La liturgia oggi ci aiuta a celebrare due avvenimenti: l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, accolto dai ragazzi e dal popolo che lo acclamano con fede e con gioia e l'inizio dellla Settimana Santa, nella quale Gesù opera la salvezza del mondo con il suo amore e il suo sacrificio della Croce. Ecco perché abbiamo letto il racconto commovente, dettagliato e profondo della Passione di Gesù. Entrando in Gerusalemme Gesù viene accolto e acclamato dai bambini e dalla folla come Messia, "Benedetto Colui che viene nel nome del Siugnore"! E' l'espressione gioiosa della nostra fede. La nostra fede è sempre luce, vita, forza, gioia. I ragazzi e il popolo, attratti da Cristo, forse ispirati e portatori della vera fede dell'umanità che attende il Messia, vanno incontro a Gesù, gli fanno festa, lo acclamano con rami di palme. Gesù gradisce questa accoglienza e questa fede: Egli è davvero il Salvatore, il Figlio di Dio venuto nel mondo per portare l'amore e la misericordia del Padre a tutti. Anche noi vogliamo vivere questa giornata rinnovando tutta la nostra fede, il fervore, l'attaccamento a Gesù Signore. Ma è anche il momento dei contrasti. Gesù gradisce l'accoglienza, ma sa che la sua gloria non avverrà in maniera umana, ma sulla croce: la sua grandezza è il suo amore infinito, che lo porta a donare la vita per tutti. Mentre il popolo lo acclama, i nemici si preparano a catturarlo per condannarlo a morte. Gesù sa che va incontro alla sua ora; è venuto per questo, anche se umanamente sente tutta l'angoscia dell'orto degli ulivi, sa invocare e compiere la volontà del Padre, che è il vero bene per Lui e per tutti. Nella messa, che apre la settimana santa, opportunamente viene letto il racconto della passione e morte del Signore. Qui si racchiude tutto il mistero dell'amore di Dio, del peccato dell'uomo, della salvezza che Gesù ci ha meritato. Il testo della Passione del Signore non avrebbe bisogno di commenti: è il racconto dei fatti attraverso i quali è giunta a noi la Redenzione. Tutto il male, che si compie sulla terra, in qualche modo si è condensato in quella scena, in quei fatti: la violenza, la sete di potere, l'invidia, il tradimento degli amici, la viltà, l'adulazione dei potenti, la malizia, lo sfregio della dignità umana, le insinuazioni, la menzogna e quant'altro di male gli uomini fanno, tutto sembra essere presente nella passione di Gesù.
A Dio è presente tutto il male del mondo, il male morale e anche il male fisico. Il paradosso è che proprio questo dolore, questa sofferenza è stata accettata e questo male è stato ribaltato, è diventato in mano a Dio lo strumento attraverso il quale Egli ci ha salvato. L'amore di Dio ha vinto questo male e lo h fatto diventare redenzione. Mettere insieme, come fa la celebrazione di oggi, i due atteggiamenti della folla che prima lo acclama e poi lo condanna, ci fa capire come è facile dimenticare l'amore di Dio, lasciarsi andare al peccato, rinnegare il Signore. Questo nella gente, ma anche in Pietro e negli altri apostoli. Viene dato particolare rilievo al tradimento di Pietro, quando Gesù lo annuncia durante la cena e quando Pietro lo rinnega per tre volte davanti alla serva. Viene riportata nella predicazione primitiva questa confessione pubblica di Pietro, nella gioia del perdono che Gesù poi gli ha dato. Se confrontiamo il tradimento di Pietro e quello di Giuda vediamo che Pietro, uscito fuori, scoppiò a piangere, Giuda uscito fuori andò ad impiccarsi. Pietro ha fiducia nella misericordia di Dio, Giuda no, e si lascia andare alla disperazione. Anche ciascuno di noi, tante volte, cade nella tentazione, nella paura, nell'egoismo, nel peccato, come Pietro e come Giuda. Si tratta di credere a Dio, al suo amore infinito, alla sua misericordia senza limiti. L'amore di Dio, espresso sulla croce è la nostra piena, continua, eterna salvezza! Anche quando ci capitasse il peccato più grave (e ci dispiace, perché il peccato è sempre il nostro male) Dio è più grande di ogni nostro peccato, ed è venuto proprio per togliere i nostri peccati, per darci la gioia e i frutti del suo amore. Questo ci aiuta a celebrare con profonda fede i sacramenti pasquali, a vivere la settimana santa in unione con la passione di Cristo, facendo nostri i suoi sentimenti ("abbiate in voi i medesimi sentimenti che furono in Cristo Gesù"), ed implorando la grazia e la forza della sua morte e resurrezione, per noi, per la Chiesa, per l'umanità.
giovedì 25 marzo 2010
giovedì 18 marzo 2010
21 marzo 2010 - V Domenica di Quaresima
Abbiamo ancora nella mente e nel cuore la commovente pagina del Figliol prodigo della liturgia di domenica scorsa: una parabola con cui il Signore ci esortava a credere nella infinita misericordia del Padre celeste e a lasciarci riconciliare con Lui per vivere nella pace vera dell'anima.
Nell'episodio della peccatrice adultera notiamo il tranello che i farisei e gli scribi tendono a Gesù, ricordando la chiarezza della legge. La legge è chiara, non i sono dubbi. Una donna che va con un altro uomo non merita pietà. Quello che ha fatto è grave: ha tradito la sua famiglia, suo marito, i suoi figli. Il male che ha commesso deve essere tolto di mezzo. Per questo viene lapidata: perché davanti al male non ci possono essere mezze misure. Gli scribi e i farisei conoscono bene la legge e chiedono a Gesù di applicarla. Senza mezzi termini. Del resto ci troviamo non in un luogo qualsiasi, ma sulla spianata del tempio, in un luogo sacro. Gesù si sentirà di andare contro la "legge di Dio" proprio mentre si trova nella sua casa? Della donna e del male che ha commesso, a questa gente non importa nulla; per loro è solo un pretesto, per mettere Gesù in difficoltà. Dapprima si mette a scrivere, col dito, per terra. Cosa abbia scritto il vangelo non lo dice. Poi lancia il suo avvertimento: "Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei, per ucciderla". Almeno ora diventano onesti e sono coerenti: uno alla volta se ne vanno tutti, cominciando dai più anziani. Ora resta solo la donna e Gesù; dice S. Agostino: la "misera" e la "misericordia". Ma Gesù non vuole affatto condannare, non è venuto per questo. E' venuto a portare misericordia, a guarire i malati per questo lascia libera la donna. "Nessuno ti ha condannata?" "Neppure io ti condanno!". Ma deve togliere il male, lottare contro il male. Per questo le dice: "Và e non peccare più". Sono le parole più belle e più grandi che il cuore di Dio a chi sente tutta la sofferenza dei propri peccati. Gesù dice a ciascuno: Io non ti condanno. Gesù non è venuto a condannare il mondo, ma a salvarlo; non è venuto per i giusti, ma per i peccatori... Vogliamo imparare tutto l'insegnamento di Gesù mettendoci al posto della peccatrice.
Non dobbiamo avere paura di incontrare Gesù quando abbiamo sbagliato, quando siamo nel peccato, nella debolezza, nella tentazione. Ci ama sempre...
E' proprio l'unica cosa necessaria che ci possa capitare e che noi dobbiamo cercare: l'incontro con Gesù che prende le nostre difese, ci capisce, ci perdona e ci salva. La fiducia nella misericordia del Signore deve diventare la luce e la forza di ogni giorno della nostra vita. Sentiamo anche tutta la profondità dell'invito di Gesù: Và e non peccare più.
Su certi peccati ce la dobbiamo fare e ce la faremo a essere decisi, a tagliare ciò che va tagliato. "Ciò che è male in te, taglialo". Dobbiamo chiedere e credere a tutta la forza del Signore. Su altri può darsi che facciamo ancora fatica e che ci capiti di sbagliare ancora: anche qui vogliamo chiedere tanta forza al Signore, per tornare sempre a lui, implorare il suo perdono, ricominciare ogni volta con buona volontà: ma siamo certi, con il Signore vinceremo e Lui ci salverà. Vogliamo imparare tutto l'insegnamento di Gesù, mettendoci al posto dei farisei e degli scribi.
Gesù ci aiuta a esaminare la nostra coscienza, a essere onesti e sinceri, a riconoscere che anche noi tante volte facciamo i peccati che denunciamo negli altri e che anzi possiamo essere certe volte noi stessi causa di quei peccati.
Si tratta di depositare i sassi. Facciamo degli esempi: la violenza. Noi puntiamo il dito contro la violenza, ma molte volte noi stessi forse coltiviamo le cause della violenza, il disagio sociale, l'ingiustizia, la cattiva educazione.
L'immoralità: noi puntiamo il dito contro l'immoralità nei giovani, nelle famiglie, nelle relazioni sociali. Ma forse siamo in parte noi stessi causa di tutto questo, quando sin permette una cultura che banalizza e strumentalizza la sessualità, che scardina la fedeltà, la famiglia, l'impegno e il sacrificio.
La politica: si punta il dito contro tanti errori e inadempienze o contro un modo di fare politica che afferma il bene della gente solo a parole ma in fondo non è altro che un cercare interessi personali e di parte. Ma ciascuno di noi deve esaminarsi se ha capito e se coltiva nel cuore quello che Gesù ha detto: Chi vuol essere il primo si faccia servo di tutti, Io non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita.
La religiosità. Puntiamo il dito sulla scarsa religiosità e la scarsa frequenza alla chiesa. O ci scandalizziamo di fronte a tante forme di magia e di satanismo. Ma come presentiamo la religione, come coltiviamo l'educazione religiosa nelle famiglie, come siamo accanto ai ragazzi e ai giovani nella loro crescita, viviamo la fede noi adulti?
Immigrazione: spesso diciamo contro gli stranieri e condanniamo certi fenomeni negativi del loro comportamento. Ma in fondo se possiamo sfruttarli lo facciamo volentieri: affitti, lavori,...
Di questi esempi ciascuno ne può trovare tanti altri. Si tratta di deporre davanti a Cristo questi sassi che vorremmo scagliare, si tratta di esaminare e convertire il nostro cuore per non essere più gente che giudica, ma gente che prende coscienza dei propri peccati e responsabilità e prende su di sé, sull'esempio di Cristo, i peccati dell'umanità, per vincerli e portare la salvezza, la grazia, la vita vera. Chiediamo di essere capaci di imitare un poco almeno il Signore Gesù, il quale non è venuto per giudicare il mondo, ma per salvarlo. E lo ha fatto non facendola pagare agli altri, ma pagando lui con la sua passione.
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Nell'episodio della peccatrice adultera notiamo il tranello che i farisei e gli scribi tendono a Gesù, ricordando la chiarezza della legge. La legge è chiara, non i sono dubbi. Una donna che va con un altro uomo non merita pietà. Quello che ha fatto è grave: ha tradito la sua famiglia, suo marito, i suoi figli. Il male che ha commesso deve essere tolto di mezzo. Per questo viene lapidata: perché davanti al male non ci possono essere mezze misure. Gli scribi e i farisei conoscono bene la legge e chiedono a Gesù di applicarla. Senza mezzi termini. Del resto ci troviamo non in un luogo qualsiasi, ma sulla spianata del tempio, in un luogo sacro. Gesù si sentirà di andare contro la "legge di Dio" proprio mentre si trova nella sua casa? Della donna e del male che ha commesso, a questa gente non importa nulla; per loro è solo un pretesto, per mettere Gesù in difficoltà. Dapprima si mette a scrivere, col dito, per terra. Cosa abbia scritto il vangelo non lo dice. Poi lancia il suo avvertimento: "Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei, per ucciderla". Almeno ora diventano onesti e sono coerenti: uno alla volta se ne vanno tutti, cominciando dai più anziani. Ora resta solo la donna e Gesù; dice S. Agostino: la "misera" e la "misericordia". Ma Gesù non vuole affatto condannare, non è venuto per questo. E' venuto a portare misericordia, a guarire i malati per questo lascia libera la donna. "Nessuno ti ha condannata?" "Neppure io ti condanno!". Ma deve togliere il male, lottare contro il male. Per questo le dice: "Và e non peccare più". Sono le parole più belle e più grandi che il cuore di Dio a chi sente tutta la sofferenza dei propri peccati. Gesù dice a ciascuno: Io non ti condanno. Gesù non è venuto a condannare il mondo, ma a salvarlo; non è venuto per i giusti, ma per i peccatori... Vogliamo imparare tutto l'insegnamento di Gesù mettendoci al posto della peccatrice.
Non dobbiamo avere paura di incontrare Gesù quando abbiamo sbagliato, quando siamo nel peccato, nella debolezza, nella tentazione. Ci ama sempre...
E' proprio l'unica cosa necessaria che ci possa capitare e che noi dobbiamo cercare: l'incontro con Gesù che prende le nostre difese, ci capisce, ci perdona e ci salva. La fiducia nella misericordia del Signore deve diventare la luce e la forza di ogni giorno della nostra vita. Sentiamo anche tutta la profondità dell'invito di Gesù: Và e non peccare più.
Su certi peccati ce la dobbiamo fare e ce la faremo a essere decisi, a tagliare ciò che va tagliato. "Ciò che è male in te, taglialo". Dobbiamo chiedere e credere a tutta la forza del Signore. Su altri può darsi che facciamo ancora fatica e che ci capiti di sbagliare ancora: anche qui vogliamo chiedere tanta forza al Signore, per tornare sempre a lui, implorare il suo perdono, ricominciare ogni volta con buona volontà: ma siamo certi, con il Signore vinceremo e Lui ci salverà. Vogliamo imparare tutto l'insegnamento di Gesù, mettendoci al posto dei farisei e degli scribi.
Gesù ci aiuta a esaminare la nostra coscienza, a essere onesti e sinceri, a riconoscere che anche noi tante volte facciamo i peccati che denunciamo negli altri e che anzi possiamo essere certe volte noi stessi causa di quei peccati.
Si tratta di depositare i sassi. Facciamo degli esempi: la violenza. Noi puntiamo il dito contro la violenza, ma molte volte noi stessi forse coltiviamo le cause della violenza, il disagio sociale, l'ingiustizia, la cattiva educazione.
L'immoralità: noi puntiamo il dito contro l'immoralità nei giovani, nelle famiglie, nelle relazioni sociali. Ma forse siamo in parte noi stessi causa di tutto questo, quando sin permette una cultura che banalizza e strumentalizza la sessualità, che scardina la fedeltà, la famiglia, l'impegno e il sacrificio.
La politica: si punta il dito contro tanti errori e inadempienze o contro un modo di fare politica che afferma il bene della gente solo a parole ma in fondo non è altro che un cercare interessi personali e di parte. Ma ciascuno di noi deve esaminarsi se ha capito e se coltiva nel cuore quello che Gesù ha detto: Chi vuol essere il primo si faccia servo di tutti, Io non sono venuto per essere servito, ma per servire e dare la vita.
La religiosità. Puntiamo il dito sulla scarsa religiosità e la scarsa frequenza alla chiesa. O ci scandalizziamo di fronte a tante forme di magia e di satanismo. Ma come presentiamo la religione, come coltiviamo l'educazione religiosa nelle famiglie, come siamo accanto ai ragazzi e ai giovani nella loro crescita, viviamo la fede noi adulti?
Immigrazione: spesso diciamo contro gli stranieri e condanniamo certi fenomeni negativi del loro comportamento. Ma in fondo se possiamo sfruttarli lo facciamo volentieri: affitti, lavori,...
Di questi esempi ciascuno ne può trovare tanti altri. Si tratta di deporre davanti a Cristo questi sassi che vorremmo scagliare, si tratta di esaminare e convertire il nostro cuore per non essere più gente che giudica, ma gente che prende coscienza dei propri peccati e responsabilità e prende su di sé, sull'esempio di Cristo, i peccati dell'umanità, per vincerli e portare la salvezza, la grazia, la vita vera. Chiediamo di essere capaci di imitare un poco almeno il Signore Gesù, il quale non è venuto per giudicare il mondo, ma per salvarlo. E lo ha fatto non facendola pagare agli altri, ma pagando lui con la sua passione.
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giovedì 11 marzo 2010
14 marzo 2010 - IV Domenica di Quaresina
"Perduto e ritrovato": sono le parole del padre che chiudono la parabola. "Bisogna far festa e rallegrarsi, perché questo figlio era morto ed è tornato alla vita, era perduto ed è stato ritrovato".
Perduto quel figlio lo era davvero. Perduto perché in casa non si trovava bene. E al momento opportuno aveva chiesto la sua parte di soldi e se ne era andato. Magari aveva anche sbattuto la porta, per far capire che ora si sentiva finalmente libero; perduto a causa delle cattive compagnie, che lo facevano sentire grande: aveva soldi da buttare e non si era trovato senza compagni finché aveva avuto soldi in abbondanza: perduto, perché aveva toccato il fondo dell'umiliazione: per un ebreo, di famiglia ricca per di più, fare il guardiano dei maiali era la cosa peggiore che si potesse immaginare.
Per gli ebrei il maiale era un animale impuro e quindi stare con i maiali tutta la giornata significava essere "impuro", un lontano da Dio. E poi Lui, il figlio del padrone, alle dipendenze di uno straniero. Pieno di fame al punto di rubare le carrube ai porci! Era veramente perduto, quel figlio.
Perduto, ma non dimenticato, anzi sempre amato. Così quando aveva fatto ritorno alla casa di suo padre, pieno di fame, sporco, scalzo, coi vestiti laceri e con il discorsetto preparato a memoria... le reazioni di suo padre non erano state quelle che si aspettava. Il vestito bello, i sandali, l'anello al dito e la festa: ecco cosa aveva fatto il padre per lui.
Troppo buono: al punto che l'altro figlio non capisce e si arrabbia: Ma cosa c'è da capire? Quando si ritrova qualcuno che si pensava perduto, "bisogna" far festa. Almeno... Dio ragiona così quando noi torniamo alla sua casa. Dio ci accoglie così anche se arriviamo dopo aver buttato via il suo tesoro.
L'aspetto più difficile di tutto l'annuncio cristiano a volte non sono i misteri, ma l'affermazione della bontà di Dio. Ognuno di noi vorrebbe aggiustare o interpretare la bontà di Dio. Invece la bontà di Dio si rivela sempre superiore e diversa dalle nostre attese. E questo avviene soprattutto di fronte alle persone che hanno peccato ma che hanno fiducia nella misericordia. Gesù nel vangelo sorprende tutti: va a mangiare coi peccatori, difende una donna adultera, chiama tra gli apostoli un pubblicano, entra nella casa di Zaccheo, benedice e conforta un ladrone sulla croce.
Gesù racconta questa grande e commovente parabola che fa percepire la grandezza del cuore di Dio, che fa capire come Dio si è comportato e si comporta con noi. "Gli corse incontro, lo baciò, lo strinse forte a sé". Quante volte il Signore ha fatto così con noi e quante volte ancora lo farà, finché non ci porta al sicuro della sua salvezza!
La parabola ha un centro: il padre; attorno al padre si muovono le due vicende: i due figli. I due figli sono due tentazioni della vita e noi talvolta assomigliamo al primo, talvolta al secondo, talvolta facciamo convivere la cattiveria di tutti e due.
Il primo figlio: costui esige e il padre non si oppone; il figlio fugge di casa e il padre, con cuore straziato, permette che si allontani; il figlio va a divertirsi in modo banale e insulso e il padre permette che dissipi il frutto di tanto sudore, fatica, amore. Il padre resta sullo sfondo della vicenda: appare debole, invece è buono; sembra sconfitto, invece si muove con grande dignità.
Dio non ferma l'uomo perché l'amore non può imporre; Dio non viola la libertà; Dio non si vendica mai.
Quel figlio perde tutto, arriva al fondo dell'abisso. Che può fare? Può ostinarsi nella sua situazione, rifiutare il ritorno, rifiutare il perdono: ma questo è l'inferno. Oppure, può ritornare: se il figlio muove il passo verso la casa del padre... allora accade l'imprevedibile, accade qualcosa che per noi è difficile capire: accade la gioia di Dio, che Gesù chiama "festa in cielo per un peccatore che si pente".
Gesù vuol dire con la sua parabola: sappiate che Dio è così e io sono la prova della bontà di Dio che diventa Betlemme, Nazareth, Cenacolo, orto degli ulivi, Calvario, Eucarestia, Chiesa...
La parabola pertanto è un invito: Se hai peccato, ritorna. Se hai offeso fino al limite più infame: sappi che Dio è pronto a ricominciare tutto da capo. Quanta speranza in questo: Dio non mi respingerà mai! Dio fino all'ultimo mi cercherà e non sarà facile sfuggire al suo amore.
C'è anche il secondo figlio. E' il figlio scandalizzato per la bontà del padre. Sembra che abbia ragione, invece il suo comportamento è offensivo nei confronti del padre. Anche se non è fuggito da casa, il suo cuore non è mai stato in casa, perché non pensa e non ama come suo padre. Questo figlio è ribelle come il primo: questo figlio è un problema per il padre, una spina nel cuore del padre. Per questo figlio sarà più difficile tornare a casa, perché il suo peccato è nascosto dalla presunzione. E la parabola finisce così: Figlio, ritorna anche tu!
Questa parabola ci fa contemplare l'infinito amore di Dio, ci aiuta nei nostri esami di coscienza, ci invita a chiedere sempre il perdono del Signore, ci insegna la strada della riconciliazione e della confessione, come ci esorta S. Paolo: "Fratelli lasciatevi riconciliare con Dio, con fiducia, perché Cristo ci ha riconciliati!".
Perduto quel figlio lo era davvero. Perduto perché in casa non si trovava bene. E al momento opportuno aveva chiesto la sua parte di soldi e se ne era andato. Magari aveva anche sbattuto la porta, per far capire che ora si sentiva finalmente libero; perduto a causa delle cattive compagnie, che lo facevano sentire grande: aveva soldi da buttare e non si era trovato senza compagni finché aveva avuto soldi in abbondanza: perduto, perché aveva toccato il fondo dell'umiliazione: per un ebreo, di famiglia ricca per di più, fare il guardiano dei maiali era la cosa peggiore che si potesse immaginare.
Per gli ebrei il maiale era un animale impuro e quindi stare con i maiali tutta la giornata significava essere "impuro", un lontano da Dio. E poi Lui, il figlio del padrone, alle dipendenze di uno straniero. Pieno di fame al punto di rubare le carrube ai porci! Era veramente perduto, quel figlio.
Perduto, ma non dimenticato, anzi sempre amato. Così quando aveva fatto ritorno alla casa di suo padre, pieno di fame, sporco, scalzo, coi vestiti laceri e con il discorsetto preparato a memoria... le reazioni di suo padre non erano state quelle che si aspettava. Il vestito bello, i sandali, l'anello al dito e la festa: ecco cosa aveva fatto il padre per lui.
Troppo buono: al punto che l'altro figlio non capisce e si arrabbia: Ma cosa c'è da capire? Quando si ritrova qualcuno che si pensava perduto, "bisogna" far festa. Almeno... Dio ragiona così quando noi torniamo alla sua casa. Dio ci accoglie così anche se arriviamo dopo aver buttato via il suo tesoro.
L'aspetto più difficile di tutto l'annuncio cristiano a volte non sono i misteri, ma l'affermazione della bontà di Dio. Ognuno di noi vorrebbe aggiustare o interpretare la bontà di Dio. Invece la bontà di Dio si rivela sempre superiore e diversa dalle nostre attese. E questo avviene soprattutto di fronte alle persone che hanno peccato ma che hanno fiducia nella misericordia. Gesù nel vangelo sorprende tutti: va a mangiare coi peccatori, difende una donna adultera, chiama tra gli apostoli un pubblicano, entra nella casa di Zaccheo, benedice e conforta un ladrone sulla croce.
Gesù racconta questa grande e commovente parabola che fa percepire la grandezza del cuore di Dio, che fa capire come Dio si è comportato e si comporta con noi. "Gli corse incontro, lo baciò, lo strinse forte a sé". Quante volte il Signore ha fatto così con noi e quante volte ancora lo farà, finché non ci porta al sicuro della sua salvezza!
La parabola ha un centro: il padre; attorno al padre si muovono le due vicende: i due figli. I due figli sono due tentazioni della vita e noi talvolta assomigliamo al primo, talvolta al secondo, talvolta facciamo convivere la cattiveria di tutti e due.
Il primo figlio: costui esige e il padre non si oppone; il figlio fugge di casa e il padre, con cuore straziato, permette che si allontani; il figlio va a divertirsi in modo banale e insulso e il padre permette che dissipi il frutto di tanto sudore, fatica, amore. Il padre resta sullo sfondo della vicenda: appare debole, invece è buono; sembra sconfitto, invece si muove con grande dignità.
Dio non ferma l'uomo perché l'amore non può imporre; Dio non viola la libertà; Dio non si vendica mai.
Quel figlio perde tutto, arriva al fondo dell'abisso. Che può fare? Può ostinarsi nella sua situazione, rifiutare il ritorno, rifiutare il perdono: ma questo è l'inferno. Oppure, può ritornare: se il figlio muove il passo verso la casa del padre... allora accade l'imprevedibile, accade qualcosa che per noi è difficile capire: accade la gioia di Dio, che Gesù chiama "festa in cielo per un peccatore che si pente".
Gesù vuol dire con la sua parabola: sappiate che Dio è così e io sono la prova della bontà di Dio che diventa Betlemme, Nazareth, Cenacolo, orto degli ulivi, Calvario, Eucarestia, Chiesa...
La parabola pertanto è un invito: Se hai peccato, ritorna. Se hai offeso fino al limite più infame: sappi che Dio è pronto a ricominciare tutto da capo. Quanta speranza in questo: Dio non mi respingerà mai! Dio fino all'ultimo mi cercherà e non sarà facile sfuggire al suo amore.
C'è anche il secondo figlio. E' il figlio scandalizzato per la bontà del padre. Sembra che abbia ragione, invece il suo comportamento è offensivo nei confronti del padre. Anche se non è fuggito da casa, il suo cuore non è mai stato in casa, perché non pensa e non ama come suo padre. Questo figlio è ribelle come il primo: questo figlio è un problema per il padre, una spina nel cuore del padre. Per questo figlio sarà più difficile tornare a casa, perché il suo peccato è nascosto dalla presunzione. E la parabola finisce così: Figlio, ritorna anche tu!
Questa parabola ci fa contemplare l'infinito amore di Dio, ci aiuta nei nostri esami di coscienza, ci invita a chiedere sempre il perdono del Signore, ci insegna la strada della riconciliazione e della confessione, come ci esorta S. Paolo: "Fratelli lasciatevi riconciliare con Dio, con fiducia, perché Cristo ci ha riconciliati!".
giovedì 4 marzo 2010
7 marzo 2010 - III Domenica di Quaresima
Mentre Gesù sta parlando, qualcuno lo mette al corrente di una notizia sconvolgente: un gruppo di Galilei, probabilmente rivoluzionari, sono stati massacrati dal sanguinario procuratore romano Ponzio Pilato, mentre stavano compiendo un sacrificio di culto. Alla mente dei presenti si affaccia il ricordo ancora vivo di un'altra disgrazia: diciotto operai che lavoravano per il tempio, furono seppelliti sotto il crollo di una torre. Fatti di sangue, racconti di morte, grandi domande: dov'era Dio? È Dio che ha guidato la spada di Pilato? È Dio che aveva fatto franare il terreno sotto la torre del Tempio?
Seguendo la concezione corrente della retribuzione temporale, gli ascoltatori di Gesù hanno interpretato quei tragici avvenimenti con la mentalità del tempo: se quegli uomini sono morti così crudelmente, è segno che Dio li ha castigati; se sono stati castigati, è segno che erano peccatori. E il fatto di essere stati personalmente risparmiati rassicura quegli stessi ascoltatori sulla loro giustizia.
Gesù rifiuta questa visione semplicistica e prende le difese sia di Dio sia degli uccisi: non è Dio che arma la mano di Pilato; non è Dio che aggiunge sangue a sangue, che abbatte torri e grattacieli; non ci sono colpe segrete da punire. Quegli uomini non erano peggiori degli altri. Quelle disgrazie sono un avvertimento indirizzato a tutti: tutti sono peccatori; il giudizio di Dio non è per qualcuno, ma per tutti; non è per gli altri, ma per noi. O ci convertiamo o ci perdiamo.
Ma da che cosa dovremmo convertirci? Non siamo forse della brava gente, non siamo forse cattolici credenti e praticanti? Ci soccorre ancora una volta D. Bonhoeffer: "Il contrario della fede non è l'incredulità; è l'idolatria". Già s. Paolo parlava della conversione dei pagani come un "allontanarsi dagli idoli per servire il Dio vivo e vero" (1Ts 1,9). Ecco: ma che cos'è l'idolatria? Nell'opinione comune, mentre la vera fede adora un solo Dio, l'idolatria adora molti dèi. Ma nella Bibbia l'idolatria è qualcosa di più sottile e di più subdolo: non è tanto piegare il ginocchio davanti a una statuetta d‘oro o di legno; non è neanche adorare il vitello d'oro; è piuttosto ergere il proprio Io al posto di Dio. Al fondo di ogni idolatria, c'è l'autolatria, "l'amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio" (s. Agostino). Poi questa idolatria si concretizzerà nel mettere al posto di Dio - o a fianco di Dio - il Dio danaro, il Dio piacere, la dea immagine, la dea efficienza, il Dio successo... Di qui il "correre, combattere, sconfiggere".
E il "contemplare"? No, fratello, sorella: prima della contemplazione, viene la conversione. Perché se contemplare è vedere Dio, dobbiamo ricordare che solo i puri di cuore vedranno Dio. Noi vediamo o diciamo di vedere; noi crediamo o crediamo di credere. Ma cosa ne stiamo facendo del dono della fede?
Stanno venendo tempi - e sono già venuti - in cui essere cristiani è sinonimo di missionari. Oggi diventa sempre meno concepibile un cristiano che non viva in uno stato di missione.
Non si è cristiani per soddisfare i propri bisogni religiosi, per trovare un senso alla propria vita, per dare una direzione alla propria esistenza. Si è cristiani perché si è stati scelti per essere "luce delle genti", per "annunciare le grandezze di Dio", per dire agli uomini le meraviglie che Dio continua ad operare in mezzo a noi, per portare agli altri l'amore di cui si è amati, per farli godere della propria sorte, per amarli "come se stessi", per donarsi a loro. La missione non è solo l'annuncio di un dono, ma un dono che si fa annuncio.
Oggi Gesù insiste: Se non vi convertirete, tutti allo stesso modo perirete. Quando noi sentiamo dire "conversione", pensiamo subito a cose da fare, a impegni da assumere, a rinunce da praticare. Tutto questo è vero, ma è successivo e derivato: se conversione è letteralmente "voltarsi verso", all'origine della conversione c'è l'esperienza di un incontro e la contemplazione di un volto: l'incontro con Dio, la contemplazione del suo volto.
Così è avvenuto per Mosè (1ª lettura): era fuggito dall'Egitto, braccato dagli aguzzini del faraone e deluso dei suoi connazionali, perché in precedenza si era illuso che avrebbero finalmente capito che "Dio dava loro salvezza per mezzo suo" (At 7,25). Nel deserto di Madian Mosè si era ridotto a vita privata, adattandosi al ritmo tranquillo di un pastore agiato e soddisfatto, con tanto di moglie e figli. Adesso, a quarant'anni suonati, sta per scoccare l'ora della sua missione: dovrà lasciare il deserto e tornare nuovamente in Egitto proprio lui, "quel Mosè che i suoi connazionali avevano rinnegato dicendo: Chi ti ha nominato capo e giudice?" (At 7,35). Questa è la conversione di Mosè: una vera "inversione a U", dal deserto di Madian all'Egitto, dove pendeva una condanna sul suo capo. Ma prima ancora Mosè deve "convertirsi" al Dio unico, vivo e vero.
E cosa aggiunge il Nuovo Testamento alla rivelazione di Dio, già presente nell'Antico? Aggiunge un massimo vertiginoso, del tutto inimmaginabile: un volto d'uomo e un cuore di carne, il volto e il cuore di Gesù. Nessun ebreo prima di Gesù, neanche l'ardente Osea o il dolcissimo Deutero-Isaia, poteva sospettare fino a che punto Dio avrebbe spinto il suo amore per il mondo: "Dio ha tanto amato il mondo fino al punto da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16) e questo Figlio "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). A questo volto santo di Dio-Amore - amore gratuito, fedele, misericordioso - siamo chiamati a prestare i lineamenti del nostro volto. Altrimenti facciamo bestemmiare il suo santo Nome (cfr. Rm 2,24), quando con il nostro comportamento finiamo per "velare più che svelare il genuino volto di Dio" (GS 19).
Noi finiamo per velare il volto del Dio fedele e affidabile quando non ci fidiamo di lui e siamo come i pagani, sempre in affanno per il nostro domani. Deformiamo il volto dell'Amore gratuito quando mettiamo al di sopra di tutti e di tutto i nostri interessi meschini e il nostro effimero successo. Nascondiamo il volto del Dio misericordioso dietro una maschera repellente, quando con il pretesto che perdonare si deve ma dimenticare non si può, dimentichiamo il bene ricevuto e coltiviamo rancore e rabbia per il male subito. Gli altri allora potrebbero dirci: "Dov'è il vostro Dio? Se non ce lo fate vedere in voi, non ci crediamo e non ci crederemo mai!".
Seguendo la concezione corrente della retribuzione temporale, gli ascoltatori di Gesù hanno interpretato quei tragici avvenimenti con la mentalità del tempo: se quegli uomini sono morti così crudelmente, è segno che Dio li ha castigati; se sono stati castigati, è segno che erano peccatori. E il fatto di essere stati personalmente risparmiati rassicura quegli stessi ascoltatori sulla loro giustizia.
Gesù rifiuta questa visione semplicistica e prende le difese sia di Dio sia degli uccisi: non è Dio che arma la mano di Pilato; non è Dio che aggiunge sangue a sangue, che abbatte torri e grattacieli; non ci sono colpe segrete da punire. Quegli uomini non erano peggiori degli altri. Quelle disgrazie sono un avvertimento indirizzato a tutti: tutti sono peccatori; il giudizio di Dio non è per qualcuno, ma per tutti; non è per gli altri, ma per noi. O ci convertiamo o ci perdiamo.
Ma da che cosa dovremmo convertirci? Non siamo forse della brava gente, non siamo forse cattolici credenti e praticanti? Ci soccorre ancora una volta D. Bonhoeffer: "Il contrario della fede non è l'incredulità; è l'idolatria". Già s. Paolo parlava della conversione dei pagani come un "allontanarsi dagli idoli per servire il Dio vivo e vero" (1Ts 1,9). Ecco: ma che cos'è l'idolatria? Nell'opinione comune, mentre la vera fede adora un solo Dio, l'idolatria adora molti dèi. Ma nella Bibbia l'idolatria è qualcosa di più sottile e di più subdolo: non è tanto piegare il ginocchio davanti a una statuetta d‘oro o di legno; non è neanche adorare il vitello d'oro; è piuttosto ergere il proprio Io al posto di Dio. Al fondo di ogni idolatria, c'è l'autolatria, "l'amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio" (s. Agostino). Poi questa idolatria si concretizzerà nel mettere al posto di Dio - o a fianco di Dio - il Dio danaro, il Dio piacere, la dea immagine, la dea efficienza, il Dio successo... Di qui il "correre, combattere, sconfiggere".
E il "contemplare"? No, fratello, sorella: prima della contemplazione, viene la conversione. Perché se contemplare è vedere Dio, dobbiamo ricordare che solo i puri di cuore vedranno Dio. Noi vediamo o diciamo di vedere; noi crediamo o crediamo di credere. Ma cosa ne stiamo facendo del dono della fede?
Stanno venendo tempi - e sono già venuti - in cui essere cristiani è sinonimo di missionari. Oggi diventa sempre meno concepibile un cristiano che non viva in uno stato di missione.
Non si è cristiani per soddisfare i propri bisogni religiosi, per trovare un senso alla propria vita, per dare una direzione alla propria esistenza. Si è cristiani perché si è stati scelti per essere "luce delle genti", per "annunciare le grandezze di Dio", per dire agli uomini le meraviglie che Dio continua ad operare in mezzo a noi, per portare agli altri l'amore di cui si è amati, per farli godere della propria sorte, per amarli "come se stessi", per donarsi a loro. La missione non è solo l'annuncio di un dono, ma un dono che si fa annuncio.
Oggi Gesù insiste: Se non vi convertirete, tutti allo stesso modo perirete. Quando noi sentiamo dire "conversione", pensiamo subito a cose da fare, a impegni da assumere, a rinunce da praticare. Tutto questo è vero, ma è successivo e derivato: se conversione è letteralmente "voltarsi verso", all'origine della conversione c'è l'esperienza di un incontro e la contemplazione di un volto: l'incontro con Dio, la contemplazione del suo volto.
Così è avvenuto per Mosè (1ª lettura): era fuggito dall'Egitto, braccato dagli aguzzini del faraone e deluso dei suoi connazionali, perché in precedenza si era illuso che avrebbero finalmente capito che "Dio dava loro salvezza per mezzo suo" (At 7,25). Nel deserto di Madian Mosè si era ridotto a vita privata, adattandosi al ritmo tranquillo di un pastore agiato e soddisfatto, con tanto di moglie e figli. Adesso, a quarant'anni suonati, sta per scoccare l'ora della sua missione: dovrà lasciare il deserto e tornare nuovamente in Egitto proprio lui, "quel Mosè che i suoi connazionali avevano rinnegato dicendo: Chi ti ha nominato capo e giudice?" (At 7,35). Questa è la conversione di Mosè: una vera "inversione a U", dal deserto di Madian all'Egitto, dove pendeva una condanna sul suo capo. Ma prima ancora Mosè deve "convertirsi" al Dio unico, vivo e vero.
E cosa aggiunge il Nuovo Testamento alla rivelazione di Dio, già presente nell'Antico? Aggiunge un massimo vertiginoso, del tutto inimmaginabile: un volto d'uomo e un cuore di carne, il volto e il cuore di Gesù. Nessun ebreo prima di Gesù, neanche l'ardente Osea o il dolcissimo Deutero-Isaia, poteva sospettare fino a che punto Dio avrebbe spinto il suo amore per il mondo: "Dio ha tanto amato il mondo fino al punto da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16) e questo Figlio "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13,1). A questo volto santo di Dio-Amore - amore gratuito, fedele, misericordioso - siamo chiamati a prestare i lineamenti del nostro volto. Altrimenti facciamo bestemmiare il suo santo Nome (cfr. Rm 2,24), quando con il nostro comportamento finiamo per "velare più che svelare il genuino volto di Dio" (GS 19).
Noi finiamo per velare il volto del Dio fedele e affidabile quando non ci fidiamo di lui e siamo come i pagani, sempre in affanno per il nostro domani. Deformiamo il volto dell'Amore gratuito quando mettiamo al di sopra di tutti e di tutto i nostri interessi meschini e il nostro effimero successo. Nascondiamo il volto del Dio misericordioso dietro una maschera repellente, quando con il pretesto che perdonare si deve ma dimenticare non si può, dimentichiamo il bene ricevuto e coltiviamo rancore e rabbia per il male subito. Gli altri allora potrebbero dirci: "Dov'è il vostro Dio? Se non ce lo fate vedere in voi, non ci crediamo e non ci crederemo mai!".
giovedì 25 febbraio 2010
28 Febbraio 2010 - II Domenica di Quaresima
All'inizio del cammino che ci porterà alla Pasqua, siamo invitati a celebrare quell'anticipo della Resurrezione che è la Trasfigurazione di Gesù. E' un appuntamento che ritempra i cuori: sappiamo che anche per noi, come per gli apostoli, ci sarà l'annuncio della passione e morte di Gesù Cristo, ma questo evento sul monte sembra volerci preparare ad aver fede in Colui che non sarà solo il disprezzato, l'escluso, ma anche il Figlio prediletto di Dio, Colui che vincerà il male e la morte.
"Gesù prese con è Pietro, Giacomo e Giovanni e salì sul monte a pregare".
Quanto è bella e profonda questa espressione e come è significativo il comportamento di Gesù che si ritira spesso sul monte a pregare e coinvolge i suoi amici! L'incontro con Dio nella preghiera è sempre una cosa santa, ma questa volta avviene quella manifestazione particolare che chiamiamo trasfigurazione, perché il suo volto cambiò di aspetto e le sue vesti divennero candide e sfolgoranti. Si fece vedere nello splendore della sua gloria di Figlio di Dio, assieme a Mosè ed Elia che rappresentano tutta la Bibbia che dà testimonianza a Gesù, il Messia. E soprattutto si rende presente il Padre che proclama: "Questo è il mio Figlio, ascoltatelo!"
Sulla strada che porta verso Gerusalemme e quindi verso la passione e la croce, Gesù viene trasfigurato. Ma cosa è accaduto ai tre discepoli che sono con Lui? Luca usa questa espressione molto breve per farci capire: "Pietro e i suoi compagni videro la sua gloria". Ma che cosa vuol dire questa frase?
La vita di Gesù era quella di un uomo del suo tempo, anche se egli pronunciava delle parole che andavano dritte al cuore e compiva dei segni di amore che destavano meraviglia e riconoscenza. Ma non era possibile, a prima vista, riconoscere in lui il Figlio di Dio. A Pietro, Giacomo e Giovanni viene offerta la possibilità di "vedere" quello che a molti potrebbe sfuggire, la possibilità di percepire la vicinanza di Dio, la sua bellezza, la sua bontà infinita. Ma "vedere" non basta: anzi ci si potrebbe fare un'idea sbagliata su Gesù: E' necessario "ascoltare": è questo l'invito che il Padre fa a tutti noi.
È interessante notare che i tre apostoli del monte della trasfigurazione saranno gli stessi tre del monte degli ulivi. Qui provano gioia, stupore, desiderio che quel momento magico non finisca più: "È bello per noi stare qui". Potessimo anche noi sperimentare questa gioia e questo desiderio quando siamo nella preghiera, quando siamo con il Signore: "È bello per noi stare qui!".
Ma Gesù invita presto a tornare alla vita ordinaria. La preghiera porta alla vita, ma in maniera nuova, diversa. E nella vita ordinaria siamo chiamati a portare la luce, la grazia, la forza dell'incontro che abbiamo avuto con il Signore. Verranno anche momenti difficili, tentazioni, sofferenze: quello che conta è ricordare "nei momenti delle tenebre ciò che abbiamo visto nei momenti di luce" (come dice uno scrittore). L'importante è sapere che Gesù non ha rifiutato la sofferenza e la passione, ma l'ha santificata e l'ha fatta diventare la cosa più sacra, la prova più grande del suo amore, l'ha fatta diventare grazia e salvezza per tutti. Anche noi possiamo santificare le prove e le sofferenze (non è facile, ma Gesù ci dà questa forza) e unirle a quelle di Cristo, per la salvezza dei fratelli.
Dobbiamo anche sapere con certezza che il Signore è sempre presente accanto a noi, anche quando ci sembra di vivere i momenti più bui e che la sofferenza e la morte non sono "l'ultima parola", ma la penultima, perché l'ultima parola di tutto è la risurrezione, la vita, l'opera meravigliosa che sempre il Signore costruisce.
Mentre nella sua vita si vanno accumulando i segni della tragedia che appare prossima, Gesù si rivolge ancora al Padre: "salì sulla montagna a pregare". La sua manifestazione luminosa nasce nella preghiera. È spontaneo chiedersi quale esperienza di dialogo con il Padre viviamo noi. Nella preghiera si approfondisce la comunione con il Signore riconoscendosi davanti a Lui come figli bisognosi. Prega chi ha riposto la sua fiducia nel Signore, chi ha occhi capaci di contemplare lo splendore del suo volto. È dunque la preghiera il contesto in cui si riceve la luce. La Parola di Dio chiama anche oggi ad una verifica personale e comunitaria, da cui possano scaturire energie e propositi nuovi tesi a rinnovare la propria vita cristiana. La trasfigurazione offre al discepolo un criterio di lettura della vicenda di Gesù: il Messia che si incammina, sofferente e apparentemente sconfitto, verso Gerusalemme è il Messia che è nella gloria. Essa allora indica al discepolo che è la vita della croce che porta alla risurrezione. Al discepolo che segue il Maestro deve essere sufficiente un anticipo di gloria, un lampo che lo confermi nel cammino.
"Gesù prese con è Pietro, Giacomo e Giovanni e salì sul monte a pregare".
Quanto è bella e profonda questa espressione e come è significativo il comportamento di Gesù che si ritira spesso sul monte a pregare e coinvolge i suoi amici! L'incontro con Dio nella preghiera è sempre una cosa santa, ma questa volta avviene quella manifestazione particolare che chiamiamo trasfigurazione, perché il suo volto cambiò di aspetto e le sue vesti divennero candide e sfolgoranti. Si fece vedere nello splendore della sua gloria di Figlio di Dio, assieme a Mosè ed Elia che rappresentano tutta la Bibbia che dà testimonianza a Gesù, il Messia. E soprattutto si rende presente il Padre che proclama: "Questo è il mio Figlio, ascoltatelo!"
Sulla strada che porta verso Gerusalemme e quindi verso la passione e la croce, Gesù viene trasfigurato. Ma cosa è accaduto ai tre discepoli che sono con Lui? Luca usa questa espressione molto breve per farci capire: "Pietro e i suoi compagni videro la sua gloria". Ma che cosa vuol dire questa frase?
La vita di Gesù era quella di un uomo del suo tempo, anche se egli pronunciava delle parole che andavano dritte al cuore e compiva dei segni di amore che destavano meraviglia e riconoscenza. Ma non era possibile, a prima vista, riconoscere in lui il Figlio di Dio. A Pietro, Giacomo e Giovanni viene offerta la possibilità di "vedere" quello che a molti potrebbe sfuggire, la possibilità di percepire la vicinanza di Dio, la sua bellezza, la sua bontà infinita. Ma "vedere" non basta: anzi ci si potrebbe fare un'idea sbagliata su Gesù: E' necessario "ascoltare": è questo l'invito che il Padre fa a tutti noi.
È interessante notare che i tre apostoli del monte della trasfigurazione saranno gli stessi tre del monte degli ulivi. Qui provano gioia, stupore, desiderio che quel momento magico non finisca più: "È bello per noi stare qui". Potessimo anche noi sperimentare questa gioia e questo desiderio quando siamo nella preghiera, quando siamo con il Signore: "È bello per noi stare qui!".
Ma Gesù invita presto a tornare alla vita ordinaria. La preghiera porta alla vita, ma in maniera nuova, diversa. E nella vita ordinaria siamo chiamati a portare la luce, la grazia, la forza dell'incontro che abbiamo avuto con il Signore. Verranno anche momenti difficili, tentazioni, sofferenze: quello che conta è ricordare "nei momenti delle tenebre ciò che abbiamo visto nei momenti di luce" (come dice uno scrittore). L'importante è sapere che Gesù non ha rifiutato la sofferenza e la passione, ma l'ha santificata e l'ha fatta diventare la cosa più sacra, la prova più grande del suo amore, l'ha fatta diventare grazia e salvezza per tutti. Anche noi possiamo santificare le prove e le sofferenze (non è facile, ma Gesù ci dà questa forza) e unirle a quelle di Cristo, per la salvezza dei fratelli.
Dobbiamo anche sapere con certezza che il Signore è sempre presente accanto a noi, anche quando ci sembra di vivere i momenti più bui e che la sofferenza e la morte non sono "l'ultima parola", ma la penultima, perché l'ultima parola di tutto è la risurrezione, la vita, l'opera meravigliosa che sempre il Signore costruisce.
Mentre nella sua vita si vanno accumulando i segni della tragedia che appare prossima, Gesù si rivolge ancora al Padre: "salì sulla montagna a pregare". La sua manifestazione luminosa nasce nella preghiera. È spontaneo chiedersi quale esperienza di dialogo con il Padre viviamo noi. Nella preghiera si approfondisce la comunione con il Signore riconoscendosi davanti a Lui come figli bisognosi. Prega chi ha riposto la sua fiducia nel Signore, chi ha occhi capaci di contemplare lo splendore del suo volto. È dunque la preghiera il contesto in cui si riceve la luce. La Parola di Dio chiama anche oggi ad una verifica personale e comunitaria, da cui possano scaturire energie e propositi nuovi tesi a rinnovare la propria vita cristiana. La trasfigurazione offre al discepolo un criterio di lettura della vicenda di Gesù: il Messia che si incammina, sofferente e apparentemente sconfitto, verso Gerusalemme è il Messia che è nella gloria. Essa allora indica al discepolo che è la vita della croce che porta alla risurrezione. Al discepolo che segue il Maestro deve essere sufficiente un anticipo di gloria, un lampo che lo confermi nel cammino.
giovedì 18 febbraio 2010
21 Febbraio 2010 - I Domenica di Quaresima
Al centro della liturgia di oggi, per antichissima tradizione, c'è l'episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto: Gesù si è fatto in tutto simile a noi: ha affrontato le prove e le tentazioni più grandi. Ha vissuto questo momento di sofferenza e di solitudine. Ma ha vinto il maligno: lo ha vinto con la Parola di Dio e con la sua fiducia piena nel Padre dei cieli. E' interessante notare che ad ogni tentazione del maligno Gesù risponde con una frase chiara della Bibbia, della parola di Dio. Nella parola di Dio c'è sempre la chiarezza, la decisione, la luce e la forza per vincere la tentazione e il male.
Anche noi siamo tentati, tante volte e in tante situazioni della nostra esistenza. Anche noi possiamo vincere le tentazioni con la luce e la forza della Parola di Dio. Sarebbe molto bello e sarebbe la nostra salvezza se nelle tentazioni e nei problemi che incontriamo potessimo ricordare una frase, una parola di Dio e su quella costruire il nostro lavoro interiore, il nostro impegno e di conseguenza, la nostra vittoria, la nostra maturazione. Infatti è normale che ci siano tentazioni e prove; non ci devono spaventare troppo; ci sono date perché abbiamo ad affrontarle e vincerle. La tentazione può diventare occasione di maturazione, di libertà, di maggiore amore a Dio e al prossimo. Ecco perché la Bibbia dice: "Chi desidera seguire il Signore, si prepari alla prova". Il vangelo delle tentazioni e tutto l'itinerario quaresimale simboleggia il cammino della vita, che è fatto di prove e di vittorie, di fatiche e di serenità, di peccati e di perdono, della nostra fatica nella fede e della bontà di Dio che sempre ci viene incontro, di chiusura egoistica in noi stessi e di apertura all'amore sincero del prossimo.
Nella quaresima possiamo trovare la verità profonda della vita di Dio e della nostra vita, della nostra debolezza e della nostra salvezza: la quaresima infatti sfocerà nella morte e resurrezione di Gesù, nostro unico salvatore.
Ripercorriamo un po' le tre tentazioni di Cristo:
1) « Se sei Figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pane»; «Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
È la tentazione del materialismo, del consumismo, della illusione della felicità da trovarsi nelle cose materiali. Per i problemi della nostra vita, per i problemi della società e i drammi dell'umanità ci vuole ben altro: valori importanti, il senso della vita, la sapienza del cuore. Basterebbe guardare di che cosa c'è soprattutto bisogno nel cuore dei giovani, nella vita delle nostre famiglie!
2) «Ti darò tutti questi regni se prostrato, mi adorerai». « A Lui solo ti prostrerai e a lui solo adorerai».
È la tentazione dell'orgoglio, del contrapporsi a Dio, del voler vivere senza di Lui, illudendoci di essere noi stessi i padroni della nostra vita. Basterebbe pensare quanto poco facciamo riferimento a Dio nella nostra giornata o lo sentiamo poco importante nella nostra vita. Addirittura possiamo pensare che Lui ci voglia togliere la gioia, la possibilità di vivere e agire come ci piace. Ma Dio non è il concorrente dell'uomo, è la piena realizzazione dell'uomo!
3) «Buttati giù, sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordine per te». «Non tentare il Signore Dio tuo!»
Il maligno propone a Cristo l'uso spettacolare del miracolo. Questa tentazione ritornerà più volte nella vita di Gesù, quando gli chiedono un segno, quando è davanti a Erode e fin sulla croce: «Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce».
È la tentazione della vita facile, anziché ricordare che la strada è erta e scoscesa; del fuggire dalla propria fatica, anziché credere al valore grande del sacrificio e del dono di sé; dell'imporsi, anziché farsi servi e fratelli degli uomini. Se Cristo avesse rifiutato la croce, non avrebbe salvato il mondo, secondo la vera sapienza di Dio.
Il mondo sperimenta anche oggi molto spesso queste tentazioni e si lascia andare a tanti mali.
Si tratta di fare nostra la preghiera: «Non ci indurre in tentazione»: cioè non permettere che cadiamo in quelle tentazioni che sono il nostro male.
Si tratta ancora di attuare quel digiuno quaresimale che i primi cristiani chiamavano "digiunare dal mondo". Esso consiste nel non conformarsi alla mentalità del mondo, nell'astenersi non solo dalle cose peccaminose, ma anche da quelle inutili, superflue che appesantiscono lo spirito e legano l'anima e il corpo alla terra.
Si tratta di aprirsi sempre più ai valori dello spirito, alla presenza operosa del Signore, alle realtà che hanno già il loro valore sulla terra e che dureranno per l'eternità.
Il Signore ci è vicino per darci la forza di vincere le tentazioni e camminare alla sua presenza con amore e con il cuore solidale verso i fratelli.
Anche noi siamo tentati, tante volte e in tante situazioni della nostra esistenza. Anche noi possiamo vincere le tentazioni con la luce e la forza della Parola di Dio. Sarebbe molto bello e sarebbe la nostra salvezza se nelle tentazioni e nei problemi che incontriamo potessimo ricordare una frase, una parola di Dio e su quella costruire il nostro lavoro interiore, il nostro impegno e di conseguenza, la nostra vittoria, la nostra maturazione. Infatti è normale che ci siano tentazioni e prove; non ci devono spaventare troppo; ci sono date perché abbiamo ad affrontarle e vincerle. La tentazione può diventare occasione di maturazione, di libertà, di maggiore amore a Dio e al prossimo. Ecco perché la Bibbia dice: "Chi desidera seguire il Signore, si prepari alla prova". Il vangelo delle tentazioni e tutto l'itinerario quaresimale simboleggia il cammino della vita, che è fatto di prove e di vittorie, di fatiche e di serenità, di peccati e di perdono, della nostra fatica nella fede e della bontà di Dio che sempre ci viene incontro, di chiusura egoistica in noi stessi e di apertura all'amore sincero del prossimo.
Nella quaresima possiamo trovare la verità profonda della vita di Dio e della nostra vita, della nostra debolezza e della nostra salvezza: la quaresima infatti sfocerà nella morte e resurrezione di Gesù, nostro unico salvatore.
Ripercorriamo un po' le tre tentazioni di Cristo:
1) « Se sei Figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pane»; «Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
È la tentazione del materialismo, del consumismo, della illusione della felicità da trovarsi nelle cose materiali. Per i problemi della nostra vita, per i problemi della società e i drammi dell'umanità ci vuole ben altro: valori importanti, il senso della vita, la sapienza del cuore. Basterebbe guardare di che cosa c'è soprattutto bisogno nel cuore dei giovani, nella vita delle nostre famiglie!
2) «Ti darò tutti questi regni se prostrato, mi adorerai». « A Lui solo ti prostrerai e a lui solo adorerai».
È la tentazione dell'orgoglio, del contrapporsi a Dio, del voler vivere senza di Lui, illudendoci di essere noi stessi i padroni della nostra vita. Basterebbe pensare quanto poco facciamo riferimento a Dio nella nostra giornata o lo sentiamo poco importante nella nostra vita. Addirittura possiamo pensare che Lui ci voglia togliere la gioia, la possibilità di vivere e agire come ci piace. Ma Dio non è il concorrente dell'uomo, è la piena realizzazione dell'uomo!
3) «Buttati giù, sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordine per te». «Non tentare il Signore Dio tuo!»
Il maligno propone a Cristo l'uso spettacolare del miracolo. Questa tentazione ritornerà più volte nella vita di Gesù, quando gli chiedono un segno, quando è davanti a Erode e fin sulla croce: «Se sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce».
È la tentazione della vita facile, anziché ricordare che la strada è erta e scoscesa; del fuggire dalla propria fatica, anziché credere al valore grande del sacrificio e del dono di sé; dell'imporsi, anziché farsi servi e fratelli degli uomini. Se Cristo avesse rifiutato la croce, non avrebbe salvato il mondo, secondo la vera sapienza di Dio.
Il mondo sperimenta anche oggi molto spesso queste tentazioni e si lascia andare a tanti mali.
Si tratta di fare nostra la preghiera: «Non ci indurre in tentazione»: cioè non permettere che cadiamo in quelle tentazioni che sono il nostro male.
Si tratta ancora di attuare quel digiuno quaresimale che i primi cristiani chiamavano "digiunare dal mondo". Esso consiste nel non conformarsi alla mentalità del mondo, nell'astenersi non solo dalle cose peccaminose, ma anche da quelle inutili, superflue che appesantiscono lo spirito e legano l'anima e il corpo alla terra.
Si tratta di aprirsi sempre più ai valori dello spirito, alla presenza operosa del Signore, alle realtà che hanno già il loro valore sulla terra e che dureranno per l'eternità.
Il Signore ci è vicino per darci la forza di vincere le tentazioni e camminare alla sua presenza con amore e con il cuore solidale verso i fratelli.
venerdì 12 febbraio 2010
14 Febbraio 2010 - VI Domenica del Tempo Ordinario
Gesù ha scelto e chiamato per nome i suoi dodici apostoli. Mentre discende con loro dal monte, viene circondato da una grande folla, tra cui molti malati. Appena essi riescono a toccare Gesù, una forza misteriosa li guarisce. La folla è piena di ammirazione per Gesù: se egli guarisce con tanta facilità i malati, vuoi dire che Dio è con lui. E attende che parli, perché ognuno porta nel cuore delle sofferenze che non sono fisiche, e che solo la parola di un grande profeta di Dio può guarire. Attende che Gesù indichi la strada della felicità tra le tante miserie della vita.
E Gesù inizia a parlare. Fa un discorso che noi leggeremo per tre domeniche consecutive. Rovesciando la comune maniera di pensare (che vede nelle ricchezze la fonte della felicità), Gesù inizia le sue parole proclamando beati (noi diremmo oggi fortunati) i poveri, quelli che hanno fame, quelli che piangono, quelli che sono perseguitati perché cercano di vivere nell'onestà. Beati, fortunati perché? Perché possiedono le caratteristiche per entrare in possesso del regno di Dio. Gesù sa che i poveri, quelli che hanno fame, quelli che piangono, quelli che sono perseguitati, conoscono la fragilità della vita, confidano in Dio più che in se stessi, sentono il bisogno di essere salvati dal peccato, dalla morte, sono disposti ad aiutarsi a vicenda, e aspettano l'aiuto e la salvezza di Dio. Sono quindi nella condizione giusta, nella corretta apertura a Dio per accettare il suo regno. La Scrittura presenta la beatitudine nell'ascolto e nella scelta di camminare nella legge di Dio. La beatitudine sta nella vicinanza a Dio.
Tutte le beatitudini presentate dall'evangelista Luca si condensano in realtà nella prima che innalza i poveri. La povertà di cui parla Gesù è la scelta per il Regno, la decisione di
porsi dietro i passi di Gesù con un cuore disponibile a lasciarsi rinnovare da Dio.
Poi Gesù pronuncia quattro severi «guai»: contro i ricchi, quelli che sono sazi, quelli che ridono e sono contenti di come vanno le cose del mondo, quelli che vengono lodati e approvati da tutti. Essi infatti non sentono il bisogno di Dio, non attendono né sperano nulla da lui: non avvertono la necessità che Dio li aiuti e li salvi. Non entreranno quindi nel regno di Dio, ma rimarranno chiusi nel loro egoismo. Gesù li considera dei falliti in questa vita, perché non sentiranno mai la gioia di essere figli di Dio, di vivere come fratelli, di sacrificarsi per gli altri. Le parole di Gesù rovesciano la mentalità corrente, quella che stima beati i ricchi e i potenti. E' la nuova mentalità dei cristiani, che farà di loro il popolo nuovo della Terra: un popolo attento agli umili, ai miseri, agli emarginati; un popolo che vede Gesù nei sofferenti, e spezza con loro il pane.
«La beatitudine promessa da Gesù - dice il Catechismo della Chiesa Cattolica - ci insegna che la vera felicità non si trova nelle ricchezze o nel benessere... ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore. Ci invita a purificare il cuore dai suoi istinti cattivi e a cercare l'amore di Dio sopra di tutto. [Purtroppo però] alla ricchezza tutta la massa degli uomini tributa un omaggio istintivo. La ricchezza è quindi uno degli idoli del nostro tempo» (n. 1723).
Una domanda brucia sulle labbra di chi legge le beatitudini di Gesù: il regno di Dio si realizzerà solo dopo questa vita, nella casa del Padre, o avrà inizio in questo mondo di terra e di sangue?
Leggendo il Vangelo possiamo rispondere che Gesù previde la realizzazione piena del Regno e delle beatitudini nella casa del Padre; ma affidò anche ai cristiani e alle persone di buona volontà l'inizio della loro realizzazione in questa vita, per dare speranza al mondo, per dare gioia a chi è afflitto e nutrimento a chi soffre la fame.
L'Abbé Pierre, una lucida coscienza cristiana del nostro tempo, ha dichiarato: «Questa società, la società occidentale almeno, è satanizzata dal consumismo e dall'idolatria del denaro. E una società condannata. Lo scandalo della disuguaglianza emerge in tutta la sua crudezza da una parte all'altra del pianeta.
Il rimedio? E' ritrovare lo spirito delle beatitudini, ancorarsi ai valori che esse proclamano, ispirare ad esse i nostri comportamenti. Ecco, io direi che le beatitudini bisogna farle diventare la nostra guida morale. Il regno di Dio è qui in terra, basta cercarlo».
Si tratta di accogliere con fede le parole di Dio e di assaporare la verità profonda che esse contengono. "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nelle cose materiali il suo sostegno e allontana dal Signore il suo cuore... Benedetto l'uomo che confida nel Signore... egli è come un albero piantato lungo l'acqua, non teme pericoli, non smette di produrre frutti" (Geremia). "Beato l'uomo che pone la speranza nel Signore... la via degli empi andrà in rovina" (Salmo 1).
Gesù dice nel vangelo: "Beati voi poveri, perché vostro è il regno... Rallegratevi perché la vostra ricompensa è grande nei cieli".
La Madonna a Lourdes ha scelto una ragazza povera, le ha chiesto di pregare e di sacrificarsi per la conversione dei peccatori e le ha detto: "Non ti prometto di farti felice in questa vita, ma nell'altra". È quello che conta!
E Gesù inizia a parlare. Fa un discorso che noi leggeremo per tre domeniche consecutive. Rovesciando la comune maniera di pensare (che vede nelle ricchezze la fonte della felicità), Gesù inizia le sue parole proclamando beati (noi diremmo oggi fortunati) i poveri, quelli che hanno fame, quelli che piangono, quelli che sono perseguitati perché cercano di vivere nell'onestà. Beati, fortunati perché? Perché possiedono le caratteristiche per entrare in possesso del regno di Dio. Gesù sa che i poveri, quelli che hanno fame, quelli che piangono, quelli che sono perseguitati, conoscono la fragilità della vita, confidano in Dio più che in se stessi, sentono il bisogno di essere salvati dal peccato, dalla morte, sono disposti ad aiutarsi a vicenda, e aspettano l'aiuto e la salvezza di Dio. Sono quindi nella condizione giusta, nella corretta apertura a Dio per accettare il suo regno. La Scrittura presenta la beatitudine nell'ascolto e nella scelta di camminare nella legge di Dio. La beatitudine sta nella vicinanza a Dio.
Tutte le beatitudini presentate dall'evangelista Luca si condensano in realtà nella prima che innalza i poveri. La povertà di cui parla Gesù è la scelta per il Regno, la decisione di
porsi dietro i passi di Gesù con un cuore disponibile a lasciarsi rinnovare da Dio.
Poi Gesù pronuncia quattro severi «guai»: contro i ricchi, quelli che sono sazi, quelli che ridono e sono contenti di come vanno le cose del mondo, quelli che vengono lodati e approvati da tutti. Essi infatti non sentono il bisogno di Dio, non attendono né sperano nulla da lui: non avvertono la necessità che Dio li aiuti e li salvi. Non entreranno quindi nel regno di Dio, ma rimarranno chiusi nel loro egoismo. Gesù li considera dei falliti in questa vita, perché non sentiranno mai la gioia di essere figli di Dio, di vivere come fratelli, di sacrificarsi per gli altri. Le parole di Gesù rovesciano la mentalità corrente, quella che stima beati i ricchi e i potenti. E' la nuova mentalità dei cristiani, che farà di loro il popolo nuovo della Terra: un popolo attento agli umili, ai miseri, agli emarginati; un popolo che vede Gesù nei sofferenti, e spezza con loro il pane.
«La beatitudine promessa da Gesù - dice il Catechismo della Chiesa Cattolica - ci insegna che la vera felicità non si trova nelle ricchezze o nel benessere... ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore. Ci invita a purificare il cuore dai suoi istinti cattivi e a cercare l'amore di Dio sopra di tutto. [Purtroppo però] alla ricchezza tutta la massa degli uomini tributa un omaggio istintivo. La ricchezza è quindi uno degli idoli del nostro tempo» (n. 1723).
Una domanda brucia sulle labbra di chi legge le beatitudini di Gesù: il regno di Dio si realizzerà solo dopo questa vita, nella casa del Padre, o avrà inizio in questo mondo di terra e di sangue?
Leggendo il Vangelo possiamo rispondere che Gesù previde la realizzazione piena del Regno e delle beatitudini nella casa del Padre; ma affidò anche ai cristiani e alle persone di buona volontà l'inizio della loro realizzazione in questa vita, per dare speranza al mondo, per dare gioia a chi è afflitto e nutrimento a chi soffre la fame.
L'Abbé Pierre, una lucida coscienza cristiana del nostro tempo, ha dichiarato: «Questa società, la società occidentale almeno, è satanizzata dal consumismo e dall'idolatria del denaro. E una società condannata. Lo scandalo della disuguaglianza emerge in tutta la sua crudezza da una parte all'altra del pianeta.
Il rimedio? E' ritrovare lo spirito delle beatitudini, ancorarsi ai valori che esse proclamano, ispirare ad esse i nostri comportamenti. Ecco, io direi che le beatitudini bisogna farle diventare la nostra guida morale. Il regno di Dio è qui in terra, basta cercarlo».
Si tratta di accogliere con fede le parole di Dio e di assaporare la verità profonda che esse contengono. "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nelle cose materiali il suo sostegno e allontana dal Signore il suo cuore... Benedetto l'uomo che confida nel Signore... egli è come un albero piantato lungo l'acqua, non teme pericoli, non smette di produrre frutti" (Geremia). "Beato l'uomo che pone la speranza nel Signore... la via degli empi andrà in rovina" (Salmo 1).
Gesù dice nel vangelo: "Beati voi poveri, perché vostro è il regno... Rallegratevi perché la vostra ricompensa è grande nei cieli".
La Madonna a Lourdes ha scelto una ragazza povera, le ha chiesto di pregare e di sacrificarsi per la conversione dei peccatori e le ha detto: "Non ti prometto di farti felice in questa vita, ma nell'altra". È quello che conta!
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