giovedì 19 dicembre 2024

22 Dicembre 2024 – IV DOMENICA DI AVVENTO




Lc 1,39-45 
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Siamo alla quarta domenica del tempo di Avvento, la domenica che precede il Natale.
Il vangelo di oggi ci presenta l’incontro tra Maria ed Elisabetta, tra queste due donne che sono “parenti” non tanto di sangue, ma soprattutto per ciò che sta loro capitando e che le accomuna entrambe: l’una e l’altra cioè hanno gravidanze straordinarie; l’una e l’altra hanno mariti scettici; l’una e l’altra hanno in grembo figli “particolari”; l’una e l’altra sono madri di una novità che non conoscono e che le supera.
Si capiscono bene, proprio perché vivono cose simili.
Maria dal nord della Galilea, si mette in viaggio, in fretta, verso il sud della Giudea.
Facciamo mente locale per un attimo: Maria intraprende da sola un viaggio di molti giorni; una donna sola, a quel tempo, era esposta a pericoli di ogni genere! Inoltre, per scendere dalla Galilea alla Giudea, era necessario allungare di molto il viaggio, almeno di tre o quattro giorni, per evitare di passare attraverso la Samaria, nemica secolare dei Giudei. Insomma, era un’impresa impensabile per chiunque volesse farla da solo.
Ma lei è decisa: si alza e parte! A volte noi immaginiamo Maria come modello di riservatezza, di umiltà, di silenzio: una donna dimessa che ubbidisce a tutti e se ne sta zitta e tranquilla, nella sua stanzetta; una madre insomma tutta casa e preghiera. Ma dai vangeli non appare affatto così: Maria è una donna risoluta, forte, coraggiosa, intraprendente.
Del resto c'era voluto un bel coraggio per dire “sì” ad una maternità come la sua, per affrontare il giudizio di Giuseppe, dei famigliari, della gente, per acclamare apertamente, nella sua condizione femminile di quel tempo: “Dio rovescia i potenti... rimanda i ricchi a mani vuote... disperde i superbi...”. Poteva essere accusata come sovversiva, e andare incontro a gravi conseguenze!
Il vangelo ci dice dunque che Maria ha fretta, ma non dice il perché. Dice però che arrivata da Elisabetta, entrò “nella casa di Zaccaria e salutò Elisabetta”. La fretta di abbracciare la cugina è talmente forte da farle dimenticare un saluto al padrone di casa Zaccaria: possibile che durante il viaggio sia diventata improvvisamente scortese, maleducata? Oppure c’è dell’altro, un qualcosa che è successo proprio in quella casa? Zaccaria in effetti era muto a causa della sua incredulità all’annuncio di Dio: egli, sacerdote e religioso, aveva rifiutato lo Spirito Santo, aveva rifiutato l’annuncio di Dio.
Maria ed Elisabetta, invece, lo Spirito Santo lo hanno accolto, immediatamente. E questo Spirito le ha riempite non solo di un figlio ma di una gioia, di una sensibilità, di una profondità che solo loro due possono condividere: una intimità che Zaccaria non può né provare né capire.
In estrema sintesi, Luca vuol dirci: solo chi è vivo può capire la vita; solo chi è innamorato può capire l’amore; solo chi ha la felicità può capire la gioia.
Zaccaria non può capire; Zaccaria non può vibrare; non sa entusiasmarsi, non sa stupirsi, non sa meravigliarsi, non sa piangere, non sa rallegrarsi, non ha lo stesso cuore delle due donne.
Il suo è un cuore morto. Soltanto chi ha il cuore vivo, pieno d’amore, chi ha il cuore grande, può capire l’annuncio di Dio, ed aver fretta, come Maria, di condividerlo. Gli altri non possono capire perché sono legati alle logiche della mente umana, alle logiche economiche, alle logiche finanziarie, della paura.
Il saluto di Maria, piena di Spirito Santo, trasmette ad Elisabetta lo stesso Spirito. Maria passa ad Elisabetta ciò che vive, ciò che possiede, ciò che ha. È piena di Spirito e passa lo Spirito. Ognuno, nella propria vita, trasmette ciò che ha, comunica quello che è.
Il loro saluto è uno scambio, una comunicazione di percezioni, di energie vitali, di vibrazioni dell’anima. È un incontro in cui, al di là dei discorsi, i cuori e le anime delle due donne si sfiorano e si toccano.
Ebbene, sull’esempio di Maria permettiamo anche noi allo Spirito del Signore di incontrarci nel profondo del nostro cuore? O lo blocchiamo in superficie, a confrontarsi solo con le nostre esibizioni, col nostro apparire, con le nostre maschere esteriori? Non è certo così che dobbiamo incontrare Dio. Non importa quanta distanza abbiamo messo tra noi e Lui. Non importa se ci sia qualcosa di irrisolto o di sospeso tra noi. Non importa se ci troviamo in difficoltà, in crisi, in preda al panico, all'angoscia. Tutto questo non ha nessuna importanza, perché se riusciamo a incontrarLo nell'anima, tutto viene spazzato via in un attimo. 
Solo infatti incontrandoLo nella completa nudità del nostro cuore, possiamo trovare la serenità, confidargli le nostre paure, esternargli ciò che ci fa male, ciò che ci ferisce, confessargli le nostre gelosie, le nostre invidie, le nostre meschinità, le cause dei nostri pianti, le nostre sofferenze; solo incontrandoLo possiamo aprirci e raccontargli i nostri sogni, spiegargli le nostre intuizioni, i nostri desideri, i nostri segreti, il mistero che sentiamo vivere in noi.
Insomma: è la nostra vita interiore che dobbiamo comunicare a Dio, non vuote parole di comodo; è l’anima che dobbiamo offrirgli quando lo incontriamo nella preghiera, non squallide cerimonie. Allora, e solo allora, avverrà il nostro incontro; allora, e solo allora, sperimenteremo la sacralità di una vita in unione con Lui. E anche se ciò risultasse talvolta difficile, ci costasse fatica, ci facesse star male, ci facesse soffrire, pazienza, perché solo uniti saldamente a Lui è vivere una Vita vera. Amen.

 

giovedì 12 dicembre 2024

15 Dicembre 2024 – III DOMENICA DI AVVENTO


Lc 3,10-18 
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

Nel vangelo di oggi la gente va dal Battista per porgli una domanda fondamentale: “Che cosa dobbiamo fare?”. Una domanda che anche oggi una grande quantità di persone si pone molto spesso: “Cosa devo fare? C’è la soluzione al mio problema? C’è un’iniziativa, un’associazione, un gruppo, qualcuno, a cui rivolgermi per risolvere affrontare le incognite della vita?” 
Cosa non farebbe oggi tanta gente pur di trovare un personaggio veramente carismatico in grado di chiarire i loro dubbi! Purtroppo abbondiamo invece di personaggi fasulli che si spacciano per “illuminati”, inviati di Dio, dotati di poteri soprannaturali, paranormali, extrasensoriali; e siccome nei deboli, sia la pressione emotiva della sofferenza, che il desiderio di sollievo spirituale, sono grandi, l'attaccamento a cialtroni del genere è presto concluso.
E visto che c'è la pillola per tutto: per dimagrire, per essere felici, per far bene l'amore, per non essere tristi, si illudono che ci sia una pillola anche per il proprio equilibrio spirituale, per risollevare la propria anima; si illudono cioè che la felicità, l'amore, l'ascolto, la fiducia, si possano comprare in internet, che ci sia un toccasana su Amazon che risolva tutti i problemi: ma è solo un'illusione.
Basta guardarci intorno, per renderci conto di quanto ricco sia il mercato on line del sacro: ci sono i siti in cui possiamo prenotare messe, rosari, preghiere, secondo le nostre intenzioni, per le nostre necessità materiali e spirituali (ovviamente con offerta adeguata); c'è il tour operator che organizza, sempre ovviamente a pagamento, gite e pellegrinaggi nei luoghi sacri, volendo anche, per una maggior devozione personale, con l’assistenza dei rispettivi “mistici” del momento; c'è il guru di turno pronto a soddisfare ogni nostra curiosità su quella vita che abbiamo vissuto prima dell’attuale; c’è il mago infallibile che ci mette in contatto con i nostri cari “morti”; c’è il santone, in contatto diretto con qualunque santo a nostra scelta, che guarisce a distanza qualunque malattia, previo versamento di un “piccolo” contributo alle spese; c'è una marea di gruppi carismatici sempre pronti ad accogliere chiunque a braccia aperte, assicurando felicità e benessere, purché ovviamente facciano eventuali donazioni alle loro chiese; c’è infine una folla oceanica di maghi, indovini, fattucchieri, stregoni che vendono i numeri vincenti del lotto, che predicono il futuro, che fanno incontrare l'anima gemella, e via dicendo.
In realtà, dando retta a questi trafficoni, rischiamo veramente grosso: anche se non ce ne rendiamo conto!
Purtroppo, anche in questa società accogliente e ciarliera, c’è sempre tanta solitudine, tanto bisogno di aiuto spirituale. Quante persone si rivolgono anche a noi per chiederci: “Che cosa devo fare?”. Un modo velato e confidenziale per dirci: “Aiutami, cerca di dare tu una risposta alle mie ansie, alle mie preoccupazioni!”. Ma questo purtroppo, pur con la miglior buona volontà, non è possibile.
Ognuno deve affrontare e risolvere le proprie inquietudini terrene, ognuno deve affrontare le proprie contrarietà; non ci sono alternative, non sono ammesse deleghe. Solo con la fede, con l’aiuto di Dio, potremo trovare pace e tranquillità in noi stessi!
Questa è la realtà; anche se non ci piace, se non ci soddisfa.
Noi tutti, indistintamente, siamo per le soluzioni facili e indolori. Vorremmo che ci fosse una medicina per tutte le nostre crisi, ma non c'è! Vorremmo che una preghierina, biascicata distrattamente ogni tanto, fosse la garanzia sicura contro ogni avversità della vita; ma non è possibile! Vorremmo che ci fossero delle pillolette da assumere ogni tanto, per stare a posto con Dio e con la nostra coscienza; ma non ci sono! Vorremmo insomma avere sempre la chiave giusta per risolvere tutti nostri problemi, sociali, religiosi, economici, ma non c'è. Abbiamo tutti fame di soluzioni semplici, sbrigative, perché abbiamo sempre fretta. Ma non esistono elisir miracolosi. Diceva un saggio: “Se il problema è in te, la sua soluzione deve arrivare soltanto da te”.
Alcuni si danno veramente molto da “fare”, per esempio in parrocchia, con associazioni benefiche, con la “caritas”, con le comunità sant’Egidio; ma non lo fanno per un motivo valido, come per crescere spiritualmente, per essere più giusti, per amare di più; lo fanno solo per apparire, per sentirsi più bravi degli altri, per essere al centro dell’ammirazione.
Su questo il Battista è molto pratico: “chi ha, dia!”. In pratica: “Inutile girare a vuoto: le occasioni e i punti per intervenire ci sono, eccome. Ti accorgi che le persone che incontri sono in difficoltà? È qui che devi agire. Ti accorgi di essere scontroso e di non riuscire a relazionarti con i fratelli? È qui che devi agire. Ti senti insoddisfatto della tua vita cristiana, del fatto che non riesci mai a trovare un momento per Dio? Ecco, è qui che devi agire. Insomma dobbiamo applicarci umilmente, senza casse di risonanza, nell’aiuto di coloro che soffrono sia spiritualmente che materialmente; dobbiamo fare le cose per dimostrare a Dio il nostro amore, la nostra riconoscenza per tutto ciò che Lui fa per noi; per amore suo e dei fratelli, dobbiamo intervenire noi, materialmente, dove Dio non può più farlo: dobbiamo essere noi le sue braccia, le sue mani; dobbiamo cioè mettere a sua disposizione quelle capacità, quelle facoltà, tutti quei doni che Lui ci ha regalato, la nostra stessa vita: è questo che dobbiamo fare: è così che dobbiamo agire, non a casaccio, come piacerebbe a noi, per apparire degli eroi!
Anche perché, altro motivo serio, è sulle nostre opere che saremo alla fine giudicati. Non riempiamoci la bocca di buonismo e di assoluta, totale misericordia: il giudizio di Dio ci sarà. Il vangelo è chiaro in proposito: il contadino che con la pala divide il grano buono dalla paglia, raccogliendo il primo e bruciando la seconda, è l’immagine emblematica di Cristo: colui che tiene in mano la pala è Lui: è sempre Lui che separerà le nostre opere buone da tutta quella zavorra che ci portiamo addosso; è una prospettiva inevitabile, che deve farci pensare: certamente con serietà, ma senza terrore. Perché non dobbiamo aver paura di Dio. Dobbiamo essere consapevoli che non è colpa sua se alla fine ci presentiamo a mani vuote: siamo noi che pretendiamo di contrabbandare le nostre miserie, le nostre autoreferenzialità, spacciandole per buone azioni. Non è Dio che prende l’iniziativa di punirci; Dio non punisce mai nessuno; siamo noi che ci puniamo da soli, siamo noi che ci procuriamo la giusta punizione, come conseguenza del nostro comportamento, del nostro vivere in un certo modo.
Giovanni battezza con l’acqua: figura di quei cristiani tiepidi, che conducono una vita serena, tranquilla, in pace con Dio, senza grandi iniziative, senza impegni e scossoni. Dante li definisce come coloro che vissero senza “infamia e senza lode” ((Inf. III 35-36).
Ma non è questo che Dio si aspetta da noi. Perché il nostro “vero” battesimo è quello di fuoco, quello dello Spirito di Cristo, quello che sconvolge la vita, che si impadronisce dell’anima, che proietta il cristiano nel divino. È un battesimo di fuoco perché brucia dentro, infonde passione, forza, energia per andare sempre avanti, giorno dopo giorno. È un battesimo di fuoco perché illumina il nostro mondo interiore, ci fa vedere chi siamo realmente, ci fa capire dove possiamo poggiare il piede. È un battesimo di fuoco perché brucia le illusioni del mondo, quelle illusioni che, nonostante la loro inutile idiozia, noi amiamo seguire sempre con entusiasmo; è un battesimo che ci fa toccare con mano il nostro nulla, la nostra debolezza umana. È un battesimo di fuoco perché porta allo scoperto, fa crescere, irrobustire quel soffio divino che ci portiamo dentro, trasformandolo in una forza impetuosa di vita.
Perché il grande impegno dell'uomo, il suo grande “sacrificium” (da sacrum facere, compiere un’azione santa), è quello di trasformare una vita materiale, esteriore, vuota, insignificante, amorfa, in una vita spirituale, una vita interiore, piena, vera, sorretta dall’Amore divino.
In una parola, come ci insegna il Vangelo, il nostro primo compito è “rinascere nello Spirito”. Amen.

 

sabato 7 dicembre 2024

08 Dicembre 2024 – II DOMENICA DI AVVENTO


Lc 3,1-6 
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

La parola di Dio scese su Giovanni. È un incontro vivo, che lo trasforma, che lo fa fiorire e genera il suo frutto. Dopo questa discesa il Battista se ne va per tutta la regione a predicare.
Quando la parola di Dio all’inizio della storia scende sulla creazione nasce il mondo e ogni essere vivente. Quando la parola di Dio attraverso l’angelo scende su Maria, nasce Gesù. La parola che scende su Giovanni lo invia, lo spinge e lo fa profetizzare. Dio quando scende, quando viene, produce una creazione, una nascita, un rinnovamento.
Allora: l’incontro con Dio è un incontro che ci crea, ci cambia, ci “invia nel deserto”, in noi stessi. Noi eravamo qualcosa ma dopo aver ascoltato la Parola, nel senso di “mangiata, assimilata, gustata, fatta penetrare”, non siamo più la stessa cosa.
Durante la giornata ascoltiamo un numero incalcolabile di parole! Ma la parola di Dio è un’altra cosa. Nella nostra vita abbiamo detto migliaia e migliaia di parole, molte anche buone ed edificanti, ma la parola di Dio è un’altra cosa. In Chiesa abbiamo “ascoltato” innumerevoli volte il vangelo: ma la parola di Dio è un’altra cosa. Sì, perché la parola di Dio è quella Parola che non scivola via come le altre, ci penetra in profondità, ci scuote, ci spiazza, ci destabilizza, ci tocca l’anima, ci colpisce il cuore. È quella Parola che sconvolge la mente, anche se non sappiamo spiegarci il perché; è quella Parola che ci risuona insistentemente nell’anima, che ci vibra dentro, che ci chiama in causa con un invito perentorio che non possiamo ignorare. È quella parola che ci è impossibile ignorare. È quella parola che pretende da noi una risposta concreta: e prima o poi dovremo dargliela. È quella parola insomma che una volta entrata, una volta che ci ha catturati, ci costringe a girare pagina: non possiamo più permetterci di rimanere quelli che siamo.
Il Battista predica nel deserto: “deserto” (in ebraico midebar) vuol dire “ciò che viene dal Verbo”. Geograficamente il deserto palestinese è una regione montuosa, con scarsa vegetazione, poco abitata, sede di pastori, predoni ed eremiti (eremos in greco vuol dire proprio deserto).
Ma nella Bibbia il deserto è un luogo attraverso cui è necessario. Non si può arrivare da nessuna parte, in nessuna terra promessa, se non si affronta e si supera il deserto.
È stato un passaggio necessario dopo la liberazione dall’Egitto (Es 5,1; 13, 17-21), per quella babilonese (Is 40,3); è stato un luogo necessario per Mosè (Es 3), per Elia (1Re 19), per lo stesso Gesù (Lc 4,1-13), e per Paolo (Gal 1,17).
Il deserto più che un luogo fisico è una dimensione della vita. Arriva, cioè, un momento in cui bisogna smettere di sfuggire a sé stessi, smettere di cercare risposte fuori da noi, smettere di riempirci e di imbottirci di idee, filosofie e pensieri stravaganti, e guardarci per davvero in faccia senza mentirci. Nel deserto non c’è nessuno: ci siamo noi, completamente soli.
Molte persone hanno il terrore della solitudine, di stare da soli con loro stessi. È vero, tantissimi cercano un “tempo per sé”: si riposano, leggono, passeggiano, fanno sport, escono con gli amici, vanno a divertirsi; fanno, insomma, quello che di solito non fanno. Bene! Ma “stare con sé” è un’altra cosa: significa entrare dentro la propria anima, rimanere lì, da soli, e ascoltare ciò che ci dice!
Nel deserto il Battista predica un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Ora, “predicare”, “kerysso” in greco, vuol dire urlare, dire ad alta voce, e la sua radice “ker”, indica il cuore. Giovanni quindi non fa lunghi discorsi, non fa catechesi teologiche, non tiene conferenze letterarie; i suoi sono messaggi semplici che partono dal cuore e che arrivano al cuore: messaggi brevi, appassionati, diretti e incisivi. Anche Gesù parlava così. Il messaggio non deve convincere: va solo accettato così com’è, perché ci tocca l’anima.
Il battesimo che lui predica, è conversione, è perdono dei peccati. “Conversione”, sempre in greco, è “meta-noeo” (“tornare indietro”): indica cioè il cambiamento della propria direzione, della propria vita; “perdono (da afiemi) significa “lasciar andare, liberare,  mandare via, condonare”; mentre in ebraico “Peccato”, è una “freccia che non coglie il bersaglio”. Infine “Battesimo” (dal greco “baptizein”, immergersi) indica l’immersione nelle acque.
È una legge della vita: per conoscere Dio, la Vita, bisogna immergersi nelle acque, che contengono sì la luce (fauna e flora meravigliose) ma anche le tenebre pericolose (mostri marini). Nella vita dobbiamo quindi confrontarci anche con i nostri mostri interiori, quelli che noi chiamiamo “il male”, quelli che cerchiamo di evitare, di tenere lontani, di eliminare, quelli con cui non vogliamo misurarci.
Il mondo non è soltanto un Eden meraviglioso, ma anche un territorio difficile, dove possiamo incontrare la luce e l’oscurità, i lati positivi e quelli negativi, i momenti di gloria e quelli di vergogna.
Tutta la storia della salvezza è un cammino difficile, impegnativo, attraverso zone buie, tenebrose, di peccato, per affrontarle e, con l’aiuto di Dio, uscirne vittoriosi. Gli Ebrei dovettero attraversare le acque del Mar Rosso, fare un lungo cammino nelle difficoltà e privazioni del deserto, confrontarsi con tutta una serie di nemici, per uscirne alla fine vittoriosi. Il loro fu un cammino impegnativo, di grande fedeltà, ma anche di grande infedeltà. E dovettero percorrerlo tutto, fino in fondo, per poter raggiungere il loro premio, la Terra Promessa.
Anche Gesù si è immerso nel Giordano; anche Lui è dovuto scendere in questo mondo di poca luce e di molto buio, un mondo di “già” e di “non-ancora”; di incontri promettenti e di false vicinanze; anche Lui ha dovuto confrontarsi con il buio delle tentazioni, con le tenebre del male e la malvagità umana, che alla fine lo uccisero.
Anche noi il giorno del nostro battesimo usciamo dalle acque pure della sorgente: da lì inizia anche il nostro percorso interiore verso la luce del Padre, attraverso lotte continue contro quel buio che ci sovrasta e che cerca di impadronirsi della nostra anima.
Siamo già figli di Dio, ma per esserlo veramente, dobbiamo immergerci, dobbiamo incontrare quel “non-ancora” della vita che ci attira e ci fa paura, dobbiamo scontrarci, combattere, sconfiggere quelle visioni accattivanti, ma false, che invece della gioia del vincitore offrono solo l’amaro della confitta.
Siamo un piccolo seme che può diventare una pianta rigogliosa: e lo diventeremo solo se riusciremo a “preparare la via del Signore, di raddrizzare i suoi sentieri”.
Che vuol dire? Semplice: non è forse vero che siamo spesso aggressivi, talvolta crudeli? Non è forse vero che dentro di noi coviamo tanta rabbia, tanta superbia, tanto egoismo? Non è forse vero che dietro al nostro bel volto sorridente, dietro alla nostra religiosità, ai nostri “Dio ti amo”, nascondiamo indifferenza, cattiveria, rancore, invidia, falsità?
Come possiamo essere figli della luce con tutto questo nascosto, questo buio, questa ambiguità?
C’è di che preoccuparsi: perché solo se faremo in modo che la sua Parola scenda nel nostro cuore; solo se la coltiveremo, se la faremo crescere e irrobustire, in modo che possa produrre i suoi frutti, solo allora vedremo veramente Dio, nostra Salvezza: vedremo cioè emergere da noi la Verità, ci vedremo rispecchiati nel Figlio dell’uomo, ossia torneremo ad essere ciò che veramente siamo, immagine vera di Dio: riacquisteremo la nostra immagine originale in tutta la sua bellezza pura, naturale, divina: perché l’immagine che siamo ora, non gli assomiglia neppure lontanamente. Allora potremo ammirare faccia a faccia il Figlio di Dio. Allora tutto sarà chiaro in noi: non avremo più dubbi o domande, perché quando c’è la Luce, tutto appare luminoso! E finalmente ci sentiremo nelle sue mani completamente autentici, veri, protetti, avvolti e riscaldati dal Suo dolce sguardo. E magari, mentre noi in qualche rigurgito di stupidità, ci intestardiamo ancora a perdere il nostro tempo per conquistare chissà chi o chissà cosa, Lui pazientemente ci guarda, sorride, e con infinito amore ci stringe al suo cuore.
Amen.