In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Siamo alla quarta domenica
del tempo di Avvento, la domenica che precede il Natale.
Il vangelo di oggi ci
presenta l’incontro tra Maria ed Elisabetta, tra queste due donne che sono
“parenti” non tanto di sangue, ma soprattutto per ciò che sta loro capitando e
che le accomuna entrambe: l’una e l’altra cioè hanno gravidanze straordinarie;
l’una e l’altra hanno mariti scettici; l’una e l’altra hanno in grembo figli
“particolari”; l’una e l’altra sono madri di una novità che non conoscono e che
le supera.
Si capiscono bene, proprio
perché vivono cose simili.
Maria dal nord della Galilea,
si mette in viaggio, in fretta, verso il sud della Giudea.
Facciamo mente locale per un
attimo: Maria intraprende da sola un viaggio di molti giorni; una donna sola, a
quel tempo, era esposta a pericoli di ogni genere! Inoltre, per scendere dalla
Galilea alla Giudea, era necessario allungare di molto il viaggio, almeno di
tre o quattro giorni, per evitare di passare attraverso la Samaria, nemica
secolare dei Giudei. Insomma, era un’impresa impensabile per chiunque volesse
farla da solo.
Ma lei è decisa: si alza e
parte! A volte noi immaginiamo Maria come modello di riservatezza, di umiltà,
di silenzio: una donna dimessa che ubbidisce a tutti e se ne sta zitta e
tranquilla, nella sua stanzetta; una madre insomma tutta casa e preghiera. Ma
dai vangeli non appare affatto così: Maria è una donna risoluta, forte,
coraggiosa, intraprendente.
Del resto c'era voluto un bel
coraggio per dire “sì” ad una maternità come la sua, per affrontare il giudizio
di Giuseppe, dei famigliari, della gente, per acclamare apertamente, nella sua
condizione femminile di quel tempo: “Dio rovescia i potenti... rimanda i ricchi
a mani vuote... disperde i superbi...”. Poteva essere accusata come sovversiva,
e andare incontro a gravi conseguenze!
Il vangelo ci dice dunque che
Maria ha fretta, ma non dice il perché. Dice però che arrivata da Elisabetta,
entrò “nella casa di Zaccaria e salutò Elisabetta”. La fretta di abbracciare la
cugina è talmente forte da farle dimenticare un saluto al padrone di casa
Zaccaria: possibile che durante il viaggio sia diventata improvvisamente
scortese, maleducata? Oppure c’è dell’altro, un qualcosa che è successo proprio
in quella casa? Zaccaria in effetti era muto a causa della sua incredulità
all’annuncio di Dio: egli, sacerdote e religioso, aveva rifiutato lo Spirito
Santo, aveva rifiutato l’annuncio di Dio.
Maria ed Elisabetta, invece,
lo Spirito Santo lo hanno accolto, immediatamente. E questo Spirito le ha
riempite non solo di un figlio ma di una gioia, di una sensibilità, di una
profondità che solo loro due possono condividere: una intimità che Zaccaria non
può né provare né capire.
In estrema sintesi, Luca vuol
dirci: solo chi è vivo può capire la vita; solo chi è innamorato può capire
l’amore; solo chi ha la felicità può capire la gioia.
Zaccaria non può capire;
Zaccaria non può vibrare; non sa entusiasmarsi, non sa stupirsi, non sa
meravigliarsi, non sa piangere, non sa rallegrarsi, non ha lo stesso cuore
delle due donne.
Il suo è un cuore morto.
Soltanto chi ha il cuore vivo, pieno d’amore, chi ha il cuore grande, può
capire l’annuncio di Dio, ed aver fretta, come Maria, di condividerlo. Gli
altri non possono capire perché sono legati alle logiche della mente umana,
alle logiche economiche, alle logiche finanziarie, della paura.
Il saluto di Maria, piena di
Spirito Santo, trasmette ad Elisabetta lo stesso Spirito. Maria passa ad
Elisabetta ciò che vive, ciò che possiede, ciò che ha. È piena di Spirito e
passa lo Spirito. Ognuno, nella propria vita, trasmette ciò che ha, comunica
quello che è.
Il loro saluto è uno scambio,
una comunicazione di percezioni, di energie vitali, di vibrazioni dell’anima. È
un incontro in cui, al di là dei discorsi, i cuori e le anime delle due donne
si sfiorano e si toccano.
Ebbene, sull’esempio di Maria
permettiamo anche noi allo Spirito del Signore di incontrarci nel profondo del
nostro cuore? O lo blocchiamo in superficie, a confrontarsi solo con le nostre
esibizioni, col nostro apparire, con le nostre maschere esteriori? Non è certo
così che dobbiamo incontrare Dio. Non importa quanta distanza abbiamo messo tra
noi e Lui. Non importa se ci sia qualcosa di irrisolto o di sospeso tra noi.
Non importa se ci troviamo in difficoltà, in crisi, in preda al panico,
all'angoscia. Tutto questo non ha nessuna importanza, perché se riusciamo a
incontrarLo nell'anima, tutto viene spazzato via in un attimo.
Solo infatti incontrandoLo
nella completa nudità del nostro cuore, possiamo trovare la serenità,
confidargli le nostre paure, esternargli ciò che ci fa male, ciò che ci
ferisce, confessargli le nostre gelosie, le nostre invidie, le nostre
meschinità, le cause dei nostri pianti, le nostre sofferenze; solo
incontrandoLo possiamo aprirci e raccontargli i nostri sogni, spiegargli le
nostre intuizioni, i nostri desideri, i nostri segreti, il mistero che sentiamo
vivere in noi.
Insomma: è la nostra vita
interiore che dobbiamo comunicare a Dio, non vuote parole di comodo; è l’anima
che dobbiamo offrirgli quando lo incontriamo nella preghiera, non squallide
cerimonie. Allora, e solo allora, avverrà il nostro incontro; allora, e solo
allora, sperimenteremo la sacralità di una vita in unione con Lui. E anche se
ciò risultasse talvolta difficile, ci costasse fatica, ci facesse star male, ci
facesse soffrire, pazienza, perché solo uniti saldamente a Lui è vivere una
Vita vera. Amen.