“Vi
ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo
Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e
vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto… Vado e tornerò da voi” ( Gv 14,
23-29).
Rispetto alla Pasqua, dobbiamo fare un passo indietro: il vangelo di oggi ci riporta infatti all'ultima cena. Nel corso del lungo discorso fatto in quell'occasione, Gesù annuncia la propria partenza, che se ne va; ma consapevole del turbamento e dello sconforto che i discepoli avrebbero provato a tale notizia, aggiunge subito: “Vi lascio la pace... Non sia turbato il vostro
cuore, non abbia timore”.
Effettivamente lo
smarrimento degli apostoli è grande, ma Gesù dice: “Tranquilli, amici miei,
perché dopo la mia morte sentirete una presenza dentro di voi che vi sosterrà e
vi darà forza. Voi ora soffrite, ma la vostra sofferenza sarà presto cambiata
in una gioia indicibile”. Le parole di Gesù, oltre che a consolare gli
apostoli, a rassicurarli, anticipano quanto di impensabile succederà dopo la
sua partenza: Egli sarà sempre con loro, in maniera diversa ma sarà con loro;
una nuova realtà nascerà in loro: lo Spirito di Dio che li proietterà verso una
vita completamente nuova. Anche noi a volte consoliamo chi si trova in difficoltà con tante belle parole: ma le nostre belle parole difficilmente riescono a raggiungere il cuore delle persone: scivolano via, perché non sono convinte, sono solo di convenienza. Spesso invece basterebbe fare silenzio, non dire nulla, ma esserci. Far “sentire” la nostra presenza, il nostro coinvolgimento.
“Consolare” deriva da cum-solus, stare cioè con chi è solo. Affiancarci. A volte infatti non c'è niente da dire. Non c'è niente da fare. Si tratta solo di esserci. Di assicurare la nostra “consolante” presenza. Il dolore, la fatica, l'angoscia, le separazioni, fanno parte della vita. Ne sono il corollario. Non si possono eliminare. In tal caso consolare non significa minimizzare, non significa far finta di niente: consolare vuol dire aiutare a superare le contrarietà della vita.
Il vangelo ci descrive una situazione particolarmente critica per gli apostoli: il mondo sta per crollare loro addosso; tutto quello per cui avevano lottato e vissuto, improvvisamente sta per finire: Gesù, la loro guida, il loro punto di forza, sta per andarsene lasciandoli soli. L'angoscia li sommerge! Ma Gesù: “Non abbiate paura amici miei, non turbate il vostro cuore. È vero, fisicamente non sarò più con voi, ma continuerò comunque a starvi vicino. Avvertirete la mia presenza dentro di voi; non vi sentirete mai soli. Credetemi sarà così”. E fu così.
“Se uno mi ama osserverà la mia parola”.
“Osservare” vuol dire non perdere mai di vista. Qui, allora, non si parla di “osservanza” nel senso “obbedienza”, di comportarci cioè in modo giusto o sbagliato, ma di “custodire” gli insegnamenti di Gesù.
Le parole che Gesù aveva pronunciato durante la sua missione terrena, avevano riscaldato il cuore degli apostoli, la loro anima; erano state il loro nutrimento vitale. Ora, se vogliono continuare ad amarlo, le devono “osservare”; le devono custodire come un tesoro unico e prezioso.
Rimanere fedeli a sé stessi significa che non dobbiamo mai perdere di vista ciò che ci prende l'anima, che ci appassiona il cuore, che è centrale per la nostra vita. Non facciamoci distrarre. Dobbiamo invece chiederci sempre: “Noi cosa vogliamo? Di che cosa siamo affamati? Che cosa ci fa sentire vivi?”. L'anima non si accontenta di quello che le passa davanti. L'anima vuole il suo nutrimento, il suo cibo. E una volta che abbiamo individuato ciò che per lei è vitale, dobbiamo conservarlo, custodirlo, fare in modo che non vada perso.
Oggi il mondo ci offre migliaia di cose da fare. Se guardiamo a tutto ciò che potremmo fare, ci confondiamo. Il rischio è di essere tirati a destra e manca, di voler fare di tutto e di più, senza poi arrivare a nulla di concreto. Per questo dobbiamo ogni tanto fermarci, pregare, e ripartire, avendo ben chiara dentro di noi la direzione del nostro andare.
Conserviamo gelosamente le nostre intuizioni: non perdiamole! Non dimentichiamo mai ciò che appassionava la nostra anima. Perché è diventando sordi ai suoi suggerimenti che moriamo dentro.
Conserviamo le nostre relazioni umane: ci sono delle persone che sono per noi come dei porti, delle ancore di salvezza, dei salvagente nel pericolo; mai perderle, mai lasciarle, perché esse ci aiutano a vivere.
Conserviamo i nostri incontri: ci sono delle esperienze che ci ricaricano, ci fanno rientrare in noi stessi, ci danno forza ed energia per andare avanti, ci riscaldano il cuore, sono sangue e linfa dell'anima. A volte la fatica, la stanchezza, ci distolgono da ciò che per noi è vitale.
Conserviamo le nostre parole: in certi momenti della vita tutti noi abbiamo percepito dei richiami, delle parole che ci hanno toccato il cuore, che ci hanno scosso, che sono rimbombate dentro l’anima; accarezziamole, ritorniamoci sopra, custodiamole perché sono il dono di Dio per ciascuno di noi, sono le indicazioni di chi siamo e di dove andiamo.
Solo così ci renderemo conto di cosa vuol dire avere il Consolatore dentro di noi.
“Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”.
Quando il mondo ci cade addosso, quando ci ritroviamo di fronte ad una difficoltà insuperabile, ad un errore colossale, quando dobbiamo fare una scelta che nessun altro può fare per noi, ed è una scelta difficile, dolorosa, scendiamo dentro di noi e cerchiamo: perché da qualche parte c'è Lui, il Consolatore.
È questo che il vangelo di oggi ci dice: è dentro di noi, nella nostra intimità, che troviamo forza e consolazione: perché lì c'è lo Spirito, lì c’è il Dio Amore, lì c’è il “Dio in noi”.
A che servirebbe essere forti all’esterno, belli, grandi, potenti, se poi all’interno non sappiamo attingere dalla Vita, la forza di reggere le difficoltà, di vincere le debolezze, di sostenere i nostri principi?
Purtroppo il mondo si preoccupa esclusivamente dell’apparire: di essere più belli, più affascinanti, più eleganti, più applauditi di qualunque altro. È un'idea illusoria che avvelena la vita di milioni di persone. Per il mondo, è “forte” chi non ha cedimenti, chi non sente la paura, chi non dimostra mai alcun dubbio, alcuna incertezza, alcun cedimento, alcuna debolezza; la “forza” dell’uomo di mondo sta nell'intensità e nella profondità dello sguardo, nel suo portamento “regale”, nel suo incedere affettato; è “forte” chi è “un tipo”, chi conta migliaia di “follower”, di ammiratori che stanno tutti ai suoi piedi, chi ostenta il coraggio di affrontare qualunque rischio, chi sa mascherare bene la propria vita; è “forte” chi è scaltro, chi è astuto, chi è furbo, chi è calcolatore, chi se la cava sempre e comunque, chi come il camaleonte si adatta a tutto, in vista di un tornaconto.
Per il vangelo, la forza di un uomo sta nell’ascoltare la propria coscienza, nel conoscere sé stesso, nel seguire i suggerimenti dell’anima, nell’accettare umilmente ciò che la Vita gli riserva, nel non vergognarsi della propria fede, di chiamare ogni “cosa” con il suo nome, nel chiedere perdono quando sbaglia, nel mettersi a servizio del prossimo, nell’evitare insomma qualunque compromesso, qualunque passo falso, con la propria coscienza, con la propria dignità e integrità, con la propria vita.
Quando guardiamo un albero lussureggiante, siamo portati a dire: “Che belle foglie; com'è alto! E che fiori! E che frutti meravigliosi!”. Ma in realtà dovremmo dire: “La bellezza, il vigore, la forza di quell’albero, dipendono dalle sue radici nascoste nella profondità del terreno, dalla linfa che scorre senza ostacoli e senza barriere al suo interno; è solo grazie a loro che la sua energia interiore, sprigionandosi all’esterno, lo rende bello, fiorito, carico di frutti”. Perché quel che appare all’esterno, è l’esatta proiezione di quello che si nasconde all’interno, in profondità.
Per cui se esaminando la nostra vita, non siamo soddisfatti di come ci comportiamo esteriormente, di quello che dimostriamo all’esterno, una cosa sola ci rimane da fare: modificare, correggere, cambiare radicalmente il nostro interno. Amen