giovedì 8 maggio 2008

11 maggio 2008 - La Pentecoste

Vieni, tenerezza di Dio!
È un testo densissimo, quello di oggi, che fa da raccordo tra l’ora del Figlio e quella dei fratelli, tra il tempo di Gesù e quello della Chiesa.
Protagonista è sempre lo Spirito. All’inizio si posò e dimorò sull’agnello di Dio che toglie il peccato (1,12.13.16.29.32- 33). Adesso è alitato anche su di noi, perché continuiamo la sua opera di riconciliazione.
L’epoca dello Spirito, inaugurata nella carne di Gesù, prosegue in noi: la gloria del Figlio è trasmessa alla comunità dei fratelli.
Alla presenza del Risorto il sepolcro delle nostre paure si apre alla pace e alla gioia.
La Parola, diventata carne in Gesù e tornata Parola nel Vangelo, ora anima anche la nostra carne. La sua parola infatti è Spirito e vita (6,63). I discepoli, pur sapendo che il sepolcro è vuoto ed avendo ricevuto l’annuncio della Maddalena, non hanno ancora incontrato il Risorto. È necessario, ma non sufficiente, che qualcuno l’abbia visto e annunciato. Bisogna giungere all’incontro con lui. Il c. 20 rappresenta, in modo graduale, il cammino di Pasqua. E innanzi tutto un cercare Gesù nel sepolcro e trovano vuoto (v. 1), un contemplare i segni del suo corpo assente, vederne il significato e credere in lui e nelle sue parole (vv. 2-10); poi è un incontrarlo, abbracciarlo ed essere inviati ad annunciano (vv. 11-18). Ora c’è il suo ritorno definitivo con il dono dello Spirito, che ci fa creature nuove, capaci di amare come lui ha amato (vv. 19-23). Da «come» avviene l’incontro, si passa a vedere «cosa» avviene nell’incontro.
Senza questo dono restiamo ancora nel chiuso delle nostre paure. Il Pastore bello entra nel nostro sepolcro, ci mostra nelle mani e nel fianco i segni del suo amore e ci tira fuori dalla prigione. Il Crocifisso non è un fallito, sconfitto dal male: vincitore della morte, è realmente in mezzo a noi nella sua gloria. Ci mostra quelle ferite da cui sgorga la nostra salvezza. Sono le stesse che ci testimonia il Vangelo, perché anche noi le contempliamo e tocchiamo. In esse vediamo il Signore, da esse fluisce quella pace che trabocca in gioia. E questa gioia è la nostra risurrezione. Infatti la gioia del Signore è la nostra forza (cfr. Ne 8,10) per una vita nuova: ci fa uscire dalla tomba, ci comunica il «profumo» del Risorto e ci fa vivere del suo amore per noi.
In queste ferite scopriamo quanto Dio ha amato il mondo (3,16). In esse troviamo la nostra dimora e la nostra identità di figli: è l’amore del Padre che il Figlio ci ha donato. Ma l’amore è sempre «missione»; infatti è relazione, che manda la persona fuori di sé, verso l’altro. L’amore del Padre e del Figlio ci spinge verso i fratelli (cfr. 2Cor 5,14), perché anch’essi lo scoprano e lo accolgano. Allora Dio sarà tutto in tutti (cfr. 1Cor 15,28), come tutto e tutti da sempre sono in Dio.
Perché possiamo compiere questa missione, Gesù ci dona il suo soffio vitale: la vita di Dio diventa anche nostra. E lo Spirito nuovo, che ci toglie il cuore di pietra e ci dà un cuore di carne, capace di vivere secondo la parola di Dio e di «abitare» la terra (cfr. Ez 36,24ss). Questo Spirito fa rivivere le ossa aride (Ez 37,9ss) e ci fa conoscere il Signore: «Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri» (Ez 37,13). È quel soffio che Dio alitò nel vecchio Adamo (Gn 2,7) e che il nuovo Adamo ci consegnò dalla croce, facendo scaturire dal suo fianco sangue e acqua (19,30.34).
È lo Spirito del Figlio, che ci rende capaci di vivere da fratelli, vincendo il male con il bene (cfr. Rm 12,21). Per questo la missione dei discepoli consiste nel perdonare i peccati. Il perdono verso i fratelli realizza sulla terra l’amore del Padre. In questo modo la Chiesa, sacramento di salvezza per tutti, continua la missione dell’agnello di Dio che leva i peccati del mondo (1,29).
In questi racconti di risurrezione Gesù crea la sua comunità, primizia della creazione nuova. Il testo contiene allusioni eucaristiche, che saranno ampliate nel seguito del presente capitolo e nel successivo. Il luogo è il cenacolo, dove Gesù anticipò il dono di sé; il tempo è la sera, quando la comunità si riunisce per far memoria del suo Signore; il Vivente sta al centro, mostrando le ferite della sua passione; la pace e la gioia che ne scaturiscono sono il frutto dello Spirito, che abilita i discepoli alla loro missione di riconciliazione. Il corpo di Gesù, crocifisso e risorto, forma il corpo della Chiesa: è sorgente aperta in Gerusalemme, che lava peccati e impurità (Zc 13,1).
Pace a voi, dice Gesù: «Pace» (ebraico shalom) non è semplicemente il saluto abituale degli ebrei. Indica la pienezza di ogni benedizione messianica. È il dono di Gesù che dice: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (14,27), quella pace che il mondo non conosce. È la pace dell’amore che vince l’odio: «Abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo; ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo» (16,33).
Lo Spirito è consolatore
Visto che gli apostoli non ce la fanno, visto che manca loro energia e coraggio, idee e passione, Dio rifà la Creazione da capo.
L'esperienza della croce ha messo in luce il loro evidente limite, la loro inadeguatezza. Si sentono insicuri, si sentono incapaci. Sono fango.
E allora Dio prende il fango per creare una cosa nuova e il soffio, la ruah biblica, ora irrompe per dare vita, per ricreare, per forgiare santi.
Sono spaventati? Arriva la forza.
Sono insicuri e balbuzienti? La Parola li abita.
Sono divisi e diversi? La Pentecoste è l'antibabele e le nazioni si capiscono.
Sono oscurati dal proprio dolore? Lo Spirito è fuoco che scalda e illumina, come la colonna di fuoco che accompagna il popolo di fuga dalla schiavitù.
Sono rosi dal senso di colpa? Lo Spirito dona il perdono e la capacità di perdonare.
Ora sono pronti, ora sono discepoli.
Non per i loro meriti, non per le loro qualità, non perché sono "bravi cristiani", ma perché, infine, si lasciano abitare e devastare dalla forza di Dio.

In questo tempo, tempo della Chiesa, volto di Dio, tempo in cui siamo chiamati a rendere testimonianza al Signore, tempo della conversione alla gioia, aspettiamo il ritorno glorioso di Dio costruendo comunità.
Anche noi, come gli apostoli, dubitiamo. Per questo il Signore ci dona lo Spirito Santo, primo dono ai credenti, per essere resi capaci di quest'incarico di testimonianza, per diventare finalmente adulti.
Lo Spirito Santo è il grande dimenticato della nostra vita di fede e della nostra preghiera, il grande assente. Difficile da descrivere, difficile da immaginare (colomba? Fiammelle? Uhm...), dimenticandolo, rischiamo di ignorare l'essenziale della vita spirituale. Vita spirituale, cioè: vita nello Spirito Santo, dimensione essenziale per incontrare Dio.
Fatichiamo a capire la Parola? Manca lo Spirito che l'ha ispirata. Non ci spieghiamo quando parliamo? Manca lo Spirito che crea sintonia tra le persone. Abbiamo sentito – improvviso – il soffio di Dio nella nostra vita? Era lo Spirito creatore, che ancora plana sulle acque informi della Creazione e suscita la vita. Non riusciamo a perdonare? Accogliamo lo Spirito che ci rende capaci di perdonare e creare nuovi rapporti...
Ci vuole una presenza interna, intelligente e sottile, che ci permette di scrutare nel profondo la nostra vita, per potere scoprire Dio. O cambiano le cose intorno a noi, o cambia il nostro modo di vederle: perciò Gesù ci dona lo Spirito Santo.
Lo Spirito è presenza d'amore della Trinità, primo dono che Gesù fa agli apostoli, viene nominato con rispetto e con titoli straordinari da Gesù: "Vivificatore", "Consolatore", "Ricordatore", "Paraclito", invocato con tenerezza e forza dai nostri fratelli cristiani d'oriente.
Senza lo Spirito saremmo morti, esanimi, spenti, non credenti, tristi.
Esagero? No, è che lo Spirito, così discreto, così impalpabile, indescrivibile, è la chiave di volta della nostra fede, ciò che unisce tutto.
Siamo soli? Abbiamo l'impressione che la nostra vita sia una barca che fa acqua da tutte le parti? Ci sentiamo incompresi o feriti? Invochiamo lo Spirito che è Consolatore, e fa compagnia a chi è solo.
Ascoltiamo la Parola ma fatichiamo a credere, a fare il salto definitivo? Invochiamo lo Spirito che è Vivificatore, e rende la nostra fede schietta e vivace come quella dei grandi santi.
Facciamo fatica a iniettare Gesù nelle vene della nostra quotidianità, preferendo tenerlo in uno scaffale bello stirato da tirare fuori alla domenica? Invochiamo lo Spirito che ci ricorda ciò che Gesù ha fatto per noi.
Abbiamo l'impressione che la vita ci condanni? Sentiamo di essere messi all'angolo dal giudizio degli altri? Invochiamo il Paraclito, l'avvocato difensore (In Israele quando un accusato non riusciva a dimostrare la propria innocenza in tribunale, un anziano poteva decidere di alzarsi e mettere la mano sulla sua spalle, dimostrando così di credergli: era il paraclito).
Allora tutto si trasformerà. Tutto acquisterà un altro valore, un altro modo di vedere le cose.
Allora preghiamolo, invochiamolo… perché vi assicuro non è tempo perso il tempo dedicato ad invocarlo, a supplicarlo, a fargli vedere che lo aspettiamo.
Che entri lo Spirito, cha faccia violenza, che scardini tutte le nostre scuse e le nostre porte chiuse a doppia mandata. Che mandi in frantumi le nostre (finte) difese per risvegliare in noi l'ardore e il desiderio di amare!
Ne abbiamo un bisogno, urgente, ci è indispensabile, perché è lo Spirito che ci cambia il cuore, che lo riempie, che ravviva la nostra fede.

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