«Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17-37).
Un vangelo all’apparenza contraddittorio quello di oggi. Dapprima sentiamo Gesù che conferma in pieno la validità della Legge antica, e subito dopo lo sentiamo puntualizzare, mettere dei paletti, introdurre delle vere e proprie rettifiche.
Ma nessuna contraddizione in ciò: lo dice Lui stesso: “sono venuto per dare compimento”, sono venuto cioè a dare alla Legge il suo autentico significato.
Gesù va ben oltre l’osservanza formale della legge. Ad un certo punto sembra spazientirsi e dire: “Basta, così non si può più andare avanti. Il vostro rapporto con Dio non può continuare a basarsi soltanto sull’osservanza esteriore e materiale della Legge; non potete riempirvi la bocca dicendo: Noi siamo ebrei, noi siamo figli di Abramo, noi siamo il popolo dell’Alleanza, e poi fate come vi pare. Non potete più giustificarvi dicendo che ciò che fate è volontà di Dio, parola di Dio, quando Dio in realtà non c'entra proprio per nulla”.
Per questo precisa: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”; era noto infatti che la maniacale osservanza della legge da parte degli scribi e dei farisei, la loro giustizia, il loro modo di intendere Dio, era tutta una costruzione fittizia, un comportamento puramente legalista, apparente.
A quel tempo tutti pensavano che ogni cosa prevista dalla Bibbia, dovesse essere eseguita a tutti i costi: “se la Legge dice così, si deve fare così!”. Gesù invece dice: “No, neanche per sogno! Non dovete essere “ottusi”, non dovete preoccuparvi solo di quello che è scritto, ma del perché è scritto; dovete capire cosa Dio vuole da voi, e lo capirete soltanto se è l’amore che vi guida, se le vostre azioni sono mosse dalla carità, dalla retta intenzione, dal totale coinvolgimento della vostra anima, non certo obbedendo meccanicamente a degli ordini, senza sapere perché, senza alcuna convinzione, senza alcun coinvolgimento.
Anche i cristiani, purtroppo, ragionano talvolta con la stessa mentalità antica. Quante volte ci nascondiamo anche noi dietro le “regole”! “Io vado in chiesa tutte le domeniche, osservo i precetti, mi comporto da bravo cristiano, rispetto il prossimo, trovo simpatia per il Papa, per la Chiesa ecc.; insomma sono un cristiano in regola!”. E quando diciamo così, ci aspettiamo ovviamente che ci dicano: “Ma che bravo!”.
Solo che non siamo “bravi” per niente! Ci comportiamo così solo per nostra soddisfazione, per sentirci superiori, rispettabili, additati come esempio; facciamo le cose solo superficialmente, meccanicamente, “per sentirci a posto”, a scanso di eventuali “sorprese” (non si sa mai!).
Siamo dei bravi “osservanti del catechismo”, ma non siamo dei bravi cristiani. Perché nel nostro “fare”, nel nostro “rispettare” la legge di Dio, non c’è Amore, non c’è Dio, ma ci siamo soltanto noi stessi.
Amare gli altri a comando, significa non amare, essere vuoti, sterili; significa non aver nulla di speciale da donare; significa avere un cuore gelido, arido. Significa insomma rinunciare alla Vita.
Questa è dunque la “legge nuova” di Gesù: Egli non abolisce l'Antica Alleanza, ma la porta al suo autentico e profondo significato. La fa passare cioè dall'esteriorità (sono fedele a Dio perché osservo i suoi precetti) all'interiorità (sono fedele a Dio perché lo seguo per amore, vivo nell'amore). Non cancella la legge dei padri antichi, ma rompe definitivamente con quella loro mentalità che si fermava al “fare”, all’obbedire passivamente, al considerare obbligatorie certe usanze assurde, improponibili già ai suoi tempi; insomma egli condanna non la legge, ma una sua interpretazione falsa, stupida, artificiosa, senza senso.
Del resto le leggi, come tutte le cose, possono evolvere nel tempo. Gesù non dice: “Abramo, Mosè e gli antichi, hanno sbagliato”. Anzi loro sono stati molto importanti per il loro tempo; ma oggi noi conosciamo cose che una volta essi non conoscevano; oggi noi abbiamo capito che Dio non è un giudice inflessibile che ogni qualvolta sbagliamo immancabilmente ci punisce; abbiamo capito che Dio non è una esclusiva di pochi, di un popolo, ma è il Dio di tutti, del mondo intero; abbiamo capito che Dio è amore, misericordia, compassione, tenerezza per tutti, anche per le donne, per i bambini, per gli esclusi, i lebbrosi, i peccatori. Tutto questo loro non lo sapevano, e quindi non possiamo giudicarli per questo. Teniamo il buono e lasciamo ciò che non è più buono. Non rimaniamo attaccati alle regole: le regole sono fatte per l'uomo e non l'uomo per le regole (Mc 2,27). Le regole servono per vivere, ma quando diventano contrarie alla vita, non servono più e devono essere rinnovate, corrette, sostituite.
Sono i valori che durano per sempre; al contrario le regole, che servono solo a realizzare, a mettere in pratica i valori, possono sempre cambiare.
Noi insomma non dobbiamo lasciarci condizionare dalle apparenze, dal lato esteriore che è sempre mutevole, o dai “si è fatto sempre così”. Dobbiamo andare in profondità, dobbiamo agire sempre coerentemente con la nostra coscienza. Dobbiamo, come dice Gesù, essere uomini liberi, uomini franchi e veri. Non dobbiamo lasciarci vivere nei compromessi, nei doppi sensi, nella ricerca egoistica del nostro “star bene”, costi quel che costi; dobbiamo avere il coraggio di difendere i nostri ideali, i nostri programmi, le nostre azioni; non nascondiamoci dietro a fantasie passeggere e inutili.
Anche a costo di andare controcorrente. Quante volte invece abbiamo il terrore di esporci! Quante volte cerchiamo di eludere le nostre vere responsabilità! Ebbene, dobbiamo avere il coraggio di uscire allo scoperto, di parlare francamente, di comportarci da “cristiani”, da uomini e donne di fede: il nostro parlare, come ci insegna Gesù, deve essere “sì, sì; no, no”. Il “politichese” non è il linguaggio di Cristo. Amen.
Nessun commento:
Posta un commento