giovedì 27 febbraio 2020

1° Marzo 2020 – I Domenica di Quaresima


“Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse…” 
(Mt 4,1-11).

Finalmente il carnevale è finito, siamo in quaresima: che non è un punto di arrivo, non è il tempo dell’adagiarsi, del riposare sugli allori, del tirare finalmente il fiato: nossignori. Quaresima è il punto di una nuova partenza: vuol dire “convertirsi”, da “convertere”, ossia fare una inversione ad “u” rispetto alla direzione precedente; significa tornare indietro, tornare sui propri passi, sui valori autentici del vangelo, per ripartire, questa volta, col piede giusto. Quaresima è il tempo della prova, il tempo del rodaggio su strada dei nostri buoni propositi, di quelli cioè che di fronte a Dio abbiamo deciso di portare avanti: “Sì, Signore, hai ragione; è come dici tu: se mi misuro col Vangelo, sono proprio zero, una nullità. Non ho ancora capito nulla di te; debbo proprio rimboccarmi le maniche: e questa volta ti farò finalmente vedere…”. Ecco, è quel “ti farò vedere”, quella decisione presa in un istante di vergognosa sincerità, sgorgata giù, nell’intimo del nostro cuore, che automaticamente spazza via ogni velleità di “riposo”.
Perché non c’è riposo nel cammino che ci porta a seguire Cristo. Illusi noi, se pensassimo ad una tale possibilità. Siamo in Quaresima: tempo dunque di bilanci, di verifiche, di analisi sulla nostra salute spirituale; tempo per pianificare concretamente la nostra “conversione”, la nostra ripartenza, ma soprattutto tempo di far vedere a Dio che siamo persone serie e non i soliti spacconi.
È arrivato il momento in cui dobbiamo finalmente gettare le nostre maschere, quelle maschere che da anni, troppi, ci portiamo incollate addosso, quelle che ci fanno illudere di essere diversi, quelle che ci piace tanto ostentare davanti agli altri, per essere considerati migliori di quello che siamo! Quelle che a volte non ci vergogniamo di indossare neppure quando siamo soli, a tu per tu con Dio! Quanto siamo meschini! Eppure “ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai!”. Lo abbiamo sentito mercoledì scorso dal sacerdote che ci imponeva le sacre ceneri. Polvere, siamo solo polvere; insignificante e arida polvere del deserto primordiale. Senza il soffio di Dio, siamo polvere senza vita. Senza di Lui, siamo polvere inutile: perché è Dio che ci riempie di immortalità, di speranza, di sogni.
Purtroppo viviamo in un mondo carico di odio, di lotte e di continue contrapposizioni a tutti i livelli: politico, religioso, culturale, sociale, economico. L’unico scopo della nostra vita sembra essere quello di vincere battaglie, tutte le battaglie, e di assicurarci un posto dalla parte “ricca” del vincitore. Eppure Gesù, con la sua vita, ci ha insegnato il contrario. Egli non è venuto per dimostrarsi potente e senza problemi. Non è venuto per vincere battaglie; si è calato nei nostri deserti quotidiani, nelle nostre fragilità umane fatte di fame, di debolezza e di peccato, per dimostrarci che non siamo soli e soprattutto che non dobbiamo essere senza speranza. Gesù è entrato in questo nostro deserto, altrimenti invivibile: è entrato, e resta con noi, come uno di noi.
E nel vangelo di oggi, con il suo ritirarsi nella preghiera e nel silenzio, ci insegna come fare la nostra “con-versione, ci indica la nuova strada, quella, sicura, di seguire le sue orme, la strada dell’amore e della felicità; e per prima cosa ci insegna a liberarci dalle striscianti e ambigue illusioni del nemico tentatore.
Sì, Gesù ci dice di combattere le tentazioni: ma che sono le tentazioni? Qualcuno oggi parla ancora di tentazioni? In una società in cui tutto è permesso, tutto abbordabile e tutto attuabile (“desidero qualcosa? Me la prendo!”), che senso ha parlare di tentazioni? Eppure il cammino verso la Pasqua, passa proprio di qui: quelle che Gesù vive e combatte in prima persona, sono le nostre grandi illusioni, i grandi inganni della nostra vita, quelli che non conosciamo ancora abbastanza, quelli che addirittura non vogliamo conoscere e che inesorabilmente ci ostacolano il cammino, o addirittura ci sviano. 
Gesù ce ne indica tre: il primo consiste nel voler sostituire Dio con le “cose”, assolutizzandole: “dì che queste pietre diventino pane”; è l’inganno di pensare che tutta la nostra vita consista e si realizzi qui, nel presente, che serva soltanto a saziare le nostre voglie. Il secondo inganno è quello che costruiamo pretendendo un sistematico intervento di Dio, teso a sanare i nostri egoismi, a rimediare ai nostri errori: «i suoi angeli ti porteranno sulle loro mani…». Infine, l’inganno più ambito, quello di rincorrere ricchezze, successo e potere, esigendoli ad ogni costo e con ogni mezzo, anche calpestando il prossimo e vendendo al diavolo la nostra anima: «tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Sono queste le tentazioni che Gesù ha sconfitto, e da qui la sua lezione, chiara come al solito. Nella vita si impone una costante scelta; come diceva Sartre, l’uomo è condannato a scegliere, è condannato ad esercitare la sua libertà. E la libertà, lo sappiamo bene, la vera libertà, è un bene molto difficile da gestire.
Nei vangeli il peccato è superato, perdonato, scomparso, a causa dell'immensa misericordia di Dio. È considerato solo indirettamente, di riflesso, come cartina di tornasole per dimostrare la bontà e l'amore senza limiti di Dio. Ma il peccato, con le sue suadenti e irresistibili tentazioni, il grande assente dalla nostra moderna mentalità, esiste, eccome se esiste! È il segno, la dimostrazione del DNA dell’uomo, della sua libertà di scegliere e di sbagliare.
In questo deserto della quaresima, è necessario allora che torniamo all'essenziale; che impariamo a capire chi, o che cosa, guidi la nostra vita, e verso dove; che ci rendiamo conto degli errori che facciamo, soprattutto quando insistiamo sempre negli stessi, quando ci incaponiamo in scelte sbagliate continuando a considerarci altrettanti Dio, a sentirci suoi pari. Questa quaresima ci metta in guardia su questa realtà; sia un invito a tener sempre presente la nostra innata fragilità, a guardare questa nostra nudità; sia insomma occasione per riconoscere i nostri peccati, per gettarli tutti nel cuore incandescente di Dio. Perché solo lì ci sentiremo veramente beati, non perché perfetti, ma perché tanto amati. Amen.



giovedì 20 febbraio 2020

23 Febbraio 2020 – VII Domenica del Tempo Ordinario


“Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”. (Mt 5,38-48).

Gesù continua anche oggi la sua catechesi sul comportamento che dobbiamo tenere.
Domenica scorsa ci aveva detto che Lui non era venuto per abrogare l’antica legge, ma solo per “completarla”; come? Insistendo sullo spirito con cui dobbiamo porci di fronte alla legge: perché è questo che dobbiamo cambiare; quindi niente più esibizionismi, esteriorità, tornaconto, ma solo cuore, amore, altruismo.
Nel vangelo di oggi va oltre, entra nello specifico: ci insegna cioè fino a che punto dobbiamo arrivare per essere coerenti con la sua nuova legge dell’amore.
Come al solito Egli è molto chiaro ed esplicito: “Avete inteso che fu detto agli antichi: occhio per occhio e dente per dente”. Certo, era la legge del “taglione”; una legge brutale, primitiva; una legge discutibile quanto si vuole, ma che almeno riusciva in qualche modo a limitare la vendetta e la selvaggia sopraffazione del più forte, ristabilendo una certa parità.
È chiaro che una legge che cercava di fermare il male, ricorrendo ad altro male, non offriva una soluzione valida del problema: non riusciva certamente a limitare il male, semmai lo raddoppiava.
Per questo Gesù, a tale prospettiva, contrappone immediatamente (io però vi dico) una nuova economia, la sua economia, quella dell’amore: in un clima arroventato dalla vendetta, dall’odio, dalla legge del più forte, dall’egoismo, Egli introduce la legge del perdono, della generosità, della comprensione, dell’amore sincero.
1. “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”. Dobbiamo riconoscere che sono parole pesanti, incomprensibili per la mentalità di allora, ma anche per quella dei nostri giorni.
Del resto è una esortazione rivoluzionaria, che non si trova in tutto l'Antico Testamento: una esortazione presente solo in Marco e Giovanni, assente in Luca e Matteo; che non si trova in tutto il rimanente Nuovo Testamento, e neppure nella letteratura ebraica o cristiana. È decisamente un comandamento nuovo, unico, è un fulmine a ciel sereno.
Gesù con queste parole intende stravolgere completamente la precedente idea religiosa: il Dio che lui rivela, è un Dio completamente diverso: non è violento, non nutre odio, non è vendicativo. Fino ad allora si diceva: Dio è potente perché si fa giustizia, perché punisce, castiga; è “severo” intransigente, e si vendica. Ma Gesù mette un punto fermo a questa ideologia. In pratica dice: nossignori! Dio non è affatto così. “Il Padre celeste fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti”. Una nuova mentalità viene introdotta: uno stile nuovo, intimo, umile. La sua è una prospettiva pacifica, non violenta, ma altrettanto ferma, efficace e valida sia sul piano sociale che personale.
Contro il dramma della tirannia del male, contro chi ci fa un affronto, invece di lasciarci coinvolgere, di lasciarci dominare dalla cattiveria subita, Gesù ci detta un nuovo comportamento: “Non lasciatevi sottomettere dal male; reagite, fatelo in modo clamoroso, andate contro oltre ogni regola vendicativa, contro ogni aspettativa di rivincita umana, rispondete forte e solo con l’amore. Amate! Amate sinceramente, intimamente, spassionatamente. Nessuna dittatura umana può imporre dei limiti al vostro cuore, alla vostra coscienza, al vostro amore; nessuna dittatura può privarvi della vostra dignità di creature di Dio, della vostra libertà interiore. Possono rendervi schiavi nel corpo, ma niente e nessuno potrà mai sottomettere l’anima, costringervi dentro, nel vostro intimo, a meno che non siate voi stessi a volerlo”. 
2. “Non opporti al malvagio”, che in pratica vuol dire: “per vincere il male combatti il male, non la persona che lo compie”. Per cui non dobbiamo per principio infierire, disprezzare, condannare il fratello che, sventuratamente, si comporta male: è già sufficientemente punito dalle sue stesse opere cattive, che lo tengono lontano dall’amore di Dio. Odiarlo significherebbe abbassarsi al suo stesso livello, entrare nella medesima spirale di violenza che allontana da Dio e rende infelici. Gesù odia il peccato, ma ama i peccatori; dobbiamo fare altrettanto; se odiamo i nostri fratelli peccatori, dimostriamo tutta la nostra fragilità, la nostra dipendenza dal male; dimostriamo cioè di avere anche noi la loro stessa mentalità di peccato. Solo se il nostro cuore è puro, solo se viviamo nell’amore di Dio, possiamo amare con tenerezza il peccatore, possiamo cioè compatirlo (patire-con-lui), condividere il suo dolore, caricandoci sulle spalle il peso del suo fardello, sull’esempio di Cristo.
2. “A chi ti schiaffeggia, offri l’altra guancia”. Colpire con uno schiaffo era una cosa normale a quel tempo: era il modo con cui chi stava sopra, umiliava chi stava sotto. Era normale per i padroni colpire gli schiavi e i servi; era normale per i mariti colpire le mogli. Come altrettanto normale e umano, per chi subiva questi affronti, era provare odio, ribellione, vendetta. La vita purtroppo è così: ci ferisce, e ogni ferita provoca in noi due sentimenti tremendi: dolore e collera. Tanto dolore, tanta collera; tanta sofferenza, tanto odio.
3. “Se uno ti vuol portare via la tunica, lasciagli anche il mantello”.
La tunica era il capo d'abbigliamento intimo, che si portava direttamente a contatto col corpo; il mantello, invece, era il capo pesante che si portava al di sopra. La tunica rappresenta quindi l'intimità: “vuoi ferirmi nell'intimità? Ok, puoi farlo; puoi anche prendermi tutto, lasciarmi nudo come un verme, ma non potrai mai privarmi della mia dignità. Sono fiero di praticare i valori in cui credo. Non ho nulla da nascondere”. Al contrario, quando commettiamo un errore, siamo sempre pronti a nasconderci sotto qualunque maschera, anche la più fasulla, pur di “coprire” la nostra “nudità” interiore, pur di salvaguardare in qualche modo la nostra immagine, la nostra rispettabilità di fronte agli uomini; pensiamo di ingannare gli altri ricorrendo a falsi travestimenti: e non ci rendiamo conto che, così facendo, inganniamo la nostra coscienza, perdiamo completamente la dignità nei nostri confronti.
4. “Dà a chi ti chiede”: è la regola aurea per mantenere sempre la nostra integrità morale: poiché “dare” sta esattamente agli antipodi rispetto a “prendere”. Prendere, possedere, è infatti il principio di ogni male. Dare, al contrario, comporta sempre una condivisione. Quando “diamo”, entriamo “in comunione”, stabiliamo cioè con l’altro un intimo rapporto di amore e carità.
5. “Se uno ti costringe a fare un miglio, tu fanne due”.
Significa che non dobbiamo adattarci passivamente alle provocazioni della vita (fare un miglio); ma dobbiamo reagire, dobbiamo mantenere sempre il potere della nostra libertà. Dimostriamo al mondo che siamo sempre liberi su come fare o non fare qualcosa: anche quando siamo obbligati.
In pratica, per la vita di tutti i giorni, cosa vuol dirci Gesù con il suo “amate i vostri nemici”? Per capirlo bene dobbiamo, prima di tutto, fare una netta distinzione tra l'amore e i sentimenti di amore. Mi spiego: Gesù non dice: “Devi sorridere ai tuoi nemici” oppure “devi provare simpatia, considerazione, ammirazione per chi ti odia”. Egli sa che le emozioni, i sentimenti, non si possono comandare, sa bene che non si possono provare sentimenti di amore per i nemici.
Lui infatti dice un'altra cosa: “Tu amali anche se sai che sono tuoi nemici”. Cioè: “Continua a fare loro del bene, continua a fare ciò che è bene per la loro salvezza, quello che è il meglio per loro, anche se sono i tuoi nemici, anche se d’impulso reagiresti al male con altro male”.
Nella nostra “civiltà” moderna tira un’aria così cupa, falsa, caotica, che a volte il più forte pretende di stabilire per tutti ciò che è bene e ciò che è male, condizionandoci al loro tornaconto personale. Ebbene: in questo clima di sfacelo, di odio dominante, cerchiamo almeno noi di fare sempre e comunque del bene a tutti; anche a chi ci fa del male: perché il bene che facciamo, prima o poi, ci tornerà indietro e ci verrà accreditato come premio. Amen.


giovedì 13 febbraio 2020

16 Febbraio 2020 – VI Domenica del Tempo Ordinario


«Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento» (Mt 5,17-37).

Un vangelo all’apparenza contraddittorio quello di oggi. Dapprima sentiamo Gesù che conferma in pieno la validità della Legge antica, e subito dopo lo sentiamo puntualizzare, mettere dei paletti, introdurre delle vere e proprie rettifiche.
Ma nessuna contraddizione in ciò: lo dice Lui stesso: “sono venuto per dare compimento”, sono venuto cioè a dare alla Legge il suo autentico significato.
Gesù va ben oltre l’osservanza formale della legge. Ad un certo punto sembra spazientirsi e dire: “Basta, così non si può più andare avanti. Il vostro rapporto con Dio non può continuare a basarsi soltanto sull’osservanza esteriore e materiale della Legge; non potete riempirvi la bocca dicendo: Noi siamo ebrei, noi siamo figli di Abramo, noi siamo il popolo dell’Alleanza, e poi fate come vi pare. Non potete più giustificarvi dicendo che ciò che fate è volontà di Dio, parola di Dio, quando Dio in realtà non c'entra proprio per nulla”.
Per questo precisa: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”; era noto infatti che la maniacale osservanza della legge da parte degli scribi e dei farisei, la loro giustizia, il loro modo di intendere Dio, era tutta una costruzione fittizia, un comportamento puramente legalista, apparente.
A quel tempo tutti pensavano che ogni cosa prevista dalla Bibbia, dovesse essere eseguita a tutti i costi: “se la Legge dice così, si deve fare così!”. Gesù invece dice: “No, neanche per sogno! Non dovete essere “ottusi”, non dovete preoccuparvi solo di quello che è scritto, ma del perché è scritto; dovete capire cosa Dio vuole da voi, e lo capirete soltanto se è l’amore che vi guida, se le vostre azioni sono mosse dalla carità, dalla retta intenzione, dal totale coinvolgimento della vostra anima, non certo obbedendo meccanicamente a degli ordini, senza sapere perché, senza alcuna convinzione, senza alcun coinvolgimento.
Anche i cristiani, purtroppo, ragionano talvolta con la stessa mentalità antica. Quante volte ci nascondiamo anche noi dietro le “regole”! “Io vado in chiesa tutte le domeniche, osservo i precetti, mi comporto da bravo cristiano, rispetto il prossimo, trovo simpatia per il Papa, per la Chiesa ecc.; insomma sono un cristiano in regola!”. E quando diciamo così, ci aspettiamo ovviamente che ci dicano: “Ma che bravo!”.
Solo che non siamo “bravi” per niente! Ci comportiamo così solo per nostra soddisfazione, per sentirci superiori, rispettabili, additati come esempio; facciamo le cose solo superficialmente, meccanicamente, “per sentirci a posto”, a scanso di eventuali “sorprese” (non si sa mai!).
Siamo dei bravi “osservanti del catechismo”, ma non siamo dei bravi cristiani. Perché nel nostro “fare”, nel nostro “rispettare” la legge di Dio, non c’è Amore, non c’è Dio, ma ci siamo soltanto noi stessi.
Amare gli altri a comando, significa non amare, essere vuoti, sterili; significa non aver nulla di speciale da donare; significa avere un cuore gelido, arido. Significa insomma rinunciare alla Vita.
Questa è dunque la “legge nuova” di Gesù: Egli non abolisce l'Antica Alleanza, ma la porta al suo autentico e profondo significato. La fa passare cioè dall'esteriorità (sono fedele a Dio perché osservo i suoi precetti) all'interiorità (sono fedele a Dio perché lo seguo per amore, vivo nell'amore). Non cancella la legge dei padri antichi, ma rompe definitivamente con quella loro mentalità che si fermava al “fare”, all’obbedire passivamente, al considerare obbligatorie certe usanze assurde, improponibili già ai suoi tempi; insomma egli condanna non la legge, ma una sua interpretazione falsa, stupida, artificiosa, senza senso.
Del resto le leggi, come tutte le cose, possono evolvere nel tempo. Gesù non dice: “Abramo, Mosè e gli antichi, hanno sbagliato”. Anzi loro sono stati molto importanti per il loro tempo; ma oggi noi conosciamo cose che una volta essi non conoscevano; oggi noi abbiamo capito che Dio non è un giudice inflessibile che ogni qualvolta sbagliamo immancabilmente ci punisce; abbiamo capito che Dio non è una esclusiva di pochi, di un popolo, ma è il Dio di tutti, del mondo intero; abbiamo capito che Dio è amore, misericordia, compassione, tenerezza per tutti, anche per le donne, per i bambini, per gli esclusi, i lebbrosi, i peccatori. Tutto questo loro non lo sapevano, e quindi non possiamo giudicarli per questo. Teniamo il buono e lasciamo ciò che non è più buono. Non rimaniamo attaccati alle regole: le regole sono fatte per l'uomo e non l'uomo per le regole (Mc 2,27). Le regole servono per vivere, ma quando diventano contrarie alla vita, non servono più e devono essere rinnovate, corrette, sostituite.
Sono i valori che durano per sempre; al contrario le regole, che servono solo a realizzare, a mettere in pratica i valori, possono sempre cambiare.
Noi insomma non dobbiamo lasciarci condizionare dalle apparenze, dal lato esteriore che è sempre mutevole, o dai “si è fatto sempre così”. Dobbiamo andare in profondità, dobbiamo agire sempre coerentemente con la nostra coscienza. Dobbiamo, come dice Gesù, essere uomini liberi, uomini franchi e veri. Non dobbiamo lasciarci vivere nei compromessi, nei doppi sensi, nella ricerca egoistica del nostro “star bene”, costi quel che costi; dobbiamo avere il coraggio di difendere i nostri ideali, i nostri programmi, le nostre azioni; non nascondiamoci dietro a fantasie passeggere e inutili.
Anche a costo di andare controcorrente. Quante volte invece abbiamo il terrore di esporci! Quante volte cerchiamo di eludere le nostre vere responsabilità! Ebbene, dobbiamo avere il coraggio di uscire allo scoperto, di parlare francamente, di comportarci da “cristiani”, da uomini e donne di fede: il nostro parlare, come ci insegna Gesù, deve essere “sì, sì; no, no”. Il “politichese” non è il linguaggio di Cristo. Amen.



giovedì 6 febbraio 2020

9 Febbraio 2020 – V Domenica del Tempo Ordinario


“Voi siete il sale della terra… voi siete la luce del mondo…” (Mt 5, 13-16).

Il vangelo di oggi ci chiede di essere sale e luce: due elementi con effetti completamente diversi: il primo dà gusto e non si vede, la seconda invece non ha gusto ma è visibilissima e percepibile da tutti. Che vuol dire? Che dobbiamo essere nascosti, invisibili, ma assolutamente necessari e riscontrabili.
«Voi siete il sale della terra». La “terra” è la vita di tutti i giorni: cosa vuol dire allora essere sale, senso, sapore, di questa terra? Vuol dire aiutare le persone a trovare il significato, il senso della loro vita, il senso di ciò che accade.
Dobbiamo in altre parole insegnare ai fratelli a riflettere su ciò che vivono, a farsi delle domande, ad ascoltare Dio che parla al loro cuore, sempre e in continuazione.
Come? Attraverso i fatti, gli eventi e gli incontri di ogni giorno. Quante persone si chiedono continuamente: “Ma dov'è Dio?”. Dicono così perché non lo sentono, perché pensano che Lui se ne stia altrove, a farsi i fatti suoi, mentre noi dobbiamo arrangiarci quaggiù.
Ma non è così: perché Lui, al contrario, ci è sempre vicino, ci parla e ci educa continuamente. Noi allora, sale e luce, è questo che dobbiamo far capire alla gente; dobbiamo ridare loro il gusto, la conoscenza della vita.
La parola sapienza, dal latino “sapio”, vuol dire “assaggiare, gustare”. Diventeremo saggi, sapienti, se sapremo “gustare” la nostra vita, se sapremo cioè imparare dalle nostre esperienze. Tutto insegna o nulla insegna: dipende da noi. La vita è una grande scuola per chi vuole imparare. Ma solo per chi lo vuole.
“Voi siete la luce del mondo”. Quella luce che abbiamo ricevuto da Dio, dobbiamo irradiarla intorno a noi, dobbiamo trasmetterla ai nostri fratelli. “Dio”, la vita, in sanscrito vuol dire infatti anche “luce”. È Dio, allora, la luce che dobbiamo riflettere in noi e sugli altri.
Tutto l'universo sembra materia ma, come ci insegna la fisica quantistica, tutto è luce, energia. Noi anche quando ci sentiamo impastati nella materia, potenzialmente siamo sempre luce, perché in noi abita lo Spirito di Dio, perché siamo anima, siamo emozione, siamo “divino”, siamo energia, forza, fuoco, canto, musica.
Se non liberiamo lo Spirito, non ci sarà luce nella nostra vita, non ci sarà luce nel mondo.
“Siete sale, siete luce”. Le parole di Gesù sottendono sempre una ricca trama simbolica, hanno sempre la capacità di dire grandi cose con parole semplici, facendo riferimento alla concretezza della vita.
Ogni volta che ci avviciniamo ad esse, immancabilmente ci rendiamo conto che non c’è distanza tra il mistero del Regno che esse ci annunciano e i piccoli eventi quotidiani della nostra vita: perché ogni cosa ci parla del mistero di Dio, anche nei momenti più difficili: come per esempio accorgersi che la società in cui viviamo sta toccando veramente il fondo.
Inutile fingere che tutto vada bene: stiamo purtroppo vivendo un cristianesimo senza Cristo, una religione senza fede, un culto con celebrazione aride, senza vita.
Sono realtà, quelle in cui viviamo, che ci devono obbligare a riflettere seriamente.
“Siete sale, siete luce”. In questo momento drammatico della storia, dobbiamo riflettere seriamente sul compito che, come cristiani, dobbiamo svolgere in questo nostro mondo: un mondo che inconsciamente si aspetta dai noi una concreta risposta (sale), e una chiara indicazione (luce), una testimonianza insomma, che ridia alla gente speranza e ragioni spirituali per ricostruire un’esistenza più umana.
Essere luce e sale, in questo contesto, è un compito che ci fa trepidare, soprattutto se guardiamo alle nostre debolezze, alle nostre infedeltà che ci rendono tanto spesso opachi, pieni di ombre, assolutamente insipidi.
Sì, perché essere luce del mondo e sale della terra equivale a dimostrare che il nostro cristianesimo non è affatto sterile e passivo, ma al contrario dinamico, entusiasta, intraprendente: in una parola è vita intrisa di gioia e di esultanza, perché vissuta in Cristo.
Grazie a Dio abbiamo ancora tante persone che vivono questo tipo di vita esemplare: persone che per la propria carità, per il proprio altruismo senza limiti, si conquistano la fiducia dei poveri, dei bisognosi, degli emarginati. Sacerdoti, religiosi, uomini e donne consacrati, laici, che vivono nell’umile servizio della carità. Persone che troviamo negli ospedali, nelle case, nelle scuole, nell'industria. La loro carità, nonostante i loro limiti personali, è illimitata.
Ecco: se da un lato, dobbiamo aprire i nostri occhi a queste realtà e scoprire quanto di buono e di bello c’è ancora nel mondo, dall’altro dobbiamo tutti sentirci interpellati, dobbiamo tutti sentirci impegnati, nessuno escluso, perché tutti siamo stati chiamati per nome.
Dobbiamo renderci conto che la nostra vocazione di cristiani è l'amore e che, quando non amiamo, perdiamo ogni nostra brillantezza, cadiamo nel buio, e trasmettiamo solo tristezza e disperazione.
Davanti alla prospettiva di un mondiale black out di Dio, dobbiamo prendere in mano la situazione, e chiedere a Dio nuovo vigore, nuova luce, nuovo entusiasmo per combattere con la nostra umile azione l’oscurità che incombe. Non altrove, non in terre lontane, ma attorno a noi, nella nostra famiglia, nel lavoro, nelle nostre comunità, nella società civile in cui viviamo: perché è qui che dobbiamo essere fermento di vita cristiana, operatori luminosi di amore cristiano. Ogni giorno, ogni minuto che lasciamo passare per egoismo, pigrizia, orgoglio, indifferenza, è un giorno perso, un'occasione mancata. Al contrario, ogni atto di amore, di carità che doniamo all’altro, è ossigeno vitale per lui, per noi, per la società, per il mondo; perché solo così siamo sale, luce, vita, Spirito, immagine e somiglianza di Dio.
Amen.