venerdì 17 gennaio 2020

19 Gennaio 2020 – II Domenica del Tempo Ordinario


“Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” Gv 1, 29-34

Siamo all’inizio del “tempo ordinario”, tempo liturgico che è un invito forte a costruire la nostra “ferialità”, non nelle banalità, ma nella novità introdotta col Natale. È infatti nello scorrere quotidiano e feriale dei nostri giorni che dobbiamo vivere lo stupore dell’Emanuele, del Dio-con-noi, che dobbiamo vivere la novità e la bellezza del Volto di Dio: un tempo in cui costruire e adeguare la nostra “somiglianza” a quella “immagine” di Dio, che Egli stesso ha impresso nell’uomo creandolo, e che Gesù, umanizzandosi, ci ha rivelato.
Il Vangelo di oggi ci ripropone ancora una volta la figura di Giovanni, il battezzatore: non il solito burbero e scontroso profeta penitenziale, ma un Battista vinto dall’evidenza, più dolce, più umile che, in veste di testimone oculare, addita ai presenti il personaggio chiave della umana redenzione, rivelandone pubblicamente la vera identità: l’«agnello di Dio che toglie il peccato del mondo».
Una definizione solenne e plastica, che contiene l’assoluta e sbalorditiva novità di Gesù, vittima sacrificale: una novità che il Battista, senza tanti preamboli, mette subito in chiaro davanti ai nostri occhi.
A differenza della tradizione ebraica, secondo cui è l’uomo che si deve offrire a Dio attraverso varie forme di sacrifici cruenti, il Battista ci presenta qui un Dio che capovolge completamente le parti! È Lui – Dio – l’Agnello, la vittima che si immola per noi, che si dona e si consegna. Un’autentica rivoluzione, uno stravolgimento di valori che introduce nuove verità: l’uomo non deve conquistare nulla, non ha nulla da “meritare”; deve semplicemente accogliere la mano tesa di Dio come dono, un dono destinato a cambiargli la vita; un potente antibiotico contro l’innata piccineria umana che pretende l’aiuto e l’amicizia di Dio come contropartita di iniziative puramente esteriori, senza alcun coinvolgimento del cuore, e per questo sterili e inutili; sì, sterili e inutili perché preoccupate più dell’apparire che dell’essere.
Dio non è un contabile che sta seduto dietro ad una scrivania per registrare e tenere il conto delle nostre buone azioni e dei nostri sacrifici quotidiani, soprattutto se fatti senza vero amore.
Ora c’è un novum fondamentale, un novum che sta proprio qui: Gesù è la vittima sacrificale; è Lui che affronta la morte “per noi”; è attraverso la sua vita e il suo morire, che noi scopriamo la commovente verità che Egli è Amore assoluto; un Amore che supera tutti i nostri peccati, anche quelli più tremendi.
È proprio così: Dio è l’Amore fedele nei secoli; e di Lui ci possiamo fidare completamente.
Quando guardiamo la croce, noi vediamo la vittima immolata, appesa ad essa: l’Agnello di Dio crocifisso, Colui che ci libera da ogni schiavitù, da ogni peccato, da ogni colpa.
Per quanto possiamo sbagliare nella nostra vita, Dio è più forte del nostro male: perché Egli è l’Amico, il Guaritore, l’Amore che riempie e consola il nostro cuore.
Scriveva Giacomo Leopardi in una lettera al fratello: “Io non ho bisogno di gloria, né di stima, né di altre cose simili, ma ho bisogno soltanto di amore”. Ebbene, è Dio che soddisfa in pieno questo bisogno dell’uomo.
Nella nostra vita di creature siamo soggetti a sofferenze, angosce, malesseri di qualunque tipo; ma se permettiamo a Lui, creatore, di entrare nel nostro cuore, di stare con noi in noi, allora capiremo che Lui è un amico, un sostegno, una nuova forza prorompente; sentiremo il conforto di avere uno che ci ascolta, che ci sorregge prontamente se vacilliamo, un rifugio sempre aperto in cui sentirci sicuri e amati. Completamente. E quanto bisogno abbiamo veramente tutti noi di sentirci amati!
Gesù è l’agnello che toglie il “peccato”: il “peccato”? Di quale peccato parliamo? Cosa è oggi ancora peccato? Che importanza diamo al peccato? Che percezione ne abbiamo? Poca, purtroppo. Anzi pochissima, per non dire nessuna!
D’altro canto, oggi sentiamo ripetere continuamente che Dio è misericordioso, che ci ama incondizionatamente, che nulla può interferire con il suo Amore, che è Lui che ci rincorre, che ci vuole salvare: allora, pensiamo, perché preoccuparci del peccato? Sissignori: invece dobbiamo pensarci, eccome! Perché anche se l’immagine del Dio assolutamente misericordioso è vera, non dobbiamo mai dimenticare che Dio non salva nessuno contro la sua volontà! Per questo non dobbiamo mai abbassare la guardia, non dobbiamo mai sottovalutare l’importanza delle nostre infedeltà. Infatti sbagliamo completamente quando giustifichiamo qualunque nostra colpa, qualunque nostro tradimento, pensando: “Tanto Lui è buono, ci perdona comunque anche se pecchiamo!” Sbagliamo soprattutto perché non teniamo in alcun conto il dolore che la nostra ingratitudine provoca nel cuore innamorato di Dio. 
Continuiamo a sbagliare anche quando pensiamo: “e poi, che peccati posso mai fare?”.
Se esaminiamo la nostra vita alla luce del solo decalogo, forse possiamo anche sentirci tranquilli: andiamo a messa, non ammazziamo nessuno, facciamo le nostre elemosine, non bestemmiamo, ecc. Ma abbiamo mai pensato in quanti altri modi possiamo peccare contro l’infinita bontà di Dio? Per esempio pecchiamo quando non vogliamo maturare nel cuore, quando non vogliamo crescere spiritualmente, quando preferiamo restare così come siamo, tiepidi e indifferenti. Pecchiamo quando, sapendo che c’è un problema col nostro prossimo, facciamo finta di nulla. Siamo nel peccato quando la vita spirituale non circola più in noi: viviamo cioè come se fossimo già morti, siamo insensibili, niente ci commuove, niente ci emoziona, niente ci appassiona. Peccato è ignorare le nostre responsabilità, non voler conoscere le cose “per non avere problemi”, preferire il buio della menzogna alla luce della verità. Peccato è non preoccuparci delle tante infermità, delle tante debolezze, delle tante ferite che non mettiamo nelle mani di Dio: le lasciamo invece marcire in fondo al nostro cuore, fino ad infettare il nostro spirito, la nostra anima, fino a corroderla e ad ucciderla.
Peccato, male, morte è, pertanto, non esprimere pienamente la vita che ognuno ha dentro. Perché dove c’è vita non c’è morte; dove c’è espressione non c’è depressione; dove c’è amore non c’è chiusura; dove c’è il bene non c’è il male. Nella vita, soprattutto, non possiamo accontentarci di “non fare il male”, ma dobbiamo scegliere sempre di “fare il bene”!
Ogni domenica, quando andiamo a Messa, sentiamo ripeterci: “Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. È la voce di Gesù, il Liberatore, che ci sussurra: “Se vuoi, io vengo per portarti un po’ di pace, un po’ d’amore, di speranza, di perdono, di serenità. Mi lasci entrare? Mi apri la porta?”: e noi che facciamo? gli giriamo le spalle e rispondiamo: “No grazie, non mi interessa”?
Fare la comunione non è un dovere, non è un precetto, non è un obbligo: ma è un riconoscere umilmente di aver bisogno di Dio, di aver bisogno di coraggio e di forza. La comunione è la possibilità che abbiamo di far entrare nel buio del nostro cuore un po’ di luce; di portare nel mondo conflittuale della nostra anima un po’ di pace e di perdono. È una possibilità concreta che ci viene offerta. Ma allora perché tanta gente va in chiesa e non fa la comunione? È tanto distratta e indifferente da non porsi neppure il problema? Non vuole farsi coinvolgere troppo? Crede di non meritare l’amore di Dio? È difficile capirlo: perché è come andare dalla persona amata e non darle un bacio, entrare in casa di un amico e non salutarlo. È come andare ad un pranzo e non mangiare. Perché? Perché rinunciare alla cosa più gustosa, a quella che dà più energia, a quella più gratificante? Eppure quando teniamo ad una persona, facciamo di tutto per incontrarla, cerchiamo in tutti i modi di star soli con lei!
Evitiamo allora, soprattutto, di pensare che “tanto Dio fa tutto Lui”. “È talmente buono, capirà!”. Nossignori: nel cammino della fede e della conversione del cuore non è possibile rimanere assenti, disinteressati, immobili: non ci sono bacchette magiche, né interventi mistici sostitutivi. L’azione di Dio in noi richiede sempre la nostra diretta collaborazione, l’investimento di tutta la nostra libera volontà. Siamo noi che dobbiamo muoverci: siamo noi che dobbiamo scegliere di stare con Lui, di lasciarci salvare, di guarirci il cuore e l’anima. In una parola siamo noi che dobbiamo mettere tutto nelle sue mani: che poi è l’unica scelta che non ha mai deluso nessuno! Amen.


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