“Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio” (Gv 15, 26-27).
Pentecoste
deriva da una parola greca che significa cinquantesimo giorno; è la festa che
si celebra appunto cinquanta giorni dopo la Pasqua. Per gli antichi cinquanta
era il numero della pienezza di un tempo: Pentecoste, il cinquantesimo giorno,
indica che un tempo è finito: segna in pratica il compimento dei giorni del
Gesù terreno e delle sue apparizioni, e apre un nuovo tempo, il tempo
dell’uomo, della Chiesa e dello Spirito.
Ma cosa
è successo in quei giorni a Gerusalemme? Gesù è morto e gli apostoli sono presi
dalla paura: “Che accadrà adesso? La nostra guida, il nostro capo, se n’è
andato, è stato ucciso; cosa ne sarà di noi?” Per loro è un momento di crisi
profonda, radicale, decisiva. Improvvisamente, però, come aveva promesso Gesù,
i cieli si aprono e lo Spirito di Dio invade i loro cuori, trasforma
radicalmente la loro vita.
Quante
volte ci troviamo anche noi in situazioni di grande tensione, di malessere
interiore: all’esterno tutto sembra andare per il meglio: viviamo tranquillamente
la nostra vita, il lavoro, la salute, la famiglia, gli amici; al contrario, nel
nostro intimo, siamo spenti, procediamo per forza d’inerzia: andiamo in chiesa,
rispettiamo le regole, siamo generosi, ma non c’è slancio nella nostra fede,
non c’è passione; se parliamo dell’amore di Dio sembriamo degli istruttori non
degli innamorati, perché? Eppure siamo delle brave persone, siamo rispettati da
tutti! Ma dentro di noi non ci piacciamo, siamo insoddisfatti, ci rendiamo
conto che non è esattamente questa la vita che dovremmo vivere. Che fare
allora? Come risolvere queste situazioni? Abbandonandoci completamente nelle
mani di Dio: Lui sa di chi e di cosa abbiamo bisogno: in questo modo la nostra
fede riacquisterà forza e vigore, il suo Spirito trasformerà la nostra mente,
il nostro cuore, la nostra anima: Lui prenderà in mano la nostra vita. Sarà la
nostra Pentecoste.
Da una completa dipendenza da
Lui, quasi infantile, passano alla totale autonomia, alla piena libertà di
pensiero. Parlano una lingua “altra”, che però tutti, nonostante la diversità
dei rispettivi idiomi, capiscono perfettamente; ogni timore, ogni dubbio, ogni
incertezza, ogni debolezza, scompaiono all’istante; lo Spirito di Dio scende in
loro e satura la loro anima. Prima, Gesù era “fuori” di loro: passavano le
giornate insieme, mangiavano insieme, parlavano con Lui. Ora, quel Gesù, morto
e risorto, non è più fuori ma “dentro di loro”, sentono, forte
e chiara, la presenza del suo Spirito. Mentre prima vivevano nella paura di
perderlo, ora sanno benissimo che nessuno potrà mai toglierlo dalla loro vita.
Ecco, una identica Pentecoste deve
segnare anche un nostro deciso salto di qualità: un salto che, da come siamo
ora, freddi, insignificanti, insapori, ci trasformi in persone appassionate,
entusiaste, animate da un fuoco interiore: persone che vivono una nuova vita
con Dio, condividendo con Lui una personale, profonda, intimità.
Se non ci apriamo, se non
accogliamo lo Spirito di Dio, la nostra vita continuerà a trascinarsi nella
mediocrità, nella tiepidezza: non potremo “sentire” la sua voce, non potremo
parlare con Lui, non apprezzeremo la forza della sua guida; non arriveremo mai
a capire che Lui è il nostro tutto, che con Lui dentro di noi, le prospettive
del domani, della vita, del mondo, cambieranno radicalmente il loro aspetto.
Così, per esempio, nel nostro
vivere la Chiesa: senza la nostra Pentecoste, resteremo superficiali esecutori
di “riti” ripetitivi, spesso incompresi; la nostra fede rimarrà assente, involuta,
non maturerà. Al contrario, nella nuova dimensione, Dio non sarà più una regola,
un precetto, una formula; sarà invece la Persona meravigliosa di cui
innamorarsi, la Persona che ci conquista completamente; sarà il Padre che
diventa per noi modello di libertà, di energia, di coraggio; sarà lo Spirito di
Dio, che con il suo amore ci incendierà l’anima, ci cauterizzerà le ferite, ci infonderà
i suoi doni, i suoi carismi; sarà il Consigliere, il nostro avvocato, il nostro
maestro, il nostro ispiratore, grazie al quale, finalmente, tutto nella vita
acquisterà la propria autenticità!
Certo,
noi crediamo nello Spirito Santo: ma lo conosciamo veramente? Che rapporti
pratici abbiamo con Lui? Se giriamo la domanda alle persone della strada, la
maggior parte non saprà cosa rispondere. E se non sa rispondere, è perché non
lo conosce, non ne ha mai fatto esperienza, non lo ha mai vissuto. Molti
pensano che lo Spirito sia un’aggiunta a ciò che siamo, un di più, un
optional: quindi un qualcosa di cui possiamo anche farne a meno. Ma lo Spirito
non è un di più, è qualcosa che noi già viviamo, con cui, ancorché inconsciamente,
condividiamo il nostro essere persone; è la nostra “fiamma pilota” che mantiene
accesa la nostra debole fede, è colui che alimenta le nostre scelte, la nostra
anima, la nostra intelligenza: lo Spirito infatti non decide di scendere in noi
improvvisamente, un bel giorno della nostra vita, tra squilli di tromba e
fanfare varie; lo Spirito abita già in noi da sempre, dal primissimo istante
del nostro concepimento: e aspetta che ci accorgiamo di lui, che gli
consentiamo di entrare in piena azione. Sentiamo spesso nelle prediche la
raccomandazione di essere “spirituali”: che non vuol dire pregare molto,
fare opere pie, frequentare la chiesa, fare pellegrinaggi nei luoghi sacri. “Essere
spirituali” significa vivere facendoci guidare dallo Spirito di Dio che ci
abita dentro. È il modo cristiano di rapportarci con Dio, soprattutto di amarlo
profondamente, anche in tutto ciò che ci circonda. Quando i santi guardavano le
persone, la natura, non vedevano il loro aspetto esteriore, la materialità del
loro apparire, ma erano affascinati dallo Spirito vitale che li animava.
Gesù fu per
eccellenza l’uomo del vedere oltre l’apparenza esteriore, del guardare dentro, del
considerare la realtà “superiore” del loro essere. Questa cosa Lui la chiamava
“regno di Dio”. E lo diceva sempre: “Il regno di Dio non è il paradiso, ma è
qui, oggi, adesso. Dipende dai tuoi occhi”. Quando infatti egli guardava gli
uccelli del cielo o i gigli del campo, esclamava estasiato: “Che libertà, che
bellezza, che meraviglia! Chi mai li ha resi tanto belli ed eleganti, chi mai
può provvedere a loro, se non il Padre mio che è nei cieli?”. Vedeva i
sofferenti, i poveracci, le donne, e mentre tutti li evitavano, Lui li
abbracciava, li incontrava, coglieva il loro bisogno d’amore. Vedeva i
peccatori e mentre tutti si fermavano all’apparenza (“Siete dei disgraziati
lontani da Dio!”), Lui andava “dentro”, sapeva cogliere la luce che li abitava,
sapeva scorgere la forza interiore, il desiderio di vita, nascosti dentro di
loro. Sulla croce, per esempio, era vicino ad un peccatore, ad un assassino, e
mentre tutti vedevano il malfattore, il delinquente, Lui gli disse: “Oggi sarai
con me in Paradiso”. Prima di esalare l’ultimo respiro, mentre tutti coloro che
lo conoscevano provavano sdegno e rabbia verso i suoi carnefici, Lui al
contrario vide in essi la tenue luce dell’anima, soffocata purtroppo dalle tenebre
dell’odio: “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”.
Noi
invece, cosa vediamo nel nostro prossimo? Beh, noi non abbiamo tempo per
guardare, abbiamo un sacco di cose da fare; dobbiamo correre, dobbiamo lavorare,
dobbiamo produrre! E questo ci preoccupa già abbastanza, ci assilla continuamente,
ci tormenta la vita: siamo sempre insoddisfatti, mai pienamente felici.
Cerchiamo di farcene una ragione: “pazienza, bisogna accontentarsi; è così per
tutti”; ma la verità è che non riusciamo a capire cosa ci sia in noi che non funziona.
Non ci accorgiamo di essere fermi, immobili, sempre allo stesso punto di
partenza. Preoccupati soltanto del materiale, non abbiamo tempo per lo Spirito,
per fermarci a guardare la vita alla luce di Dio: questo è per noi il vero problema!
Ci siamo
mai chiesto perché, invece di accompagnarle, sbattiamo le porte? Perché urliamo
sempre invece di parlare normalmente? Perché siamo sempre arrabbiati? Perché,
se possiamo imbrogliare gli altri, lo facciamo volentieri? Perché nulla più ci
commuove? Perché non c’è mai luce nel nostro volto? Perché non sappiamo più esprimere
sentimenti nobili? Perché non sappiamo dire “grazie”? Per un motivo molto
semplice: perché da “Spirito” che eravamo, ci siamo trasformati in “materia”.
In
pratica, cosa significa nel nostro quotidiano? Semplice: siamo infatti materia
quando, per esempio, in un nuovo giorno vediamo soltanto gli impegni di lavoro
e le opportunità di guadagno; siamo invece spirito quando lo consideriamo una ulteriore
possibilità, offertaci da Dio, in cui cogliere l’opportunità di donare amore a
Lui e al prossimo; così siamo materia quando ci irritiamo per qualunque cosa, siamo
spirito quando ci chiediamo cosa non funziona in noi e cerchiamo di migliorarci;
siamo materia quando guardiamo una donna e ci fermiamo alla sola bellezza
esteriore, siamo spirito quando vediamo in lei una persona che merita tutto il
nostro rispetto; siamo materia quando mangiamo voracemente, siamo spirito quanto
“gustiamo” e apprezziamo la bontà del cibo; siamo materia quando
respiriamo e basta (avviene in automatico), siamo spirito quando sentiamo che
il respiro, è vita, è dono, è la “ruah”, il soffio creatore di
Dio; siamo materia quando “udiamo” il canto degli uccelli, il suono di
una orchestra, un coro monastico, siamo spirito quando “ascoltiamo” il cinguettio
dei primi, l’armonia della seconda, la spiritualità del terzo. L’intera nostra vita,
pertanto, può essere allo stesso momento terribilmente materiale o
meravigliosamente spirituale, piena di buio deprimente o di luce esaltante: renderla
divina, appassionata, entusiasmante, dipende solo ed esclusivamente da noi, dai
nostri occhi, dal nostro cuore, dalla nostra anima.
Questo è
il motivo perché ci serve veramente una Pentecoste: una crisi, uno scossone,
uno Spirito che distrugga i nostri nascondigli, che ci liberi, che ci costringa
ad uscire dai nostri cenacoli di paura. Uno Spirito che ci faccia camminare a
testa alta sulle vie della vita, incuranti del mondo, impassibili di fronte
alle sue insidiose e inutili lusinghe, raggianti nel volto, illuminati dal
calore del suo amore. Amen.
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