Gesù
chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli
spiriti impuri (Mc 6, 7-13).
Oggi il
vangelo ci offre l’opportunità di fare alcune considerazioni sui discepoli che
seguivano Gesù e sul nostro “discepolato” di oggi.
C’è da
dire prima di tutto che di quanti seguivano Gesù, non tutti si sono rivelati un
esempio costante di fedeltà: alcuni lo tradirono, lo abbandonarono, altri lo
rifiutarono spinti da una crisi profonda e da un totale sbandamento: ma quello
che conta è che coloro che si lasciarono conquistare dalla passione per questo
uomo che aveva rivoluzionato la loro vita, si lasceranno poi catturare,
imprigionare, martirizzare.Non dobbiamo quindi farci condizionare dall’idea che fossero tutti la “perfezione” in assoluto: al contrario faticarono a credere, sbagliarono, dubitarono, vennero meno, né più né meno come oggi accade anche a noi.
Ma allora perché questa gente seguiva Gesù? Ripeto: esattamente come noi; alcuni spinti dalla curiosità, altri dal dolore e dal rimorso di aver sperperato una vita, altri ancora bisognosi dell’amore di quell’uomo giusto e misericordioso.
Per la cronaca: alcuni lo seguivano, ma senza abbandonare le loro case, il loro lavoro: gli offrivano aiuto e ospitalità quand’era in zona. Altri erano sempre con lui, lo accompagnavano ovunque, nella sua vita itinerante.
Erano persone, uomini e donne, che appartenevano agli strati sociali più poveri; gente semplice, ignorante, contadini, pescatori; gente senza rilievo sociale, donne e mendicanti. In genere, quasi tutti, lontani dalle regole dell’Alleanza; erano cioè gente impura, gente che non rispettava le regole religiose del tempo, erano eretici, erano insomma i “lontani”.
Gesù li vede come “pecore senza pastore” e dice: “Voi che nessuno vi vuole, venite da me!”. A lui non interessavano i puri e i santi, ma accoglieva quelli che nessuno voleva, quelli già giudicati, quelli non in regola, gli impuri, gli esclusi, gli scarti della società.
Un particolare, questo, che dovrebbe farci meditare seriamente: noi che ci sentiamo più vicini a lui, noi che ci riteniamo la parte più attiva, quelli che “noi siamo la Chiesa!”, non dobbiamo assolutamente pensare di essere l’élite, la casta degli eletti, quelli “ripieni” di Spirito Santo; nella Chiesa peregrinante ci sono anche i puri e i santi, è vero, ma non solo quelli: ne fanno parte soprattutto i sofferenti, gli abbandonati, quelli che nessuno vuole, gli umili, quelli che in essa cercano rifugio, sostegno nel cammino, conforto, accoglienza e amore.
Ebbene: è esattamente tra questa moltitudine al suo seguito, che Gesù ad un certo punto sceglie i Dodici: sono quasi tutti galilei, persone semplici, a volte perfino poco colte; non vi sono comunque scribi e non vi sono sacerdoti tra loro. Alcuni come Giacomo e Giovanni appartengono ad un livello sociale più alto (avevano barca e garzoni) altri, invece, come Pietro e Andrea sono pescatori poveri, avevano cioè solo una rete con cui pescavano lungo la riva quel poco per sfamarsi.
Cosa ci fa capire tutto questo? Che per seguire Gesù non ci sono canali preferenziali, non ci sono categorie speciali agevolate: ricchi o poveri, acculturati o ignoranti, di destra o di sinistra, sono tutti sullo stesso piano. Gesù può scegliere chiunque, purché sia sinceramente disponibile, con il cuore aperto, la mente libera da legami condizionanti, pronto a mettersi in gioco, pronto a lasciarsi sconvolgere completamente la vita.
Per questo i “ricchi” di idee, di velleità carrieristiche, di denaro e di fama, i detentori di intoccabili “tradizioni secolari”, difficilmente sono disponibili a seguirlo. Perché lui quando arriva spazza via qualunque zavorra, tutto ciò che è inutile, che non serve alla costruzione del suo Regno.
Gesù è radicale. È impossibile seguirlo soltanto un po’: o lo si segue tutto o niente. Gesù è un’esperienza totale, indivisibile.
Tutti gli ebrei aspettavano la restaurazione del regno politico di Davide e di Salomone: in questo senso Gesù li ha profondamente delusi. Il suo “regno” non è politico, non è materiale. Il suo è un regno che riguarda esclusivamente il cuore e l’anima degli uomini, un regno in cui le persone guariscono e si liberano dai loro nemici interiori. Questo è l’autentico regno di Dio: e sarà sempre così; un regno che non è al di fuori di noi, ma dentro di noi. La nostra “grande liberazione” deve avvenire in noi. Siamo noi che dobbiamo liberarci dai nostri demoni, dai nostri tiranni, dai nostri nemici, per poter seguire la sua chiamata: chi non vuole guardarsi dentro, chi non vuole conoscersi nel profondo, chi non vuole combattere gli abitanti scomodi del proprio cuore, non potrà mai seguire seriamente il Gesù del Vangelo!
Condizione essenziale per poter far parte di questo regno, per poter aderire a questo progetto divino è liberarsi da ogni vincolo umano, da ogni legame mondano.
Cosa certamente non facile, visto che nessuno dei suoi paesani, dei suoi parenti, lo seguì. Anzi i suoi paesani lo rifiutarono apertamente, i suoi parenti tentarono addirittura di prenderlo e segregarlo, per impedirgli di parlare e di agire, facendolo passare per “pazzo”; è per questo che se ne dovette fuggire dal suo paese e trasferirsi sulle rive del lago di Galilea, a Cafarnao.
Del resto la casa (a quel tempo molto più di oggi) era soprattutto il rifugio affettivo: rompere con quelli di casa equivaleva infliggere un’onta gravissima all’intero casato, a tutti i famigliari, un autentico disonore per tutti. Ma Gesù chiede proprio questo: di lasciare non solo la casa fisica, ma soprattutto la casa mentale, i modelli, le idee, gli usi della famiglia, le loro tradizioni. Gesù stesso dice di sé: “Le volpi hanno le tane e gli uccelli del cielo i nidi, ma quest’uomo non ha dove posare capo” (Lc 9,58). La casa, la terra, la barca, erano i mezzi di sussistenza, i punti di riferimento, le cose più ambita e ricercate: e Gesù chiede di abbandonare tutto.
Egli sa bene cosa accadrà: “Non pensiate che io sia venuto a portare pace sulla terra, bensì la spada. Sì, sono venuto a mettere il padre contro il figlio e il figlio contro il padre, la madre contro la figlia e la figlia contro la madre, la suocera contro la nuora e la nuora contro la suocera” (Lc 12,51-53). Cioè: per Gesù la famiglia non è la cosa più importante, anzi può essere ingombrante. Vi è qualcosa di più importante: è il regno di Dio, per cui “chi non odia suo padre e sua madre, suo figlio e sua figlia, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26). Se l’approvazione dei genitori, del capo, dei nostri compagni di cammino, delle persone che amiamo è più importante della nostra libertà interiore, della verità che cerchiamo, della nostra vocazione, allora non possiamo seguire Gesù. Gesù lo dice chiaramente: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto al regno di Dio” (Lc 9,62). Se vogliamo seguire il nostro cammino non possiamo seguire anche il cammino voluto da altri; e non seguendo le loro direttive, venendo meno alle loro aspettative, inevitabilmente li deluderemo, e questo ci procurerà da parte loro un categorico rifiuto. Ma noi dobbiamo essere “liberi”; Gesù a questo proposito è un sovversivo, vuole che i suoi discepoli siano liberi da ogni costrizione, che non debbano rendere conto della loro vita a nessun altro se non a Dio; soltanto a lui essi si devono inchinare. La sequela di Gesù non va fatta per motivazioni logiche o teologiche: ma semplicemente per passione. I suoi discepoli erano degli innamorati perché solo gli innamorati o i pazzi potevano fare quello che essi hanno fatto!
Soprattutto al seguito di Gesù essi hanno imparato un modo di vivere completamente nuovo e diverso dal loro: Lui era tenero con i piccoli e i derelitti; Lui si emozionava di fronte alle sventure e alle sofferenze degli ammalati; Lui non aveva paura di toccare i lebbrosi e le donne, Lui non aveva paura di abbracciarli; Lui era tenace e irremovibile quando c’era da difendere la dignità delle persone; Lui accettava tutti alla sua tavola (simbolo dell’ospitalità del suo cuore) e non aveva pregiudizi di nessun genere; Lui era appassionato della verità, se ne infischiava delle regole stupide o disumane e se c’era da trasgredirle lo faceva senza tanti sensi di colpa; Lui piangeva, gioiva, si stupiva di fronte agli uccelli del cielo e ai gigli del campo; Lui credeva nella forza delle persone e se queste gli credevano, guarivano; Lui amava per davvero e non a parole; Lui si schierava e non temeva di prendere posizione quando c’era da farlo; Lui sì che viveva. Ebbene: una scuola carica di vita e di insegnamenti di cui essi hanno fatto buon uso e che noi troviamo ora sintetizzata in un’unica parola: “eu-anghelion”, “la buona notizia”, il suo Vangelo.
Gesù voleva e vuole che i suoi discepoli vivessero e vivano così, da innamorati dell’Amore e della Vita. Un programma che deve costituire il punto di arrivo per tutti.
Pertanto la nostra prima preoccupazione riguarderà il nostro “fare”, la nostra condotta, il nostro “vivere”, piuttosto che la pretesa di “insegnare” agli altri quello che devono o non devono fare. Per una positiva catechesi la preparazione, lo studio, i corsi di aggiornamento, sono tutte cose utili, necessarie, fondamentali, ma se non sono suffragate da una vita vissuta coerentemente, sono zavorra, sono soltanto un fardello inutile e pesante. Se trascuriamo la nostra vita cristiana, la nostra vita spirituale, tutto il nostro sapere, il nostro insegnare, diventa superfluo, ingombrante, si riduce ad una questione tecnica e sterile, senz’anima e cuore.
Non carichiamoci allora di troppe iniziative, di troppi impegni, di troppe attività associazionistiche, perché troppo spesso portano a farci dimenticare l’unico obiettivo fondamentale: la nostra santificazione. Ecco perché tanti di noi, che si professano persone di fede, praticanti, nella ricerca convulsa del “nuovo”, del “sensazionale”, del “miracoloso”, del “soprannaturale”, finiscono, spiritualmente e cristianamente per vivere alla giornata, senza idee chiare, senza una direzione valida da seguire. Procedono a tentoni, a casaccio, sopravvivono senza sapere il perché delle loro scelte. È fondamentale invece avere un obiettivo ben chiaro, sapere in che direzione andare, cosa voler fare della propria vita. Oggi purtroppo la società del benessere ci spinge convulsamente a fare mille cose in contemporanea, a cimentarci in qualunque attività: ci troviamo impegnati negli sport più disparati, assorbiti in qualsiasi genere di hobby; per la nostra formazione seguiamo qualunque imbonitore ci capiti, qualunque ciarlatano purché parli di “miracoloso”, di “spirituale”, di “metamorfosi antropologica”; siamo schiavi beoti delle mode più ridicole e sciocche del momento; ci buttiamo con ostentazione in ogni genere di volontariato, in ogni “caritas”, volendo dimostrare a tutti la nostra accogliente “autenticità”; viviamo un’esistenza superficiale, discontinua, e cambiando i nostri obiettivi e i nostri interessi con estrema disinvoltura, finiamo per trascurare l’unico obiettivo, quello vitale, che al contrario merita tutta la nostra attenzione: dare cioè un’autentica e generosa risposta all’invito perentorio di seguire Gesù. Un invito che non fa sconti a nessuno, che ci riguarda tutti in prima persona; un invito al quale dobbiamo dare un seguito, una risposta, non a parole ma con i fatti: poiché è un invito che implica un radicale cambiamento di vita, una lotta continua per qualcosa di grande, di assoluto, di duraturo, di soprannaturale, finalizzato ad una totale simbiosi con lo Spirito di Dio Amore.
A questo punto una domanda nasce spontanea: la Chiesa, che dovrebbe essere la solerte madre dei credenti, oggi è veramente la sposa fedele e “discepola” di Cristo? È balsamo per i cuori oppressi e feriti degli uomini? Sa liberarli dai loro dubbi, dalle loro paure, dalle loro ansie? Sa guarirli dai loro demoni interiori? Sa guidarli, rassicurarli nella fede? Perché questa è la sua missione, per questo Gesù l’ha voluta: se perde di vista quest’unico fine, non è più la Chiesa di Cristo!
Gesù nelle sue catechesi è stato molto chiaro: i suoi consigli, le sue istruzioni indicano uno stile di vita nuovo, diverso, provocatorio; uno stile “altro” rispetto a quello del mondo. “Non pane, non bisaccia, non denaro, nulla per il viaggio; solo i sandali e la tunica che portate addosso”: che “tradotto” significa: “i miei discepoli, i miei vescovi, i miei cardinali, i miei preti, monaci, frati, non devono essere angosciati per raggiungere traguardi mondani: lauti stipendi, autovetture di classe, capi “firmati”, ultimi gadget elettronici di tendenza, residenze faraoniche: “per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete… Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?” (Mt 6,25-33). Così pure niente “bastone”: i pastori del Regno si devono distinguere come persone di pace, non violente, non aggressive, non politicizzate. Il Vangelo che devono annunciare non è imposizione, è solo una proposta di benessere, di tranquillità interiore: “Se vuoi, tu puoi vivere così. Ti va?”. Tutto qui.
La
domanda che Gesù ha posto una volta ai suoi discepoli è la stessa domanda che
pone oggi a tutti noi: “Vuoi seguirmi?”. Che non è una promozione! Non è un
invito a passare tra i migliori, un’occasione per diventare ricchi, benestanti,
per essere i più fortunati, i più ammirati, per meritare automaticamente il
paradiso. Nulla di tutto questo. Accettare di seguire Gesù significa adottare
un nuovo stile di vita, significa vivere seriamente questa nuova vita e
proporla con l’esempio agli altri. Quella che noi viviamo e che chiamiamo
“vita”, in realtà è solo un’alternanza velocissima di illusioni, di momentanee
ed ingannevoli felicità, di incessanti contrarietà, di profonde
insoddisfazioni. Quella che Gesù ci propone è un’altra “Vita”, una vita vera,
concreta, senza fine, proiettata fin d’ora nel futuro godimento dell’Amore
eterno di Dio: una Vita beatifica che se nella nostra umanità presente siamo
portati a vedere come un miraggio irraggiungibile, un obiettivo inattuabile,
accettando l’invito e l’aiuto di Gesù essa diventa automaticamente alla portata
delle nostre possibilità, delle nostre forze: a condizione ovviamente che
calchiamo con fedeltà e impegno quelle stesse orme che Lui ha lasciato
camminando davanti a noi. Amen.