È vivo
È vivo, fratelli, è risorto, è il “per sempre presente”!
Lo abbiamo accompagnato tra gli ulivi del Getsemani, quando ci siamo assopiti, vinti dal sonno, senza sapere che, accanto a noi, si stava consumando lo scontro titanico fra le tenebre e l’Amore.
Lo abbiamo seguito da lontano, come Pietro, dopo l'arresto al Getsemani, storditi ed impauriti vedendo tanta violenza su un uomo buono e mite.
Lo abbiamo visto, appeso, sfigurato, sconvolto, stracciato, perdonare i suoi assassini fino all'ultimo soffio di vita.
Poi, assieme agli altri, ci siamo chiusi nella stanza alta, quella della cena. Come se le pareti avessero conservato qualcosa di lui. Per farci coraggio, senza neppure avere il diritto di piangere, divorati dalla paura.
Sembrava tutto finito nel peggiore dei modi, come accade spesso nella nostra vita.
Disfatta totale, partita persa, fine dei sogni.
Pensiamo: Abbiamo inseguito un sogno troppo bello per essere vero!.
E invece, sul fare del mattino, il giorno dopo lo shabbat di Pesah, Maria di Magdala è venuta a dirci di correre alla tomba.
Sì, Gesù è risorto, fratelli.
La resurrezione di Gesù, che Giovanni evita accuratamente di descrivere, è tutta una corsa.
L'inizio, ad essere onesti, è davvero sconfortante: Maria di Magdala si muove ancora nel buio (buio del cuore, come il buio in cui si viene a trovare Giuda quando esce dal Cenacolo – Gv 13,30) e sente vicina la presenza del crocifisso; quando arriva alla tomba vede la pietra ribaltata e – stranamente – non entra, non verifica. Corre dai discepoli e trae delle conclusioni affrettate: qualcuno ha rubato il corpo di Gesù.
Grande Maria! Vede dei segni ma non li sa interpretare. Di più: quando – più avanti – entrerà nel sepolcro, non resterà turbata e piena di fede come Giovanni e Pietro ma, imperterrita, continuerà a piangere, anche davanti al Risorto!
Com'è difficile uscire dal dolore!
Maria trae conclusioni affrettate, è tutta presa dalla sua percezione, non si ferma, non entra, non capisce, non approfondisce.
Piange e basta. E questo pianto le impedisce di riconoscere le fattezze del Maestro.
Ci sono lacrime e lacrime.
Quelle splendide, di conversione, di pentimento, di dolore, che lavano l'anima di Pietro, quando incrocia lo sguardo di Gesù nel cortile del Sinedrio (Lc 22,61); quelle purificatrici della prostituta che si mette a lavare i piedi di Gesù (Lc 7,38); le lacrime stesse di Gesù che si commuove alla vista del dolore per la morte di Lazzaro (Gv 11,35).
E vi sono anche lacrime inutili, come quelle già citate delle donne di Gerusalemme, e ora quelle di Maria, inconsolabili. Il limite del suo pianto, segno di un profondo dolore che merita tutto il nostro rispetto, è quello che le impedisce di accorgersi della verità.
La conversione al Risorto è difficile, difficilissima. Occorre allontanarsi dal proprio dolore.
Condividere la gioia cristiana significa superare il dolore che ci rende tristi. Non c'è che un modo per superare il dolore: non amarlo, non affezionarvisi. La gioia cristiana infatti è una tristezza superata.
Ma resistenze, dubbi, mancanza di fede pesano sul nostro cuore.
Un'esperienza dolorosa nell'infanzia, una serie di eventi che ci hanno deluso possono davvero impedirci di entrare nella gioia cristiana, che non è un'emozione, ma una scelta consapevole.
Pietro e Giovanni corrono al sepolcro. Una corsa affannosa, mentre Gerusalemme è ancora avvolta nel sonno, e il sole ha cominciato a scaldare le pietre color ocra con cui sono costruite le abitazioni e le mura che avvolgono la città.
Ma, sapete, l'età (Pietro è sicuramente più vecchio di Giovanni) e la teologia (Pietro, l'autorità, il ruolo, deve sempre star dietro a Giovanni, l'amore e la creatività) fanno sì che Giovanni giunga per primo al sepolcro e poi aspetti Pietro che arriva ansimando, senza fiato.
È questa l'esperienza delle Chiesa: correre al sepolcro e sapersi aspettare gli uni gli altri. Abbiamo ritmi diversi, siamo splendidamente diversi, fratelli. Ma siamo tutti Chiesa.
Il nostro Salvatore, che era morto, è risorto. Si è fatto uomo per morire. È morto per risorgere.
È risorto ed è vivo e glorioso per sempre. Ha vinto la morte ed è vittorioso per sempre.
Così ci ha amati del suo amore infinito fino a farsi come noi in tutto, fino a morire come tutti e per tutti: “non c'è amore più grande di chi dà la vita per la persona amata”.
Potevamo avere un Salvatore più grande? Una vocazione più alta? Una prospettiva più luminosa e santa?
Viviamo allora la Pasqua, fratelli.
Cos'è la Pasqua? Che cosa sa della Pasqua il mondo che ci circonda? La festa della primavera? La festa della natura che si risveglia, dell'uovo nel suo simbolo di vita? Un'altra occasione di schiavitù nella nostra società dei consumi? Una tradizione religiosa – certamente importante - ma di cui non si conosce il contenuto e di cui non interessano le conseguenze perché ci sembra più opportuno continuare a vivere solamente per i soldi, per gli affari, per i piaceri in una concezione materialistica della vita?
Occorre ridare alla Pasqua la sua autenticità, il suo respiro, la sua verità cristiana.
Pasqua è un termine che significa: passaggio, liberazione.
La Pasqua del popolo ebraico è stato il grande passaggio dalla schiavitù dell'Egitto alla libertà e alla gioia della terra promessa.
La Pasqua di Cristo è il passaggio dalla sua morte di croce alla sua resurrezione.
Gesù di Nazaret, condannato a morte, chiuso in un sepolcro, risorge, è vivo ed è vivo per sempre. Condannato per la novità che proclamava, suggella e conferma il suo messaggio con la risurrezione. Aveva affermato di essere il Figlio di Dio: la resurrezione ne è la prova più grande.
La pasqua del cristiano, inserito nel movimento di liberazione del Cristo, è il passaggio dal male al bene, la liberazione da ogni forma di schiavitù, di male, di limite e la realizzazione delle opere stesse di Dio in una vita rinnovata e diversa. “Se siete risorti con Cristo, scrive S. Paolo, cercate le cose di lassù, non quelle della terra, pensate alle cose di lassù”.
Il cristiano è chiamato ad essere il testimone della resurrezione, della resurrezione di Cristo e della resurrezione degli uomini.
Ci crede e porta questa fede agli altri. Crede a Cristo vivo per sempre, crede che tutti gli uomini, vivranno - al di là della morte - per sempre.
Il cristiano è chiamato a credere alla resurrezione già su questa terra, impegnandosi per la liberazione totale dell'uomo, per la costruzione di una vita completamente nuova, diversa, impostata su rapporti nuovi. “Questo è il mio comandamento: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati”.
Il mondo è vecchio perché è nel peccato, perché vive secondo l'egoismo. La novità è l'amore. Dio è novità assoluta e perenne, Cristo è novità, la Chiesa è novità, il cristiano è novità. Perché tutto è amore.
Questa novità si esprime in un comportamento e uno stile di vita che è radicalmente rivoluzionario: la rivoluzione dei consigli evangelici, la rivoluzione delle beatitudini:
«beati i poveri, i miti, i puri, i costruttori di pace, i perseguitati...».
Il cristiano trova la forza di costruire la novità, cioè la pasqua di Cristo nella sua vita, attraverso i Sacramenti pasquali che Cristo ha offerto agli uomini: l'Eucarestia, il sacerdozio, il perdono nella confessione.
Siamo invitati a vivere i sacramenti pasquali, a vivere le beatitudini evangeliche, vivere la risurrezione, cioè a costruire la nostra esistenza in pienezza.
E Cristo Gesù, risorto e vivente per sempre, è il nostro salvatore, la nostra forza e il nostro sostegno ogni momento. In particolare Cristo è nostra forza e nostra salvezza nell'Eucarestia.
“Rimani con noi Signore”, “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.
Cristo Risorto è vivo e presente con noi, in mezzo a noi nel sacramento dell'Eucarestia.
È vivo, fratelli, è risorto, è il “per sempre presente”!
Lo abbiamo accompagnato tra gli ulivi del Getsemani, quando ci siamo assopiti, vinti dal sonno, senza sapere che, accanto a noi, si stava consumando lo scontro titanico fra le tenebre e l’Amore.
Lo abbiamo seguito da lontano, come Pietro, dopo l'arresto al Getsemani, storditi ed impauriti vedendo tanta violenza su un uomo buono e mite.
Lo abbiamo visto, appeso, sfigurato, sconvolto, stracciato, perdonare i suoi assassini fino all'ultimo soffio di vita.
Poi, assieme agli altri, ci siamo chiusi nella stanza alta, quella della cena. Come se le pareti avessero conservato qualcosa di lui. Per farci coraggio, senza neppure avere il diritto di piangere, divorati dalla paura.
Sembrava tutto finito nel peggiore dei modi, come accade spesso nella nostra vita.
Disfatta totale, partita persa, fine dei sogni.
Pensiamo: Abbiamo inseguito un sogno troppo bello per essere vero!.
E invece, sul fare del mattino, il giorno dopo lo shabbat di Pesah, Maria di Magdala è venuta a dirci di correre alla tomba.
Sì, Gesù è risorto, fratelli.
La resurrezione di Gesù, che Giovanni evita accuratamente di descrivere, è tutta una corsa.
L'inizio, ad essere onesti, è davvero sconfortante: Maria di Magdala si muove ancora nel buio (buio del cuore, come il buio in cui si viene a trovare Giuda quando esce dal Cenacolo – Gv 13,30) e sente vicina la presenza del crocifisso; quando arriva alla tomba vede la pietra ribaltata e – stranamente – non entra, non verifica. Corre dai discepoli e trae delle conclusioni affrettate: qualcuno ha rubato il corpo di Gesù.
Grande Maria! Vede dei segni ma non li sa interpretare. Di più: quando – più avanti – entrerà nel sepolcro, non resterà turbata e piena di fede come Giovanni e Pietro ma, imperterrita, continuerà a piangere, anche davanti al Risorto!
Com'è difficile uscire dal dolore!
Maria trae conclusioni affrettate, è tutta presa dalla sua percezione, non si ferma, non entra, non capisce, non approfondisce.
Piange e basta. E questo pianto le impedisce di riconoscere le fattezze del Maestro.
Ci sono lacrime e lacrime.
Quelle splendide, di conversione, di pentimento, di dolore, che lavano l'anima di Pietro, quando incrocia lo sguardo di Gesù nel cortile del Sinedrio (Lc 22,61); quelle purificatrici della prostituta che si mette a lavare i piedi di Gesù (Lc 7,38); le lacrime stesse di Gesù che si commuove alla vista del dolore per la morte di Lazzaro (Gv 11,35).
E vi sono anche lacrime inutili, come quelle già citate delle donne di Gerusalemme, e ora quelle di Maria, inconsolabili. Il limite del suo pianto, segno di un profondo dolore che merita tutto il nostro rispetto, è quello che le impedisce di accorgersi della verità.
La conversione al Risorto è difficile, difficilissima. Occorre allontanarsi dal proprio dolore.
Condividere la gioia cristiana significa superare il dolore che ci rende tristi. Non c'è che un modo per superare il dolore: non amarlo, non affezionarvisi. La gioia cristiana infatti è una tristezza superata.
Ma resistenze, dubbi, mancanza di fede pesano sul nostro cuore.
Un'esperienza dolorosa nell'infanzia, una serie di eventi che ci hanno deluso possono davvero impedirci di entrare nella gioia cristiana, che non è un'emozione, ma una scelta consapevole.
Pietro e Giovanni corrono al sepolcro. Una corsa affannosa, mentre Gerusalemme è ancora avvolta nel sonno, e il sole ha cominciato a scaldare le pietre color ocra con cui sono costruite le abitazioni e le mura che avvolgono la città.
Ma, sapete, l'età (Pietro è sicuramente più vecchio di Giovanni) e la teologia (Pietro, l'autorità, il ruolo, deve sempre star dietro a Giovanni, l'amore e la creatività) fanno sì che Giovanni giunga per primo al sepolcro e poi aspetti Pietro che arriva ansimando, senza fiato.
È questa l'esperienza delle Chiesa: correre al sepolcro e sapersi aspettare gli uni gli altri. Abbiamo ritmi diversi, siamo splendidamente diversi, fratelli. Ma siamo tutti Chiesa.
Il nostro Salvatore, che era morto, è risorto. Si è fatto uomo per morire. È morto per risorgere.
È risorto ed è vivo e glorioso per sempre. Ha vinto la morte ed è vittorioso per sempre.
Così ci ha amati del suo amore infinito fino a farsi come noi in tutto, fino a morire come tutti e per tutti: “non c'è amore più grande di chi dà la vita per la persona amata”.
Potevamo avere un Salvatore più grande? Una vocazione più alta? Una prospettiva più luminosa e santa?
Viviamo allora la Pasqua, fratelli.
Cos'è la Pasqua? Che cosa sa della Pasqua il mondo che ci circonda? La festa della primavera? La festa della natura che si risveglia, dell'uovo nel suo simbolo di vita? Un'altra occasione di schiavitù nella nostra società dei consumi? Una tradizione religiosa – certamente importante - ma di cui non si conosce il contenuto e di cui non interessano le conseguenze perché ci sembra più opportuno continuare a vivere solamente per i soldi, per gli affari, per i piaceri in una concezione materialistica della vita?
Occorre ridare alla Pasqua la sua autenticità, il suo respiro, la sua verità cristiana.
Pasqua è un termine che significa: passaggio, liberazione.
La Pasqua del popolo ebraico è stato il grande passaggio dalla schiavitù dell'Egitto alla libertà e alla gioia della terra promessa.
La Pasqua di Cristo è il passaggio dalla sua morte di croce alla sua resurrezione.
Gesù di Nazaret, condannato a morte, chiuso in un sepolcro, risorge, è vivo ed è vivo per sempre. Condannato per la novità che proclamava, suggella e conferma il suo messaggio con la risurrezione. Aveva affermato di essere il Figlio di Dio: la resurrezione ne è la prova più grande.
La pasqua del cristiano, inserito nel movimento di liberazione del Cristo, è il passaggio dal male al bene, la liberazione da ogni forma di schiavitù, di male, di limite e la realizzazione delle opere stesse di Dio in una vita rinnovata e diversa. “Se siete risorti con Cristo, scrive S. Paolo, cercate le cose di lassù, non quelle della terra, pensate alle cose di lassù”.
Il cristiano è chiamato ad essere il testimone della resurrezione, della resurrezione di Cristo e della resurrezione degli uomini.
Ci crede e porta questa fede agli altri. Crede a Cristo vivo per sempre, crede che tutti gli uomini, vivranno - al di là della morte - per sempre.
Il cristiano è chiamato a credere alla resurrezione già su questa terra, impegnandosi per la liberazione totale dell'uomo, per la costruzione di una vita completamente nuova, diversa, impostata su rapporti nuovi. “Questo è il mio comandamento: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati”.
Il mondo è vecchio perché è nel peccato, perché vive secondo l'egoismo. La novità è l'amore. Dio è novità assoluta e perenne, Cristo è novità, la Chiesa è novità, il cristiano è novità. Perché tutto è amore.
Questa novità si esprime in un comportamento e uno stile di vita che è radicalmente rivoluzionario: la rivoluzione dei consigli evangelici, la rivoluzione delle beatitudini:
«beati i poveri, i miti, i puri, i costruttori di pace, i perseguitati...».
Il cristiano trova la forza di costruire la novità, cioè la pasqua di Cristo nella sua vita, attraverso i Sacramenti pasquali che Cristo ha offerto agli uomini: l'Eucarestia, il sacerdozio, il perdono nella confessione.
Siamo invitati a vivere i sacramenti pasquali, a vivere le beatitudini evangeliche, vivere la risurrezione, cioè a costruire la nostra esistenza in pienezza.
E Cristo Gesù, risorto e vivente per sempre, è il nostro salvatore, la nostra forza e il nostro sostegno ogni momento. In particolare Cristo è nostra forza e nostra salvezza nell'Eucarestia.
“Rimani con noi Signore”, “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.
Cristo Risorto è vivo e presente con noi, in mezzo a noi nel sacramento dell'Eucarestia.