«Gesù,
pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito
nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo» (Lc 4,1-13).
Con il mercoledì delle ceneri abbiamo iniziato il tempo di quaresima, i quaranta giorni, cioè, che ci conducono alla Pasqua. Perché proprio quaranta giorni? Perché questo è nella Scrittura il periodo di tempo necessario per il raggiungimento di un obiettivo, di una trasformazione, di un passaggio da una situazione ad un’altra. È chiaro allora che per noi cristiani la quaresima, più che i 40 giorni che precedono la Pasqua, deve rappresentare uno stile di vita, un sistema di autocontrollo; per noi, “quaresima”, è infatti quel tempo che ci serve per rialzarci, per riabilitarci e fortificarci di fronte ad una qualche situazione spirituale un po’ compromessa; è quel tempo in cui dobbiamo camminare, crescere, faticare, piangere, lavorare; è insomma il tempo di “conversione”, del ritornare cioè sui nostri passi, del rimetterci nella giusta direzione facendo un’inversione di marcia; è quel tempo in cui dobbiamo riconoscerci deboli, inadatti, insufficienti, un tempo in cui ci rendiamo conto di non poter fare a meno Dio.
Noi spesso pecchiamo di una autostima eccessiva, ci consideriamo immuni da ogni debolezza, tetragono a qualunque tentazione: ma nel cammino della vita la verità è un’altra. Tutti siamo costretti a fare i conti con le nostre debolezze, con il nostro egoismo, con la nostra superbia, tutti dobbiamo affrontare i nostri “mostri”; tutti insomma dobbiamo fare il nostro percorso quaresimale, se vogliamo alla fine ricongiungerci a Cristo, nostra Pasqua.
Chi non oltrepassa il suo Mar Rosso, chi non percorre il suo “esodo” nel deserto, non potrà mai incamminarsi verso la libertà, non potrà mai raggiungere la Terra Promessa, le acque sorgive e rigeneranti della Pasqua.
Anche Gesù ha percorso il cammino della quaresima, del deserto: il vangelo di oggi ce ne chiarisce le modalità, le caratteristiche, la tempistica. Il maligno attacca proprio in quei momenti in cui ci sentiamo più forti, più difesi, più “tranquilli”, come è successo a Gesù: Egli infatti ha appena ricevuto il battesimo, è il momento in cui si sente più amato dal Padre, in cui è “pieno di Spirito Santo”, e proprio allora Satana, subdolo, calcolatore, sempre all’erta, sempre pronto all’azione, lo raggiunge con le sue richieste. Ma ogni suo tentativo viene prontamente respinto da Gesù.
È fondamentale anche per noi non arrenderci mai, non aver mai paura delle tentazioni, esattamente come Gesù ci ha insegnato: noi dobbiamo guadarle in faccia, dobbiamo esorcizzarle queste “tentazioni”, dobbiamo capirne subito il contesto, le movenze. Se non possiamo evitarle, dobbiamo almeno combatterle faccia a faccia, senza panico e incertezze. Il mondo in cui viviamo, la società, sono il nostro “deserto” naturale, il luogo della tentazione, la zona operativa del “serpente tentatore”, il luogo in cui veniamo messi alla prova. Ma questo fa parte della vita, e noi lo sappiamo.
Questo è il punto: quaresima, deserto, tentazioni, non fanno altro che metterci di fronte alla nostra realtà, alla nostra coscienza, alla nostra vera entità: nudi, senza fronzoli, senza maschere, senza abbellimenti di facciata, senza ritocchi ad uso di chi ci guarda.
In greco “tentare” (peiràzein), significa “provare”, “verificare”. La tentazione ci verifica, ci illumina, fa luce, ci rivela impietosamente la verità su di noi, su come siamo, su cosa nascondiamo dentro il nostro cuore; ci dice, insomma, chi siamo noi di fronte a Dio e al prossimo. Una analisi, questa delle tentazioni, che nessuno può evitare, in quanto non dipendono da noi.
Tutta la vita è una tentazione: è un banco di prova, un test di verifica, che evidenzia impietosamente la tenuta delle nostre convinzioni, la profondità delle loro radici; ci segnala i valori sui quali possiamo contare con sicurezza; ci documenta sulla sincerità e autenticità della nostra fede.
Le tentazioni servono in particolare per tenerci umili, per fugare tutte quelle velleità del nostro ego, basate sulla eccessiva considerazione di noi stessi. Il vero male è la nostra innata superbia, non le tentazioni. Assecondarle, criticando gli altri con supponenza, sparando giudizi velenosi, facendo paragoni antipatici, significa assecondare il nostro orgoglio, significa minare alla base non solo la nostra fede, ma anche quella di chi ci sta vicino.
Purtroppo sono situazioni con cui dobbiamo confrontarci quotidianamente. Ci sentiamo delusi dai nostri preti, da chi sta sopra di noi, dalla famiglia, dalla società? Non ci sentiamo valorizzati, considerati, compresi? Subito una vocina ci suggerisce: “A che ti serve credere, a che ti serve frequentare questa comunità, a che ti serve darti da fare, essere fedele, se poi chi ti dovrebbe insegnare, chi dovrebbe guidarti con il buon esempio, chi dovrebbe aiutarti, confortarti, capirti, si comporta così male con te?” Oppure: “Quel prete non mi piace; inutile andare in quella chiesa; non ci vado più e basta! Preferisco frequentare un’altra comunità, un’altra parrocchia; perché lì sto bene, trovo la mia pace interiore, vivo meglio il mio cristianesimo, c’è un prete veramente in gamba, allegro, che saluta sempre tutti!”. Ecco, questa è la prova classica dell’orgoglio: è veramente il nostro “profitto cristiano” che ci fa cambiare parrocchia, o è il nostro orgoglio che si è risentito? Perché, sotto sotto, il nostro “ego” ci assicura e ci convince: “tu vali, sei il più preparato, potresti fare cose eccelse, potresti far “resuscitare” una comunità “senza vita”, solo se “qualcuno” ti desse credito!”. E noi ci crediamo, ci illudiamo, ci caschiamo dentro in pieno.
Ebbene: in queste settimane di quaresima ci aspetta un bagno di umiltà: dobbiamo percorrere il nostro deserto con grande compostezza e umiltà, soprattutto con obiettività!
Eravamo convinti di avere una solida fede, ma poi al dunque, si è rivelata una montatura a beneficio degli altri: non si trattava di una fede profonda, convinta, ma del nostro orgoglio travestito da religiosità, da amore per il prossimo.
Ecco: la “quaresima” della nostra vita, con le sue prove, con le sue tentazioni, deve farci capire cosa abbiamo veramente dentro di noi: perché il tempo passa, lo scorrere vertiginoso dei giorni non si arresta: e noi dobbiamo essere consapevoli di come realmente siamo, dobbiamo avere le idee chiare su cosa correggere, su cosa rimediare, su cosa fare nostro.
Se non affrontiamo i nostri demoni interiori, continueremo ad essere sempre in loro balìa. È una questione di libertà. È inutile che ci illudiamo pensando: “Io sono tranquillo! Non ho di questi problemi; non ho rabbia dentro di me. Sono felice, soddisfatto della mia vita, in pace con me stesso”. No, amici miei; se pensiamo questo vuol dire che non conosciamo noi stessi! È Satana che si diverte a crearci queste illusioni; il suo mestiere è quello di distoglierci dalla realtà, di farci evadere da noi stessi e dalla nostra coscienza. Cerca di insinuarci il miraggio dell’essere “diversi” dagli altri, di essere migliori in assoluto! Ci fa vedere come acquisito ciò che non esiste, ciò che è irrealizzabile. Ma a noi piace, ci piace così tanto, da crederci veramente: siamo stregati da questa illusione, la ammiriamo, la inseguiamo, su di essa orientiamo la nostra vita.
Salvo poi, quando ci accorgiamo che tutto è soltanto una misera illusione diabolica, sentirci frustrati, profondamente delusi, dei falliti.
Ecco perché non possiamo perdere altro tempo. Ecco perché dobbiamo agire: perché il tempo favorevole è ora, è in questa quaresima. Amen.
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