mercoledì 31 ottobre 2012

4 Novembre 2012 – XXXI Domenica del Tempo Ordinario

«In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?» (Mc 12,28-34).
E Gesù di rimando, come al solito, senza esitazioni: «Shemà Israel, ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza». Una risposta che soddisfa anche l’interrogante, “hai detto bene”; una risposta che contiene il cuore palpitante della fede biblica. Il primo e più importante comandamento. I rabbini avevano condensato la Legge di Mosè in 613 comandamenti: 365 in forma negativa (“non devi…”), considerati lievi, e 248 in forma positiva (“devi…”), che erano invece ritenuti gravi. Una giungla di prescrizioni, tra le quali anche i più esperti studiosi della Torah, si muovevano con difficoltà.
Il “sapiente” di turno, dunque, uno scriba che forse vuol saggiare la preparazione di Gesù, o forse mosso anche da sincera voglia di sapere, gli rivolge una domanda secca: fra tutti questi precetti, qual è il primo, quello più importante?
Gesù lo lascia perplesso, lo prende in contropiede, ripetendogli prontamente quella stessa professione di fede deuteronomica che lui, da buon israelita, ha il dovere di recitare tutti i giorni, più volte al giorno. Una professione di fede chiara, intoccabile, intramontabile. È come il Padre Nostro per noi Cristiani.
Sono parole semplici, ma di grande interiorità, con le quali si proclama e si riconosce la stretta relazione del popolo con il suo Dio, la sua appartenenza a Lui, anzi l'appartenenza reciproca: siamo del Signore e il Signore è nostro: «Il Signore è il nostro Dio». È per questo che Israele rinuncia a rendere qualunque forma di culto alle divinità pagane, inesistenti, dedicandosi interamente al suo Dio e all'osservanza della sua Legge. Perché solo affidandosi esclusivamente a Lui, egli sa di non aver bisogno più di nulla da nessun altro.
Ma nonostante la validità e l’universalità della risposta, Gesù non si ferma qui. Egli va oltre; vuole integrare l’antica legge, completandola, mettendosi sulla linea della grande tradizione profetica e rabbinica: «Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c'è altro comandamento più grande di questi».
Il comandamento dell'amore è fondamentale, unico: prima di tutto l’amore a Dio, indiscutibilmente; poi l’amore verso il prossimo. Il primo non può esistere separato dal secondo.
Pur rimanendo distinti, i due comandamenti si intrecciano, si richiamano a vicenda. Non possiamo amare Dio, se non amiamo anche quelli che Egli ama. Se ci impegnassimo ad amare Dio soltanto, escludendo il nostro prossimo, la nostra relazione con Dio sarebbe semplicemente falsa, inesistente e quindi illusoria. Se investissimo ogni nostra energia nell'amare gli uomini, fossero pure i più bisognosi, i derelitti, gli abbandonati, escludendo espressamente Dio dal nostro orizzonte, il nostro rapporto con loro sarebbe semplicemente esibizionismo, voglia di emergere, amore non genuino. Ogni nostro gesto di amore nei confronti del prossimo è autentico soltanto se è mosso anche dall’amore verso Dio. L’amore è unico, inscindibile.
«Shemà Israel, ascolta Israele». Da questa solenne esortazione Gesù prende lo spunto per rivelarci quel rapporto totalizzante con Dio e con il prossimo, che Egli condensa in un’unica parola: amore.
«Amerai con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze; amerai come stesso». Non c’è possibilità di fraintendimenti: il “cuore, l'anima, le forze” non sono tre facoltà separate, ma costituiscono l'uomo nella sua completezza: il “cuore” è il centro profondo della sua persona, dove nascono gli affetti e maturano le decisioni; l' “anima” indica la sua intera esistenza permeata dal divino soffio vitale; le “forze” dicono anche il coinvolgimento della totalità del suo corpo vivente, di tutte le sue energie e risorse fisiche.
In pratica Dio non si accontenta di una parte: o solo quella spirituale oppure solo quella materiale. Egli vuole che l’uomo sia interamente, completamente, esclusivamente suo. Non gli basta di essere servito, onorato, pregato dall’uomo: Egli vuole essere amato, e non di un amore qualsiasi, ma di un amore esclusivo, completo.
Ecco: la novità e l'originalità di Gesù sta nell'avere rivelato e insegnato l'unità, l’inscindibilità dei due comandamenti dell'amore; e sta anche nel fatto, che nessuno è mai riuscito a viverli in maniera così perfetta di come ha fatto Lui. La novità sta anche nel fatto che un tale amore, impossibile alle sole nostre forze umane, ci viene comunicato gratuitamente da Gesù e dal Padre attraverso il dono del loro Spirito. Implorare da Dio il dono dello Spirito Santo significa chiedere proprio tale capacità d'amare.
La religione di Gesù, dunque, è la religione dell'amore, non della paura; la religione della fiducia, non del timore; la religione del cuore e non delle pratiche esteriori. È soprattutto la religione dell'amore, in quanto in essa noi scopriremo sempre di più che Dio ci ama di un amore infinito, pieno di tenerezza, di bontà, di misericordia, di fiducia. Perché Dio è Amore; e anche noi, nel nostro piccolo e con tutti i nostri limiti, siamo chiamati a diventare amore. Gesù, infatti, nella pienezza della sua missione, non si accontenta di dire: Ama il prossimo come te stesso, come puoi o come vuoi; ma ci invita ad amare secondo la misura del suo Cuore: “Amatevi gli uni gli altri, come Io vi ho amati”. E Lui non ha posto limiti, ci ha amati offrendo tutto se stesso per noi, fino al sacrificio della sua vita. Ecco, questo deve essere “il nostro” comandamento, il comandamento “nuovo” omologato da Gesù stesso.
Certo, fratelli, parlare di amore è abbastanza facile. Ma l'amore non lo si dimostra con le parole, con i grandi discorsi, con programmi grandiosi: l’amore si pratica con i fatti. Anzi dobbiamo imparare a parlare poco, a non esibirci, a non pubblicizzarci in iniziative straordinarie, ma a compiere invece molte piccole azioni di amore autentico, generoso, disinteressato; verso tutti, ma con particolare attenzione verso le persone che hanno più bisogno, anche quelle che non ci sono simpatiche o verso le quali non ci sentiamo portati. Gesù ci ha detto di amare perfino i nemici... “perché se amate coloro che vi amano, che merito ne avete?”
Se vogliamo intraprendere la strada dell'amore, non dobbiamo riempirci la bocca di belle parole, ma dobbiamo riempire la nostra vita di fatti concreti. Dobbiamo prendere coscienza che, nonostante tutto ciò che ci ha detto Gesù e che noi stessi conosciamo quasi a memoria, è molto facile sbagliare e peccare contro la carità e l'amore del prossimo. È infatti soprattutto verso il prossimo che noi siamo peccatori. Basti pensare alle mancanze che facciamo con le persone che ci sono più vicine, in casa nostra, nel lavoro, nelle relazioni con gli altri: egoismo, parole, giudizi, critiche... Basti pensare anche ai peccati tra noi cristiani: le divisioni, le critiche, i personalismi, le incomprensioni... In fondo anche le divisioni, i giudizi malevoli, i protagonismi all’interno della chiesa, della parrocchia, sono peccati contro la carità, contro l'amore. E dire che Gesù ci aveva raccomandato solo questo! Lo aveva anzi posto come nostro “distintivo”: «Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri».
Allora, fratelli, non basta la preghiera, non basta la messa domenicale, la comunione, le elemosine, la caritas... Dobbiamo amare veramente! Ma è possibile amare veramente? Sì è possibile, fratelli! Ed è la cosa più bella, più facile, più vera: basta provarci ogni giorno. E la preghiera, la messa, la comunione ecc. saranno non il punto esclusivo di arrivo, ma il punto di partenza per chiedere a Dio di aiutarci a diventare sempre più cristiani in grado di amare con tutto il nostro cuore Lui e il prossimo. Questo ci porta pertanto ad essere umili, a chiedere perdono, a essere molto concreti nei nostri propositi.
Se noi chiediamo umilmente a Gesù: “Qual è il senso ultimo della nostra vita?” Sono certo che la sua risposta sarà: “lasciatevi amare, amatevi, amate”. Prima di tutto “lasciatevi amare” da Dio; Dio ci ama tantissimo, fratelli, quando lo capiremo? Ci ama senza condizioni, senza possesso, senza fragilità. Ci ama non perché siamo meritevoli, ci ama non perché siamo buoni; è Lui che, amandoci, ci rende buoni.
Capisco che a volte è difficile, fratelli. So bene che il nostro cuore talvolta è indurito, rinchiuso in una gabbia di dolore, non riusciamo a vedere questo Amore perché la rabbia di non essere stati amati ci ha intossicato il cuore e la mente. Fidiamoci di Lui, lasciamoci andare. Dio sul serio ci ama, sul serio desidera per noi il bene; davvero: Gesù è morto per affermare questa certezza, ci ha creduto e ne è morto.
La seconda condizione per cui vivere è “amarci”. Accettarci cioè così come siamo, con i nostri limiti, le nostre parti oscure. Un falso cristianesimo ci impedisce di gioire di noi stessi, vedendo in questo atteggiamento un atto di egoismo da parte nostra. L'egoismo è, invece, non accettare i propri limiti, voler accaparrare, prendere, impossessarsi, piuttosto che fare della propria vita un dono. L'egoista appare, si sforza di vendere un'immagine di sé che gli impedisce di rientrare in se stesso e gioire. Ci amiamo, fratelli? Ci perdoniamo? Siamo convinti che possiamo trasformare ciò che siamo in un capolavoro di amore? Certo, per imparare ad amare ci vuole tutta una vita, tutta la nostra vita. Ma possiamo farcela, sul serio; guardarci come ci vede Dio, non come il mostro delle nostre paure e neppure come l’eroe dei nostri sogni, ma come la persona che Dio ha pensato e amato. Allora possiamo amare dell'amore che abbiamo ricevuto e che ha trasfigurato il nostro cuore, allora possiamo davvero vivere, riconciliati nel profondo con i nostri fratelli.
Infine la terza condizione è: “amate”. Amiamo Dio perché ci scopriamo teneramente amati, amiamolo perché ce ne innamoriamo, amiamolo come riusciamo, ma tutto, interamente. Non potremo amarlo in maniera assolutamente pura, non avremo forse mai la forza di un gesto totale; il nostro amore, spesso, è vincolato, fragile, appesantito. Non importa, fratelli, amiamolo con tutto ciò che riusciamo, come riusciamo, amiamo senza paura. È questo il segreto, fratelli: scoprire di essere amati, di essere amabili, di diventare capaci di amare nel nostro modo un po' grossolano e fragile. Dio ci rende capaci di amore, di luce, di pace, di essere segno e dono, di donare, di contrastare la logica di questo mondo. È difficile, vero. Abbiamo l'impressione di nuotare controcorrente. Ma l'esempio di tanti santi ci conforta. Come loro, anche noi, entro le nostre possibilità, possiamo vivere l'amore; molti di noi già lo fanno: basti pensare alle mamme e ai papà accanto ai loro figli, le famiglie accanto ai propri anziani, i cristiani accanto a chi nella società è malato, povero, emarginato, solo.
E allora coraggio: ciascuno di noi, in questo momento, può certamente offrire a tante persone atti di bontà, di generosità, di incoraggiamento, di aiuto, sia morale che materiale. Facciamolo col cuore, con disinteresse, anche con sacrificio, ma soprattutto con amore sincero. Perché alla fine della vita, saremo giudicati proprio su questo, sull'amore.
E concludo. Esaminiamoci spesso, fratelli; chiediamoci con tutta sincerità, nell’intimo del nostro cuore: “In questo momento, sto amando veramente o mi sto illudendo di amare? Amo realmente Dio più di tutto il resto? Dio è realmente il mio tesoro più caro? Amo concretamente il prossimo, vale a dire voglio il suo bene e lo compio, direttamente o indirettamente?”
Ecco, cerchiamo di ricordare ogni sera se abbiamo compiuto durante la giornata qualche atto di amore genuino a Dio e al prossimo. Proviamo a recitare lentamente l’«atto di carità» (ce lo ricordiamo ancora?), cercando di coglierne il significato; esaminandoci se siamo sinceri nel fare a Dio una tale dichiarazione d'amore: «Mio Dio, ti amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, perché sei bene infinito e nostra eterna felicità…; per amor tuo amo il prossimo mio come me stesso…, perdono le offese ricevute… Signore, che io ti ami sempre più». Facciamolo, fratelli: così, umilmente, semplicemente, come l’hanno fatto e come ci hanno insegnato i nostri genitori, i nostri nonni. Perché la cosa più bella che possiamo fare nella nostra vita è amare Dio e tutti i nostri fratelli: questo ci rende persone di luce, di gioia, di pace; persone che fanno trasparire anche dal proprio volto una pallida sembianza della bontà di Dio. E la gente, fratelli miei, ha proprio bisogno di questo! Solo di questo. Amen.

Nessun commento: