Gerusalemme è la città che rifiuta Gesù; i suoi abitanti, quelli che gli preparano la croce.
Gesù non vuole entrare in Gerusalemme in un modo qualunque, ma predispone tutta una serie di preparativi che devono dare al suo ingresso un profondo significato simbolico, conforme in tutto a quanto previsto nelle Scritture: “Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma” (Zc 9,9). Egli entra in Gerusalemme non come un re che vuole impadronirsi del potere, che viene a giudicare e punire, ma come un re che intende servire.
Con questa azione simbolica Gesù vuole attribuire al suo ministero finale un valore paradossalmente regale. Colui che morirà in croce è colui che è entrato “regalmente”, trionfalmente nella città; una regalità che proietta la sua luce sulla croce; una regalità quindi non conforme agli schemi umani, ma alla logica di Dio: egli infatti non entra su carri trascinati da cavalli, come fanno i re e i trionfatori mondani, poiché la sua regalità non è basata sulla violenza, ma sulla giustizia e sulla pace.
La reazione coinvolgente della folla lascia intravedere qualcosa dei fermenti messianici che serpeggiavano nel popolo all’epoca del dominio romano. I loro gesti richiamano peraltro quanto si faceva normalmente per le processioni nella festa delle Capanne e quanto viene evocato dal Salmo 118: “Ordinate il corteo con rami frondosi fino ai lati dell’altare”. Le loro acclamazioni “Osanna al figlio di David” dimostrano che essi riconoscono in Gesù questo Re, che viene a salvare il suo popolo.
In sostanza a Gerusalemme viene offerta l’ultima possibilità per ravvedersi: ma questo non viene capito. La folla enorme e festante che accompagna Gesù infatti non è costituita dagli abitanti di Gerusalemme, ma dai pellegrini, che arrivano in città numerosi per l’imminente festa di Pasqua.
Gli abitanti dunque ancora una volta non gli vanno incontro: mantengono lo stesso atteggiamento di indifferenza, tenuto all’annuncio della sua nascita. Per essi Gesù continua a rimanere uno sconosciuto. Sono anche questa volta gli umili, i devoti, gli osservanti, i pellegrini, che in vista della città, stendono sulla strada i loro mantelli e i rami recisi dagli alberi. È in questo modo, semplice e popolare, che il re umile e mansueto viene intronizzato. Ma solo chi è altrettanto umile, misericordioso, mansueto, può cogliere in lui la sua vera immagine di Dio misericordioso: sotto la sua povertà può scorgere la ricchezza, sotto la vergogna l'onore, sotto la morte la vita immortale.
Siamo dunque alla fine del cammino di Gesù su questa terra. Ha faticato molto per far capire a tutti, con la sua vita, la sua testimonianza, il vero volto di Dio; ma la gente dimostra ancora di non aver capito nulla. A noi oggi viene spontaneo dire: “Certo che a quel tempo erano proprio duri di comprendonio!” Ma noi, tanto critici, siamo proprio certi che ci saremmo comportati diversamente? Non siamo forse noi quelli che, quando ci fa comodo, pensiamo a Dio soltanto come ad uno che ci aggiusta la vita? Accendiamo la candela e l'esame ci va bene; un po' di acqua benedetta, e la salute è assicurata. In pratica cioè stiamo anche noi osannando “il figlio di Davide”, e non il Figlio di Dio. In altre parole stiamo adorando un altro Dio, un Dio che ci fa comodo, un Dio che non è quello di Gesù Cristo.
Il Dio che è venuto a rivelarci Gesù è un Dio che non usa la forza, il potere, la prepotenza; non è venuto per sottometterci al suo volere, ma usa nei nostri confronti la debolezza dell'Amore, ci lascia sempre liberi di scegliere Lui o chiunque altro: come il padre misericordioso, ci lascia andare, liberi di fare la nostra vita lontano da lui, ma tiene sempre lo sguardo fisso sulla strada, sperando di vederci tornare per poterci riabbracciare, senza chiederci niente, pronto a fare festa per noi.
Il nostro Dio non si contorna di gente colta e altolocata, ma sceglie gli ultimi, i più bisognosi, perché sono quelli più oppressi, più schiacciati dal potere, che poi sono anche quelli più disponibili ad accogliere la sua Parola di salvezza.
Per questo motivo, a coronamento di una vita vissuta in questo modo, egli sceglie di entrare in Gerusalemme cavalcando un'asina: e la gente continua a non capire, perché un comportamento del genere è decisamente fuori dalla mentalità comune, da ogni aspettativa; come lo è anche per la nostra. Non siamo forse noi quelli che si guardano bene dal scegliere di stare dalla parte di chi non ha voce, del disabile, dell'anziano, dello straniero, rispondendo ai loro bisogni e non imponendo un aiuto a modo nostro? Non siamo forse noi quelli che, invece di vivere sobriamente accontentandoci di quello che abbiamo, cerchiamo di accumulare sempre di più, ci circondiamo di oggetti inutili, di chincaglierie che riempiono le mensole delle nostre case, adoriamo il Dio denaro, invece di condividere gioiosamente il poco con i poveri della terra? È una questione di mentalità!
Se ci riconosciamo in questa tipologia di persone, allora chiediamoci: “Cosa posso fare per cambiare il mio modo di pensare, adottando quello di Gesù?” Beh, penso che la prima cosa da fare sia proprio quella di conoscere a fondo il suo pensiero, di capirlo, di assimilarlo, di metabolizzarlo: e questo lo possiamo fare attraverso l’ascolto e la meditazione della sua Parola: magari riservando settimanalmente qualche momento di silenzio per riflettere sul brano di vangelo della domenica.
In questo modo, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, noi impareremo a conoscere Gesù sempre meglio; impareremo a vederlo come lui è veramente; ci scopriremo sempre più somiglianti a lui, pronti a vivere anche noi la nostra “passione”, ad amare l’altro fino in fondo, fino al punto di dare la nostra vita perché “l'altro abbia la Vita”. Amen.
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