giovedì 17 novembre 2016

20 Novembre 2016 – XXXIV Domenica del T.O. - Cristo Re

«Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male. E disse: Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. Gli rispose: In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,35-43).

Oggi è la festa di Cristo Re, la festa di Cristo, Signore glorioso del mondo e di ogni cosa, punto di arrivo della storia umana.
Ma nel vangelo non c’è proprio nulla di glorioso, nulla di trionfalistico.
Il vangelo di oggi, infatti, ci propone la scena straziante del Calvario: Gesù è in croce, agonizzante; davanti a lui una folla muta, accorsa solo per curiosità, per godersi lo spettacolo. Lo “spettacolo” di una morte cruenta attira sempre morbosamente, anche oggi, la curiosità della gente.
C’è tanta gente lassù sul Golgota. Gente che guarda, che continua a guardare, che non smetterà di guardare fino alla fine. Un popolo che non dice nulla, che non reagisce, che non si ribella, non si indigna, non chiede spiegazioni, non si muove.
Sta assistendo ad una ingiustizia evidente: ha davanti a sé il figlio di Dio, assiste ad una delle situazioni più crudeli della storia, e non dice nulla. Come se non ci fosse. Siamo nell’indifferenza più totale.
A molta gente basta un po’ di pane sotto i denti, qualche divertimento, “tirare avanti” e non essere disturbati. Non si sporca le mani su niente: “perché non si sa mai!”. Non vuole essere coinvolta; non vuole avere problemi: non si espone e non prende posizione. Ma non prendere alcuna posizione vuol dire avere già preso una posizione. Quando la gente dice: “Io mi faccio gli affari miei e non do fastidio a nessuno”, significa che questa è la posizione scelta: una posizione però che non la giustifica, che non può deresponsabilizzarla. Non solo chi ha ucciso Gesù ne è il responsabile, ma anche chi potendo fare qualcosa, anche solo alzando la sua voce, anche solo ribellandosi, anche solo opponendosi, non ha fatto nulla.
Quando rimaniamo indifferenti, quando non ci indigniamo di fronte a certe ingiustizie, vuol dire che le accettiamo. Quando non prendo posizione di fronte a ciò che sta accadendo, allora indirettamente lo favoriamo. Quando ciò che vediamo non ci fa riflettere, piangere e cambiare, allora favoriamo il male. Quando di fronte alle tragedie che accadono ogni giorno nel mondo, noi non muoviamo un dito, non ci interroghiamo, non tramutiamo il nostro sdegno in azioni, non ci mettiamo in gioco, cosa risponderemo: “Ho avuto paura”? Quando di fronte a certe ideologie, a certe linee di pensiero, di fronte alla squallida banalità di certi stili di vita, invece di ribellarci, noi ci adeguiamo, ci adattiamo supinamente, cosa risponderemo: “Beh, facevano tutti così”? Non abbiamo una nostra testa per pensare, una coscienza a cui rispondere? Non ci sono attenuanti: siamo colpevoli. Anche noi siamo colpevoli di tale andazzo.
Perché la gente non fa niente non vuol dire che non sia responsabile di ciò che succede. E’ proprio per questa indifferenza, per questo stare a guardare e non intervenire che si compiono le peggiori crudeltà, che nazioni cadono sotto despoti e tiranni, che avvengono nel silenzio carneficine di uomini. E’ proprio per questo disinteressarsi che i potenti possono fare ciò che vogliono. Loro lo fanno ma la gente, non intervenendo, ne è complice.
Poi ci sono i capi del popolo. I capi sbeffeggiano Gesù, si prendono gioco di lui e lo disprezzano. I capi sono quelli che sfruttano a loro vantaggio ogni situazione. Con abili manovre politiche, con una buona comunicazione ottengono sempre ciò che vogliono ottenere.
I potenti fanno i loro interessi e subdolamente si prendono gioco della gente. Con quelli invece che se ne accorgono (Gesù), sono feroci e li condannano alla gogna pubblica.
Quante persone si ritengono libere e fortunate perché si possono permettere “certe cose” e non si accorgono di essere invece schiave del sistema, di essere delle marionette in mano di poche lobbies che gestiscono in tutto la loro vita, facendo loro credere di essere libere e potenti.
Infine ci sono i due malfattori. Uno dei due è arrabbiato con la vita, con Dio e con tutti, come se gli altri fossero i responsabili della sua sorte, quando al contrario ciò che gli sta accadendo è la conseguenza della sua vita. E scarica addosso a Gesù tutto l’odio e la rabbia che cresce dentro di sé.
Quanta gente è arrabbiata, risentita con tutti: dentro sono insoddisfatti e gettano sugli altri tutta la loro frustrazione per una vita che non li ha resi felici, né realizzati.
Tutti dicono a Gesù: “Salva te stesso e noi”. Ma la frase è ironica, sarcastica. Sono loro che si devono salvare; sono loro che devono cambiare; sono loro che non si rendono conto di essere i condannati, gli imprigionati, i condizionati, gli schiavi. Ma non se ne accorgono.
Credono di vedere uno uomo crocifisso e invece stanno vedendo un uomo libero. Credono di essere loro i liberi e invece sono loro i crocifissi, dalle loro paure, dai loro condizionamenti. Credono di vedere e, invece, sono ciechi. Credono di vivere e non sanno che sono morti dentro.
Ma li vicino c’è anche un malfattore che capisce e accoglie Gesù. Nella sua situazione tragica e di totale impotenza, è riuscito comunque a costruire qualcosa, ha detto di sì a Gesù: lo ha accolto nel suo cuore, lo ha riconosciuto Signore della sua vita. Riconosce il suo errore e chiede perdono.
A questo punto Luca ci porta a fare una considerazione molto interessante: cioè, chi è il primo ad entrare nel Regno dei cieli? Maria, la madre di Gesù? No. Pietro, il “capo” degli apostoli? No. Giovanni, il discepolo amato? Nossignori. Il vangelo dice esplicitamente che il primo ad entrare in paradiso è un malfattore, un criminale: “Oggi con me sarai nel paradiso”. Per cui, da adesso in poi le porte del Regno dei cieli, del paradiso, saranno aperte per tutti, a condizione che riconoscano Dio come loro Signore, come loro Re, qualunque sia il loro passato, qualunque sia la storia della loro vita.
È la Buona Notizia (eÇagg™lion) di Gesù: ed è davvero una gran Buona Notizia per tutti!
Questo è il felice annuncio di Gesù, nostro Re: le porte dell’Amore di Dio sono aperte per tutti quelli che vogliono entrarvi, al di là di come abbiano amministrato la loro vita. Gesù è il Re dell’amore. Non esistono più casi impossibili, situazioni irrimediabili: l’Amore di Dio è più forte di tutto.
“Salvezza”, allora, è guardare in noi stessi, nel profondo della nostra anima; “condanna” è insistere a seguire stupidamente quello che fanno gli altri, uniformandoci alle “mode” del momento, ai capricci deleteri di una società moralmente allo sbando. “Salvezza” è riconoscere i propri errori, la propria non-luce, la propria cecità. “Condanna” è non voler ammettere la propria ottusità, le proprie scelte autolesioniste. “Salvezza”, insomma, è aprire bene gli occhi sulla propria vita, per tirare delle conclusioni concrete: “Se finora ho vissuto così, da oggi voglio cambiare. Oggi, Gesù, anch’io ti accolgo e ti faccio entrare in casa mia. Perché oggi ti dico sul serio di sì. Oggi cambio. Oggi inizio una nuova vita. Se finora ho vissuto nel disinteresse, nel menefreghismo, da oggi cambio. Se finora ho vissuto delegando gli altri ogni mia iniziativa, da oggi voglio cambiare. Se finora ho incolpato Te della mia infelicità, da oggi voglio cambiare. Se finora Ti ho imprecato e bestemmiato per ciò che di brutto accade nel mondo, da oggi voglio cambiare. Se finora ho vissuto nella paura, nel disprezzo, nel dubbio, nella diffidenza, da oggi voglio cambiare. Sì, perché voglio meritare il dono di poterti stare accanto, nel “tuo” Paradiso. Da oggi posso e voglio cambiare: sì, perché per cominciare non è mai troppo tardi. Mai!
Quel “salva te stesso e anche noi” è terribile. È come dirgli: “Tira fuori il tuo potere perché oggi mi servi!”.
Ma a cosa serve Dio per noi? Se pensiamo che Dio serva a far soldi, a dare lustro alla nostra immagine di brave persone, ad essere rispettati, a risolvere i nostri problemi di relazione, a coprire le nostre magagne, a tappare i nostri buchi, allora Dio non serve. Se pensiamo così, illudiamo noi stessi. Se pensiamo di chiamare in causa Dio per ciò che non va nella nostra vita o nel mondo, se pensiamo di chiamare in causa Dio per tutte le disgrazie e le tragedie che succedono, sbagliamo di grosso: un Dio così non ci serve.
Dobbiamo stare molto attenti a non usare Dio! Dio è la forza delle nostre gambe: ma sta a noi muoverle e camminare. Dio è l’amore del nostro cuore: ma sta a noi cercarlo, incontrarlo e abbracciarlo. Dio è la voce che dal profondo sale alle nostre labbra: ma sta a noi parlare. Dio è lo sguardo dei nostri occhi: ma sta a noi aprirli. Non chiediamo a Lui ciò che tocca fare a noi! Non deleghiamo mai a Dio i nostri compiti!
Dio è forza ma non fa azioni di forza. Dio è luce ma si limita solo a illuminare la verità: siamo noi che dobbiamo scoprirla. Dio è potente ma non violenta nessuno. Dio è la Vita ma non costringe nessuno a viverla per forza.
Il quadro dei due malfattori è una scena molto profonda. Sono due malfattori, due uomini condannati giustamente, sono due malviventi che hanno ucciso. Sono uomini che hanno sbagliato a vivere, che hanno fallito, sono due peccatori, due che hanno “mancato il bersaglio” (in ebraico peccare= sbagliare il bersaglio). Sanno di aver sbagliato: uno dei due lo ammette, e riceve il perdono; l’altro no.
Non possiamo ricevere alcun perdono se non ammettiamo di aver sbagliato. Nessuno può perdonarci se noi non accettiamo la nostra ferita, il nostro errore. Giuda era morso dal senso di colpa per ciò che aveva fatto, ma non l’aveva accettato. E si è ucciso. Così chi non sa accettare il proprio errore, chi non sa perdonarsi, si uccide: non si concede nessun’altra possibilità di vita.
Come i due malfattori, anche noi sbagliamo e falliamo in tanti modi e in tante maniere. Ogni errore ci produce un senso di colpa: e noi cosa facciamo? O ci ostiniamo nel non vedere, o accettiamo questa realtà che ci fa male.
«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Già, pentirsi. A volte preferiamo fare di tutto, anche distorcere la realtà, pur di non piegarci: ma la nostra coscienza, il Dio che è in noi, conosce ogni cosa di noi. A Lui non possiamo mentire. Anche se lo nascondiamo a noi stessi, lui lo sa. Anche se ce lo dimentichiamo, lui sa e ricorda tutto. Certo, ammettere, riconoscere, pentirci del male che abbiamo fatto, ci procura sempre un certo imbarazzo, ci fa vergognare, ci infastidisce: ma è l’unica strada che abbiamo per ottenere il perdono, ritornare a vivere, sentirci salvi.
Il demonio, che ci lega al silenzio, che ci spinge alla finzione, alle menzogne, alla falsità, ci dice: “Tranquillo, non credere alle promesse, non ti capiterà nulla!”. Ma Dio ci rassicura: “Pentiti, e oggi sarai con me in paradiso”. In altre parole: “Forza, oggi sei tornato nell’Amore: rialzati e cammina nella Luce. Oggi tutto ti è stato cancellato, segui la vera Vita. Hai sbagliato molto, lo so: ma so anche che da oggi vuoi stare con Me, nonostante le tante difficoltà”.
Quindi, ogni volta che le nostre fragilità ci opprimono, ogni volta che i casi della vita ci soffocano e ci fanno soffrire, non chiediamoci: “Perché a me?”. Ma chiediamoci: “Signore, cosa devo imparare?”. Ogni volta che il dolore stritola il nostro cuore, diventando insopportabile, non rinfacciamo a Dio: “Cosa ti ho fatto per trattarmi così?”. Ma chiediamogli umilmente: “Cosa mi vuoi insegnare?”.
Seguire Gesù sulla Croce significa lasciarsi trafiggere, lasciarsi ferire, perché è così che la vita può insegnarci ciò che ci deve insegnare. La vita talvolta ci trafigge, è vero, ma lo fa per guarirci; ci ferisce, ma per salvarci.
Abbracciare la nostra croce significa allora accettare il buio della vita, immergerci nell’incertezza della nostra fragilità, ma consapevoli che è l’unica via che ci conduce alla Luce, che ci porta al riparo nel calore misericordioso del cuore di Dio.

Sì: quando tutte le nostre sicurezze umane cadono, quando tutte le nostre spiegazioni, il nostro buon senso, non ci reggono più, quando siamo convinti che perfino Dio ci abbia abbandonati, è allora, che emerge l’unica, vera certezza: Lui. Quando rimane soltanto il buio, è allora che emerge la Luce. È allora che la croce, strada del buio, diventerà la strada della Luce. È allora che la “via della morte” sarà la via della Vita. Amen.



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