giovedì 22 marzo 2018

25 Marzo 2018 – Domenica delle Palme


«Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo morire…» (Mc 14,1-15,47).

La Passione di Gesù è la storia di un uomo perdutamente innamorato di Dio e degli uomini. Questo suo amore profondo e l’assoluta fedeltà ad esso, lo portarono all’estrema conseguenza di accettare docilmente una delle morti più tremende e dolorose.
Egli ha vissuto l’intera sua vita con passione, con intensità, con amore: sensibile e attento a tutto ciò che gli capitava intorno, gioiva di fronte alla bellezza, all’amore, al positivo, commuovendosi e piangendo di fronte al dolore, alla malattia, alla morte. Ma è nel racconto della sua “Passione”, che la Liturgia ci propone questa domenica, che questo amore, questa bontà, questa generosità, questa mitezza, emergono nella loro potenza.
Riflettiamo insieme allora su questo tratto conclusivo della vita di Gesù, in questo suo cammino finale verso il sacrificio della croce, per ritrovare anche noi la forza necessaria per compiere questo nostro viaggio al suo seguito, per poter vivere con altrettanta carità la nostra missione di cristiani. Riviviamo le varie situazioni del racconto, confrontandoci con la condotta dei personaggi coinvolti, per capire come noi affrontiamo le nostre esperienze di vita, con quali atteggiamenti, con quale fiducia o paura. In loro possiamo rivederci, possiamo ritrovarci, per capire meglio, e più in profondità, la nostra vita. Sono dei simboli importanti, delle icone stampate a fuoco, che in qualche modo vivono in ciascuno di noi.

1) I Sacerdoti e gli scribi cercano il modo di catturare Gesù con un inganno, per farlo morire”. Tramano nell’ombra, il loro complotto deve rimanere riservato, segreto, nulla deve trapelare in pubblico; l’iniziativa deve partire da altri.
Fin dall’inizio del mondo, il male ama l'inganno, il nascondersi, il camuffarsi; si insinua pericolosamente nella vita delle persone, e queste non se ne accorgono; manipola le notizie, gestisce le informazioni, falsifica la realtà, nessuno se ne deve accorgere.
Il Figlio di Dio è stato condannato e ucciso come un impostore; la sua condanna è stata costruita anche per lui sulle falsità, sull’imbroglio, sull’indifferenza generale. Il mondo purtroppo è succube del male, ne è dominato: ma gli artefici non sono tanto le armi, le guerre, quanto l'odio, l'angoscia, la paura, la disperazione che ogni uomo cova dentro di sé, nel suo cuore: siamo noi, in casa nostra, nel nostro animo, che fomentiamo le guerre mondiali, che alimentiamo l’odio universale. Dobbiamo rendercene conto e darci subito da fare: ovviamente non riusciremo mai da soli a cambiare il mondo, ma sicuramente riusciremo a cambiare noi stessi, il nostro piccolo mondo, poiché il vero e unico territorio su cui siamo sovrani indiscussi è il nostro cuore; solo lì potremo decidere se fare della nostra vita un campo di battaglia o un’oasi di pace.
E se in certi momenti saremo presi dallo sconforto poiché l’impresa ci sembrerà irrealizzabile, abbiamo pur sempre alla nostra portata un’unica alternativa, valida e immediata: amare, amare, semplicemente amare; stare vicini a chi sta peggio di noi, a chi più di noi ha bisogno di conforto e comprensione: in una parola possiamo sempre essere presenti e determinanti nel mondo con il nostro amore, offerto discretamente, nel silenzio, nell’umiltà. Perché è soltanto attraverso un amore vero, generoso, spassionato, sincero, fraterno, che possiamo esercitare il nostro potere: perché questo è l’unico potere autentico, totale, indiscutibile, che nessuno al mondo potrà mai toglierci o limitarci.

2) Giuda: “promisero di dargli del denaro”. Com'è stato possibile che uno di quelli che seguivano, che amavano Gesù, lo abbia tradito? Com'è stato possibile che uno di quelli che per Lui avevano lasciato tutto lo abbia consegnato ai nemici per quattro soldi? Rimane un mistero. Marco accenna esplicitamente al denaro. Cosa non si fa per denaro! Chi non si vende per denaro? Per denaro si arriva a vendere ciò che abbiamo di più prezioso, di più caro, di più importante: il nostro cuore, la nostra anima, i nostri affetti, il nostro tempo. Ma quando abbiamo svenduto la nostra vita, cosa ci rimane? Nulla: perché a quanti barattano la propria vita, la propria dignità, per avidità di ricchezze, per accumulare denaro, non rimarrà altra fine che quella di impiccarsi, disperati come Giuda. Il denaro è solo un'affascinante illusione che conduce irrimediabilmente l’uomo alla disperazione: quando infatti, credendo di aver tutto, di poter tutto, si renderà conto che in realtà non ha nulla, non ha mai vissuto, mai amato, allora capirà di aver inseguito solo un'illusione, una chimera, un sogno. Ma sarà troppo tardi: vivrà nella morte più totale.

3) L’ultima cena: “Prendete! Questo è il mio corpo”. Il sinedrio ha già deciso di condannare Gesù, mentre Lui, come ogni buon ebreo, sta celebrando la Pasqua annuale. Tutto si svolge secondo il solito rito: un rito peraltro conosciuto molto bene da tutti i dodici, fin da quando erano bambini: consisteva nel fare “memoria” della liberazione del popolo dalla schiavitù e del loro passaggio attraverso il Mar Rosso. Ma questa volta alla solita preghiera Gesù aggiunge due frasi inedite, sconosciute: “Prendete questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti”. Praticamente con l'immagine del pane spezzato e del vino versato, Gesù fa della sua vita un dono. Come a dire: “Sì, sono io quel pane che viene spezzato e distribuito a tutti. Sono io quel vino che viene versato perché tutti ne bevano. Io desidero che dal mio morire altri gustino la vita. Desidero che la mia vita, il mio corpo e il mio sangue, siano ebbrezza, gusto, fuoco d’amore per altre persone. Voglio che la mia vita, che sta per finire, abbia un senso, diventi per voi e per il mondo intero, alimento, vita, sapore, gusto, senso, felicità”.
È così che Gesù affronta la sua morte redentrice. Esternamente nulla cambierà. Ma tutto sarà diverso, perché ciò che sta per accadere, ora ha un senso ben preciso. Anche perdendo la vita non morirà. La sua morte produrrà per sempre nuove vite. Cosa poteva Gesù donarci di più? Non ci ha donato solo delle belle parole, dei bei miracoli, dei bei discorsi. Ci ha donato tutto se stesso. Questo è il vertice della vita: “Non ti dono la mia intelligenza, la mia simpatia, i miei soldi, il mio fascino; ti do in regalo tutto me stesso”. L'amore è donarsi. In ogni eucaristia noi in sintesi celebriamo proprio questo: un Amore donato.

4) Il Getsemani: “Padre, a te tutto è possibile: allontana da me questo calice! Tuttavia non ciò che io voglio, ma quello che tu vuoi”. Gesù avrebbe potuto fuggire, ma decide di andare fino in fondo alla sua missione. Si ritira per parlare con il Padre: è terribilmente angosciato di fronte a ciò che sta per accadere: è l'angoscia di fallire, di sentirsi tradito, di finire la vita in un supplizio terribile, la croce! In questo momento sente tutta la sua solitudine. Nessuno dei suoi amici, neppure quelli più intimi, Pietro, Giacomo e Giovanni, riescono a stargli vicino. Dormono. Non capiscono, non colgono il dramma, cosa ci sia in questione, la sua profondità. Vivono in superficie, non si accorgono di ciò che sta accadendo. Sono addormentati, anestetizzati, così presi dalle loro piccinerie da non “vedere” la tragedia che sta per compiersi.
Gesù si accorge che non può contare su nessuno. È solo. Nessuno gli è vicino, nessuno lo comprende, nessuno lo consola. Eppure Gesù ha fiducia in loro.
L'uomo, nel suo profondo, è buono; ama la verità, la libertà, la vita. Se vincerà le sue paure, la sua angoscia, potrà vivere senza tradire la sua vita. Gesù “vede” tutto questo: ora lo tradiscono, è vero, ma in prospettiva un giorno lo testimonieranno: per questo, nonostante tutto, confida in essi!

5) Il tradimento di Pietro: “Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò”. Pietro è la “roccia”, è uno che ostenta sicurezza in ogni situazione. È un uomo istintivo, d'azione, un uomo che, dice lui, non teme nessuno. In realtà egli rappresenta l’uomo banale, superficiale, che dimostra di non conoscere se stesso, uno che facilmente si autoesalta, salvo poi alle prime difficoltà dissolversi nel nulla, dimostrando tutta la sua fragilità. Finché le cose vanno bene, finché sono semplici, seguire Gesù è un’impresa facile e piacevole. Ma quando c'è da fare sul serio, quando c’è da mettere in gioco la propria reputazione, la propria immagine, quando c’è da cambiare radicalmente lo stile di vita, in una parola quando è c’è da convertirsi, quando c’è da affrontare la gravità delle proprie scelte, tutti, noi per primi, ci comportiamo esattamente come Pietro: neghiamo l’evidenza, nascondiamo la verità, facciamo finta di niente, tradiamo i nostri ideali, i nostri propositi, la nostra vocazione; quando ci mettono con le spalle al muro, quando non abbiamo vie di scampo, siamo tutti come Pietro: ci irritiamo, imprechiamo, spergiuriamo; qualunque scusa è buona per camuffare la nostra inaffidabilità, la nostra pusillanimità. Preferiamo rifugiarci nell’anonimato, confonderci tra la folla! È triste ma è così. Pietro però, rientrato in sé, “flevit amare”, pianse amaramente.

6) La crocifissione e la morte. “Tutto è compiuto; e chinato il capo morì”.
Qual è il senso del patibolo, della crocifissione e della morte di Gesù? Dio viene appeso ad una croce. Con Gesù muoiono tutte le speranze di chi aveva lottato con lui, di chi aveva coltivato il desiderio e l'attesa di qualcosa di nuovo, di diverso, di vero, per lui e per questo mondo.
Cosa si può provare nel vedere chi si ama appeso ad una croce?
La croce è lo scontro fra due religioni: quella di Gesù e quella degli ebrei. La religione dei farisei, degli scribi, dei grandi sacerdoti del Tempio, è la religione della forma, dell’apparire, del mascherarsi. Qui contano i grandi numeri, l'istituzione, l'ordinamento e l'obbedienza. Non importa se le leggi distruggono le persone o le appesantiscono di sensi di colpa o di fardelli insopportabili. Ciò che conta è la legge, il rispetto ossequioso alla norma. Più cose fai e più sei bravo. Gesù, invece, ama la vita, non la sofferenza. Gesù dà voce alle persone, le ascolta, dona ogni attenzione ai bambini, alle donne, agli esclusi dalla società; nessuno è impuro per Gesù: lebbroso, prostituta o pagano che sia, perché tutti per lui sono figli dell'unico Padre. Gesù non vuole che gli uomini si reprimano o vivano al di sotto delle loro possibilità. Gesù vuole e dice a tutti che molti mali possono essere guariti, che tante infermità del cuore e dell'anima possono essere risanate, perché noi viviamo e siamo fatti per la felicità profonda e vera. Gesù vuole che siamo umani: che non c'è niente di quanto viviamo che sia indegno agli occhi di Dio, da doversi nascondere; che davanti a Dio possiamo presentarci veramente per quello che siamo, senza falsi teatrini o belle maschere. Questa è la religione di Gesù; questa è la religione che le autorità del popolo ebreo hanno tentato di crocifiggere, di eliminare, di distruggere e di far morire. Ma ciò che viene da Dio non muore, non può morire mai. Può essere perseguitato, ucciso, deriso, umiliato, annientato, ma non può morire. Dio è l'unica realtà. Ciò che viene da Lui; chi si affida a Lui, non muore.

7) Le donne continuano ad osservare: “Vicino alla croce stavano suo madre e la sorella di sua madre…”.
L'amore non si arrende, l'amore non può credere alla fine, alla morte. Chi vive nell'amore conosce l'eternità. Anche quando tutto sembra dire il contrario, anche quando tutto sembra finito, l'amore conosce l'eternità. L'amore vuole il “per sempre”. Queste donne non si arrendono all'evidenza dei fatti perché conoscono l'evidenza del cuore, dell'anima, della vita e di Dio. E proprio per questo loro sperare al di là di ogni speranza, per questo credere al di là di ogni ragionevole fede, per questo amare al di là della fine, saranno loro le prime testimoni della resurrezione. Avevano visto bene: l'amore è più forte di tutto. Amen.




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