Sacramento della carità, la Santissima Eucaristia è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l'amore infinito di Dio per ogni uomo. In questo mirabile Sacramento si manifesta l'amore «più grande», quello che spinge a «dare la vita per i propri amici». Gesù, infatti, "li amò fino alla fine". Con questa espressione, l'Evangelista introduce il gesto di infinita umiltà da Lui compiuto: prima di morire sulla croce per noi, messosi un asciugatoio attorno ai fianchi, Egli lava i piedi ai suoi discepoli. Allo stesso modo, Gesù nel Sacramento eucaristico continua ad amarci «fino alla fine», fino al dono del suo corpo e del suo sangue. Quale stupore deve aver preso il cuore degli Apostoli di fronte ai gesti e alle parole del Signore durante quella Cena! Quale meraviglia deve suscitare anche nel nostro cuore il Mistero eucaristico!
Nel Sacramento dell'altare, il Signore viene incontro all'uomo, facendosi suo compagno di viaggio. Infatti, il Signore si fa cibo per l'uomo affamato di verità e di libertà. Poiché solo la verità può renderci liberi davvero, Cristo si fa per noi cibo di Verità.
«Mistero della fede!». Con questa espressione pronunciata immediatamente dopo le parole della consacrazione, il sacerdote proclama il mistero celebrato e manifesta il suo stupore di fronte alla conversione sostanziale del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore Gesù, una realtà che supera ogni comprensione umana. In effetti, l'Eucaristia è per eccellenza «mistero della fede»: "è il compendio e la somma della nostra fede". La fede della Chiesa è essenzialmente fede eucaristica e si alimenta in modo particolare alla mensa dell'Eucaristia. La fede e i Sacramenti sono due aspetti complementari della vita ecclesiale. Suscitata dall'annuncio della Parola di Dio, la fede è nutrita e cresce nell'incontro di grazia col Signore risorto che si realizza nei Sacramenti: «La fede si esprime nel rito e il rito rafforza e fortifica la fede». Per questo, il Sacramento dell'altare sta sempre al centro della vita ecclesiale; «grazie all'Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo!». Quanto più viva è la fede eucaristica nel Popolo di Dio, tanto più profonda è la sua partecipazione alla vita ecclesiale mediante la convinta adesione alla missione che Cristo ha affidato ai suoi discepoli. Di ciò è testimone la stessa storia della Chiesa. Ogni grande riforma è legata, in qualche modo, alla riscoperta della fede nella presenza eucaristica del Signore in mezzo al suo popolo.
Il pane disceso dal cielo. La prima realtà della fede eucaristica è il mistero stesso di Dio, amore trinitario. Nel dialogo di Gesù con Nicodemo, troviamo un'espressione illuminante a questo proposito: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui». Queste parole mostrano la radice ultima del dono di Dio. Gesù nell'Eucaristia dà non «qualche cosa» ma se stesso; egli offre il suo corpo e versa il suo sangue. In tal modo dona la totalità della propria esistenza, rivelando la fonte originaria di questo amore. Egli è l'eterno Figlio dato per noi dal Padre. Nel Vangelo ascoltiamo ancora Gesù che, dopo aver sfamato la moltitudine con la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ai suoi interlocutori che lo avevano seguito fino alla sinagoga di Cafarnao, dice: «Il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo», ed arriva ad identificare se stesso, la propria carne e il proprio sangue, con quel pane: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Gesù si manifesta così come il pane della vita, che l'eterno Padre dona agli uomini. Anche il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, riportato da tutti e quattro gli evangelisti, vuole rendere presente, attuale, manifesta, la potenza divina, richiamando la folla, che seguiva Gesù con la curiosità di chi cerca il nuovo, l'inusuale, al vero senso della vita, che poi è corrispondere all'amore e alla chiamata di Dio. Nella narrazione di questa azione portentosa di Gesù, però, viene usato un linguaggio liturgico, tipico della celebrazione dell'Eucaristia. Si può pensare, allora, che sin dalla catechesi primitiva i catechisti tenessero il miracolo in relazione all'Eucaristia, poiché Gesù, probabilmente, intendeva compiere un segno per rimandare, per anticipare la comprensione dell'Eucaristia che avrebbe istituito.
Il significato più evidente del miracolo è che Gesù, Parola che si fa carne, nutre gli uomini, sazia la loro fame, colma la loro indigenza, è refrigerio per la loro sete. I cinque pani d'orzo rimandano, con tutta probabilità, alla consuetudine di preparare l'Eucaristia proprio con pani d'orzo, che era il pane dei poveri, della gente più povera. Ebbene Gesù "prese quei pani, li
benedisse, li spezzò". È un richiamo evidente all'Ultima Cena, quando l'Eucaristia viene istituita. Distribuiti i pani e i pesci, dopo che i presenti si furono saziati vennero raccolte dodici ceste di parti avanzate Gesù Cristo che si distribuisce, che si fa a pezzi per fare unità, dimostra una passione per l'unità della Chiesa che è eminentemente eucaristica.
Perciò quando si celebra l'Eucaristia, quando si adora il mistero eucaristico, bisogna bruciare nel desiderio dell'unità e bisogna fare quello che Gesù ha fatto: "Fate questo in memoria di me"; cioè dare la carne e dare il sangue perché sia fatta unità. Ma più facilmente, per fare unità saremo in grado di dare una piccola mortificazione d'orgoglio, oppure un silenzio, oppure di contenere uno scatto di nervosismo che ognuno di noi può avere quando la sua suscettibilità è stata ferita. Si potranno evitare calunnie e pregiudizi, insofferenze e divisioni; si potrà perdonare con il cuore, guardarsi negli occhi con simpatia, sentirsi vicini, fratelli nella costruzione del Regno.
L'Eucaristia, dunque, è un miracolo, in quanto segno della presenza di Dio, per mezzo di Cristo, nel suo popolo, tra la sua gente. L'Eucaristia è un segno efficace, che cioè produce ciò che significa. In essa la presenza di Cristo non è soltanto ricordata, ma è reale. Gesù è presente, in quel pane e in quel vino che rendono i fedeli membra vive del suo Corpo. È proprio vero: "Se la gente conoscesse il valore dell'Eucaristia, l'accesso alle chiese dovrebbe essere regolato dalla forza pubblica" (Santa Teresa di Lisieux).
venerdì 4 giugno 2010
giovedì 27 maggio 2010
30 maggio 2010 - SS. Trinità
La Trinità. Il mistero dei misteri, tanto grande (come tutto ciò che concerne Dio) da eccedere l'umana capacità di comprenderlo fino in fondo, in una certa misura si lascia intuire nel mostrarsi "all'opera". Un po' come quando noi conosciamo una persona dal modo in cui si comporta.
Il comportamento di Dio risulta assai eloquente. Anzitutto rivela che Dio non è solitario, ma è un insieme di persone: e ciò invita a considerare l'umanità, che non è fatta di esseri solitari ma destinati a vivere insieme. Inoltre, le tre divine Persone sono tra loro in comunione, operano all'unisono, con gli stessi intenti, in perfetto accordo. E' un invito agli uomini a fare altrettanto, cercando l'accordo ai diversi livelli della vita comune: tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra parenti o amici, tra connazionali, tra i popoli.
Ancora, l'operato delle tre divine Persone indica che Dio non se ne sta isolato nella sua perfetta autosufficienza, indifferente e insensibile rispetto a noi, ma è interessato al nostro bene. Dio è amore, e l'amore che lega in unità il Padre, il Figlio e lo Spirito si riversa su di noi, anche in ciò presentandosi come un modello: se l'amore che lega tra loro un uomo e una donna, o un gruppo di amici, o i componenti di un'intera nazione, dovesse restare esclusivo, non si aprisse a considerare gli altri, non sarebbe vero amore ma un egoismo di gruppo. Dio è tutto tranne che egoismo; quello che ha fatto, in particolare quanto abbiamo appena celebrato con la Pasqua, dimostra che egli si apre a noi, ci coinvolge nella sua stessa vita.
Ovviamente, ogni vero amore non si impone ma si propone, non pretende di essere accettato ma si offre. E così fa Dio con noi, rispettando quella libertà che lui stesso ci ha dato. In proposito è eloquente un suggestivo passo della Scrittura (Apocalisse 3,20-22) in cui Gesù dice: "Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. E lo farò sedere con me, sul mio trono, come io siedo con il Padre mio sul suo trono". E conclude: "Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese".
Anche in questo brano è richiamata la Trinità (parla il Figlio, citando il Padre e lo Spirito), che invita, si offre. Ecco, io sto alla porta e busso: quante volte Dio bussa alla porta della nostra coscienza distratta, se persino il grande Agostino ha potuto dire: Timeo Deum transeuntem, Ho timore che Dio mi passi accanto e io non me ne accorga. Siamo distratti; siamo liberi anche di badare ad altro; ma c'è di meglio nella vita che aprire la nostra porta per accogliere Dio?
Il comportamento di Dio risulta assai eloquente. Anzitutto rivela che Dio non è solitario, ma è un insieme di persone: e ciò invita a considerare l'umanità, che non è fatta di esseri solitari ma destinati a vivere insieme. Inoltre, le tre divine Persone sono tra loro in comunione, operano all'unisono, con gli stessi intenti, in perfetto accordo. E' un invito agli uomini a fare altrettanto, cercando l'accordo ai diversi livelli della vita comune: tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra parenti o amici, tra connazionali, tra i popoli.
Ancora, l'operato delle tre divine Persone indica che Dio non se ne sta isolato nella sua perfetta autosufficienza, indifferente e insensibile rispetto a noi, ma è interessato al nostro bene. Dio è amore, e l'amore che lega in unità il Padre, il Figlio e lo Spirito si riversa su di noi, anche in ciò presentandosi come un modello: se l'amore che lega tra loro un uomo e una donna, o un gruppo di amici, o i componenti di un'intera nazione, dovesse restare esclusivo, non si aprisse a considerare gli altri, non sarebbe vero amore ma un egoismo di gruppo. Dio è tutto tranne che egoismo; quello che ha fatto, in particolare quanto abbiamo appena celebrato con la Pasqua, dimostra che egli si apre a noi, ci coinvolge nella sua stessa vita.
Ovviamente, ogni vero amore non si impone ma si propone, non pretende di essere accettato ma si offre. E così fa Dio con noi, rispettando quella libertà che lui stesso ci ha dato. In proposito è eloquente un suggestivo passo della Scrittura (Apocalisse 3,20-22) in cui Gesù dice: "Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. E lo farò sedere con me, sul mio trono, come io siedo con il Padre mio sul suo trono". E conclude: "Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese".
Anche in questo brano è richiamata la Trinità (parla il Figlio, citando il Padre e lo Spirito), che invita, si offre. Ecco, io sto alla porta e busso: quante volte Dio bussa alla porta della nostra coscienza distratta, se persino il grande Agostino ha potuto dire: Timeo Deum transeuntem, Ho timore che Dio mi passi accanto e io non me ne accorga. Siamo distratti; siamo liberi anche di badare ad altro; ma c'è di meglio nella vita che aprire la nostra porta per accogliere Dio?
giovedì 20 maggio 2010
23 maggio 2010 - Pentecoste
"Il giorno di Pentecoste - come oggi - mentre gli apostoli erano riuniti in preghiera, con Maria, venne all'improvviso dal cielo un tuono, come di vento impetuoso, che riempì tutta la casa. Apparvero lingue come di fuoco che si posarono su ciascuno di loro ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare..."
Si avvera la grande promessa di Gesù: "Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore, lo Spirito Santo, perché rimanga con voi per sempre"; "Avrete forza dallo Spirito Santo e mi sarete testimoni in Gerusalemme... e fino ai confini della terra".
Il giorno di Pentecoste avviene questa grande effusione dello Spirito; in quel giorno ha inizio la grande missione della Chiesa: missione di annuncio e di testimonianza, missione di amore e di salvezza. Questa avventura della Chiesa, questa opera dello Spirito Santo continua ancora, anzi si intensifica, in ogni tempo e in ogni luogo...fino ai confini della terra.
Lo stesso Spirito è stato infuso anche nei nostri cuori. Noi siamo stati battezzati nel Padre, nel Figlio, nello Spirito Santo.
Chi è lo Spirito Santo? È Dio come il Padre e come il Figlio; è l'amore e l'unità profonda tra il Padre e il Figlio: questo amore infinito è la terza Persona della Trinità.
Nella Trinità è la forza creatrice: lo Spirito è all'inizio della creazione e la sostiene continuamente: "lo Spirito si librava sulle acque", "del tuo Spirito è piena tutta la terra". E' all'inizio della Redenzione e sostiene tutta l'opera di Cristo: "quel che è nato in Maria è opera dello Spirito Santo", "Gesù fu condotto dallo Spirito...". Lo Spirito è all'inizio e sostiene tutta l'opera della Chiesa; lo Spirito sostiene e dà forza alla vita di ciascuno di noi.
Tutto il bene che c'è nell'universo e in noi è opera dello Spirito: Egli è luce, forza, perdono, grazia, fedeltà, novità, speranza, creatività. Egli è sempre davanti a noi, con le sue imprevedibili sorprese. Egli è l'anima della Chiesa e di ciascuno: è il principio della mia preghiera, del mio amore, di tutte le virtù, di tutto ciò che si compie nella Chiesa e nel mondo.
Lo Spirito Santo ci abita: è il dolce ospite dell'anima; noi siamo tabernacolo, tempio dello Spirito. E S. Paolo ci ammonisce: "Non contristate, non spegnete lo Spirito, ma lasciatevi guidare dallo Spirito".
In questa disponibilità allo Spirito, che è sforzo di docilità e di fedeltà, possiamo sviluppare la nostra vita spirituale. La vita nello Spirito è dialogo con Lui, invocazione frequente, lode e ringraziamento, fede forte nella sua presenza e nella sua potenza che può operare cose grandi anche in noi, che ci può dare tutta la sua forza nella nostra debolezza, nelle tentazioni, nel peccato, tutta la sua forza nei nostri propositi di ricominciare ogni giorno l'impegno del bene davanti a Dio e nei nostri doveri nella famiglia, nel lavoro, nella società, nella Chiesa. Gesù ci dice di chiedere lo Spirito Santo. Quando abbiamo qualche gioia: lodiamolo e ringraziamolo; quando abbiamo qualche problema, qualche difficoltà, preoccupazione, malattia... quando dobbiamo fare delle scelte... quando abbiamo bisogno di pace, di grazia, di forza: invochiamolo con fede, con perseveranza, con fiducia: Egli è il Consolatore potente, la forza, l'amore, la tenerezza di Dio presente e operante nei nostri cuori.
Lo Spirito Santo ci aiuta a vivere, ci aiuta ad affrontare i problemi dell'esistenza e a costruire i valori più importanti.
Scrive S. Paolo: " Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne. Il frutto dello Spirito è: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé "(Gal. 5,1ss). Dove c'è amore e gioia... c'è lo Spirito. E lo Spirito porta sempre amore e gioia.
Lo Spirito Santo ci aiuta nel nostro compito di cristiani nella missione della Chiesa: S. Paolo scrive: "A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per la utilità comune".
Tutti noi abbiamo tanti doni, tante capacità e possibilità: tutto ciò che il Signore ha messo nelle nostre mani e nella nostra vita, non è solo per noi, ma è per il bene di tutti. Così possiamo offrire la nostra parte di fede, di impegno, di responsabilità, di collaborazione per la vita e la missione della Chiesa, per il bene e la salvezza di tutti.
Pensate: se tutti facessimo fruttare i doni dello Spirito, se tutti facessimo il più possibile per il Signore e per gli altri, come si rinnoverebbe la Chiesa, come cambierebbe in bene la società! Vogliamo camminare su questa strada che il Signore ci indica.
Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli, accendi in essi il fuoco del tuo amore!
Si avvera la grande promessa di Gesù: "Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore, lo Spirito Santo, perché rimanga con voi per sempre"; "Avrete forza dallo Spirito Santo e mi sarete testimoni in Gerusalemme... e fino ai confini della terra".
Il giorno di Pentecoste avviene questa grande effusione dello Spirito; in quel giorno ha inizio la grande missione della Chiesa: missione di annuncio e di testimonianza, missione di amore e di salvezza. Questa avventura della Chiesa, questa opera dello Spirito Santo continua ancora, anzi si intensifica, in ogni tempo e in ogni luogo...fino ai confini della terra.
Lo stesso Spirito è stato infuso anche nei nostri cuori. Noi siamo stati battezzati nel Padre, nel Figlio, nello Spirito Santo.
Chi è lo Spirito Santo? È Dio come il Padre e come il Figlio; è l'amore e l'unità profonda tra il Padre e il Figlio: questo amore infinito è la terza Persona della Trinità.
Nella Trinità è la forza creatrice: lo Spirito è all'inizio della creazione e la sostiene continuamente: "lo Spirito si librava sulle acque", "del tuo Spirito è piena tutta la terra". E' all'inizio della Redenzione e sostiene tutta l'opera di Cristo: "quel che è nato in Maria è opera dello Spirito Santo", "Gesù fu condotto dallo Spirito...". Lo Spirito è all'inizio e sostiene tutta l'opera della Chiesa; lo Spirito sostiene e dà forza alla vita di ciascuno di noi.
Tutto il bene che c'è nell'universo e in noi è opera dello Spirito: Egli è luce, forza, perdono, grazia, fedeltà, novità, speranza, creatività. Egli è sempre davanti a noi, con le sue imprevedibili sorprese. Egli è l'anima della Chiesa e di ciascuno: è il principio della mia preghiera, del mio amore, di tutte le virtù, di tutto ciò che si compie nella Chiesa e nel mondo.
Lo Spirito Santo ci abita: è il dolce ospite dell'anima; noi siamo tabernacolo, tempio dello Spirito. E S. Paolo ci ammonisce: "Non contristate, non spegnete lo Spirito, ma lasciatevi guidare dallo Spirito".
In questa disponibilità allo Spirito, che è sforzo di docilità e di fedeltà, possiamo sviluppare la nostra vita spirituale. La vita nello Spirito è dialogo con Lui, invocazione frequente, lode e ringraziamento, fede forte nella sua presenza e nella sua potenza che può operare cose grandi anche in noi, che ci può dare tutta la sua forza nella nostra debolezza, nelle tentazioni, nel peccato, tutta la sua forza nei nostri propositi di ricominciare ogni giorno l'impegno del bene davanti a Dio e nei nostri doveri nella famiglia, nel lavoro, nella società, nella Chiesa. Gesù ci dice di chiedere lo Spirito Santo. Quando abbiamo qualche gioia: lodiamolo e ringraziamolo; quando abbiamo qualche problema, qualche difficoltà, preoccupazione, malattia... quando dobbiamo fare delle scelte... quando abbiamo bisogno di pace, di grazia, di forza: invochiamolo con fede, con perseveranza, con fiducia: Egli è il Consolatore potente, la forza, l'amore, la tenerezza di Dio presente e operante nei nostri cuori.
Lo Spirito Santo ci aiuta a vivere, ci aiuta ad affrontare i problemi dell'esistenza e a costruire i valori più importanti.
Scrive S. Paolo: " Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne. Il frutto dello Spirito è: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé "(Gal. 5,1ss). Dove c'è amore e gioia... c'è lo Spirito. E lo Spirito porta sempre amore e gioia.
Lo Spirito Santo ci aiuta nel nostro compito di cristiani nella missione della Chiesa: S. Paolo scrive: "A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per la utilità comune".
Tutti noi abbiamo tanti doni, tante capacità e possibilità: tutto ciò che il Signore ha messo nelle nostre mani e nella nostra vita, non è solo per noi, ma è per il bene di tutti. Così possiamo offrire la nostra parte di fede, di impegno, di responsabilità, di collaborazione per la vita e la missione della Chiesa, per il bene e la salvezza di tutti.
Pensate: se tutti facessimo fruttare i doni dello Spirito, se tutti facessimo il più possibile per il Signore e per gli altri, come si rinnoverebbe la Chiesa, come cambierebbe in bene la società! Vogliamo camminare su questa strada che il Signore ci indica.
Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli, accendi in essi il fuoco del tuo amore!
venerdì 14 maggio 2010
16 Maggio 2010 - Ascensione del Signore
Celebriamo l'ascensione del Signore Gesù al cielo.
Riprendiamo le espressioni della Parola di Dio che descrive così: "Condusse i suoi verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Essi dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia, lodando sempre Dio". (vangelo) "Fu elevato in alto sotto i loro occhi mentre se ne andava e una nube lo sottrasse al loro sguardo... Questo Gesù che è stato assunto fino a cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo". (Atti)
Cristo è il Vivente nei cieli, Figlio di Dio, Dio Lui stesso, unito al Padre e allo Spirito Santo.
possiamo pensare e adorare Gesù il Signore nella gloria, nella gioia, nella pienezza di vita che è il Paradiso. "Sempre pronto ad intercedere per noi". "E' entrato in questo santuario, per presentarsi al cospetto di Dio in nostro favore... per annullare ogni peccato attraverso il sacrificio di se stesso". Ha vissuto la sua vita di Redentore sulla terra, ha svolto la sua missione, e ora porta a compimento pieno e definitivo la salvezza dell'umanità. Per i suoi meriti, là dove è Lui, giungeremo anche noi, partecipi della salvezza, della grazia di figli di Dio. "Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso".
Con l'Ascensione si conclude la vita e la missione di Gesù sulla terra, ma inizia contemporaneamente, per volere di Gesù la missione degli apostoli, dei discepoli, della Chiesa, chiamati a continuare l'opera di Gesù, a portare ovunque nel mondo e lungo la storia, il vangelo e la grazia di salvezza del Signore.
"Saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati. Di questo voi siete testimoni".(Vangelo) " "Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea, la Samaria e fino agli estremi confini della terra".
Ma gli apostoli, che pure sono stati con Gesù per lungo tempo, sono deboli, paurosi, di poco conto di fronte al mondo. Gesù promette e darà loro il suo stesso Spirito: lo Spirito Santo che è Dio. "Attendete la promessa del Padre. Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni". "Manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso. Restate in città finché non siete rivestiti di potenza dall'alto". "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni..."
Anche noi, chiamati a vivere la missione della Chiesa, a continuare l'annuncio e l'opera di Gesù, invochiamo lo Spirito Santo perché ci rivesta di potenza, ci cambi il cuore, ci dia la Sua forza. Così vogliamo vivere questi prossimi giorni della novena della Pentecoste con questo impegno di profonda e continua preghiera di implorazione dello Spirito Santo, con questa consapevolezza della missione di Cristo, messa nelle nostre mani, da svolgere con fervore, con fedeltà, con testimonianza, col martirio.
Avremo modo di continuare nelle prossime celebrazioni la meditazione sullo Spirito Santo e sarà il nostro impegno di ogni giorno la missione della Chiesa.
Ora torniamo alla realtà e al mistero dell'Ascensione.
Dice S. Agostino: "Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con Lui salga pure il nostro cuore". E continua spiegando che come Cristo, asceso al cielo, continua a vivere la sua vita e la sua passione in noi, così noi possiamo, pur nella vita terrena, già vivere spiritualmente uniti a Lui, in Lui, perché è il Capo di quel suo corpo che è la Chiesa.
Dice: Ascoltiamo l'apostolo Paolo che proclama: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di Lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra del Padre. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra". "Come Egli è asceso al cielo e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con Lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che è promesso.
Ispirarsi al cielo è sentirsi attirati da ciò che sta in alto, è avere degli interessi sublimi. E questo non impedisce la concretezza dei problemi umani. Esempio ne è Gesù, oggi asceso al cielo, esperto in umanità, presente attivamente in ogni situazione difficile, inserito nel contesto umano, operatore del bene fino alle ultime frontiere.
Ispirarsi al cielo serve per vedere con più realismo e meno angoscia le cose della terra.
Abbiamo bisogno di cielo che ci ispiri, in cui immergerci per sublimarci, da cui essere attirati.
Il cielo non è il luogo della fuga, dell'evasione. E' ciò che ognuno può gratuitamente contemplare, è l'ispiratore di ogni buon pensiero, è la fonte della speranza, è il grande spazio dove tutti gli sguardi si incontrano, davvero è il simbolo della contemplazione.
Siamo fatti per il cielo, dopo essere ben maturati sulla terra. Il cielo non lo guadagniamo per insoddisfazione, per stanchezza, per evasione dalla terra, ma con l'amore alla vita, scoprendo che ogni cosa su cui gli occhi si posano "porta di Te significazione, o Signore", come cantava San Francesco.
Riprendiamo le espressioni della Parola di Dio che descrive così: "Condusse i suoi verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Essi dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia, lodando sempre Dio". (vangelo) "Fu elevato in alto sotto i loro occhi mentre se ne andava e una nube lo sottrasse al loro sguardo... Questo Gesù che è stato assunto fino a cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo". (Atti)
Cristo è il Vivente nei cieli, Figlio di Dio, Dio Lui stesso, unito al Padre e allo Spirito Santo.
possiamo pensare e adorare Gesù il Signore nella gloria, nella gioia, nella pienezza di vita che è il Paradiso. "Sempre pronto ad intercedere per noi". "E' entrato in questo santuario, per presentarsi al cospetto di Dio in nostro favore... per annullare ogni peccato attraverso il sacrificio di se stesso". Ha vissuto la sua vita di Redentore sulla terra, ha svolto la sua missione, e ora porta a compimento pieno e definitivo la salvezza dell'umanità. Per i suoi meriti, là dove è Lui, giungeremo anche noi, partecipi della salvezza, della grazia di figli di Dio. "Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso".
Con l'Ascensione si conclude la vita e la missione di Gesù sulla terra, ma inizia contemporaneamente, per volere di Gesù la missione degli apostoli, dei discepoli, della Chiesa, chiamati a continuare l'opera di Gesù, a portare ovunque nel mondo e lungo la storia, il vangelo e la grazia di salvezza del Signore.
"Saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati. Di questo voi siete testimoni".(Vangelo) " "Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea, la Samaria e fino agli estremi confini della terra".
Ma gli apostoli, che pure sono stati con Gesù per lungo tempo, sono deboli, paurosi, di poco conto di fronte al mondo. Gesù promette e darà loro il suo stesso Spirito: lo Spirito Santo che è Dio. "Attendete la promessa del Padre. Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni". "Manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso. Restate in città finché non siete rivestiti di potenza dall'alto". "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni..."
Anche noi, chiamati a vivere la missione della Chiesa, a continuare l'annuncio e l'opera di Gesù, invochiamo lo Spirito Santo perché ci rivesta di potenza, ci cambi il cuore, ci dia la Sua forza. Così vogliamo vivere questi prossimi giorni della novena della Pentecoste con questo impegno di profonda e continua preghiera di implorazione dello Spirito Santo, con questa consapevolezza della missione di Cristo, messa nelle nostre mani, da svolgere con fervore, con fedeltà, con testimonianza, col martirio.
Avremo modo di continuare nelle prossime celebrazioni la meditazione sullo Spirito Santo e sarà il nostro impegno di ogni giorno la missione della Chiesa.
Ora torniamo alla realtà e al mistero dell'Ascensione.
Dice S. Agostino: "Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con Lui salga pure il nostro cuore". E continua spiegando che come Cristo, asceso al cielo, continua a vivere la sua vita e la sua passione in noi, così noi possiamo, pur nella vita terrena, già vivere spiritualmente uniti a Lui, in Lui, perché è il Capo di quel suo corpo che è la Chiesa.
Dice: Ascoltiamo l'apostolo Paolo che proclama: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di Lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra del Padre. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra". "Come Egli è asceso al cielo e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con Lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che è promesso.
Ispirarsi al cielo è sentirsi attirati da ciò che sta in alto, è avere degli interessi sublimi. E questo non impedisce la concretezza dei problemi umani. Esempio ne è Gesù, oggi asceso al cielo, esperto in umanità, presente attivamente in ogni situazione difficile, inserito nel contesto umano, operatore del bene fino alle ultime frontiere.
Ispirarsi al cielo serve per vedere con più realismo e meno angoscia le cose della terra.
Abbiamo bisogno di cielo che ci ispiri, in cui immergerci per sublimarci, da cui essere attirati.
Il cielo non è il luogo della fuga, dell'evasione. E' ciò che ognuno può gratuitamente contemplare, è l'ispiratore di ogni buon pensiero, è la fonte della speranza, è il grande spazio dove tutti gli sguardi si incontrano, davvero è il simbolo della contemplazione.
Siamo fatti per il cielo, dopo essere ben maturati sulla terra. Il cielo non lo guadagniamo per insoddisfazione, per stanchezza, per evasione dalla terra, ma con l'amore alla vita, scoprendo che ogni cosa su cui gli occhi si posano "porta di Te significazione, o Signore", come cantava San Francesco.
giovedì 6 maggio 2010
9 Maggio 2010 - VI Domenica di Pasqua
Gesù pronunzia queste parole nell'ultima cena, l'ultimo momento di intimità coi discepoli prima di patire e tornare al Padre.
Possiamo dividere la lettura in tre parti: nella prima Gesù risponde ad una domanda di Giuda; nella seconda parla della missione dello Spirito; nella terza del dono della pace. Ci soffermiamo sulla prima parte.
L'apostolo Giuda ha appena rivolto una domanda al Signore: "perché stai per manifestarti a noi e non al mondo?". Egli chiede cioè perché Gesù non venga accolto su vasta scala, non riceva ampia accoglienza, ma rimanga spesso sconosciuto o addirittura rifiutato. Per questa sua domanda l'apostolo prende lo spunto dal discorso del maestro, che aveva appena detto che il mondo non può conoscere né Gesù stesso né il suo Spirito.
Gesù gli risponde con le parole che aveva appena pronunziate, quasi a dire: "Non hai capito, ripetiamo"...
E che cosa risponde? Che non si può manifestare a chi non custodisce la sua Parola perché non lo ama. Si manifesta invece, e con lui il Padre e lo Spirito, a chi lo ama e custodisce la sua Parola.
Con ciò è delineata la sostanza della vita cristiana. L'amore ti porta a uscire da te stesso per guardare verso Dio, ammirarlo, meditare la sua Parola, senza lasciarti assorbire totalmente dall'immediato.
Questo poi si traduce in vita: dall'amore nasce l'obbedienza. Amare Gesù significa desiderare insieme a lui quello che lui desidera. Il segno dell'amore è l'opera. Se l'amore di Dio non ti spinge a fare scelte concrete, significa che è difettoso.
Ma attenzione: il segno dell'amore non è l'amore. Non di rado si vogliono fare le opere dell'amore senza avere l'amore. Succede con Dio quello che succede con le persone: dedichiamo loro poco tempo e attenzione, magari dicendoci che siamo indaffarati per loro, è proprio l'amore per loro a portarci a trascurarli... Ma quando l'amore è dato per scontato e non è coltivato corre pericolo. Così accade anche con Dio.
Si possono osservare i comandamenti, nel senso di regole particolari, e non amare. È la situazione del fratello maggiore nella parabola del "figliol prodigo": "Non ho mai trasgredito un tuo comando", eppure non ama, non capisce il Padre.
Si possono anche fare tante cose per Gesù e la Chiesa, e non amare. Il rimprovero di Gesù: "Non chiunque mi dice: 'Signore, Signore', entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre" (Mt 7,21-22) è rivolto proprio a persone che hanno "predicato", "fatto miracoli" e altre opere potenti nel suo nome. Eppure essi non hanno "fatto la volontà del Padre".
Si possono fare i gesti della carità senza averla. Ricordiamo le famose parole di S. Paolo: "Quando dessi tutte le mie sostanze per i poveri, se non ho carità, non mi serve a niente" (1Cor 13,3).
Dunque, qualsiasi cosa buona facciamo, possiamo farla senza amare, senza essere in sintonia con Dio. In altre parole, possiamo farla senza avere lo Spirito di Dio, lo Spirito dell'amore.
La vita cristiana invece è comunione con ognuna delle Persone divine, senza in alcun modo separarle: comunione col Padre, in rapporto con Cristo, animati dallo Spirito Santo. Questo è il dono scaturito per noi dalla Pasqua di Gesù.
Signore, donaci il tuo Spirito, lo Spirito dell'amore che ci faccia ascoltare e vivere la tua Parola.
Possiamo dividere la lettura in tre parti: nella prima Gesù risponde ad una domanda di Giuda; nella seconda parla della missione dello Spirito; nella terza del dono della pace. Ci soffermiamo sulla prima parte.
L'apostolo Giuda ha appena rivolto una domanda al Signore: "perché stai per manifestarti a noi e non al mondo?". Egli chiede cioè perché Gesù non venga accolto su vasta scala, non riceva ampia accoglienza, ma rimanga spesso sconosciuto o addirittura rifiutato. Per questa sua domanda l'apostolo prende lo spunto dal discorso del maestro, che aveva appena detto che il mondo non può conoscere né Gesù stesso né il suo Spirito.
Gesù gli risponde con le parole che aveva appena pronunziate, quasi a dire: "Non hai capito, ripetiamo"...
E che cosa risponde? Che non si può manifestare a chi non custodisce la sua Parola perché non lo ama. Si manifesta invece, e con lui il Padre e lo Spirito, a chi lo ama e custodisce la sua Parola.
Con ciò è delineata la sostanza della vita cristiana. L'amore ti porta a uscire da te stesso per guardare verso Dio, ammirarlo, meditare la sua Parola, senza lasciarti assorbire totalmente dall'immediato.
Questo poi si traduce in vita: dall'amore nasce l'obbedienza. Amare Gesù significa desiderare insieme a lui quello che lui desidera. Il segno dell'amore è l'opera. Se l'amore di Dio non ti spinge a fare scelte concrete, significa che è difettoso.
Ma attenzione: il segno dell'amore non è l'amore. Non di rado si vogliono fare le opere dell'amore senza avere l'amore. Succede con Dio quello che succede con le persone: dedichiamo loro poco tempo e attenzione, magari dicendoci che siamo indaffarati per loro, è proprio l'amore per loro a portarci a trascurarli... Ma quando l'amore è dato per scontato e non è coltivato corre pericolo. Così accade anche con Dio.
Si possono osservare i comandamenti, nel senso di regole particolari, e non amare. È la situazione del fratello maggiore nella parabola del "figliol prodigo": "Non ho mai trasgredito un tuo comando", eppure non ama, non capisce il Padre.
Si possono anche fare tante cose per Gesù e la Chiesa, e non amare. Il rimprovero di Gesù: "Non chiunque mi dice: 'Signore, Signore', entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre" (Mt 7,21-22) è rivolto proprio a persone che hanno "predicato", "fatto miracoli" e altre opere potenti nel suo nome. Eppure essi non hanno "fatto la volontà del Padre".
Si possono fare i gesti della carità senza averla. Ricordiamo le famose parole di S. Paolo: "Quando dessi tutte le mie sostanze per i poveri, se non ho carità, non mi serve a niente" (1Cor 13,3).
Dunque, qualsiasi cosa buona facciamo, possiamo farla senza amare, senza essere in sintonia con Dio. In altre parole, possiamo farla senza avere lo Spirito di Dio, lo Spirito dell'amore.
La vita cristiana invece è comunione con ognuna delle Persone divine, senza in alcun modo separarle: comunione col Padre, in rapporto con Cristo, animati dallo Spirito Santo. Questo è il dono scaturito per noi dalla Pasqua di Gesù.
Signore, donaci il tuo Spirito, lo Spirito dell'amore che ci faccia ascoltare e vivere la tua Parola.
giovedì 29 aprile 2010
2 Maggio 2010 - V Domenica di Pasqua
La parola che ritorna spesso nelle letture bibliche di questa domenica e che costituisce la nota dominante: è l'aggettivo "nuovo". Giovanni dice: "Vidi un nuovo cielo e una nuova terra... vidi la nuova Gerusalemme; e ancora la voce di Dio che dice: Ecco io faccio nuove tutte le cose; infine Gesù nel vangelo dice: Vi do un comandamento nuovo.
Questo annuncio ci viene dato nel contesto della pasqua, per dirci che è dalla Pasqua di Cristo che è sbocciata ogni novità; la Pasqua è questo fatto nuovo che permette a tutte le cose di rinnovarsi: Cristo è risorto da morte... perciò anche noi camminiamo in una vita nuova. I Padri della Chiesa dicevano che la Pasqua è la rinnovazione del mondo, un passaggio dalla vecchiaia alla giovinezza, che non è una giovinezza di età, ma del cuore. "eravamo cadenti per la vecchiaia del peccato, ma per la risurrezione di Cristo siamo stati rinnovati nell'innocenza dei bambini" (S. Massimo)
Che cos'è questa novità?
Gesù dice:Ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento novo: che vi amiate gli uni gli altri, come Io vi ho amato. La novità è l'amore!
Ma perché Gesù chiama «nuovo» un comandamento che era noto fin dall'Antico Testamento e perché lo chiama il«suo» comandamento? La risposta è: perché solo ora, con lui, questo comandamento diventava possibile. In passato si amano le persone perché erano parenti, alleati, amici, perché appartenevano allo stesso clan o allo stesso popolo: si amavano per qualcosa che li legava tra di loro, distinguendoli da tutti gli altri. Ora bisogna andare al di là: amare chi ci perseguita, amare i nemici, quelli che non ci salutano e non ci amano. Amare, cioè, il fratello per se stesso e non per ciò che di utile può venirne a me. È la parola «prossimo» che ha cambiato contenuto; essa si è dilatata fino a comprendere non solo chi ti è vicino, ma anche ogni uomo al quale tu puoi «farti vicino», come insegna la parabola del samaritano.
Il comandamento di Cristo è nuovo per il suo contenuto, ma più ancora per la sua possibilità. Solo ora è possibile amarsi come fra¬telli e questo perché Lui ci ha amati. Il Figlio di Dio ha portato questo seme nuovo che era scomparso dalla faccia della terra con il peccato, e cioè l'amore. Dio ha tanto amato il mondo..., per questo anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri..
Gesù ha vissuto questo amore fino alle ultime conseguenze: fino ad amarci cosi come siamo, fino a perdonarci e a morire per noi. Aman¬doci così, Gesù ci ha redenti; ci ha fatti figli dello stesso Padre e fratelli, per cui dobbiamo e possiamo amarci.. C'è un motivo per cui ogni uomo, qualunque sia la sua situazione, può e deve essere amato: il motivo è che egli è ama¬to da Dio e che Dio lo vuole salvare. Il motivo non è dun¬que l'apparenza; non è la bellezza, la simpatia, la giovinezza, ma la realtà «nuova» creata da Cristo. Ecco per¬ché tale amore nuovo avrà la sua manifestazione più ge¬nuina non nel salutare chi ci saluta, nell'invitare chi ci invita, ma nell'amare chi ha meno motivi naturali per essere amato: il povero, l'infelice, l'anziano; al limite, il nemico, proprio perché, in questo caso, è chiaro che non si ama il fratello per quello che ha o che può dare, ma solo per quello che è agli occhi della fede.
Il comandamento di Cristo è «nuovo» anche per un altro motivo: perché rinnova! Esso è tale da poter cam¬biare la faccia della terra, da trasformare i rapporti umani, come quel lievito di cui parla Gesti, che, inserito nella massa, la fa fermentare tutta, sollevandola dalla sua pe¬santezza. «Cristo ci ha dato un comandamento nuovo: di amarci gli uni gli altri, come egli ci ha amati. È questo amore che ci rinnova, rendendoci uomini nuovi... È questo amore che adesso rinnova le genti e raccoglie tutto il ge¬nere umano, sparso ovunque sulla terra, per fame un po¬polo nuovo, la grande famiglia dei figli di Dio" (S.Agostino).
Il mondo ha bisogno di questo amore, ne ha bisogno la Chiesa, ne ha bisogno ciascuno di noi.
Nei tormentati problemi della nostra storia è istintivo lamentarsi, puntare il dito su ogni forma di odio, di violenza, di cattiveria. Ma questo non serve a niente. Credo che ciascuno di noi può vivere e offrire a questo nostro mondo un po' di amore, scelte e gesti di amore, di giustizia, di verità, di pace: se il bene lo facciamo, quello c'è; e se ci uniamo a tanti altri possiamo contribuire alla trasformazione di tante cose.
Noi sappiamo che il Signore Gesù, non solo ci ha dato l'amore come comandamento, ma ci ha dato il suo Spirito, che è l'Amore stesso di Dio, potenza di Dio nella nostra debolezza.
Possiamo lasciare lo Spirito di Dio che ami in noi e attraverso noi. Questa è la novità ultima: è Dio che ama in noi, il suo Spirito di mitezza e di forza, di perdono e di pace.
Questo annuncio ci viene dato nel contesto della pasqua, per dirci che è dalla Pasqua di Cristo che è sbocciata ogni novità; la Pasqua è questo fatto nuovo che permette a tutte le cose di rinnovarsi: Cristo è risorto da morte... perciò anche noi camminiamo in una vita nuova. I Padri della Chiesa dicevano che la Pasqua è la rinnovazione del mondo, un passaggio dalla vecchiaia alla giovinezza, che non è una giovinezza di età, ma del cuore. "eravamo cadenti per la vecchiaia del peccato, ma per la risurrezione di Cristo siamo stati rinnovati nell'innocenza dei bambini" (S. Massimo)
Che cos'è questa novità?
Gesù dice:Ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento novo: che vi amiate gli uni gli altri, come Io vi ho amato. La novità è l'amore!
Ma perché Gesù chiama «nuovo» un comandamento che era noto fin dall'Antico Testamento e perché lo chiama il«suo» comandamento? La risposta è: perché solo ora, con lui, questo comandamento diventava possibile. In passato si amano le persone perché erano parenti, alleati, amici, perché appartenevano allo stesso clan o allo stesso popolo: si amavano per qualcosa che li legava tra di loro, distinguendoli da tutti gli altri. Ora bisogna andare al di là: amare chi ci perseguita, amare i nemici, quelli che non ci salutano e non ci amano. Amare, cioè, il fratello per se stesso e non per ciò che di utile può venirne a me. È la parola «prossimo» che ha cambiato contenuto; essa si è dilatata fino a comprendere non solo chi ti è vicino, ma anche ogni uomo al quale tu puoi «farti vicino», come insegna la parabola del samaritano.
Il comandamento di Cristo è nuovo per il suo contenuto, ma più ancora per la sua possibilità. Solo ora è possibile amarsi come fra¬telli e questo perché Lui ci ha amati. Il Figlio di Dio ha portato questo seme nuovo che era scomparso dalla faccia della terra con il peccato, e cioè l'amore. Dio ha tanto amato il mondo..., per questo anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri..
Gesù ha vissuto questo amore fino alle ultime conseguenze: fino ad amarci cosi come siamo, fino a perdonarci e a morire per noi. Aman¬doci così, Gesù ci ha redenti; ci ha fatti figli dello stesso Padre e fratelli, per cui dobbiamo e possiamo amarci.. C'è un motivo per cui ogni uomo, qualunque sia la sua situazione, può e deve essere amato: il motivo è che egli è ama¬to da Dio e che Dio lo vuole salvare. Il motivo non è dun¬que l'apparenza; non è la bellezza, la simpatia, la giovinezza, ma la realtà «nuova» creata da Cristo. Ecco per¬ché tale amore nuovo avrà la sua manifestazione più ge¬nuina non nel salutare chi ci saluta, nell'invitare chi ci invita, ma nell'amare chi ha meno motivi naturali per essere amato: il povero, l'infelice, l'anziano; al limite, il nemico, proprio perché, in questo caso, è chiaro che non si ama il fratello per quello che ha o che può dare, ma solo per quello che è agli occhi della fede.
Il comandamento di Cristo è «nuovo» anche per un altro motivo: perché rinnova! Esso è tale da poter cam¬biare la faccia della terra, da trasformare i rapporti umani, come quel lievito di cui parla Gesti, che, inserito nella massa, la fa fermentare tutta, sollevandola dalla sua pe¬santezza. «Cristo ci ha dato un comandamento nuovo: di amarci gli uni gli altri, come egli ci ha amati. È questo amore che ci rinnova, rendendoci uomini nuovi... È questo amore che adesso rinnova le genti e raccoglie tutto il ge¬nere umano, sparso ovunque sulla terra, per fame un po¬polo nuovo, la grande famiglia dei figli di Dio" (S.Agostino).
Il mondo ha bisogno di questo amore, ne ha bisogno la Chiesa, ne ha bisogno ciascuno di noi.
Nei tormentati problemi della nostra storia è istintivo lamentarsi, puntare il dito su ogni forma di odio, di violenza, di cattiveria. Ma questo non serve a niente. Credo che ciascuno di noi può vivere e offrire a questo nostro mondo un po' di amore, scelte e gesti di amore, di giustizia, di verità, di pace: se il bene lo facciamo, quello c'è; e se ci uniamo a tanti altri possiamo contribuire alla trasformazione di tante cose.
Noi sappiamo che il Signore Gesù, non solo ci ha dato l'amore come comandamento, ma ci ha dato il suo Spirito, che è l'Amore stesso di Dio, potenza di Dio nella nostra debolezza.
Possiamo lasciare lo Spirito di Dio che ami in noi e attraverso noi. Questa è la novità ultima: è Dio che ama in noi, il suo Spirito di mitezza e di forza, di perdono e di pace.
venerdì 23 aprile 2010
25 Aprile 2010 - IV Domenica di Pasqua
Con la sua morte e risurrezione Gesù ha stretto con i suoi un legame forte, confermato e approfondito ad ogni eucaristia. Il vangelo odierno lo descrive.
Da un lato Gesù conosce le sue pecore e dà loro la vita eterna. Dall'altro le pecore lo ascoltano e lo seguono.
Gesù ci conosce non come massa ma uno ad uno, come persona. Abbiamo bisogno di questo: non essere trattati come gente anonima, numeri, intercambiabili con altri; ma riconosciuti nella nostra unicità (caratteristiche, qualità, storie, ferite, punti deboli). Quando questo avviene (anche al livello umano) scatta qualcosa di fondamentale che ci fa crescere e senza il quale moriamo: non avere nessuno che ti chiama per nome, che ti conosce e ti apprezza come persona, è una morte grande.
Gesù ci offre dunque un rapporto personale con lui. Per questo però è indispensabile saper cogliere la sua voce. Col battesimo e col suo Spirito il Padre ci ha dato la capacità di riconoscere la voce del pastore Gesù: un istinto, un fiuto spirituale che ci consente di cogliere quella voce dovunque egli ci parla, anche laddove la sua presenza è più nascosta sotto apparenze contrarie.
Questo istinto ci dice anche che di lui possiamo sempre fidarci perché è un pastore che tiene alla nostra vita ancora più che alla sua, ha dato la sua vita, non agisce nei nostri confronti per interesse proprio, ma solo per darci la vita. La conseguenza è che cerchiamo di fare quello che lui dice, di seguirlo.
E' questo il segno che siamo sue pecore: se ascoltiamo la sua voce e lo seguiamo. Come Maria, che ascolta l'annunzio e concepisce il Figlio.
Ognuno deve domandarselo: sono in ascolto del Signore? Questo non significa certo sentire voci misteriose o altre cose strane. Il primo mezzo attraverso il quale il Signore mi parla è il Vangelo e tutta la Scrittura. Poi, illuminata dalla Parola, tutta la realtà farà arrivare la voce del Signore: la propria interiorità, i fatti, le situazioni, le persone, la natura. A condizione però che prima venga l'ascolto della Parola, altrimenti tutto questo rimarrà muto, oppure farà arrivare altri messaggi, e le voci di altri falsi pastori.
Devo poi domandarmi se cerco di seguire il pastore, di vivere quello che sono riuscito a cogliere dalla sua voce. Questo non significa affatto essere perfetti. Ma l'ascolto da solo non basta anzi, senza l'impegno a vivere la Parola, diventa distruttivo: "Chi ascolta le mie parole e non le mette in pratica è simile ad un uomo stolto, che costruì la casa sulla sabbia". Se ascoltiamo e basta, tutto crollerà.
Invece chi ascolta Gesù e lo segue non ha da temere proprio nulla: dalla sua mano, dalla sua protezione, niente e nessuno potrà strapparlo. Nessuna potenza di nessun tipo sarà più forte della mano del Pastore, perché è la mano stessa del Padre.
Signore, aiutaci a stabilire un rapporto personale con te, a saper cogliere la tua voce e a seguirti con la vita.
Da un lato Gesù conosce le sue pecore e dà loro la vita eterna. Dall'altro le pecore lo ascoltano e lo seguono.
Gesù ci conosce non come massa ma uno ad uno, come persona. Abbiamo bisogno di questo: non essere trattati come gente anonima, numeri, intercambiabili con altri; ma riconosciuti nella nostra unicità (caratteristiche, qualità, storie, ferite, punti deboli). Quando questo avviene (anche al livello umano) scatta qualcosa di fondamentale che ci fa crescere e senza il quale moriamo: non avere nessuno che ti chiama per nome, che ti conosce e ti apprezza come persona, è una morte grande.
Gesù ci offre dunque un rapporto personale con lui. Per questo però è indispensabile saper cogliere la sua voce. Col battesimo e col suo Spirito il Padre ci ha dato la capacità di riconoscere la voce del pastore Gesù: un istinto, un fiuto spirituale che ci consente di cogliere quella voce dovunque egli ci parla, anche laddove la sua presenza è più nascosta sotto apparenze contrarie.
Questo istinto ci dice anche che di lui possiamo sempre fidarci perché è un pastore che tiene alla nostra vita ancora più che alla sua, ha dato la sua vita, non agisce nei nostri confronti per interesse proprio, ma solo per darci la vita. La conseguenza è che cerchiamo di fare quello che lui dice, di seguirlo.
E' questo il segno che siamo sue pecore: se ascoltiamo la sua voce e lo seguiamo. Come Maria, che ascolta l'annunzio e concepisce il Figlio.
Ognuno deve domandarselo: sono in ascolto del Signore? Questo non significa certo sentire voci misteriose o altre cose strane. Il primo mezzo attraverso il quale il Signore mi parla è il Vangelo e tutta la Scrittura. Poi, illuminata dalla Parola, tutta la realtà farà arrivare la voce del Signore: la propria interiorità, i fatti, le situazioni, le persone, la natura. A condizione però che prima venga l'ascolto della Parola, altrimenti tutto questo rimarrà muto, oppure farà arrivare altri messaggi, e le voci di altri falsi pastori.
Devo poi domandarmi se cerco di seguire il pastore, di vivere quello che sono riuscito a cogliere dalla sua voce. Questo non significa affatto essere perfetti. Ma l'ascolto da solo non basta anzi, senza l'impegno a vivere la Parola, diventa distruttivo: "Chi ascolta le mie parole e non le mette in pratica è simile ad un uomo stolto, che costruì la casa sulla sabbia". Se ascoltiamo e basta, tutto crollerà.
Invece chi ascolta Gesù e lo segue non ha da temere proprio nulla: dalla sua mano, dalla sua protezione, niente e nessuno potrà strapparlo. Nessuna potenza di nessun tipo sarà più forte della mano del Pastore, perché è la mano stessa del Padre.
Signore, aiutaci a stabilire un rapporto personale con te, a saper cogliere la tua voce e a seguirti con la vita.
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