«Io sono il pane vivo, disceso
dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è
la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6, 51-58).
Giovanni
nel vangelo di oggi ci ripropone ancora il concetto del “pane della vita”, un
argomento decisamente di non facile comprensione. Gesù stesso se ne rende conto
di fronte alle contestazioni dei giudei: e per questo Egli insiste e sottolinea
ancora una volta l’importanza del suo dono; la sua carne e il suo sangue sono
gli elementi che trasmettono la vita divina all'uomo e lo trasformano in una nuova
creatura. Gesù non fa nulla per sfruttare la popolarità del momento, dovuta al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci operato poco prima; né si preoccupa di ammorbidire le sue affermazioni, che sa in aperto contrasto con la mentalità dei suoi ascoltatori. Anzi, sembra quasi che provi piacere nel provocarli... «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna... dimora in me e io in lui».
«Bere il sangue»: è infatti difficile immaginare una espressione più dirompente, più scandalosa per gli ebrei del suo tempo. Il sangue era sinonimo di vita: bere il sangue di un’altra creatura, era impensabile, vietatissimo, perché ciò avrebbe creato una “commistione” di vita. Proprio per questo, nella macellazione degli animali essi facevano fuoriuscire dall’animale ogni traccia di sangue prima di consumarne la carne; e sempre per questo motivo guardavano con orrore i pagani che mangiavano la carne senza sottoporla ad un analogo trattamento.
Quando Gesù, pertanto, invita tutti a «bere il suo sangue» sa perfettamente di irritare, scandalizzare, provocare rifiuto, contrasto, disapprovazione.
E allora perché lo fa? Non poteva scegliere un'immagine meno forte? Non era forse meglio evitare di ferire le orecchie dei fedeli del suo tempo? Proprio perché conosceva bene le loro tradizioni e le loro «manie»?...
Certo noi, fedeli di oggi, abituati ad una comunicazione melliflua, in “politichese”, che crei consenso generale, avremmo preferito che le parole di Gesù trovassero approvazione da parte del suo pubblico. Ma per Gesù, quello che conta veramente, è di presentare in maniera chiara e nitida ciò che egli offre, perché lo si possa accettare o rifiutare liberamente.
La verità, dunque, anche se dura, anche se ostica, anche se poco gradevole, conta di più di qualsiasi altra cosa. E noi sappiamo che la sua è una verità di salvezza, una verità consolante, benefica. Il sangue è vita? Ebbene; Gesù, versandolo per noi, ci ha dato la sua vita. «Mangiare la sua carne e bere il suo sangue» significa quindi entrare in comunione profonda con Lui, entrare nella sua vita.
“Carne e sangue”, dunque, potranno anche sembrare termini esagerati: ma non lo sono se passiamo attraverso l'esperienza che Gesù ci propone; non lo sono se avvertiamo il vincolo di amore che egli nutre nei nostri confronti; allora nulla vi è di eccessivo. Anche se siamo ancora tanto lontani. Anche se queste parole scandalizzano pure noi.
Noi, malati di possesso, di accumulo, di sicurezze, di garanzie.
Noi, che viviamo sul crinale dell’idolatria, che rischiamo di dimenticare il significato della parola “gratuità” e cavalchiamo la logica del tornaconto.
Noi, che permettiamo alla pubblicità di plasmare i nostri bisogni, per poi correre ai nuovi “templi” domenicali per cercare di saziarli.
Noi, che non sappiamo più nemmeno chiamare per nome i sentimenti che ci abitano, che siamo analfabeti del cuore e balbuzienti dello Spirito.
Sì, fratelli: la Parola di oggi è veramente anche e soprattutto per noi.
Gesù ci invita a nutrirci di Lui, a nutrirci di Amore, della Sua carne e del Suo sangue, dono totale di sé stesso nelle mani del Padre, dono perpetuo della Sua Pasqua. Nutrirci di Lui per capire finalmente e credere che “la carne che dona vita eterna” è quella offerta per amore, e non quella conservata “sotto vuoto”; che la gratuità è il ritmo cardiaco della felicità; che solo Dio sazia l’insaziabile desiderio di amore che ci abita.
Lasciamoci dunque portare dallo Spirito sulla strada che Lui ci ha tracciato; e se facciamo un po’ di fatica per seguirla, tranquilli: vuol dire che siamo sulla strada giusta.
Le parole di Gesù alludono chiaramente all’Eucaristia domenicale: quella Eucaristia che il più delle volte stancamente facciamo nelle nostre distratte comunità.
Ci crediamo veramente, fratelli? Crediamo veramente che, grazie alla preghiera della comunità, al dono dello Spirito e all'imposizione delle mani di un prete (talvolta purtroppo lui stesso inconsapevole del potere che ha), Gesù si rende cibo?
Ebbene, Gesù allude proprio a questo dono semplice e tremendo, gioioso e durissimo, che ci obbliga alla fede, che ci scardina dalle nostre tiepide abitudini. Ogni domenica ci raduniamo per ripetere la Cena, un gesto di caldo affetto e di obbedienza al Maestro; ogni domenica ci nutriamo del pane della Parola e del pane Eucaristico, e custodiamo questo pane nelle nostre Chiese per i nostri malati, per segnalare una Presenza nel caos anonimo e dissacrante delle nostre città.
Siamo lì per questo, fratelli; per questo ci raduniamo, perché, affamati, abbiamo urgente bisogno di saziare il cuore, di illuminare il cammino, di credere, finalmente, senza ambiguità, senza ritrosia. Credere, fratelli; credere con tutto il cuore e con tutta l'anima. Perché nell’eucaristia non mangiamo il corpo “umano” di Gesù. Non potremmo. Quel corpo è stato legato al suo tempo e ai suoi luoghi. Ora non c'è più. Mangiamo però il suo “corpo” risorto, quel corpo uscito dal sepolcro la mattina di Pasqua, vittorioso sulla corruzione e la morte. E noi possiamo mangiare questo corpo, perché è Dio; quindi infinito, dovunque, al di fuori del tempo e dello spazio, inesauribile, presente nella sua interezza in ogni frammento di pane e in ogni goccia di vino consacrati.
La messa è nutrirsi di Gesù risorto; è un pezzo di risurrezione che entra e cresce dentro di noi. È una cosa straordinaria. La messa non dà soltanto qualcosa di buono, di santo, di grande: la messa trasforma, “fa essere”. Fa essere direttamente Gesù risorto: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui».
Allora, fratelli miei, chiediamoci tutti onestamente: cos'è l'eucarestia nella nostra vita? Che importanza ha per noi? Perché andiamo a messa la domenica? Certo, partecipare a certe messe nelle nostre chiese non è che ci aiuti poi tanto: sono messe “stanche”, non ci entusiasmano, sono troppo “rituali” ed esteriori; le viviamo con un senso di abitudine e di noia. Inutile scandalizzarci, strapparci le vesti: nelle nostre celebrazioni, fratelli miei, manca soprattutto la fede, sia in chi presiede che in chi partecipa. Perché allora non cominciamo a credere veramente noi per primi? Perché non facciamo di quella Cena il cuore della settimana, lo stimolo per la nostra vita? Perché non osiamo di più? Perché non ci riappropriamo dell'eucarestia, perché non ci innamoriamo di questo gesto, e lo prepariamo con gioia, con serenità? Perché non facciamo diventare le nostre eucarestie un capolavoro di autenticità e di fede, di bellezza e di lode, cosicché nessuno più possa fare a meno di parteciparvi?
La messa infatti è un dono che agisce solo se viene accolto e trafficato. Il pane vivo ci porta verso la risurrezione se viviamo da risorti: da uomini saggi, secondo la volontà di Dio.
È vero, non è per nulla facile capire bene le parole di Gesù, e metterle in pratica.
Noi però siamo fortunati in questo: perché c’è Maria, la nostra mamma, che ci aiuta; Maria, una creatura come noi, che è già quello che noi saremo. È stata assunta in cielo, come abbiamo festeggiato alcuni giorni fa; è sbocciata alla risurrezione, perché Gesù ha dimorato in lei e lei in lui. È la nostra speranza, la nostra garante: anche noi sbocceremo alla vita eterna, se, come lei, crediamo nell'adempimento delle parole del Signore: di tutte le sue parole, anche di quelle di oggi: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue vivrà in eterno». Crediamoci dunque, fratelli, crediamoci veramente. È vero, siamo tiepidi, sconcertati, distratti, svogliati; siamo pieni di dubbi e abbiamo paura della fatica: ma nonostante tutto, crediamoci! Amen.
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