domenica 30 dicembre 2007

1 Gennaio 2008 - MARIA SS. MADRE DI DIO


“Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio.”

Far brillare il volto, splendido semitismo che indica il sorriso di una persona. Quando sorridiamo il nostro volto si illumina.
Dio sorride, ovvio. Chi ama, anche nelle avversità, sorride.
Il volto di Dio sorridente ci viene svelato dal neonato Gesù.
Dio sorride, non è imbronciato, né impenetrabile, né scostante, né innervosito.
Dio sorride, sempre. Il problema, semmai, siamo noi. Nei momenti di fatica e di dolore non guardiamo verso Dio, siamo travolti dall'emozione, non riconosciamo in Dio nessun sorriso.
Non aspettiamoci che Dio ci risolva i problemi, né che ci appiani la vita o ce la semplifichi.
La vita è mistero e come tale va accolta e rispettata.
Ma se Dio ci sorride, sempre, significa che esiste un trucco che non vediamo, una ragione che ignoriamo, e allora ci fidiamo.
Qualunque cosa succeda nella vostra vita, quest'anno, che Dio vi sorrida, fratello, sorella.

Per accorgerci del sorriso di Dio occorre imitare l'adolescente Maria.
Maria, che festeggiamo con il titolo di "Madre di Dio", è turbata dai troppi eventi che hanno caratterizzato l'ultima settimana: il parto da sola, l'essere lontana dalla sua casa, la sistemazione più che provvisoria, la visita dei loschi pastori. Cosa fa? Serba tutte queste cose meditandole nel suo cuore.
Meglio, Luca scrive che "prendeva i vari pezzi e cercava di ricomporli".
Manca un centro nella nostra vita, siamo travolti dalla vita vissuta. Come il bucato ammucchiato nella bacinella, ci serve un filo a cui appendere tutte le cose ad asciugare. Questo centro unificatore che è la fede ci è prezioso. Perché non assumerci l'impegno in questo 2008 che inizia, di ripartire da Dio, di mettere l'ascolto della Parola e la meditazione al centro della nostra giornata?
Solo così ci accorgeremo che Dio ci sorride.

Il primo gennaio, infine, da molti anni è dedicato alla preghiera per la pace.
Noi amanti della pace siamo amareggiati per tutto ciò che accade intorno a noi, nel mondo: violenza, guerre, arroganza, un'economia che alimenta ingiustizia; l'uomo sembra non imparare dalla propria storia, dai propri errori, forse non cambierà mai.
La lezione che ci viene dalla fede è semplice: solo un cuore in pace con se stesso, può diventare portatore di pace.
Questo pacifismo cristiano non è una moda da cavalcare, un atteggiamento istintivo, ma la scelta consapevole di chi ha incontrato la pace profonda che solo l'amore di Dio può dare.
Sono portatore di pace perché Dio ha convertito la mia violenza e la mia rabbia e se, talora, l'uomo vecchio emerge nelle mie azioni e in me, so che Dio solo è all'origine dell'accoglienza e della tolleranza.
Per accorgermi di questo devo continuamente convertire il mio cuore: troppa gente usa Dio per giustificare le proprie scelte di violenza.

"Signore, fa di me uno strumento della tua pace;
dov'è odio che io porti l'amore,
dove è offesa che io porti perdono,
dove è discordia, che io porti l'unione,
dove è l'errore, che io porti la verità,
è il dubbio che io porti la fede,
dove è disperazione che io porti la speranza,
dove è tristezza che io porti la gioia,
dove sono le tenebre, che io porti la luce.
Signore, che io cerchi non tanto di essere consolato, quanto di consolare;
di essere compreso, quanto di comprendere; di essere amato, quanto di amare.
Poiché è donando che si riceve; è perdonando che si è perdonati,
è morendo che si risuscita a vita eterna".

E allora ecco l’augurio che dobbiamo farci vicendevolmente: “Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio.”
E questo è anche il mio personale augurio, cordiale e sincero, a voi tutti fratelli carissimi: qualunque cosa accada, in questo nuovo anno, che possiate cogliere il volto sorridente di Dio.

domenica 23 dicembre 2007

25 Dicembre 2007 - NATALE DI NOSTRO SIGNORE


Vi annuncio una grande gioia: è nato il Salvatore!

È stanco Giuseppe, di bussare alle porte.
La gente socchiude la porta ma, appena vede, dietro di lui, quella ragazzina col pancione che scoppia, in sella a un ciuchino più stanco del suo padrone, scuote la testa dicendo che no, spiace, ma proprio non hanno posto, lo farebbero volentieri ma sono giorni pieni di gente che viene per il censimento.
Gli occhi di Giuseppe si spengono, ancora una volta, e si gira verso la sua sposa cercando di rassicurala con un sorriso impacciato, lui che è spaventato a morte.
«Presto, amore mio, sta nascendo»
Non ha tempo, Giuseppe, di imprecare, o di avere paura o di prendersela con quell'idiota di Imperatore che vuole contare i suoi sudditi, come se fosse Dio.
Una signora, finalmente, si intenerisce:
«Se volete ho il retro della casa, una piccola grotta fresca e pulita»
Va bene, va bene tutto, purché si faccia in fretta.
Nasce il primogenito di Giuseppe il falegname. Non è figlio suo ed è tutto avvolto dal mistero più fitto e luminoso. Ma va bene così, l'importante è avere trovato un luogo dove farlo nascere.
Giuseppe va a cercare un po' di cibo per sé e la sua sposa, del latte di pecora per il bambino.
Niente di straordinario: è nato un cucciolo d'uomo, tenero e fragile come ogni neonato.
Ma questa volta si tratta di Dio.

Eccolo. Lo avevano detto, i Profeti: Dio era stanco. La voce roca del Battezzatore aveva gridato a tutti di prepararsi: Dio, questa volta, non avrebbe mandato più nessuno. Lui sarebbe venuto.
Troppe incomprensioni con l'umanità, anche con l'amata sposa, Israele.
Dio non dona più la sua Parola ai profeti, viene a parlare di persona.
Dio nasce, cosa è più folle, inatteso, sconcertante, incredibile, drammatico, magnifico?
Dio nasce, diventa uomo. Dio si spoglia della sua divinità perché tutti noi possiamo essere avvolti dalla sua divinità. Dio viene a raccontarsi perché nessuno più vacilli: ecco il suo vero volto.
Allora essere uomini non dev'essere così male se Dio accetta di diventare uomo!
Allora esiste un modo di essere uomini che ci rende vicini a Dio e l'umanità, vissuta con intensità, può riservarci grandi sorprese.
Ti chiedo un favore, Gesù, un dono, in questo Natale: aiuta noi cristiani ad essere più uomini.

Sono seduto in una chiesa e guardo il presepe ormai pronto. Manca solo la statuina del bambinello.
Sorrido: ecco Dio; il Dio che qualcuno brandisce come un'arma, il creatore dell'Universo, l'inconoscibile, il Tutto: eccolo. Fa le smorfie, gli occhi socchiusi, cercando il seno della madre. Sorrido: non so che farmene di un Dio così.
Io voglio un Dio che mi risolva i problemi, non uno che me ne crei! Voglio un Dio potente, non il più fragile delle creature! Mi spaventa e mi inquieta il vero volto di Dio, non so se ho fatto un buon affare a credere nel Dio dei cristiani.
È solo, Dio. Pochi lo accolgono, gente ambigua, mezzi furfanti.
Che ridere... ora la madre adolescente tenta di addormentarlo.
Tace, Dio. Non dona spiegazioni. Tace.
Ti chiedo un altro favore, Gesù: aiuta noi cristiani a non pensarti sulle nuvole, dopo tutta la fatica che hai fatto per venire in mezzo a noi.

È segno di contraddizione un Dio così. Innocuo, inerme, suscita violente reazioni in chi non lo accoglie. Accetta, corre il rischio: l'amore lascia liberi, ovvio. Dio corre il rischio di non essere riconosciuto.
Molti stanno vivendo un Natale da dimenticare: dolore, malattie, solitudine, fame, miseria.
Guardo il neonato che ora dorme, ignaro. E se fosse tutto così semplice?
Se, davvero, la vita fosse spogliazione e dono?
Un mistero da vivere più che da indagare e risolvere?
Ti chiedo un favore, Gesù, un ultimo dono, in questo Natale: fai un sorriso a chi non ne può più.
È Natale, che bello, Dio non si è ancora stancato di noi.

No, Dio non si è stancato di noi. Ma non volendo più essere accantonato, essere frainteso, usato, non volendo essere più tirato in ballo per coprire le vergognose nudità della nostra pigrizia, esausto dall'essere tirato per la giacchetta a benedire ogni guerra, depresso per essere accusato di colpe che non ha, decide di diventare uomo, di condividere in tutto la nostra umanità, di raccontarsi.
Un gesto d'amore semplice, folle, inconcepibile: Dio diventa uomo, abbandona la sua divinità. Scorda la sua onnipotenza, per sperimentare tutto il dolore che l'uomo sperimenta e la fragilità e lo sbandamento.
E perché nessuno possa accusare Dio di essere diventato uomo in modo privilegiato, sceglie di diventare uomo nel più povero dei modi, nel più misero dei tempi, affidato all'imperizia di una coppia di generosi e umili provinciali, esule, costretto a nascere in un luogo sconosciuto a causa del delirio di onnipotenza di un Imperatore oppressore.
Il Verbo di Dio, il sorriso della Trinità, abita il corpo del figlio di Maria.
Jeoshua bar Joseph verrà chiamato, Gesù, figlio di Giuseppe, falegname a Nazareth di Galilea.
Nella notte fredda del deserto, a Betlemme, luogo che ha visto nascere Davide figlio di Jesse, re potente in Giudea, in una grotta che serviva a dare riparo ai pastori, disprezzati lavoranti del tempo, sottopagati e clandestini, il Figlio di Dio irrompe nella storia, l'assoluto che neppure l'universo contiene è abbracciato teneramente da una madre tredicenne.
Ecco: la storia si ferma, il tempo è compiuto, gravido, il cielo ha donato il giusto delle genti.
Ora tocca a noi. È tempo della nostra conversione del cuore.

Questo è Dio, fratelli, il Dio di Gesù, il Dio dei cristiani, il Dio vero.
Non quello piccino e meschino delle predicazioni, non quello incostante e terribile delle nostre paure. Dio è un neonato con gli occhi socchiusi e la pelle grinzosa che Maria stringe forte a sé, per ripararlo dal rigore della notte, un neonato che cerca il piccolo seno della madre per allattare, un neonato tenero e fragile.
Siamo spiazzati, vero?
Vorremmo un Dio potente, che ascolta la nostra preghiera, che esaudisce le nostre richieste, e ci troviamo un Dio che ci chiede aiuto. Vorremmo un Dio decisionista, disposto a cambiare i destini della storia, punendo i malvagi, e invece proprio i malvagi vogliono ucciderlo. Ci immaginiamo un Dio che abita nel Tempio e che viene accolto dagli uomini del sacro che, invece, non escono da Gerusalemme per andare a verificare la sconcertante notizia portata da alcuni ricchi stranieri d'oriente. Dio è diverso, fratelli, tutto qui.

Se Dio è così significa che ama l'umanità al punto da diventare uomo.
Essere uomini è bello, essere uomini è talmente bello che Dio vuole essere uno di noi.
Bello il colore della terra in primavera, il volo degli uccelli, la luce accecante dell'estate, l'odore della neve, il cibo caldo preparato con amore, l'odore del legno appena piallato, il sorriso sincero dell'amico, l'abbraccio tenero e affettuoso del padre che torna stanco dal lavoro. Questa umanità che odora di fritto e di sudore, di fumo e di paura, povera e inquieta, incerta del futuro, è il luogo che Dio abita e trasfigura.
Se Dio è così significa che Dio è accessibile e ragionevole, tenero e misericordioso.
Che l'idea di un Dio potente da tenere a bada, che si fa gli affari suoi, sommo egoista bastante a se stesso, è fasulla e pagana, che Dio ama, prima di essere amato, che non ti risolve i problemi ma li condivide, che ti invita a vedere le cose in modo diverso.
Se Dio è così significa che ha bisogno di noi, come ha avuto bisogno di una madre e di un padre.
E che io posso riconoscere Dio e servirlo in ogni sconfitto, in ogni povero, in ogni abbandonato.
Che la fragilità degli uomini è il luogo che Dio vuole abitare, che, se vivo questo Natale con la morte nel cuore, allora è esattamente la mia festa, perché Dio abita anche la stalla della mia vita. Nella notte profonda.
Se Dio è così.

«Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1). Ecco dunque, il nostro mondo è avvolto dalle tenebre e noi siamo stanchi di vivere così!
Noi abbiamo bisogno di voltare pagina e di iniziare una storia nuova, una stagione nuova della vita, in cui solo Cristo, la Luce del mondo, può essere la nostra bussola! Siamo stanchi di sottoporci alle strutture di peccato e di morte che annientano quella dignità umana che oggi Cristo Gesù ha assunto.
Il Bambino di Betlemme ci spalanca le sue braccia, attende la nostra sincera adorazione! Egli è la luce che brilla in mezzo a noi, in mezzo al nostro mondo senza pace! Per questo, ciascuno di noi può sentirsi irradiato dallo splendore della Luce di Dio.

«Un bambino è nato per noi» (Is 9,5).
Ai nostri giorni, con tutta la buona volontà, credo sia difficile cogliere il Natale: quanti problemi accompagnano le nostre famiglie e l'intera società: malattie, guerre, terrorismo, i poveri che diventano sempre più poveri e i ricchi che diventano sempre più ricchi... Non possiamo pensare di celebrare il Natale con le luci, i pranzi, le cene, i regali...
La pagina di Isaia che abbiamo ascoltato è un grande annuncio di gioia per il mondo: se Dio rinnova per noi il suo Natale è segno che Egli non si è ancora stancato di amarci, di darci fiducia, di offrirci il suo perdono e la sua pace, di farci dono della salvezza! Ai nostri giorni Dio non si è stancato di bussare alla porta del nostro cuore e di attendere la nostra accoglienza sincera e definitiva.
Egli vuole ancora incarnarsi nei nostri cuori e nella nostra società, dove i valori sembrano cancellati dalla memoria, dove l'uomo uccide ancora e brama vendetta, dove aumentano gli abusi sulle donne e sui minori, dove la droga continua a diffondere i paradisi artificiali della morte...

«E' apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Tt 2,11).
Il mistero dell'Amore di Dio è in quel Bambino che vediamo nel presepe!
L'atmosfera del Natale è sempre bella, perché è capace di diffondere davvero tanta bontà, tanta felicità, tanti sorrisi... doni semplici che nulla hanno a che vedere con il consumismo di questi giorni! Ma Natale può essere anche ogni giorno, se il nostro cuore pulsa d'amore per il fratello che ci sta accanto, con cui condividiamo la strada, la scuola, il lavoro, l'impegno in Parrocchia... La nostra salvezza è l'Amore, l'Amore di Dio che accogliamo e che siamo capaci di condividere con i fratelli, soprattutto con quelli afflitti da antiche e nuove povertà.

«... lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo» (Lc 2,7).
In quest'ora in cui i nostri cuori sono a Betlemme per contemplare la nascita del Salvatore, non possiamo non guardare a Maria e Giuseppe nella difficoltà: non c'è un luogo stabile per accogliere il Figlio di Dio, oggi come allora!
Dio nasce ancora oggi in luoghi peggiori della mangiatoia e spesso viene anche ucciso, perché scomodo! Pensiamo alle tante vite, che oggi non hanno più dignità, che vengono uccise perché considerate un "errore" di giovinezza o un "prodotto" non desiderato di laboratorio...
Ancora oggi non vogliamo fare posto a Dio che si fa' uomo per noi, perché – lo sappiamo bene – Lui ci è troppo scomodo, è troppo esigente, dovremmo fare troppe rinunzie...
Fratelli carissimi, non c'è posto per il Figlio di Dio in questo mondo se non c'è posto per la vita, se non c'è posto per l'Amore!

«Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,10-11).
E' l'annuncio dell'angelo ai pastori che vegliavano il gregge nella gelida notte. Ma è anche l'annuncio che giunge a noi e che noi dobbiamo portare al mondo, se vogliamo davvero dare un senso alla nostra presenza qui, adesso!
Per tanti, probabilmente, non sarà Natale, perché hanno perso un loro congiunto in tenera età, o perché il dolore ha bussato alla loro porta con un male incurabile, o perché non sanno con chi condividere la gioia di questo giorno... Certo, è difficile poter pensare alla gioia ed alla festa di questo giorno che è spuntato.
Ma, come cristiani autentici, dobbiamo compiere il gesto di contagiare il mondo di gioia e, specialmente, tutte quelle persone che ora sono in difficoltà per i motivi sopra accennati e per altri ancora!
E' Natale se sappiamo dire a tutti che Dio è con noi, è dalla nostra parte sempre, è sempre pronto a nascere ed immolarsi per noi!

«Cantate al Signore un canto nuovo» (Sal 97).
Vogliamo uscire dalla chiesa davvero rinnovati, raggianti della luce di Betlemme, non più camminatori stanchi "in questa valle di lacrime", ma viandanti pieni di speranza verso il Cielo, quel Cielo che oggi tocca la terra e la inonda d'Amore senza fine.
Vogliamo dare lode a Dio con Maria, la Madre di Dio e la Mamma nostra celeste.
Diciamo "Grazie!" a Lei, per averci donato Gesù! E vogliamo pregarla di tenerci tutti tra le sue braccia come tenne il Figlio di Dio fatto uomo: il suo Amore materno possa raggiungere il nostro cuore e consolarci di quella speranza che è novità di vita.

giovedì 13 dicembre 2007

16 Dicembre 2007 - III DOMENICA DI AVVENTO


Dobbiamo aspettarne un altro?
Il Giovanni che incontriamo oggi è ben diverso da quello esaltato e scontroso della scorsa settimana. Ora Giovanni è in carcere, sa che sta per essere giustiziato a causa della sorda rabbia di una concubina e dalla debolezza di un re-fantoccio, ha vissuto tutta la sua acida vita solo per preparare la strada al Messia, lo ha riconosciuto il Messia, nascosto tra la folla dei penitenti che giungevano a farsi battezzare.
Ma ora è perplesso, Giovanni, dubbioso. Le notizie che gli giungono dai suoi discepoli lo lasciano costernato. Il Messia non sta seguendo le sue orme, non incita con veemenza la gente, ha assunto un profilo basso, mediocre. Giovanni (ricordate?) minacciava la vendetta di Dio, il fuoco divorante. Gesù, invece, propone un perdono incondizionato, rimette le colpe, non minaccia né attua vendetta, dice che quel fuoco lo vuole accendere, certo, ma a partire dall'amore, non certo dal timore. Troppo diverso questo Messia dal Messia atteso da Giovanni e da Israele, troppo diverso.

Dio ci spiazza sempre, è sempre radicalmente diverso da come ce lo immaginiamo. Anche le persone che, come Giovanni, vivono la radicalità della fede, rischiano di costruirsi un Dio a propria immagine e somiglianza. La venuta di Dio che Giovanni – e noi – si aspetta, è una venuta evidente, un irrompere nella storia con fragore assordante e schiere di angeli. Ce lo immaginiamo così, Dio, inutile nasconderselo. Gesù, invece, ci svela il volto di un Dio celato, evidente, sì, ma non banale, pieno di ogni tenerezza e sensibilità. Abituati, come Giovanni, a dividere il mondo in buoni e cattivi, i buoni (spesso noi!) da salvare e i cattivi da punire, per rimettere un po' in sesto il palese squilibrio di questo mondo, che premia gli arroganti e bastona i giusti.
Gesù ci spiazza svelandoci che Dio, invece, divide il mondo in chi ama, o cerca di amare, o almeno si lascia amare, e chi no. E l'amore è una possibilità immensa, l'unica cosa che tutti ci lega. Non i risultati, non gli sforzi, non le buone azioni ci salvano, no, ma la volontà di amare nella fragilità di ciò che siamo o che vorremmo essere.
Siete certi di Dio? Riprendete in mano il Vangelo e chiedete nella preghiera, a Dio, di condurvi nell'autenticità, sempre. Siete pieni di dubbi? Anche il più grande degli uomini, l'ultimo dei profeti, è stato assalito dai dubbi.

E Gesù, ovvio, non dà una risposta ai discepoli del Battista. La fede non è evidente, Dio non è il risultato di un ragionamento scientifico, niente "prove" nella fede. Indizi, solo deboli indizi che lasciano intatta l'ambiguità del segno. Non è Dio che deve dimostrare qualcosa, sono io che devo cambiare ed accorgermi. Gesù elenca i segni messianici profetizzati da Isaia e dice a suo cugino: "Guardati intorno, Giovanni".
Guardiamoci intorno e riconosciamo i segni della presenza di Dio: quanti fratelli hanno incontrato Dio, gente disperata che ha convertito il proprio cuore, persone sfregiate dal dolore che hanno imparato a perdonare, persone accecate dall'invidia o dalla cupidigia che hanno messo le ali e ora sono diventati gioia e bene e amore quotidiano, crocefisso, donato.
Che sia questo il problema principale? Una miopia interiore che ci impedisce di godere della nascosta e sottile presenza di Dio? Prepararsi al Natale significa, allora, convertire lo sguardo, accorgersi che il Regno avanza, è presente, che io posso renderlo presente.
Impariamo a riconoscere i segni della presenza di Dio, alziamo lo sguardo dal nostro dolore per accorgerci della salvezza che si attua nelle nostre soffocate città.

La domanda o la perplessità di Giovanni Battista è la nostra: Sei tu.. o dobbiamo attenderne un altro? Sei davvero il Salvatore, l'unico, l'indispensabile?... Sei tu quello buono, o siamo ancora alle promesse, parole parole...! In sostanza: Cristo serve? Vale ancora per la nostra storia e società? Per la mia vita personale? O è anche questa una delle illusorie speranze di moda cui ogni tanto l'umanità s'abbandona volentieri?
C'è una speranza con garanzia? C'è un futuro sicuro e quindi sereno?
La perplessità di Giovanni è molto concreta. Aveva sognato e predicato un Messia potente e giudice: "Già la scure è alla radice dell'albero...; Egli ha in mano il ventilabro"; - finalmente è arrivato il castigamatti, finalmente giustizia sarà fatta, finalmente si volta pagina - .. ed invece eccolo, questo Messia, tra i peccatori, pieno di misericordia e perdono, per nulla rispondente alle attese che gli uomini hanno di Dio e di un suo intervento nella storia. Non cambia niente: i prepotenti Romani comandano ancora, i presuntuosi farisei si credono ancora i più giusti e impongono le loro regole e leggi! Come capita oggi: duemila anni di cristianesimo,... che cos'è cambiato? Come prima, o peggio di prima, gli uomini se ne infischiano di Dio, ciascuno si fa gli affari suoi e le sue prepotenze, e.. ben stupido è chi s'aspetta qualcosa di diverso, chi crede a qualche speranza, chi si aspetta qualcosa di più grande! Dov'è Dio?
"Andate a dire a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano....". Riferite i fatti. Questi fatti dicono una speranza trovata! Quello che Isaia aveva predetto, come espressione d'anelito umano e come promessa di Dio, - "Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto" -, in Gesù si attua e invera, ponendo i segni precisi della novità del Regno, significando con le opere la sua missione di Messia e salvatore definitivo. In altre parole, Gesù dice: il Messia sono io. Io sono quello che tu aspetti. Io pongo i gesti che cambiano la storia e il destino umano. I fatti della nostra salvezza si sono attuati, le premesse e gli strumenti per il rinnovamento ci sono. Nella sua stessa persona - con la risurrezione - il male e la morte sono sconfitti. Il futuro è già iniziato. Il risultato finale è garantito.

Certo: per chi vuole tutto e subito; certo, per chi pensa a Dio come a una bacchetta magica che risolve tutto scavalcando la libertà e la collaborazione dell'uomo, .. questo tipo di speranza può essere una delusione, può essere uno scandalo. Giovanni Battista che aspettava un Messia giudice potente che avrebbe schiacciato i nemici, ne rimane un po' deluso. Chi è chiuso entro il perimetro umano e misura solo col metro delle sue scarse risorse, non avrà che da lamentarsi, giudicare, accusare gli altri, essere sempre in cerca di un capro espiatorio. "Non lamentatevi, fratelli - ci esorta san Giacomo -, gli uni degli altri: ecco, il giudice è alle porte". Gli manca la risorsa decisiva, quella di capire che un Dio s'è accompagnato Lui stesso all'uomo, per percorrere assieme la lunga strada della restaurazione e dell'autentico sviluppo, con gli argini sicuri però della verità e la forza risanante della grazia.
"Guardate l'agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d'autunno e le piogge di primavera". E' l'immagine più bella della nostra speranza cristiana: il contadino non dubita del raccolto finale, la terra non delude. Ha pazienza e sta al suo ritmo; vive la serenità di possedere le garanzie della riuscita finale. Noi cristiani abbiamo già chiaro e certo il nostro destino finale di riuscita: l'unica variabile è la nostra adesione, l'unica incertezza è la nostra libertà! Ma questo non ci deve far dimenticare che il futuro è già imbrigliato, che la svolta è già avvenuta, che il domani è già stato deciso dai fatti di ieri. Questo in fondo andiamo a fare a messa ogni domenica: far memoria di quella vittoria di Cristo per illuminare di serenità il nostro futuro.

giovedì 6 dicembre 2007

9 Dicembre 2007 - II DOMENICA DI AVVENTO


Cristo nasce, ma... è già nato nel nostro cuore?
Natale porta con sé questa domanda ineludibile, nascosta sotto le tonnellate di regali e di buonismo, con cui rischiamo di soffocare il messaggio crudo e devastante dell'incarnazione, lo scandalo del Natale.
Dio viene: c'è ancora qualcuno disposto ad accoglierlo?
L'avvento ci ricorda delle tre venute di Cristo: nella storia, nella gloria e in ciascuno di noi. Molti cristiani pensano di essere tali semplicemente perché credono nella venuta nella storia del Signore Gesù. Non c'è bisogno di essere cristiani per crederlo!
Diventare discepoli significa invece far nascere (ri-nascere per alcuni) la presenza interiore di Dio.
Dopo la prima domenica forte, tesa a svegliarci dal rischio di lasciarci passare la vita addosso, a non accorgerci della salvezza, del volto sorridente di Dio, del destino di ogni uomo, ci raggiunge oggi il grido forte e inquietante del Battista, grande asceta e uomo carismatico che invita la gente alla conversione, e non certo con parole dolci!

La conversione – sembra dirci il Battista – è il modo migliore per accogliere il Signore, per essere presi mentre stiamo "alla mola", (ricordate?), per trovare senso a ciò che facciamo.
Giovanni, con la sua vita, proclama il primato di Dio sulla vita, richiama tutti ad uscire da una visione stereotipata e immobilista della fede per incontrare l'inaudito di Dio. Persone ragguardevoli e devote come i farisei vengono duramente criticate, la loro innegabile fede è annientata da un ritualismo esasperato. Severo monito per chi, tra noi, vive a servizio delle comunità, siamo chiamati a interrogarci continuamente sul rischio dell'abitudine alla fede. Simile alla sindrome dell'altronatale, anche la più autentica devozione rischia di sconfinare nell'esteriorità, svuotando la fede dall'incontro con Dio.
Giovanni è un profeta austero, ancora tutto legato all'Antico Testamento. Fedele al modello del profeta coerente e severo, minaccia punizioni divine. Dico sempre, scherzando, che Giovanni è l'ultimo e il più sfortunato dei profeti: minaccia vendetta e castighi divini. Poi, arriverà Gesù a svelare che, invece, Dio non punisce ma ama e perdona!
Il volto di Dio che Gesù svela nel Natale è così inaudito e inatteso che Giovanni stesso stenterà a riconoscerlo...
Abbiamo bisogno di profeti, e profeti ancora abitano le nostre grigie città.

Persone all'apparenza normali e che, pure, sanno parlare in nome di Dio, sanno leggere il presente alla luce della fede. Perché il profeta non predice il futuro (quello è l'indovino!) ma ci aiuta a capire il presente. E Dio solo sa di quanti profeti necessitiamo per riuscire a discernere un percorso di fede nella faticosa vita quotidiana!
Il Dio che il Battista annuncia, il Dio che aspettiamo è il Dio che brucia dentro, che spazza via con forza i timori, un Dio forte e impetuoso! Un fuoco che divampa bruciando le lentezze, divorando impetuoso e forte. Giovanni ammonisce: non basta rifugiarsi dietro alla tradizione ("abbiamo Abramo come padre!") o in una fede esteriore, di facciata, di coscienza tiepida ("fatte frutti degni di conversione"). Colui che viene chiede reale cambiamento, scelta di vita, schieramento.
Dio – diventando uomo – separa la luce dalle tenebre, obbliga ad accoglierlo o a rifiutarlo.
Finché Dio è sulle nuvole, da invocare per chiedere un miracolo o da insultare perché il miracolo non è avvenuto, è un conto. Ma qui parliamo di un Dio neonato! Un Dio indifeso che frantuma le nostre teorie approssimative sulla natura divina, un Dio mite e fragile, che chiede ospitalità e non vana devozione.

Siamo invitati a riconoscere i profeti intorno a noi, siamo chiamati a diventare profeti.
Non c'è bisogno di vestire pelli di cammello, ma di essere trasparenza di Dio, lasciare che il fuoco che Gesù è venuto ad accendere divampi nell'oscurità della nostra vita e dia luce a chi incontreremo.
Niente crocifissi al collo o padrepii sui cruscotti, no, ma un'unica notizia, che è quella che Matteo mette in bocca al Battista e che è il cuore dell'annuncio di Gesù. E del nostro: "Accorgiti che il Regno si è fatto vicino".
Diciamolo a tutti, fratelli, Dio si è avvicinato, è incontrabile, conoscibile, presente, evidente.
Allora coraggio, imitiamo il Signore Gesù, come chiede Paolo ai cristiani di Roma, rendiamo presente la profezia (splendida!) di Isaia che sogna un bambino che gioca con la vipera, e il leone e il capretto che giocano insieme... e questo è quel tempo, tempo in cui porre gesti di pace e di solidarietà autentica.
Grande Giovanni, amico dello sposo, che ci scuoti dalle nostre tiepidezze, che sbricioli le nostre fragili verità, le nostre assonnate parole, le nostre svuotate celebrazioni.
Animo, fratelli, questo è davvero il tempo di preparare la strada al Signore che viene, questo è davvero il tempo di schierarsi, di accogliere questo Dio sempre inatteso, sempre diverso.