Mc 6,7-13
Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Oggi il vangelo ci offre
l’opportunità di fare alcune considerazioni sui discepoli di Gesù, sia su
quelli che lo seguivano allora, che su quelli di oggi.
Va premesso che
non tutti coloro che seguivano Gesù da vicino, si sono rivelati un esempio di
fedeltà: molti infatti lo contestavano, altri lo rifiutavano, alcuni arrivarono
a tradirlo: ciò che conta però è che la stragrande maggioranza di essi, conquistati
dalla passione per quell’uomo che aveva rivoluzionato la loro vita, si
lasceranno poi catturare, imprigionare, martirizzare, pur di rimanere coerenti
con la loro fede.
Per lo più erano persone,
uomini e donne, che appartenevano agli strati sociali più poveri; gente
semplice, ignorante, contadini, pescatori, mendicanti; gente che viveva lontana
dalle regole dell’Alleanza, dalle regole religiose del Tempio; erano quindi gli
impuri, gli esclusi, in una parola gli “scarti” della società.
Ed è proprio tra queste
persone che Gesù ad un certo punto sceglie i Dodici; erano quasi tutti galilei:
alcuni, come Giacomo e Giovanni appartenevano ad un livello sociale un po’ più
alto (avevano barca e garzoni a loro servizio) altri, invece, come Pietro e
Andrea erano dei poveri pescatori, proprietari soltanto di una rete, di cui si
servivano per pescare quel poco sufficiente a sfamarsi, lungo la riva del lago.
Ebbene: cosa ci fa capire
tutto questo? Che per seguire Gesù non ci sono canali preferenziali, non ci
sono categorie speciali agevolate: tutti gli aspiranti sono sullo stesso piano,
ricchi e poveri, colti e ignoranti.
Gesù può scegliere chiunque, a
condizione però che la sua disponibilità sia veramente sincera, reale, con il
cuore aperto, pronta a mettersi in gioco, a lasciarsi sconvolgere completamente
la vita.
La “vocazione” non è altro che
la risposta dell’uomo alla libera iniziativa di Dio: un particolare, questo, molto
importante, che dovrebbe indurre noi discepoli moderni - in particolare quelli che
sgomitano per essere più vicini al suo altare, che si considerano la parte
“eletta” della Chiesa, i “ripieni” di Spirito Santo, i puri, gli eletti, i
consacrati, quelli che si ritengono i prediletti da Dio – ad essere decisamente
più umili, più consapevoli del loro “nulla”; perché anche oggi come allora, Egli
continua a chiamare al suo seguito gli umili, i poveri nello spirito, i sofferenti,
gli abbandonati, i deboli, quelli che nella Chiesa cercano solo salvezza,
accoglienza, comprensione, conforto, salute spirituale,
amore.
Anche perché, è comprovato,
gli autoreferenziali, i “ricchi” di idee, i possessori di velleità
carrieristiche, i cercatori di denaro e di notorietà, difficilmente sono
disponibili a seguirlo, proprio perché, quando arriva Lui, spazza via qualunque
zavorra, tutto ciò che è inutile, qualunque cosa che non sia utile alla
costruzione del suo Regno.
Gesù è radicale. È
impossibile seguirlo soltanto un po’: o lo si segue tutto in tutto, o niente.
Gesù è un’esperienza unica, totale, indivisibile.
Sappiamo dalla Scrittura che
tutti gli ebrei, a quei tempi, aspettavano la restaurazione del regno politico
di Davide e di Salomone: ma in questo senso Gesù li ha profondamente delusi. Il
Regno da lui annunciato e difeso non è politico, non è materiale. Il suo è un Regno
riservato esclusivamente al cuore e all’anima degli uomini, un regno in cui le
persone guariscono e si liberano dai loro “nemici” interiori. È l’autentico
regno di Dio: un regno che sarà sempre così, che non è al di fuori di noi, ma
dentro di noi. È lì che deve avvenire la nostra “grande liberazione” personale.
Siamo noi che dobbiamo liberarci dai nostri demoni, dai nostri tiranni, dai
nostri nemici, per poter aderire alla sua chiamata: ricordiamocelo questo,
perché chi non vuole guardarsi dentro, chi non vuole conoscersi nel profondo,
chi non vuole combattere i prepotenti usurpatori del proprio cuore, non potrà
mai seguire seriamente il Gesù del Vangelo!
Impresa particolarmente
difficile anche per noi, se consideriamo che allora nessuno dei suoi compaesani,
dei suoi parenti, lo seguì: anzi furono proprio loro che lo criticarono apertamente,
gli impedirono di parlare e di agire liberamente, facendolo passare per “pazzo”.
Una situazione veramente insostenibile che lo costrinse a fuggire da
quell’ambiente, a trasferirsi a Cafarnao,
sulle rive del lago di Galilea.
Non per nulla, riferendosi a
sé stesso, dirà: “Le volpi hanno le tane e gli uccelli del cielo i nidi, ma
quest’uomo non ha dove posare capo” (Lc 9,58).
Egli conosce bene la portata
del suo programma: “Non pensiate che io sia venuto a portare pace sulla
terra, bensì la spada. Sì, sono venuto a mettere il padre contro il figlio e il
figlio contro il padre, la madre contro la figlia e la figlia contro la madre,
la suocera contro la nuora e la nuora contro la suocera” (Lc 12,51-53). Per
Gesù, quindi, vi è qualcosa di più importante della stessa famiglia: è il regno
di Dio; per cui “chi non odia suo padre e sua madre, suo figlio e sua
figlia, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26).
Pertanto: se il rapporto con
i genitori, con gli amici, con le persone che amiamo, è per noi più importante
della nostra vocazione, della nostra libertà interiore, della verità che
cerchiamo, non possiamo seguire Gesù. Per poterlo fare, dobbiamo essere totalmente
“liberi” da ogni costrizione; non dobbiamo giustificare le nostre scelte di
vita a nessuno, se non a Dio; solo davanti a lui dobbiamo inchinarci.
La sequela di Gesù non va
fatta per motivi logici o teologici: ma semplicemente per passione, per amore.
I suoi discepoli erano infatti degli innamorati, perché solo degli innamorati o
dei pazzi, potevano fare quello che essi hanno fatto!
Del resto Gesù stesso ha dato
loro l’esempio con la sua vita: Egli era tenero con i piccoli, si emozionava di
fronte alle sventure e alle sofferenze degli ammalati, non aveva paura di
toccare, di abbracciare donne e uomini lebbrosi; quando c’era da difendere la
dignità delle persone, era tenace e irremovibile; era appassionato della
verità, se ne infischiava delle regole stupide o disumane e se c’era da
trasgredirle lo faceva senza alcun indugio; piangeva, gioiva, si stupiva di
fronte agli uccelli del cielo e ai gigli del campo; credeva nella forza delle
persone e se queste gli credevano, immediatamente guarivano dai loro mali. Egli
amava per davvero, non a parole; la sua era veramente vita! La sua fu una
scuola carica di insegnamenti: un materiale preziosissimo che Egli condensò in quell’unico
termine, “eu-anghelion”, cioè “la buona notizia”, il suo Vangelo.
È questo infatti il programma
che Gesù ha stabilito fin da allora per ogni suo discepolo: vivere sempre da innamorati
dell’Amore e della Vita. Un risultato che tutti devono raggiungere.
La nostra preoccupazione di
fondo deve quindi riguardare il nostro “agire”, la nostra condotta, la nostra “vita”,
senza nutrire alcuna pretesa di “insegnare” agli altri quello che devono o non
devono fare. Per poter essere fedeli annunciatori del Vangelo, certamente lo
studio, la preparazione, i corsi di aggiornamento, sono tutte cose utili,
necessarie, fondamentali, ma se non siamo coerenti con quanto annunciamo, in
realtà sono soltanto zavorra, un fardello inutile e pesante. Se trascuriamo la
nostra vita cristiana, la nostra vita spirituale, tutto il nostro sapere, il
nostro insegnare, diventa superfluo, ingombrante, si riduce ad una esercitazione
tecnica, sterile, incoerente, senz’anima e cuore.
Non carichiamoci allora di
troppe iniziative, di troppi impegni, di troppe attività associazionistiche,
perché troppo spesso esse portano a farci dimenticare l’unico obiettivo
fondamentale: l’autentica lode a Dio e la nostra santificazione.
Oggi purtroppo la società del
benessere ci spinge convulsamente a fare tali esperienze, a cimentarci
contemporaneamente in mille cose, in qualunque attività: per la nostra
formazione ci affidiamo a qualunque imbonitore, a qualunque ciarlatano, purché
parli di “miracoloso”, di “spirituale”, di “metamorfosi antropologica”; siamo
schiavi beoti attratti dalle mode più ridicole e sciocche del momento; ci
buttiamo con ostentazione in ogni “genere” di volontariato, in ogni “caritas”,
volendo dimostrare a tutti la nostra “autenticità cristiana”; viviamo
un’esistenza superficiale, discontinua, e cambiando i nostri obiettivi, i
nostri ideali, i nostri interessi, con grande disinvoltura, finiamo per
trascurare l’unico obiettivo, quello vitale, che al contrario è l’unico meritevole
di tutta la nostra attenzione: dare cioè un’autentica e generosa risposta
all’invito perentorio di seguire Gesù.
A questo punto una domanda
nasce spontanea: la Chiesa, che dovrebbe essere la solerte madre dei credenti,
oggi è veramente la guida fedele, la vera “discepola” di Cristo? È ancora balsamo
per i cuori oppressi e feriti degli uomini? Sa liberarli dai loro dubbi, dalle
loro paure, dalle loro ansie? Sa guarirli dai loro demoni interiori? Sa
rassicurarli, confermarli, nella fede? Perché questa è la sua missione, per
questo Gesù l’ha voluta: se perde di vista quest’unico fine, cessa di essere la
Chiesa di Cristo!
Gesù continua anche oggi a
chiedere agli uomini: “Vuoi seguirmi?”. Che non allude ad una vacanza, ad una promozione!
Non è un invito a mettersi tra i migliori, tra i più fortunati. Assolutamente
no. Accettare di seguire Gesù, significa costruirsi una nuova identità, fondata
sui suoi principi, viverli concretamente, e proporli con l’esempio agli altri.
Quella che viviamo e che
chiamiamo “vita”, infatti, altro non è che un rapidissimo rincorrersi di gioie
e dolori, di futili e ingannevoli propositi, di incessanti contrarietà, di
profonde delusioni. Quella che Gesù ci prospetta, invece, è un’altra “vita”, successiva
a questa; una vita vera, concreta, senza fine, proiettata fin d’ora nel futuro
godimento dell’Amore eterno di Dio; una Vita beatifica apparentemente
irraggiungibile, che invece diventerà alla portata di tutti, a condizione che, accettando
il suo invito a seguirlo, calpestino con fedeltà e impegno le stesse orme che
Lui ha lasciato, camminando davanti a noi. Amen.
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