“In
quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto
quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: Venite
in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’. Erano infatti
molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare”
(Mc 6,30-34).
Ci siamo
lasciati domenica scorsa con la partenza missionaria dei discepoli: Gesù li ha
mandati per le strade della Palestina a “guarire”. Nel vangelo di oggi gli
apostoli ritornano e gli riferiscono tutto quello che hanno fatto, tutto quello
che è loro successo. E a ragione. Perché essi considerano Gesù l’inizio e il
termine del loro viaggio. Sono partiti da Lui, sono stati mandati da Lui, e
adesso ritornano a Lui. Lui è il polo di attrazione, il loro riferimento, il
loro centro.
Perché
lo fanno? Per verificarsi, per condividere le esperienze, per rallegrarsi dei
risultati ottenuti. Sono questi, fondamentalmente, i motivi che ci devono
guidare nel nostro personale rapporto con il Maestro.Innanzitutto dobbiamo fare anche noi una “verifica” della nostra vita, del nostro operato. Verificarsi, vuol dire infatti controllare se siamo nel giusto, se agiamo secondo i “canoni”, secondo Verità. Ci verifichiamo non per darci un giudizio, un voto, ma per controllare se come viviamo corrisponde esattamente alle “regole di ingaggio”, se cioè siamo coerenti con la Sua chiamata, con quanto professiamo e crediamo.
Nella vita sono molteplici gli elementi che concorrono alla nostra crescita e maturazione umana e spirituale: elementi che necessitano ogni tanto di essere esaminati, controllati, di essere sottoposti a vere e proprie “verifiche”: uno fondamentale, per esempio, è il nostro lavoro: “Quello che facciamo è definibile un buon lavoro? Il nostro modo di lavorare è corretto? Contribuisce a realizzare i nostri ideali, la nostra personalità, la nostra sensibilità?”. Attenzione, perché noi “siamo ciò che facciamo”, noi cioè siamo, ci identifichiamo, con il nostro lavoro: ora, considerando che per circa un terzo della giornata siamo tutti impegnati nelle nostre attività, se queste non le svolgiamo correttamente, nello spirito del vangelo, in pratica buttiamo via un terzo della nostra vita: uno spreco enorme, decisamente inutile.
Altro elemento importantissimo è l’amare, il donarsi, il dare e ricevere: anche su questo ogni tanto dobbiamo fare una verifica: “Ciò che chiamiamo amore è veramente tale oppure è qualche suo surrogato?”. Perché non basta dire semplicemente: “Io amo”, e sentirci a posto. Il nostro è un amore sincero, oblativo, oppure un morboso attaccamento umano? Amiamo soltanto perché abbiamo paura di rimanere soli, per risvolti economici, per assicurare un futuro alla nostra vita? Ma questo non è amare, è semplicemente un contrabbandare per amore il nostro egoismo, il nostro interesse personale.
Altro elemento vitale che periodicamente bisogna verificare, è la preghiera: “Come e con quale frequenza noi preghiamo? La nostra preghiera consiste solo in una sequenza automatica di parole? È una lista della spesa, un pozzo dei desideri, una richiesta ossessiva di ciò che non riusciamo ad avere?” E ancora: “Da dove sgorga la nostra preghiera? Dalla paura di un Dio vendicatore o dall’amore per un Dio-che è Amore?”.
Anche la felicità, la serenità interiore sono elementi basilari: sono il condimento di una vita positiva, buona, altruista; per cui ogni tanto dobbiamo chiederci: “La nostra vita è davvero felice? Viviamo, oppure ci trasciniamo come dei morti viventi? O viviamo una vita che non è la nostra? O viviamo una vita sdoppiata, bella e meritevole all’esterno, ma falsa e infedele nell’intimo?”. Certo scoprire la coesistenza di un così lacerante dualismo, scoprire che la nostra vita spirituale è un completo fallimento, non è per nulla consolante, anzi ci fa decisamente male; ma è molto peggio continuare a vivere mentendo a noi stessi, continuare a fare per convenienza cose che sappiamo essere non corrette, che non ci convincono, che non sentiamo nostre. In tal caso continuare nell’inganno di noi stessi, equivale accettare l’inutilità di una vita fallimentare, piuttosto che metterci in gioco, rischiare, cambiare.
Ultimo ma non meno importante elemento è il nostro “stare insieme”, il fare comunità; un punto su cui la nostra verifica deve essere severa: magari quello che scopriamo ci metterà in crisi, dovremo misurarci con situazioni che non vorremmo mai conoscere. Forse è per questo motivo che molti non si fermano mai, non riflettono sulla loro esistenza, non si pongono questioni profonde: preferiscono illudersi che tutto vada bene o che, ignorandoli, i problemi non esistano. Ma la politica dello struzzo non ha mai dato frutti apprezzabili… Del resto, “fare verità” su noi stessi vuol dire anche essere preparati ad affrontarne le conseguenze, qualunque esse siano. Solo guardandole in faccia possiamo cambiare; soltanto non raccontandoci “balle” possiamo affrontare e risolvere i nostri veri problemi.
Per poter fare come i discepoli una “verifica”, dobbiamo avere anche noi in Gesù il nostro maestro, la guida, il punto di riferimento, il nostro “confidente”; dobbiamo imparare a parlare con Lui, a confidarci con Lui sul nostro cammino, sulla nostra vita, sulla qualità del nostro lavoro: avremo sempre nuovi e validi motivi per confrontarci con Lui. Soprattutto per condividere tutto con Lui. Una vera, autentica condivisione che crea unione, intimità, quel donarsi senza ambiguità, senza falsità; quel raccontarsi, che ci introduce sempre più l’uno nel cuore dell’altro.
Una condivisione intima che non è una “cronaca” sterile di ciò che abbiamo fatto: “Ho fatto questo, e poi questo, e poi questo…”, ma un’apertura totale della nostra mente, della nostra anima, del nostro cuore, dei nostri sentimenti. Condividere così, è vero, vuol dire esporsi, mostrarsi inermi, senza difese, diventare completamente vulnerabili: ma non c’è unione vera con Gesù senza questo “annullamento”. Purtroppo, nella nostra vita, nelle nostre “condivisioni”, siamo invece abituati a parlare molto, ma a condividere ben poco. Preferiamo parlare tanto degli altri, piuttosto che di noi stessi. Preferiamo non guardare dentro di noi, rimaniamo da soli, all’esterno, nel superficiale. Al contrario se provassimo questa intima condivisione con Lui, la vita acquisterebbe improvvisamente colore e calore: ci sentiremmo accolti, capiti, sentiremmo dentro di noi la sua presenza, percepiremmo tutto il suo amore. E proveremmo quella gioia, quell’intima soddisfazione di comunicargli che, con Lui, riusciamo a fare cose belle, importanti, entusiasmanti: cose concrete, che anche umanamente ci soddisfano e ci rendono orgogliosi, felici.
La vita è un suo dono: solo se viviamo questo dono in costante confronto con Lui, potremo avvertire concretamente la sua presenza, potremo riconoscere la sua mano nei nostri successi, potremo percepire la sua piena fiducia in noi. Nonostante tutto: nonostante Lui sappia bene chi siamo, nonostante conosca i nostri limiti, i nostri errori, i nostri orrori.
Confrontiamoci allora con Lui. Immergiamoci nella meditazione, scendiamo nella nostra anima, misuriamoci là dentro con Lui. Ricarichiamoci: gustiamo nella meditazione silenziosa quella Parola che siamo chiamati a testimoniare. Verifichiamoci, controlliamo l’autenticità del nostro efficientismo, per scongiurare la possibilità di investire tutto il nostro lavoro, tutte le nostre fatiche, in una costruzione inaffidabile, fondata sulla sabbia.
“Andate…”, ci dice Gesù. È vero, è Lui che ci manda: ma non ci manda allo sbaraglio; Egli si preoccupa di noi, ci vuole sempre all’altezza, ci sta costantemente vicino; ci lascia ampia libertà decisionale, ma si preoccupa che le nostre scelte siano sempre corrette, sempre in linea con la sua Parola. Il nostro cammino è in questo modo chiaro e percorribile. Spetta a noi ora piantare e innaffiare come si deve. E alla fine, quando torneremo a Lui, perché è sempre e comunque a Lui che dovremo ritornare, auguriamoci di potergli consegnare, soddisfatti, un buon raccolto. Amen.