mercoledì 26 novembre 2025

30 Novembre 2025 – I DOMENICA DI AVVENTO - (A)


Mt 24,37-44 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Dio arriva quando meno ce lo aspettiamo. Magari lo cerchiamo tutta la vita, o crediamo di cercarlo, e magari stoltamente convinti di averlo trovato, ci adagiamo senza fare più nulla, lasciando che la vita continui a scorrerci addosso, con i suoi desideri, le sue delusioni, le sue scoperte, le sue paure, i suoi entusiasmi e i suoi fallimenti. 
Per questo abbiamo bisogno di fermarci, almeno qualche minuto, per guardare dove stiamo andando, di trovare un filo conduttore che dia un senso a tutte le nostre vicende.
Con l'avvento, tempo di silenzio, di meditazione e di revisione interiore, un nuovo anno liturgico si apre davanti a noi, portandoci al grande appuntamento col Dio in noi: il Natale.
Non il Natale delle vetrine, dei lustrini, della corsa agli acquisti senza senso: uno stravolgimento del vero Natale, una fiera insopportabile della bontà posticcia e fasulla, che ha ridotto il Natale di Gesù ad una festa di compleanno, priva di qualunque espressione d’amore per il festeggiato.
Non è questo il nostro Natale: perché noi abbiamo necessità di incontrare solo quel Dio, che ogni anno cerca di rinascere bambino nei nostri cuori, diventando nuovamente accessibile, incontrabile, con il suo volto sorridente, ben riconoscibile e invitante.
Da oggi iniziamo a leggere Matteo, il pubblicano peccatore divenuto discepolo di Gesù: il suo vangelo, ci accompagnerà e ci incoraggerà sull'impervia strada della nostra conversione.
Gesù, come al solito, è straordinario: il brano di oggi, tipicamente escatologico, non è facilmente comprensibile, e rischia di essere letto in chiave sbagliata; si spiega solo prendendo in esame gli eventi antichi: al tempo di Noè, per esempio, tutti, buoni e cattivi, vivevano nella superficialità: mangiavano, bevevano, si sposavano e facevano figli ma non si accorgevano di nulla, non pensavano a nulla. Tutti vivevano nelle loro illusioni, tutti si guardavano bene dall’accorgersi di ciò che succedeva intorno a loro, dall’aprire gli occhi sul futuro, perché aprirli avrebbe richiesto un cambiamento radicale della loro condotta. Così venne il diluvio e travolse tutti.
“Tenetevi pronti” è dunque l’invito conclusivo, la chiave interpretativa: vegliate, state allerta, pronti, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. In quel giorno, infatti, uno sarà preso, l'altro lasciato; uno incontrerà Dio, l'altro no; uno sarà salvato, l'altro abbandonato a sé stesso. Dio è discreto, modesto, non impone la sua presenza, ma la sua venuta finale è improvvisa, imprevedibile, tremenda. Un chiaro riferimento, ovviamente, all’”eskaton”, alle realtà ultime, al ritorno finale e glorioso di Dio.
A noi però è chiesto, nel frattempo, di prepararci a fare memoria anche di un’altra venuta, meno traumatica e decisamente più consolante, quella di Cristo redentore che, assumendo le nostre sembianze umane, è venuto per riscattare l’umanità dal peccato.
La Chiesa dedica a questo evento quattro settimane: un “tempo favorevole” in cui spalancare il nostro cuore, aprire gli occhi, e lasciar esplodere il desiderio di incontrare Dio. Come?
Le vie sono tante, basta convinzione e buona volontà: da umili principianti, per esempio, cerchiamo di avvicinarci a Lui, ritagliandoci magari uno spazio quotidiano per la preghiera, per la meditazione della Parola; oppure prima di iniziare il lavoro o durante la giornata, facciamo una piccola deviazione per entrare in una chiesa e salutare Gesù Eucaristia; ancora: cerchiamo di aiutare, secondo le nostre possibilità, qualche nostro fratello più sfortunato di noi, con un gesto di solidarietà, una buona parola e così via. Sono piccole cose che, se vissute bene, ci aiuteranno sicuramente a sintonizzare la nostra anima col divino, preparandoci ad accogliere più degnamente l’Emmanuele, il Dio con noi.
Purtroppo in questo periodo veniamo sempre più bombardati da una assillante pubblicità in vista del Natale, che ne stravolge il suo messaggio religioso; immagini di un buonismo fasullo, che esaltano puramente l’aspetto gaudente di una festività senz’anima, ostentato con superficialità e stupidità.
Evitiamo allora che il Dio dei poveri, il Dio che viene per gli emarginati di ogni tempo, il Dio che a Natale non nasce nel sontuoso Tempio di Gerusalemme, ma nella grotta di Betlemme, continui ad essere sostituito da questo mondo con un buonismo sdolcinato e ipocrita. Se gli anziani soli, se le persone abbandonate, se i feriti dalla vita, non hanno anch’essi un sussulto di speranza nella notte di Natale, significa che il nostro essere cristiani, la nostra vita, il nostro esempio, il nostro annuncio di pace divina, sono ancora confusi, ambigui, travolti anch’essi da una inutile corsa al divertimento, alla spensieratezza, al benessere materiale.
Cerchiamo nei prossimi giorni di attesa che sono davanti a noi, di non farci travolgere da questo diluvio di parole e di immagini virtuali. Non lasciamoci fuorviare dalla mentalità edonistica del mondo, che è riuscito a banalizzare la festa sconvolgente di Dio che irrompe nella storia umana per salvarci da morte sicura.
Dobbiamo essere consapevoli di questo dramma che purtroppo si consuma ogni anno: da un lato Dio che si offre e si fa presente, dall’altro un’umanità assente, disinteressata, ignorante, che gli volta le spalle, che non si accorge di nulla: figli di Dio, che non vogliono vederlo.
Purtroppo Cristo può nascere mille volte a Betlemme, ma se non nasce dentro di noi è come se non fosse mai nato.
Per noi credenti, la solennità del Natale deve essere pertanto un pugno nello stomaco, una provocazione, un evento che ci obbliga a schierarci decisamente con Dio che, nella sua comprensione, nella sua dolcezza di Bambino, ci invita alla conversione.
In queste quattro settimane in Chiesa, nella tradizionale corona d’Avvento, viene accesa una nuova candela a settimana: quattro domeniche, quattro candele: per indicare un cammino di luce durante il quale siamo invitati a fare maggior chiarezza nella nostra vita, a far entrare in noi ogni giorno sempre più la luce di Dio, perché possa illuminare i nostri instabili passi.
Quattro candele che acquistano un significato solo se rappresentano un reale avanzamento, ancorché minimo, nel nostro cammino spirituale, se esprimono veramente la luce che rischiara il nostro buio opprimente, che illumina le nostre paure e le vince; se ci illuminano con la luce del Sole, di Dio, che ci dice: “Non abbiate paura, con me nessun buio vi potrà mai ostacolare. Non lasciatevi prendere dallo sconforto, dal pessimismo, dallo scoraggiamento, io sono con voi!”.
Ecco: a questo deve servirci l’Avvento: a riprenderci la nostra dignità di cristiani, per prepararci ad accogliere Colui che vuole abitare in noi, nella nostra “anima”, quel soffio divino del Padre, che “anima” la nostra vita.
Perché questo è tempo di riflessione, di cambiamento, di metamorfosi; un tempo vitale per poterci trasformare da inguardabili bruchi vermiformi, in leggiadre farfalle che si librano in alto, attratte dalla luce del Sole eterno. Amen.

 

martedì 18 novembre 2025

23 NOVEMBRE 2025 – GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO


Lc 23,35-43 
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi sé stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

La festa di oggi, Gesù Cristo re dell’Universo, è una provocazione alla nostra tiepida fede, una sfida alla nostra fragile contemporaneità, al nostro cristianesimo miope, fatto di piccoli progetti.
Dire che Cristo è re dell’universo, significa che Lui avrà l’ultima parola sulla storia, su ogni storia, anche sulla nostra breve storia personale. Dire che Cristo è re, significa non arrendersi alla falsa evidenza della sconfitta di Dio in questo mondo; dire che Cristo è re, significa credere al contrario che il mondo, nonostante tutto, non sta precipitando nel caos, ma nell’abbraccio tenerissimo e amoroso del Padre. Dire che Cristo è re, significa creare spazi di testimonianza nel Regno, là dove stiamo vivendo la nostra vocazione alla vita, piccoli spazi dimostrativi, per dire a quanti hanno il cuore e la mente smarriti, “ecco, Dio vi ama”.
Cristo è un re fuori dagli schemi. Anzi: la regalità di Gesù è una regalità che va contro ogni nostra visione di un Re, per di più Dio; perché questo Dio Re è, agli occhi del mondo, il più sconfitto di tutti gli sconfitti, fragile più di ogni fragilità: un re senza trono e senza scettro, appeso nudo ad una croce, un re che necessita di un cartello per essere identificato. Non un Dio trionfante, non un Dio onnipotente, ma un Dio osteso, messo alla gogna, sfigurato, piagato, sconfitto.
Una sconfitta, però, solo apparente, perché in realtà è la più esaltante vittoria dell’amore, un impensabile dono di sé per la salvezza del mondo.
Un Dio sconfitto per amore, un Dio che, contro ogni logica umana, manifesta la sua grandezza nel dono di sé stesso e nel perdono. Lui si è messo completamente in gioco, consegnandosi al mondo: non in maniera nascosta, non misteriosamente, ma in modo evidente, provocatoriamente evidente! Appeso ad una croce, ha giocato il tutto per tutto per piegare la durezza di cuore dell’uomo.
Gesù, è venuto a dirci di Dio, a raccontarci il suo amore, la sua vicinanza, la sua misericordia. Lui, figlio del Padre, ci dona e ci dice veramente chi è Dio. E nonostante ciò, gli uomini ancora rispondono: “No, grazie! Non ci serve un Dio così! Preferiamo un Dio più lontano, magari scostante ed egoista, ma un po’ credulone, che quando serve lo possiamo facilmente convincere con le nostre chiacchiere e tenercelo buono con poco”.
Anche noi, forse, preferiamo farci un Dio simile, un Dio che soddisfi di più le nostre voglie, che ci assomigli di più nelle nostre fragilità umane, che non ci costringa ad una conversione impegnativa, che non ci chieda una adesione esclusiva, ma che si accontenti ogni tanto di qualche piccola attenzione; sicuramente preferiamo un Dio che non condanni le nostre infedeltà, ma semplicemente un Dio che le ignori, permettendoci di campare come meglio ci aggrada!
La chiave di lettura del vangelo di oggi è tutta in quell’inquietante affermazione della folla a Gesù: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. Frase che Luca fa dire anche ai sacerdoti e ai soldati pagani: perché tutti concordano nel ritenere un segno di debolezza salvare gli altri.
Il potente, così come lo pensa il mondo, è colui che salva sé stesso, che può permettersi di pensare solo a sé stesso, che ne ha i mezzi per farlo, senza bisogno degli altri.
In quest’ottica, Dio è un Dio con cui anche noi non possiamo misurarci: è il più potente dei potenti, Colui che può tutto, che non ha bisogno di niente e di nessuno! È un Dio che è per noi solo la proiezione dei nostri più nascosti e inconfessati desideri, è ciò che ammiriamo nell’uomo potente, riuscito, ricco e sicuro; un Dio con cui possiamo relazionarci soltanto cercando di sedurlo, di blandirlo, di corromperlo.
Ma il nostro Dio sulla croce, non salva sé stesso, non pensa a sé stesso, al contrario pensa a noi, salva noi, ciascuno di noi! Perché è un Dio che si auto-realizza donandosi, relazionandosi, aprendo il suo cuore misericordioso al mondo, a me, a tutti.
I due ladroni crocifissi con lui sul Golgota, sono la nostra immagine, l’immagine del nostro essere discepoli.
Sono due malfattori, due uomini giustiziati secondo le leggi di quel tempo. Quello che subiscono non è ingiusto, come al contrario lo è per Gesù: sono due malfattori, hanno ucciso. Sono uomini che hanno sbagliato a vivere, che hanno fallito, che hanno “mancato il bersaglio” della loro vita (“peccato” in ebraico vuol dire proprio “mancare il bersaglio”). Sanno di aver sbagliato. Il primo dei due non lo ammette e non può ricevere il perdono, il secondo sì.
Il primo infatti sfida Dio, lo mette alla prova: “se esisti fa’ che accada quanto ti chiedo, liberami da questa sofferenza, salva te stesso e noi, salva me”; egli, cioè, concepisce Dio come un re di cui essere semplicemente un suo suddito; ma a certe condizioni, però: ottenendo in cambio ciò che desidera, la sua salvezza in extremis; non ammette le sue responsabilità, non è adulto nel rileggere la sua vita, tenta puerilmente il colpo, se va va. La sua richiesta non è amorevole: trasuda piccineria ed egoismo. Un po’ come il comportamento di tanti nei confronti della fede. “Cosa ci guadagno se credo?”
L’altro ladro, invece, è sconcertato. Non sa capacitarsi di ciò che accade: Dio è lì che condivide con lui la sofferenza. Una sofferenza, la sua, che è conseguenza delle sue scelte; mentre quella di Dio è innocente e pura. Sente e percepisce la sconvolgente realtà di ciò che gli succede: e piange, grida forte il suo pentimento e chiede amore, misericordia, salvezza.
Ecco: questa è l’icona del vero discepolo: di colui cioè che capisce che il volto di Dio è appunto compassione, tenerezza, amore e perdono. Nella nostra sofferenza umana, dobbiamo anche noi riconoscere: “davvero quest’uomo è il Figlio di Dio! Questo è il nostro Dio, questo è il Re che vogliamo!”
Allora, se finora abbiamo vissuto disinteressandoci di Dio, da oggi dobbiamo cambiare. Se finora ci siamo approfittati degli altri, da oggi dobbiamo cambiare. Se finora ci siamo disinteressati delle nostre infedeltà, da oggi dobbiamo cambiare. Se finora abbiamo inveito contro Dio per ciò che ci succede, da oggi dobbiamo cambiare. Se finora abbiamo vissuto nella paura e nella difensiva, da oggi dobbiamo assolutamente cambiare. Perché solo cambiando possiamo immetterci sull’unica via che ci conduce a Dio, sulla via che ci permette di unirci a Lui, nel suo amore. Amen.

 

giovedì 13 novembre 2025

16 NOVEMBRE 2025 – XXXIII DOMENICA DEL T.O.


Lc 21,5-19 
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine». Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

 Il vangelo di oggi per noi moderni è sicuramente di non facile comprensione: riferimenti e allusioni sono oscuri, lontani dalla nostra mentalità. Tuttavia è possibile individuare tre passaggi, su cui concentrare la nostra attenzione, e ricavarne un utile insegnamento. 
Primo passaggio: “alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi…” (21,5).
Sono parole che non si adattano solo al Tempio; forse sono ancor più riferibili ai “frequentatori del Tempio”, cioè a tutti noi cristiani; basta guardarci attorno! Quanti si atteggiano per quelli che non sono; quante volte amiamo esibire in pubblico le nostre “pietre preziose” spirituali, le nostre pratiche religiose, le nostre “buone” opere, la nostra messa, i nostri rosari, le nostre elemosine, ostentando in esse una fede e una carità che forse in realtà non abbiamo; quante volte ci accontentiamo di una pietà che si accontenta di portare al collo costosi ornamenti, come rosari, crocifissi e medaglie varie, piuttosto che coltivare in umiltà e sincerità, nel segreto del nostro cuore, il nostro intimo rapporto con Dio!
Per molti, essere cristiani “praticanti”, purtroppo, si esaurisce qui: ma, dice Gesù, tutto quello che vedete, tutto quello che è esteriore, tutto quello che è esibizione e amor proprio, tutto verrà distrutto; tutto si rivelerà un nulla, senza alcun valore.
Secondo passaggio: “Badate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno nel mio nome. Non andate dietro a loro!” (21,8).
Dobbiamo veramente stare molto attenti: oggi purtroppo siamo costretti a convivere con tantissimi pseudo profeti (studiosi, teologi e preti, guaritori, influencer, ciarlatani ecc.); con gente che pur di consolidare il proprio prestigio, pur di avere un “ritorno” mondano, applausi, gloria mediatica, sono pronti a vendersi l’anima, promuovendo la sapienza venefica di satana, piuttosto che il messaggio salvifico di Cristo. Gente dall’apparenza melliflua, affabile, disponibile, cordiale, che si presenta come testimone e dispensatrice dell’amore di Dio, ma che in realtà è diabolica, mirando esclusivamente all’auto affermazione.
Terzo passaggio: Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici…; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto (21,16-18).
Può capitare anche a noi di essere traditi e abbandonati da tutti, ma in ogni caso noi non saremo mai soli. Dio continuerà sempre a starci vicino, pronto a venire in nostro aiuto, anche se lo rinneghiamo, anche se non lo vogliamo. Può succedere qualunque terremoto, qualunque disgrazia: ciò che deve tranquillizzarci è la certezza di avere ogni momento Gesù al nostro fianco. Con Lui vicino non potrà mai succederci alcunché di “male”.
Allora, se siamo convinti di questo, perché preoccuparci tanto? Perché vivere continuamente nell’ansia, nell’angoscia?
L’angoscia, lo sappiamo, è un male tremendo, è un male mortale: è la sensazione di poter cadere ogni istante in un baratro profondo, vittime del male, senza che nessuno possa aiutarci.
È un terrore costante che ci priva di qualunque certezza; è quel sentimento che ci mette di fronte alla nostra impotenza, ai nostri limiti, che ci fa temere un crollo improvviso e totale di tutto ciò che ci circonda.
È un sentimento oggi molto diffuso nella nostra società moderna: noi tutti, in qualche modo, viviamo nell’angoscia: siamo angosciati per il nostro domani, per la possibilità di perdere il lavoro, per non riuscire ad arrivare a fine mese. Siamo tutti ossessionati dalle malattie, dalle disgrazie, dalla possibilità di altre guerre, dalla possibilità di inondazioni, di calamità naturali. E come se non bastasse, in fondo in fondo, quello che più ci angoscia, più ci terrorizza è l’idea della morte: la drammatica e tragica fine della nostra vita, di quando cioè saremo costretti nostro malgrado ad abbandonare tutto, a perdere ogni cosa, a separarci da tutto ciò che siamo, da tutto ciò che abbiamo e amiamo.
Cosa dobbiamo fare, allora, per combattere questa sensazione velenosa? Quale via dobbiamo seguire per ridurre questa sensazione che ci paralizza, che ci rende invalidi?
Per prima cosa dobbiamo portare luce nel nostro buio, non dobbiamo aver paura, cioè, di scoprirci, di mettere tutto il nostro intimo alla luce del Sole divino. Perché più abbiamo cose da nascondere, più le teniamo segrete, più ci sentiamo in colpa per quanto avremmo dovuto fare e non abbiamo fatto, o abbiamo fatto e non avremmo dovuto fare.
Più abbiamo zone buie dentro di noi, più nascondiamo in noi ombre e mostri, più vivremo nell’angoscia; più faremo luce e verità dentro di noi, meno sarà la nostra ansia, meno saremo assaliti dall’inquietudine.
Dobbiamo avere costantemente fiducia in Dio: la fede vera in Dio, è l’esatto opposto dell’angoscia: Lui c’è, Lui ci accompagna, Lui vuole il nostro bene, Lui ci sostiene, Lui ci dà e ci darà sempre forza e coraggio. E questo ci deve bastare. Amen.


giovedì 6 novembre 2025

9 NOVEMBRE 2025 – DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE


Gv 2-13-22 
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

Il vangelo di oggi ci porta a Gerusalemme, in prossimità del Tempio. Siamo in prossimità della Pasqua e Gesù, come gli ebrei provenienti dai centri più lontani, giunto a Gerusalemme, sale al Tempio per compiere i riti obbligatori per tale festività.
E qui, sotto i portici, dove normalmente stazionano i venditori della merce e degli animali da offrire a Dio, ci sono anche i cambiavalute, ossia quei personaggi che, approfittando dell’affluenza di grandi folle provenienti da ogni dove, stazionavano per incassare le loro tangenti, cambiando le monete di Roma, ormai diffuse ovunque, raffiguranti l’effige di Cesare o di altre divinità pagane, con le monete ebraiche, le uniche ammesse nel Tempio per le offerte in denaro.
Questo episodio, raccontato da tutti e quattro gli evangelisti, è decisamente insolito e strano nella vita di Gesù. Infatti, quando ci immaginiamo Gesù, noi ci raffiguriamo la sua tenerezza, il suo amore, la sua dolcezza. Ma qui, invece, c’è un Gesù forte, violento, passionale: assalito da una rabbia cieca, dallo zelo per Dio, per tutto ciò che è sacro, inizia a menar colpi a destra e a sinistra. Solo che tutto ciò, contro cui Gesù si scaglia, era legale, era ammesso per motivi rituali, religiosi. Gli animali e le offerte in denaro costituivano la materia per i sacrifici a Dio, per propiziarsi la sua benevolenza. Per cui Gesù, agendo così, si scaglia contro la religione del Tempio, contro cioè la legalità di quel tempo.
Gesù non ha mai accettato una religione disumana, la religione della formalità, del sopruso e dell’ingiustizia. Diceva: “Qui Dio non c’è. Qui si parla di Dio, su Dio, per Dio, ma non con Dio. Qui Dio non c’è”. E chiaramente le sue parole sono un invito valido anche per noi, di non accettare superficialmente cioè qualunque nuova proposta, solo perché “religiosa” o etichettata col nome di “Dio”.
Gesù non fu un religioso come tutti gli altri. Egli si comportò sempre in aperto conflitto con la sua religione, perché così com’era concepita dai sacerdoti del tempo, era senza fede e senza Dio. Gesù raccomandava sempre a tutti: “Convertitevi” (Mc 1,15). I primi facevano un’offerta di denaro o di animali; i suoi fedeli offrivano e cambiavano la propria vita. I primi vivevano in base alle prescrizioni della Legge, della Torah e dell’osservanza; i secondi in base alle leggi e alle prescrizioni del cuore. I primi si sentivano in pace, completamente in regola, quando avevano osservato la legge, magari compiendo anche crimini orribili (Gv 8,2-11). Se la legge lo permetteva, era lecito. La loro morale veniva dall’esterno, da quello che è stabilito socialmente. I secondi erano in pace solo quando avevano rispettato le leggi del cuore, dell’anima, dell’umanità e dell’amore. La loro morale veniva dall’interno, dalla loro coscienza.
Questo ci fa molto riflettere: anche oggi esiste una religione (istituzioni, riti, preghiere, norme, leggi) senza Dio. Si può essere “religiosi”, ma essere dominati dalla sete di potere, di controllo, di possesso, di paura. Si può essere religiosi, ma non aver fede. Fare tutto in nome di Dio, senza avere Dio, senza conoscerlo, senza amarlo. Appartenere ad una religione non significa avere la Fede.
Gesù dunque fu un uomo in aperto conflitto con la sua religione. Ci sono persone che entrano in conflitto con la religione ufficiale. Alcuni perché trovano il suo contenuto vuoto e insignificante: filosofi, artisti, studiosi. Altri entrano in conflitto perché la ritengono superflua, “non ci serve”: scienziati, dottori e fisici. Altri entrano in conflitto perché la religione ostacola la loro vita e impedisce i loro interessi, perché ricorda loro la morale, il primato dell’anima, della vita, del bene comune e dell’amore. Sono politici, impresari, economisti, i potenti coloro che hanno molti soldi. Altri ancora entrano in conflitto perché non vogliono riflettere, porsi domande, mettersi in discussione e non vogliono che nessuno ricordi loro di avere un’anima. Ma ci sono anche alcune persone che entrano in conflitto con la religione esistente perché la amano davvero, perché la prendono più seriamente dei suoi rappresentanti; perché hanno sete di giustizia, di verità e di libertà. Gesù è stato così!
Come possiamo leggere questo gesto di Gesù? Il gesto di Gesù ha un senso molto profondo. Tant’è vero che questa sua frase: “Distruggete questo tempio in tre giorni e lo farò risorgere” verrà utilizzata durante il suo processo per farlo condannare. Mentre i Giudei pensano al tempio costruito in 46 anni (che sarà comunque distrutto!), Gesù parla del tempio del suo corpo, parla di sé stesso. Questa per gli Ebrei era una bestemmia, perché il tempio era il centro della vita religiosa, sociale e politica.
Ogni giorno al tempio veniva ammazzato alle 9 del mattino e alle 3 del pomeriggio un agnello. È il culto dato a Dio attraverso le cose: Dio lo si ama offrendogli qualcosa, una preghiera, una buona azione, un’offerta o un sacrificio. Ma Gesù tronca questo tipo di rapporto fondato sul sangue e sulla macellazione degli animali: perché il vero agnello sarebbe morto proprio alle 3 del pomeriggio. Gesù, l’Agnello di Dio, morirà alle 3 del pomeriggio: Lui è il nuovo culto, il nuovo tempio. Gesù è il “luogo” di Dio.
Non si va più al tempio per in-graziarsi Dio, ma si va da Gesù per rin-graziare Dio. Dio, cioè, non lo si ama più offrendogli delle cose, dei beni, delle offerte, delle cose, ma se stessi, la propria vita e la propria persona. Il vero culto non è più il tempio, ma l’uomo.
È un gesto che significa la rottura di un vecchio sistema di fare culto a Dio e di fare religiosità. Di qui la relativizzazione di tutti i luoghi di culto. “Va in chiesa, dà le tue offerte, fa’ i tuoi sacrifici, i tuoi digiuni: ma ricordati che il vero culto passa solo attraverso il cambiamento del tuo cuore e della tua vita”. Allora questo gesto assume un profondo significato per tutti noi.
Possiamo infatti ricavare molte considerazioni istruttive, anche solo elencando le cose e i personaggi del racconto.
Ecco allora che il tempio di Dio sono io: sei tu, è chiunque, è l’uomo: un tempio che ha bisogno di purificazioni, di continue “manutenzioni”: è necessario che tutti i suoi “mercanti” siamo scacciati fuori.
I venditori e i cambiavalute? Sono io: quando vendo il mio tempo, la mia dignità, la mia persona per l’approvazione, il successo, la potenza. Quando ho così tanto da fare che rinuncio all’amore e all’essere amati (non ho tempo!); quando rinuncio ai figli, al giocarci assieme; allo stupore della vita, al silenzio, al cielo e alle stelle; quando rinuncio alla mia persona, al mio pensiero, alla mia originalità, a seguire la mia unica strada, a ciò che sono per conformarmi o per non essere tagliato fuori; quando rinuncio ad osare, a cambiare, a credere che ci sia un sogno di Dio su di me.
I “venditori”, in particolare, sono io quando credo che “tutto si può comprare”, che i soldi fanno tutto: povero me! In un romanzo Satana dice a Dio: “Se vuoi che l’uomo corra da te, proponigli del denaro e vedrai quanto ti ama!”. Sono io che vendo ciò che sono, vendo la mia unicità, la mia originalità e mi lascio possedere dagli standard comuni, dalle mode, e dai banditori di false illusioni. I “cambiavalute” sono sempre io quando cerco di piacere agli altri, di essere disponibile, attento, servizievole, pur di essere considerato positivamente, oggetto di ottime referenze: in questo modo la valutazione del mio valore morale non dipende da me, non sono io a stabilirlo consultando direttamente la mia coscienza su chi sono, su cosa faccio e su come mi comporto; ma la faccio dipendere da fuori, da come gli altri mi vedono all’esterno, dalla stima e dal giudizio che gli altri nutrono sulla mia persona per quel che io faccio loro vedere: pensate a cosa è disposta a sottoporsi la gente pur di essere valutata, stimata, considerata!
Nel tempio, poi, ci sono gli animali. Anche nella nostra vita ci sono istinti animali, brutali. “Non lo sopporto”; “lo ucciderei”; “non lo voglio neanche vedere”: è l’odio, il desiderio brutale di essere i primi, di essere “di più”: una competizione che uccide. Come credete che nascano le guerre? È esattamente in grande ciò che avviene nel piccolo. “Lo ucciderei!”, e dall’azione si passa ai fatti.
Le colombe e gli uccelli del nostro tempio sono tutti i pensieri che abbiamo dentro. Sono “uccelli” sempre liberi di scorrazzare nel cielo della nostra mente. I pensieri volano di qua e di là e noi dipendiamo continuamente dal loro andare. Non siamo più liberi, siamo dominati da essi. Ci sono pensieri, idee, che non ci lasciano mai in pace, che ci torturano, fantasmi che diventano realtà. Ci sono cose che non ci siamo mai perdonati. Pensieri tipo: “Quello lì ce l’ha con noi” (e non è vero!); “L’ha fatto apposta!”; che siamo i soliti sbagliati, i soliti sfortunati; che nessuno ci voglia bene; tutti pensieri che si impadroniscono del tempio della nostra vita e noi ne siamo dominati. Ci sono persone che non sanno altro che fare e produrre i soliti discorsi. Bene, quei discorsi, quei pensieri sono diventati i padroni della loro vita. Così uno non fa altro che parlare male del vicino; uno che pensa e parla continuamente solo di soldi; un altro di lavoro; un altro di sesso e di donne; un altro ancora che è sempre arrabbiato.
Ebbene, c’è un'unica alternativa: o siamo tempio di mercato o siamo tempio di Dio. E allora, non sarebbe ora di fare, anche noi, una bella purificazione? O aspetteremo così tanto finché nulla sarà più possibile e tutto andrà distrutto? (Lc 21,5-6)? Amen.