giovedì 11 giugno 2009

14 giugno 2009 - Ss. Corpo e Sangue di Cristo

Il momento culminante della vita di ogni uomo ha sempre il sapore del mistero. Mistero... perché negli ultimi istanti si condensano, in pochi gesti e in scarne parole, gli insegnamenti più forti che gocciolano come un distillato di tutta la vita... E' il vero testamento di saggezza e di amore, e solo il tempo permetterà di conoscerne l'arcano significato e il profondo messaggio.
Per noi cristiani l'ultima cena rimane l'eredità densa di significato e il testamento che, nonostante i secoli e le infinite considerazioni, ancora cela profondità di sentimento e di comunicazione, tanto che, ben a proposito, ciò che si realizza su quella tavola lo si chiama “grande mistero”. È una cena festosa, che non perde la sua caratteristica di dolce convivialità e di dono gratuito, nonostante l'insorgere di progetti ostili.
Valenti pittori e artisti hanno sigillato per sempre sui volti degli apostoli e di Gesù le sensazioni di quello straordinario incontro nel quale si intrecciano dolcezza e drammaticità, affetto e delusione, amabilità e ostilità.
Quella scena ha sempre rappresentato nei nostri ambienti l'amore oltre ogni limite, ci ha sempre parlato di donazione incondizionata.
Ora, dopo molti secoli, un abile dissacratore fantasioso, con il suo Codice da Vinci, ne infanga la sacralità e il rispetto facendola diventare un insieme di simboli profanatori e sacrileghi.
Se un codice esiste in quel “banchetto”, esso è immortalato dalla serenità di Gesù che all'umanità turbolenta e deludente, rappresentata dagli apostoli, continua a dare amore e fiducia, non in maniera teorica e astratta, ma offrendo addirittura il suo stesso corpo come cibo.
È una visione profetica degli avvenimenti che si realizzeranno in quelle poche ore che andranno dall'incontro con l'uomo con la brocca, che indicherà il cenacolo, fino all'orto degli ulivi e al Golgota...
È lì, attorno ad una tavola, che si anticipa profeticamente il dono totale di una vita offerta senz'indugio per saziare l'ingordigia d'amore dell'uomo, ma anche la sua sete di violenza.
"Prima che tu, uomo, creda di distruggermi, io, Dio, mi offro a te".
È l'incredibile sorpresa di un Dio che non risponde mai con la stessa moneta, non ripaga la violenza con altrettanta violenza, non distrugge chi gli va contro, non chiama nemico neppure chi sta per tradirlo, come non risparmia il Suo amore verso chi dimostrerà paura, codardia e rinnegamento.
È una sfida di fedeltà giocata sul tavolo dell'amicizia in una sala da pranzo, e che troverà concretezza, poi, sul legno della croce.
Non può perdere questa sfida un Dio che ha la caratteristica di fare sempre il primo passo, un passo coraggioso e rischioso che annulla le distanze e Lo porta più vicino all'uomo, ma che non sempre ottiene il risultato di avvicinare il suo cuore...
Eppure, il Suo amore non cambia e il Suo dono è offerto anche nella consapevolezza di sedere alla stessa mensa col suo traditore. Anzi, se potesse, gli risparmierebbe anche il complotto, il bacio convenzionale, l'umiliante scenata dell'arresto a sorpresa con spade e bastoni...
"Prendete... questo è il mio corpo..."... È Lui che si offre a tutti indistintamente, si mette nelle loro mani perché chiunque ne possa fare ciò che vuole. Si dona incondizionatamente a chi l'accetta, e anche a chi Lo tradisce...
A chi l'accetta, perché il discepolo possa associarsi al corpo del Maestro, offrirsi con Lui e donarsi come Lui....
A chi non l'accetta... perché il Suo gesto, senza rancore, sia un'ulteriore prova d'amore... Sconcerto totale per chi pensa di indispettire Dio e si ritrova amato, beneficato e innalzato alla dignità divina...
Un gesto d'amore straordinario e sconvolgente che, come al solito, va oltre ogni aspettativa umana. E' l'invito a mangiare il Suo corpo perché così l'uomo si appropri dei benefici di salvezza connessi col sacrificio offerto a Dio.
Mangiando la Sua carne e bevendo il Suo sangue, l'umanità si appropria della vita stessa di Dio, la mescola alla Sua stessa vita e così la eleva all'esperienza della natura divina.
Con questa flebo d'amore divino, avrà ancora l'uomo il coraggio di vivere egoisticamente?
E anche se questo dovesse accadere, Dio non si stancherà mai di continuare a nutrirlo di sani sentimenti... convinto che il Suo amore vincerà!

giovedì 4 giugno 2009

7 giugno 2009 - Ss. Trinità

Il termine “Trinità” fu coniato da Tertulliano (160-220 d.C.) per facilitare la comunicazione del concetto che altrimenti richiedeva due parole: “tre-unità”, cioè “Trinità”. Sebbene tale parola non compaia mai nella Bibbia, troviamo però il contenuto e la portata di questa indivisibile “trilogia” delinearsi progressivamente fino a raggiungere una essenziale chiarezza: un unico Dio in tre persone uguali e distinte, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo.
Il cammino della Rivelazione è distribuito nel tempo e segue la legge pedagogica dell’insegnamento progressivo. Dapprima Dio chiama il popolo ebraico a percepire l’esistenza di un unico Dio, trascendente, con esigenze morali che prendevano il nome di santità. Con questo popolo stringe un’alleanza che ha, tra l’altro, il compito di salvaguardare l’unicità di Dio in mezzo a popoli politeisti (Prima Lettura). Con il Nuovo Testamento i tempi sono maturi per la rivelazione piena. Sarà Gesù che, convalidando l’idea del monoteismo, fa capire che tale unicità viene dalla comunione di Padre e Figlio e Spirito Santo. Così la Trinità diventa il patrimonio teologico e spirituale dell’uomo che riceve il Battesimo ed entra nella Comunità cristiana (Vangelo).
Affermare il dato biblico della Trinità non significa penetrarne il Mistero, che rimane superiore alla nostra intelligenza. Perché allora Dio ci rivela qualcosa che noi non possiamo capire? Perché non si tratta di capire, ma di vivere nella Trinità (Seconda Lettura).
Raggiunta la vetta, se la giornata è limpida, si guarda tutto il cammino percorso, per misurarne l'ampiezza, per contemplare nel suo insieme l'immenso panorama che prima si è ammirato nei particolari. È un simbolo di ciò che la solennità della Santissima Trinità ci chiama a fare, a conclusione della celebrazione del Mistero e della Redenzione. Dio è il protagonista della Storia della Salvezza; ma non un Dio astratto, solitario: è il Dio “Comunità di Amore”, Padre e Figlio e Spirito Santo.
Da sempre Dio ci ha scelti, ci ama, ci parla; è vicino a noi, è con noi; egli prosegue il suo piano di salvezza, è fedele e chiede agli uomini fedeltà. Sono i temi, della prima presa di coscienza che Israele fa della storia della sua salvezza: «Dal giorno in cui Dio creò l'uomo sulla terra...» (Prima Lettura). Israele, salvato dalla schiavitù, educato dalla parola di Dio, si è sentito oggetto della sua elezione, ha ricevuto da Dio una legge di saggia convivenza umana e di intimità con lui; ripensando a tutto questo, Israele intuisce che dalle origini la sua storia è nelle mani di Dio, che Dio vi interviene per salvare il suo popolo e condurlo a una patria di benessere e di felicità. Questa è anche la nostra storia: dobbiamo prenderne coscienza. Dio si è impegnato per noi, ci ha dato la sua parola, ci mette in mano dei fatti, ci dà garanzia nel suo amore e nella sua elezione, perciò chiede fiducia e fedeltà, perché egli stesso mostra fiducia nell'uomo e gli è fedele. Se vi pensassimo, ci renderemmo conto di tutto questo, sentiremmo che Dio con la sua forza di salvezza si mette alla radice degli avvenimenti, per orientarli al bene, nonostante gli uomini troppo spesso li volgano al male, anzi proprio per questo.
Non c'è bisogno di falsi dèi. Il vero Dio non tace; egli ci parla perché ci ama e vuole salvarci da ogni schiavitù; forse siamo noi che non sappiamo ascoltare. Apriamo il Vangelo, la Bibbia, guardiamo la natura, leggiamo nella nostra storia! Quel popolo che Dio ha scelto e ama, siamo noi ai quali chiede di essere di salvezza per gli altri. Tutto questo ci schiude una reale speranza; ma soltanto nella misura della nostra fede, noi sentiremo viva questa speranza e sapremo comunicarla agli altri.
Per gli antichi pagani, ossessionati dal destino (il “fato”) pensato inesorabile, e scandalizzati dagli dèi e dalle dee peggiori degli uomini, che sollievo venire a conoscere che vi è un solo Dio, santo, onnipotente, ma “Padre”! Noi troviamo lo stupore gioioso di questa scoperta nella letteratura dei primi cristiani. È il messaggio che Paolo ha richiamato ai Romani (Seconda Lettura), coinvolgendo in un unico e ormai meraviglioso destino di famiglia, il Padre, Cristo, lo Spirito Santo e gli uomini figli di Dio. Ormai l'uomo non è più schiavo, perché Dio l'ha liberato dal peccato, e non deve più rendersi schiavo di nessuno e di nulla. Per questo, Dio ha dato all'uomo per guida il suo stesso Spirito di amore, perché si comporti con amore verso gli altri uomini e verso Dio. Allora sentirà la gioia di chiamare Dio col nome di “Padre”, “Papà”. In ciò è nuovamente aperta agli uomini una sicura speranza. Dio ha avuto l'iniziativa della salvezza degli uomini, che non vi pensavano; la conduce avanti, anche se non vi pensano e la ostacolano; egli sa volgere a bene, a strumento di salvezza anche la sofferenza umana, come ha fatto per la sofferenza e la croce del suo Figlio che si è fatto nostro Fratello per salvarci e renderci suoi coeredi.
«Fate miei discepoli tutti i popoli»: questo comando di Gesù non è stato dato solo agli apostoli, è dato per sempre alla Chiesa, cioè a tutti noi che siamo i “credenti in Cristo”. Oggi, siamo chiamati a considerarlo nella luce calda della Trinità, di Dio-Amore, Padre, Figlio, Spirito, più e meglio di come non facciamo usualmente. Tutto ciò che Gesù ha compiuto, i poteri che ha mostrato e che dona alla Chiesa, sono dati a Cristo e alla Chiesa dal Padre, e tutti li corona il dono di comunione che è lo Spirito di amore. Gli uomini, che hanno preso coscienza che la loro è una storia di salvezza e sentono profondamente di avere Dio per Padre e Fratello, sono spronati a comunicare al mondo questo messaggio, a fare “discepoli” di Cristo tutti i popoli perché anch'essi entrino in questo dinamismo di salvezza per cui Dio conduce fra noi vita umana nella fraternità, nella solidarietà, nella collaborazione.
Veniamo dalla Pasqua, dalla cinquantina pasquale la cui pienezza è segnata dal dono dello Spirito Santo alla comunità di Gesù, nella Pentecoste. In questo anno il tempo di Pasqua, dalla Santa Settimana, è stato tutto segnato dalla sofferenza e dalla distruzione per le Comunità e le Chiese dell’Abruzzo e per l’Italia tutta. Eventi di tale portata non lasciano nessuno come prima e le nostre Domeniche ne portano le stigmate. Esse si traducono in preghiera e in solidarietà per dare a quei fratelli la speranza che saranno accompagnati da tutti noi fino a che ne avranno bisogno.
La Domenica successiva alla Pentecoste è per la Chiesa Cattolica romana la solennità della Santissima Trinità. I discepoli di Gesù, noi, siamo rigorosamente monoteisti. I primi secoli cristiani hanno lottato e precisato tutto ciò, ma Dio che si è rivelato in Gesù Cristo si è fatto conoscere a noi come una “Comunione di Persone”, tanto che Dio Uno, comunione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, è divenuto norma per la Chiesa chiamata a essere “comunione”. L’ecclesiologia di comunione, di cui molto parliamo, è proprio questo: ricevere dalle prime generazioni cristiane questo dato che tutti i battezzati sono chiamati a essere uno come Uno è il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Solo nell’amore perfetto e vero c’è unità. Allora questa giorno ci interpella e giudica sull’amore, distintivo della Comunità di Gesù. Ricordiamo che il segno della croce, con cui apriamo il nostro raduno eucaristico e lo concludiamo, è professione di fede in questo Mistero insondabile. Questo mistero ci accompagna sempre. Ogni Liturgia inizia nel nome della Trinità. Ogni azione ha compimento nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo.