giovedì 20 maggio 2021

23 Maggio 2021 – Solennità di Pentecoste


“Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio” (Gv 15, 26-27).

 

Pentecoste deriva da una parola greca che significa cinquantesimo giorno; è la festa che si celebra appunto cinquanta giorni dopo la Pasqua. Per gli antichi cinquanta era il numero della pienezza di un tempo: Pentecoste, il cinquantesimo giorno, indica che un tempo è finito: segna in pratica il compimento dei giorni del Gesù terreno e delle sue apparizioni, e apre un nuovo tempo, il tempo dell’uomo, della Chiesa e dello Spirito.

Ma cosa è successo in quei giorni a Gerusalemme? Gesù è morto e gli apostoli sono presi dalla paura: “Che accadrà adesso? La nostra guida, il nostro capo, se n’è andato, è stato ucciso; cosa ne sarà di noi?” Per loro è un momento di crisi profonda, radicale, decisiva. Improvvisamente, però, come aveva promesso Gesù, i cieli si aprono e lo Spirito di Dio invade i loro cuori, trasforma radicalmente la loro vita.

Quante volte ci troviamo anche noi in situazioni di grande tensione, di malessere interiore: all’esterno tutto sembra andare per il meglio: viviamo tranquillamente la nostra vita, il lavoro, la salute, la famiglia, gli amici; al contrario, nel nostro intimo, siamo spenti, procediamo per forza d’inerzia: andiamo in chiesa, rispettiamo le regole, siamo generosi, ma non c’è slancio nella nostra fede, non c’è passione; se parliamo dell’amore di Dio sembriamo degli istruttori non degli innamorati, perché? Eppure siamo delle brave persone, siamo rispettati da tutti! Ma dentro di noi non ci piacciamo, siamo insoddisfatti, ci rendiamo conto che non è esattamente questa la vita che dovremmo vivere. Che fare allora? Come risolvere queste situazioni? Abbandonandoci completamente nelle mani di Dio: Lui sa di chi e di cosa abbiamo bisogno: in questo modo la nostra fede riacquisterà forza e vigore, il suo Spirito trasformerà la nostra mente, il nostro cuore, la nostra anima: Lui prenderà in mano la nostra vita. Sarà la nostra Pentecoste.

Un evento, la Pentecoste, che marchia intimamente gli apostoli, li trasforma in altre persone, completamente “nuove”, diverse da prima. Da poveri pescatori impegnati, per sopravvivere, in un lavoro ingrato, pesante, monotono, frustrante, rinascono improvvisamente come depositari, sostenitori e annunciatori, in tutto il mondo, del rivoluzionario messaggio spirituale di Gesù.

Da una completa dipendenza da Lui, quasi infantile, passano alla totale autonomia, alla piena libertà di pensiero. Parlano una lingua “altra”, che però tutti, nonostante la diversità dei rispettivi idiomi, capiscono perfettamente; ogni timore, ogni dubbio, ogni incertezza, ogni debolezza, scompaiono all’istante; lo Spirito di Dio scende in loro e satura la loro anima. Prima, Gesù era “fuori” di loro: passavano le giornate insieme, mangiavano insieme, parlavano con Lui. Ora, quel Gesù, morto e risorto, non è più fuori ma “dentro di loro”, sentono, forte e chiara, la presenza del suo Spirito. Mentre prima vivevano nella paura di perderlo, ora sanno benissimo che nessuno potrà mai toglierlo dalla loro vita.

Ecco, una identica Pentecoste deve segnare anche un nostro deciso salto di qualità: un salto che, da come siamo ora, freddi, insignificanti, insapori, ci trasformi in persone appassionate, entusiaste, animate da un fuoco interiore: persone che vivono una nuova vita con Dio, condividendo con Lui una personale, profonda, intimità.

Se non ci apriamo, se non accogliamo lo Spirito di Dio, la nostra vita continuerà a trascinarsi nella mediocrità, nella tiepidezza: non potremo “sentire” la sua voce, non potremo parlare con Lui, non apprezzeremo la forza della sua guida; non arriveremo mai a capire che Lui è il nostro tutto, che con Lui dentro di noi, le prospettive del domani, della vita, del mondo, cambieranno radicalmente il loro aspetto.

Così, per esempio, nel nostro vivere la Chiesa: senza la nostra Pentecoste, resteremo superficiali esecutori di “riti” ripetitivi, spesso incompresi; la nostra fede rimarrà assente, involuta, non maturerà. Al contrario, nella nuova dimensione, Dio non sarà più una regola, un precetto, una formula; sarà invece la Persona meravigliosa di cui innamorarsi, la Persona che ci conquista completamente; sarà il Padre che diventa per noi modello di libertà, di energia, di coraggio; sarà lo Spirito di Dio, che con il suo amore ci incendierà l’anima, ci cauterizzerà le ferite, ci infonderà i suoi doni, i suoi carismi; sarà il Consigliere, il nostro avvocato, il nostro maestro, il nostro ispiratore, grazie al quale, finalmente, tutto nella vita acquisterà la propria autenticità!

Certo, noi crediamo nello Spirito Santo: ma lo conosciamo veramente? Che rapporti pratici abbiamo con Lui? Se giriamo la domanda alle persone della strada, la maggior parte non saprà cosa rispondere. E se non sa rispondere, è perché non lo conosce, non ne ha mai fatto esperienza, non lo ha mai vissuto. Molti pensano che lo Spirito sia un’aggiunta a ciò che siamo, un di più, un optional: quindi un qualcosa di cui possiamo anche farne a meno. Ma lo Spirito non è un di più, è qualcosa che noi già viviamo, con cui, ancorché inconsciamente, condividiamo il nostro essere persone; è la nostra “fiamma pilota” che mantiene accesa la nostra debole fede, è colui che alimenta le nostre scelte, la nostra anima, la nostra intelligenza: lo Spirito infatti non decide di scendere in noi improvvisamente, un bel giorno della nostra vita, tra squilli di tromba e fanfare varie; lo Spirito abita già in noi da sempre, dal primissimo istante del nostro concepimento: e aspetta che ci accorgiamo di lui, che gli consentiamo di entrare in piena azione. Sentiamo spesso nelle prediche la raccomandazione di essere “spirituali”: che non vuol dire pregare molto, fare opere pie, frequentare la chiesa, fare pellegrinaggi nei luoghi sacri. “Essere spirituali” significa vivere facendoci guidare dallo Spirito di Dio che ci abita dentro. È il modo cristiano di rapportarci con Dio, soprattutto di amarlo profondamente, anche in tutto ciò che ci circonda. Quando i santi guardavano le persone, la natura, non vedevano il loro aspetto esteriore, la materialità del loro apparire, ma erano affascinati dallo Spirito vitale che li animava.

Gesù fu per eccellenza l’uomo del vedere oltre l’apparenza esteriore, del guardare dentro, del considerare la realtà “superiore” del loro essere. Questa cosa Lui la chiamava “regno di Dio”. E lo diceva sempre: “Il regno di Dio non è il paradiso, ma è qui, oggi, adesso. Dipende dai tuoi occhi”. Quando infatti egli guardava gli uccelli del cielo o i gigli del campo, esclamava estasiato: “Che libertà, che bellezza, che meraviglia! Chi mai li ha resi tanto belli ed eleganti, chi mai può provvedere a loro, se non il Padre mio che è nei cieli?”. Vedeva i sofferenti, i poveracci, le donne, e mentre tutti li evitavano, Lui li abbracciava, li incontrava, coglieva il loro bisogno d’amore. Vedeva i peccatori e mentre tutti si fermavano all’apparenza (“Siete dei disgraziati lontani da Dio!”), Lui andava “dentro”, sapeva cogliere la luce che li abitava, sapeva scorgere la forza interiore, il desiderio di vita, nascosti dentro di loro. Sulla croce, per esempio, era vicino ad un peccatore, ad un assassino, e mentre tutti vedevano il malfattore, il delinquente, Lui gli disse: “Oggi sarai con me in Paradiso”. Prima di esalare l’ultimo respiro, mentre tutti coloro che lo conoscevano provavano sdegno e rabbia verso i suoi carnefici, Lui al contrario vide in essi la tenue luce dell’anima, soffocata purtroppo dalle tenebre dell’odio: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”.

Noi invece, cosa vediamo nel nostro prossimo? Beh, noi non abbiamo tempo per guardare, abbiamo un sacco di cose da fare; dobbiamo correre, dobbiamo lavorare, dobbiamo produrre! E questo ci preoccupa già abbastanza, ci assilla continuamente, ci tormenta la vita: siamo sempre insoddisfatti, mai pienamente felici. Cerchiamo di farcene una ragione: “pazienza, bisogna accontentarsi; è così per tutti”; ma la verità è che non riusciamo a capire cosa ci sia in noi che non funziona. Non ci accorgiamo di essere fermi, immobili, sempre allo stesso punto di partenza. Preoccupati soltanto del materiale, non abbiamo tempo per lo Spirito, per fermarci a guardare la vita alla luce di Dio: questo è per noi il vero problema!

Ci siamo mai chiesto perché, invece di accompagnarle, sbattiamo le porte? Perché urliamo sempre invece di parlare normalmente? Perché siamo sempre arrabbiati? Perché, se possiamo imbrogliare gli altri, lo facciamo volentieri? Perché nulla più ci commuove? Perché non c’è mai luce nel nostro volto? Perché non sappiamo più esprimere sentimenti nobili? Perché non sappiamo dire “grazie”? Per un motivo molto semplice: perché da “Spirito” che eravamo, ci siamo trasformati in “materia”.

In pratica, cosa significa nel nostro quotidiano? Semplice: siamo infatti materia quando, per esempio, in un nuovo giorno vediamo soltanto gli impegni di lavoro e le opportunità di guadagno; siamo invece spirito quando lo consideriamo una ulteriore possibilità, offertaci da Dio, in cui cogliere l’opportunità di donare amore a Lui e al prossimo; così siamo materia quando ci irritiamo per qualunque cosa, siamo spirito quando ci chiediamo cosa non funziona in noi e cerchiamo di migliorarci; siamo materia quando guardiamo una donna e ci fermiamo alla sola bellezza esteriore, siamo spirito quando vediamo in lei una persona che merita tutto il nostro rispetto; siamo materia quando mangiamo voracemente, siamo spirito quanto “gustiamo” e apprezziamo la bontà del cibo; siamo materia quando respiriamo e basta (avviene in automatico), siamo spirito quando sentiamo che il respiro, è vita, è dono, è la “ruah”, il soffio creatore di Dio; siamo materia quando “udiamo” il canto degli uccelli, il suono di una orchestra, un coro monastico, siamo spirito quando “ascoltiamo” il cinguettio dei primi, l’armonia della seconda, la spiritualità del terzo. L’intera nostra vita, pertanto, può essere allo stesso momento terribilmente materiale o meravigliosamente spirituale, piena di buio deprimente o di luce esaltante: renderla divina, appassionata, entusiasmante, dipende solo ed esclusivamente da noi, dai nostri occhi, dal nostro cuore, dalla nostra anima.

Questo è il motivo perché ci serve veramente una Pentecoste: una crisi, uno scossone, uno Spirito che distrugga i nostri nascondigli, che ci liberi, che ci costringa ad uscire dai nostri cenacoli di paura. Uno Spirito che ci faccia camminare a testa alta sulle vie della vita, incuranti del mondo, impassibili di fronte alle sue insidiose e inutili lusinghe, raggianti nel volto, illuminati dal calore del suo amore. Amen.

  

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