate celebrazioni domenicali, Dio si rende presente. Tutto lì.
E se è vero (come è) che Dio si rende presente nel pane e nel vino, e io dico di crederci… allora, scusate, non capisco alcune cose.
Non capisco come si fa a dire: “Sono credente non praticante”, come se dicessi: “Sono innamorato non praticante”. Non capisco chi dice “Meglio non andare a Messa e comportarsi bene che andarci e comportarsi male”, visto che è possibile anche andare a Messa e comportarsi bene! Non capisco chi ha ridotto la Messa a dovere da assolvere, da segnare sul taccuino dei sacrifici fatti e presentarlo a san Pietro il giorno della nostra morte (può accadere che l'amore si riduca a dovere, ma che tristezza di fede!). Non capisco chi pensa di essere discepolo e mette l'incontro con la comunità (sempre che esista una comunità!) all'ultimo posto, dopo le tante cose fondamentali da vivere di domenica. Non capisco chi cerca con passione Dio e snobba il luogo dell'incontro. Non capisco ma vivo, non capisco ma cerco di accorgermi, non capisco ma cerco di avere fede.
Forse ciò che abbiamo perso nelle nostre Messe non è il fascino della ritualità del latino o la solennità delle funzioni, forse non abbiamo perso l'equilibrio e l'armonia del celebrare, forse non abbiamo perso solo la bellezza delle funzioni, forse non dobbiamo solo ripensare il ruolo del celebrante e l'eccessiva enfasi data all'omelia, forse quello che manca è proprio e solo la fede.
Non ci sono scuse: se credessimo veramente (sottolineo “veramente”) che Dio è presente nell’Eucaristia, beh… tutta la nostra vita ne verrebbe stravolta. E in bene!
E allora? “Beati voi che avete creduto….”
Preghiamo dunque per la nostra conversione, perché ogni discepolo si apra allo stupore, perché ogni ministro diventi trasparenza di Dio. Preghiamo per non "cosificare" l'eucarestia: ma che sia una forza dirompente all'interno della nostra settimana, un salubre pungolo ad essere maggiormente discepoli, più autentici e veri, più consapevoli dell'immensità di Dio.
Dalla più sperduta delle favelas alla più pomposa delle Cattedrali, dal villaggio di montagna sperduto alle masse oceaniche radunate in occasione dei grandi eventi, l'Eucarestia resta il dono più misterioso e arricchente della nostra vita interiore. Non spegniamo lo Spirito in noi, lasciamo che la grazia ci raggiunga e ci cambi.
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