“Gesù disse a Nicodemo: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,14-21).
Nicodemo
è un uomo che non si accontenta, egli vuole capire, soprattutto
vuole vivere questo “di più”. Per questo decide di incontrare Gesù. E Gesù gli
fa una proposta nuova, imprevedibile, impensabile, umanamente inattuabile: gli
dice sostanzialmente che deve “rinascere”; in pratica: “Quella che tu
chiami vita, io la chiamo morte, un non-vivere. Se tu abbandoni questo tuo modo
di vivere, di pensare, di rapportarti, io ti farò vedere cos’è la vita vera,
quella eterna, quella che non finirà mai, quella che ti riempirà, ti sazierà,
ti renderà veramente, perfettamente felice”.
Concetti
difficilmente comprensibili per il povero Nicodemo: ma lo sono, anche e
soprattutto, per noi, in questa società smaccatamente materialista: la
richiesta di lasciare tutto, di abbandonare la realtà, il corporeo, il
tangibile, il verificabile; di scegliere l’incorporeo, l’immateriale, il puramente
spirituale, l’invisibile; di lasciare il certo per l’incerto, il noto per
l’ignoto, sono tutte categorie misteriose, che incutono timore, che ci lasciano
profondamente perplessi: seguirle fidandosi ciecamente, rivoluzionando radicalmente
l’esistenza, richiede una forza, una convinzione, una fede difficilmente
riscontrabile ieri e ancor più oggi.
Ma Gesù era
così, duemila anni fa, come nel presente. Gesù è un uomo che fa sempre proposte
sconvolgenti, che va contro tutti gli schemi, le convenzioni e le abitudini.
Gesù apre orizzonti nuovi e impensati. Egli è davvero affascinante, attraente,
perché ci presenta un modo di vivere estremo, meraviglioso, da “ci manca il
fiato” tanto è intenso. Gesù è per le anime grandi, mal si concilia con chi ama
il quieto vivere, il tran-tran quotidiano, il piccolo cabotaggio: abbiamo a
disposizione infiniti esempi nelle vite dei santi, degli apostoli, dei martiri.
Nessuno
di noi ha scelto di entrare in questo mondo; il primo atto della nostra vita, le
condizioni materiali in cui essa è avvenuta, non sono dipesi da noi, non
abbiamo avuto possibilità di scelta. Ci è stata donata una vita, è vero, ma non
è questa la nostra vera vita.
A questo punto soltanto noi siamo
responsabili delle nostre scelte; solo noi decidiamo come vivere la nostra
missione, il nostro progetto di vita. La nascita, la vita, non sono altro che creta
nelle nostre mani: tocca a noi modellarla, ricavarne un’opera d’arte o ridurla
ad un ammasso informe. Realizzare l’opera meravigliosa che ci è stata
commissionata da Dio, non compete a nessun altro se non a noi: solo noi, dentro
di noi, possiamo pianificarne i tratti caratteristici: la felicità, l’amore, la
fiducia, le cose grandi della vita, non appartengono infatti al caso, alla
fortuna; ma sono una ricchezza che solo noi possiamo ottenere, vivendo in un
certo modo, seguendo le direttive del Progettista, in contatto stretto e
continuo con l’Avvocato, il Consigliere che è in noi, ispirandoci all’Amore, traendo
dalla Vita forza e sostentamento.
Tutti dicono di vivere: ma la loro
non è vita, è un sopravvivere; solo i “rinati” nello Spirito, i rinati
“dall’alto” vivono realmente: perché lo fanno in una prospettiva spirituale, immortale,
in una prospettiva più alta, più ampia, seguendo le ispirazioni dello Spirito.
Se non viviamo in questa
prospettiva, rimaniamo radicati nella materialità di questo mondo; rischiamo di
vivere unicamente per il denaro, per il successo, per il lavoro, per la
carriera, per il divertimento: rischiamo cioè di trasformare tutte queste “suppellettili
coreografiche” in colonne portanti della vita, di renderle nostro unico scopo
di vita.
Non dobbiamo mai dimenticare chi
siamo (figli di Dio), da dove veniamo (dall’Alto) e dove andiamo (nell’Amore di
Dio): Dio non ci ha affidato al caso, non ci ha mandati allo sbaraglio, ma ci
ha assegnato un compito ben preciso, specifico.
Controlliamo
ogni tanto il nostro work in progress, il nostro lavoro in corso
d’opera, esaminiamo attentamente se la nostra vita si discosta dal progetto
divino.
“Chi
crede in lui non è condannato”, ci ricorda Giovanni: dove “credere” per lui
significa “fare luce”, “portare luce” là dove regnano le tenebre, dove il peccato
domina, dove esistono situazioni che odiano la “Luce”. Chi rifiuta la verità,
chi non accetta di conoscere sé stesso, chi non vuole vivere la Vita,
praticamente rifiuta la Luce, si condanna da solo.
Distogliamo
allora il nostro sguardo da terra; alziamo finalmente gli occhi al cielo: purtroppo
noi abbiamo lo sguardo puntato continuamente sul basso, non ci accordiamo della
realtà meravigliosa che ci circonda; abbiamo una visione delle situazioni, bassa,
ristretta, limitata, terrena, superficiale. Siamo talmente presi dai nostri
stupidi problemi, dai nostri piccoli fastidi personali, che non sappiamo far
altro che girare a vuoto intorno a noi stessi.
Guardiamo
in alto, invece! Lasciamo da parte le nostre banalità (come mi vesto, cosa
mangio, che telefonino, che televisore, che computer, che auto mi devo
comprare…), non angosciamoci per simili stupidaggini. Vale la pena rovinarci la
vita per simili cose? Guardiamo lassù.
Soprattutto
quando ci sentiamo angosciati, soli, depressi, disperati, finiti, quando tutto
intorno a noi sembra precipitare nel baratro di una vita traditrice, alziamo
gli occhi, guardiamo in alto!
Rivolgiamoci
con fiducia a Gesù, che dall’alto della croce, ci consola, ci assicura la sua
protezione, il suo amore; fissiamo il nostro sguardo su quel cuore pieno di
misericordia e di bontà, che continua a sanguinare per causa nostra; soprattutto
abbandoniamoci al suo amore: buttiamoci tra le braccia torturate, ma sempre
spalancate, paterne e accoglienti, della Vita e dell’Amore: é questo il nostro
unico rifugio sicuro; è questa l’unica possibilità che abbiamo per difenderci dai
morsi velenosi e mortali dell’antico serpente. Amen.
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