sabato 19 settembre 2009

20 Settembre 2009 - XXV Domenica del Tempo Ordinario

La discussione dei discepoli su chi tra loro fosse più grande ci sorprende: sembra alquanto infantile e un po’ ridicola, indegna fra gente che ha rinunciato a tutto per seguire il Signore. Se poi consideriamo il contesto immediato dell’annuncio della sua passione rimaniamo sconcertati: è mai possibile tanta superficialità? Stare con Gesù (Mc 3,14) non ha cambiato il modo di pensare dei discepoli?
Una cosa è evidente: il cuore dell’uomo è e rimane un abisso di fragilità anche negli amministratori della grazia divina, e non c’è nessuno tra i battezzati che possa presumere di mantenersi sempre fedele con le proprie forze. Pur non volendolo, rinnegare il Signore anche in materia grave è sventura del tutto possibile, data la nostra natura, e il triplice rinnegamento di Pietro di fronte alla giovane portinaia è monito eloquente per tutti (Gv18,17). Tuttavia sappiamo che Dio non permetterà mai che siamo tentati al di sopra delle nostre forze, se sapremo essere vigilanti. Ma la disonorevole discussione degli apostoli non rimanda solo alla sabbia della nostra natura e alla roccia della Parola del Signore. Scopriamo, infatti, che la questione di chi sia il più grande occupa anche la gran parte dei nostri discorsi, costituendo in tal modo un’attitudine peccaminosa profonda.
Lo dimostra la propensione quotidiana al giudizio; la pratica della critica sistematica verso familiari, verso i politici nazionali e locali; la mormorazione verso i sacerdoti, i vescovi, il Papa; le più che ingenerose considerazioni sui vicini di casa, sui colleghi, sugli amici, ecc. Ora è chiaro che tutta questa inesauribile e ricorrente materia di confessione scaturisce da un implicito confronto: “io non sono così; io non farei mai una cosa simile; io, se fossi al posto suo...”. In altre e più vere parole: “io sono più grande di lui, di lei, di loro”.
Un minimo di pudore e una buona dose di falsa umiltà impediscono quest’ultima e più sfacciata affermazione, ma i nove decimi dell’iceberg dell’amor proprio che affiora sulla superficie della nostra coscienza, sono questi. E’ vero che molto spesso taluni comportamenti altrui meritano oggettiva disapprovazione, ma il tono e il sentimento con cui ne parliamo rivelano inesorabilmente che in quel momento ci stiamo collocando nel mezzo del tempio, in compagnia del fariseo soddisfatto di non essere come gli altri, in particolare come quel pubblicano là dietro, in fondo alla chiesa, intento a battersi il petto per sua colpa, sua colpa, sua massima colpa (Lc 18,9-14).
Ecco, oggi Gesù ci mostra anzitutto l’iceberg sommerso del nostro orgoglio ed egoismo originale, dopodichè ci insegna come fare per cominciare a scioglierlo: “Se uno vuole essere il primo – (questo istintivamente ci piace, ma subito viene la doccia fredda...) – sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” (Mc 9,35). Uno shock, se prendiamo alla lettera queste parole! Ma con questo deciso scossone il Signore non vuole gettare a terra nessuno: al contrario vuole solamente aiutarci a camminare sicuri in una nuova e più lieta direzione: quella dell’accoglienza reciproca nell’abbraccio dell’ amore del Padre.
Il senso delle parole drastiche di Gesù potrei esprimerlo così: “non cercate mai di primeggiare, ma siate disponibili ed accoglienti verso tutti; abbiate un atteggiamento pronto al servizio e fatevi prossimo di chi ha bisogno del vostro soccorso, specialmente dei più deboli e poveri, quelli lasciati e tenuti ai margini di questa società, quelli che si trovano nelle necessità più gravi ed urgenti. Sì, accoglieteli nel vostro cuore come se accoglieste me, poiché siamo tutti fratelli, siamo tutti dentro l’abbraccio amorevole del Padre mio e Padre vostro”.
Vediamo, infatti, che Gesù prende la mano di uno tra i suoi più piccoli ascoltatori presenti (probabilmente gli unici non scandalizzati), lo mette in mezzo (come a dire: state attenti perché vi sto mostrando il cuore della questione), lo abbraccia e ci esorta a fare nostra questa sua concreta tenerezza. In effetti, al tempo di Gesù, il bambino, pur godendo una grande stima in Israele come premio e benedizione di Dio, era l’ultimo nella scala sociale, del tutto privo di considerazione.
Oggi il bambino messo al centro ed abbracciato da Gesù è la vita umana, la vita al suo sorgere e la vita al suo tramonto, semplicemente la vita! Ma più di tutto è la vita dell’uomo nel grembo la più inerme ed innocente, la più minacciata ed odiata, la più bisognosa di quell’accoglienza che nemmeno nel luogo più sicuro del mondo e da parte delle persone più fidate (i genitori), trova più. E’ assolutamente imprescindibile, affinché si sviluppi nella società globalizzata la civiltà dell’amore e della pace, che al centro di tutto sia messa la vita umana, cioè ogni bambino concepito che Dio stesso fa essere, nel suo Figlio, il cuore del mondo.
Lo fa intendere esplicitamente Benedetto XVI: “L’apertura alla vita è il centro del vero sviluppo. Quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni necessarie per adoperarsi al servizio del bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche le altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono. L’accoglienza alla vita tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco” (Enciclica “Caritas in veritate”, n° 28).
E’ questa la strada della fiducia in Dio, in direzione opposta a quella dell’orgogliosa e presuntuosa autosufficienza, strada maestra dell’affidamento totale a Lui, nella certezza di fede che tutto è governato dalla divina provvidenza del Padre. E’ l’atteggiamento stesso di Gesù, sempre abbandonato alla volontà del Padre ed Egli stesso Via della semplicità e dell’umiltà, Verità da conoscere e Vita da accogliere. E’ Lui la “Sapienza che viene dall’alto, anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera” (Gc 3,17).
Preghiamo allora la Madre della Vita perché affretti il compimento della Parola di oggi:
O Maria, aurora di un mondo nuovo, siamo consapevoli che la vita è costantemente nel mezzo di una grande lotta. Il Maligno, omicida fin dal principio, attenta continuamente alla vita dell’uomo e dell’umanità. A te è affidato il compito di difenderci dal dragone infernale, fino al giorno in cui il Frutto del tuo seno riporterà la vittoria definitiva. Accogli, o Maria, i nostri grandi desideri per la vita, falli passare per il tuo Cuore Immacolato e presentali a Gesù, come facesti a Cana, dicendogli: “Non hanno più vino!”; e noi, ammaestrati dalla tua sapienza materna, faremo quello che Gesù ti dirà per far vincere la Vita. Amen

Servire o farsi servire? Qual è la nostra situazione? Cioè il clima, la mentalità corrente, il comportamento delle persone? Lo sappiamo e ne vediamo i frutti nell’arrivismo, nelle sopraffazioni, nella lotta per il potere o nell’affanno per una posizione più alta… ma questo non dà gioia e pace, ma nervosismo, chiusura del cuore, a volte cattiveria, insoddisfazione. Gesù vive e insegna una via piccola, ma sicura: la via del servizio, del mettersi al servizio degli altri: per realizzare veramente se stessi, per avere la gioia e offrirne tanta agli altri, per avere la pace del cuore.
Servire o farsi servire? Mettiamoci ad esaminare concretamente la nostra vita di ogni giorno. Bisognerebbe innanzitutto elencare tutte le volte in cui ci facciamo servire e non ci vergogniamo di farci servire o esigiamo che gli altri ci servano subito: in casa, a scuola, nel lavoro, nella vita sociale, nelle relazioni con le persone, nella vita di parrocchia, persino a messa. Quando invitiamo alla partecipazione attiva nella liturgia e negli altri campi della vita parrocchiale, cosa si nota? Tanta gente che vuole la Messa (possibilmente alla propria maniera), vuole e invoca una vita parrocchiale piena di iniziative per i giovani, per le famiglie, per gli anziani… e di fatto ogni persona rimane chiusa in se stessa; con la fatica persino di farsi avanti, di aprir la bocca per imparare un canto, rispondere ad una preghiera, a fare anche il più piccolo servizio liturgico. La vita parrocchiale sembra che la debbano portare avanti sempre gli altri; altri parteciperanno, altri ci saranno… “io ho da fare”. Invece quanto tempo ci dà il Signore, quanto tempo sciupiamo in altre cose, quanti interessi per tutte le cose mondane (pur lecite)!. Ma abbiamo degli esempi di persone e di famiglie che hanno situazioni ben più impegnative delle nostre e sanno vivere invece scelte di apertura, di amore, di partecipazione, di servizio vero. E li vedi contenti: Il Signore non si smentisce, sa dare la gioia e la vita quando ci si preoccupa della gioia e della vita degli altri. Possibile che tante persone in più non possano essere presenti o fare qualche piccola opera nella comunità cristiana? E non è questione di tempo, se la stessa pigrizia la si avverte anche quando siamo in chiesa, dove viviamo un tempo davanti al Signore: allora è questione di atteggiamento interiore o di chiusura, di farsi servire.
Vogliamo allora aprirci a tutte le possibilità del servire, di metterci a servizio, di essere attivi e partecipi, di fare il più possibile, di risparmiare le fatiche agli altri e di assumerle per noi con serenità, nella vita di famiglia, nelle relazioni con gli altri, nella comunità cristiana, in concreto nella vita della parrocchia in tutti i suoi aspetti e nelle iniziative che si cerca di costruire insieme. Se siamo una comunità di servi, di persone che cercano il più possibile di vivere il servizio agli altri… sarà tutta un’altra cosa la messa e tutta la vita spirituale, la catechesi e le attività formative, la carità e all’aiuto al prossimo, l’animazione delle varie attività che abbiamo in parrocchia, nelle Zone, nelle feste. Saremo una comunità che reagisce a tutte le istigazioni e le tentazioni di chiusura, di diffidenza, di borghesismo, di autosufficienza e isolamento; una comunità di persone che vivono una vita vera, fatta di relazioni, di apertura, di amore, di comprensione, di impegno e aiuto a più gente possibile, di persone che vivono “da fratelli”, che hanno fervore cristiano, che portano avanti nella storia la fede, la speranza, la carità, che sono un seme di novità e di salvezza nella società, che sanno trovare o hanno già trovato una gioia vera nel vivere come Gesù, a servizio.

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