Il termine “Trinità” fu coniato da Tertulliano (160-220 d.C.) per facilitare la comunicazione del concetto che altrimenti richiedeva due parole: “tre-unità”, cioè “Trinità”. Sebbene tale parola non compaia mai nella Bibbia, troviamo però il contenuto e la portata di questa indivisibile “trilogia” delinearsi progressivamente fino a raggiungere una essenziale chiarezza: un unico Dio in tre persone uguali e distinte, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo.
Il cammino della Rivelazione è distribuito nel tempo e segue la legge pedagogica dell’insegnamento progressivo. Dapprima Dio chiama il popolo ebraico a percepire l’esistenza di un unico Dio, trascendente, con esigenze morali che prendevano il nome di santità. Con questo popolo stringe un’alleanza che ha, tra l’altro, il compito di salvaguardare l’unicità di Dio in mezzo a popoli politeisti (Prima Lettura). Con il Nuovo Testamento i tempi sono maturi per la rivelazione piena. Sarà Gesù che, convalidando l’idea del monoteismo, fa capire che tale unicità viene dalla comunione di Padre e Figlio e Spirito Santo. Così la Trinità diventa il patrimonio teologico e spirituale dell’uomo che riceve il Battesimo ed entra nella Comunità cristiana (Vangelo).
Affermare il dato biblico della Trinità non significa penetrarne il Mistero, che rimane superiore alla nostra intelligenza. Perché allora Dio ci rivela qualcosa che noi non possiamo capire? Perché non si tratta di capire, ma di vivere nella Trinità (Seconda Lettura).
Raggiunta la vetta, se la giornata è limpida, si guarda tutto il cammino percorso, per misurarne l'ampiezza, per contemplare nel suo insieme l'immenso panorama che prima si è ammirato nei particolari. È un simbolo di ciò che la solennità della Santissima Trinità ci chiama a fare, a conclusione della celebrazione del Mistero e della Redenzione. Dio è il protagonista della Storia della Salvezza; ma non un Dio astratto, solitario: è il Dio “Comunità di Amore”, Padre e Figlio e Spirito Santo.
Da sempre Dio ci ha scelti, ci ama, ci parla; è vicino a noi, è con noi; egli prosegue il suo piano di salvezza, è fedele e chiede agli uomini fedeltà. Sono i temi, della prima presa di coscienza che Israele fa della storia della sua salvezza: «Dal giorno in cui Dio creò l'uomo sulla terra...» (Prima Lettura). Israele, salvato dalla schiavitù, educato dalla parola di Dio, si è sentito oggetto della sua elezione, ha ricevuto da Dio una legge di saggia convivenza umana e di intimità con lui; ripensando a tutto questo, Israele intuisce che dalle origini la sua storia è nelle mani di Dio, che Dio vi interviene per salvare il suo popolo e condurlo a una patria di benessere e di felicità. Questa è anche la nostra storia: dobbiamo prenderne coscienza. Dio si è impegnato per noi, ci ha dato la sua parola, ci mette in mano dei fatti, ci dà garanzia nel suo amore e nella sua elezione, perciò chiede fiducia e fedeltà, perché egli stesso mostra fiducia nell'uomo e gli è fedele. Se vi pensassimo, ci renderemmo conto di tutto questo, sentiremmo che Dio con la sua forza di salvezza si mette alla radice degli avvenimenti, per orientarli al bene, nonostante gli uomini troppo spesso li volgano al male, anzi proprio per questo.
Non c'è bisogno di falsi dèi. Il vero Dio non tace; egli ci parla perché ci ama e vuole salvarci da ogni schiavitù; forse siamo noi che non sappiamo ascoltare. Apriamo il Vangelo, la Bibbia, guardiamo la natura, leggiamo nella nostra storia! Quel popolo che Dio ha scelto e ama, siamo noi ai quali chiede di essere di salvezza per gli altri. Tutto questo ci schiude una reale speranza; ma soltanto nella misura della nostra fede, noi sentiremo viva questa speranza e sapremo comunicarla agli altri.
Per gli antichi pagani, ossessionati dal destino (il “fato”) pensato inesorabile, e scandalizzati dagli dèi e dalle dee peggiori degli uomini, che sollievo venire a conoscere che vi è un solo Dio, santo, onnipotente, ma “Padre”! Noi troviamo lo stupore gioioso di questa scoperta nella letteratura dei primi cristiani. È il messaggio che Paolo ha richiamato ai Romani (Seconda Lettura), coinvolgendo in un unico e ormai meraviglioso destino di famiglia, il Padre, Cristo, lo Spirito Santo e gli uomini figli di Dio. Ormai l'uomo non è più schiavo, perché Dio l'ha liberato dal peccato, e non deve più rendersi schiavo di nessuno e di nulla. Per questo, Dio ha dato all'uomo per guida il suo stesso Spirito di amore, perché si comporti con amore verso gli altri uomini e verso Dio. Allora sentirà la gioia di chiamare Dio col nome di “Padre”, “Papà”. In ciò è nuovamente aperta agli uomini una sicura speranza. Dio ha avuto l'iniziativa della salvezza degli uomini, che non vi pensavano; la conduce avanti, anche se non vi pensano e la ostacolano; egli sa volgere a bene, a strumento di salvezza anche la sofferenza umana, come ha fatto per la sofferenza e la croce del suo Figlio che si è fatto nostro Fratello per salvarci e renderci suoi coeredi.
«Fate miei discepoli tutti i popoli»: questo comando di Gesù non è stato dato solo agli apostoli, è dato per sempre alla Chiesa, cioè a tutti noi che siamo i “credenti in Cristo”. Oggi, siamo chiamati a considerarlo nella luce calda della Trinità, di Dio-Amore, Padre, Figlio, Spirito, più e meglio di come non facciamo usualmente. Tutto ciò che Gesù ha compiuto, i poteri che ha mostrato e che dona alla Chiesa, sono dati a Cristo e alla Chiesa dal Padre, e tutti li corona il dono di comunione che è lo Spirito di amore. Gli uomini, che hanno preso coscienza che la loro è una storia di salvezza e sentono profondamente di avere Dio per Padre e Fratello, sono spronati a comunicare al mondo questo messaggio, a fare “discepoli” di Cristo tutti i popoli perché anch'essi entrino in questo dinamismo di salvezza per cui Dio conduce fra noi vita umana nella fraternità, nella solidarietà, nella collaborazione.
Veniamo dalla Pasqua, dalla cinquantina pasquale la cui pienezza è segnata dal dono dello Spirito Santo alla comunità di Gesù, nella Pentecoste. In questo anno il tempo di Pasqua, dalla Santa Settimana, è stato tutto segnato dalla sofferenza e dalla distruzione per le Comunità e le Chiese dell’Abruzzo e per l’Italia tutta. Eventi di tale portata non lasciano nessuno come prima e le nostre Domeniche ne portano le stigmate. Esse si traducono in preghiera e in solidarietà per dare a quei fratelli la speranza che saranno accompagnati da tutti noi fino a che ne avranno bisogno.
La Domenica successiva alla Pentecoste è per la Chiesa Cattolica romana la solennità della Santissima Trinità. I discepoli di Gesù, noi, siamo rigorosamente monoteisti. I primi secoli cristiani hanno lottato e precisato tutto ciò, ma Dio che si è rivelato in Gesù Cristo si è fatto conoscere a noi come una “Comunione di Persone”, tanto che Dio Uno, comunione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, è divenuto norma per la Chiesa chiamata a essere “comunione”. L’ecclesiologia di comunione, di cui molto parliamo, è proprio questo: ricevere dalle prime generazioni cristiane questo dato che tutti i battezzati sono chiamati a essere uno come Uno è il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Solo nell’amore perfetto e vero c’è unità. Allora questa giorno ci interpella e giudica sull’amore, distintivo della Comunità di Gesù. Ricordiamo che il segno della croce, con cui apriamo il nostro raduno eucaristico e lo concludiamo, è professione di fede in questo Mistero insondabile. Questo mistero ci accompagna sempre. Ogni Liturgia inizia nel nome della Trinità. Ogni azione ha compimento nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo.
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