giovedì 18 gennaio 2018

21 Gennaio 2018 – III Domenica del Tempo Ordinario


«Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono» (Mc 1,14-20).

Anche oggi il vangelo ci parla di “chiamata”, di vocazione. Gesù camminando sulla riva del “mare” di Galilea, vede due pescatori, Simone e Andrea, intenti a gettare le loro reti. Per noi nulla di straordinario: ma cosa avrà mai visto Gesù di tanto speciale in quei due, da indurlo a fermarsi, rivolgere loro la parola e sceglierli entrambi come suoi discepoli? In fondo stavano facendo soltanto il loro lavoro, un lavoro umile e ordinario, che nulla aveva in comune con la missione che Lui intendeva affidare loro.
Gesù però capisce immediatamente chi è disponibile a seguirlo: da come si comporta nelle piccole cose, da come vive la normalità, da come si esprime, da come si relaziona col prossimo: cose semplici, piccoli particolari che rivelano comunque la personalità di un uomo.
Gesù dunque, osservando questi uomini nella loro quotidianità, scorge immediatamente tutto il loro potenziale, la loro grandezza.
Non è mai ciò che facciamo, ma è il metodo, la cura, l’amore che ci mettiamo nel farlo, che rende grandi e importanti sia noi che quanto facciamo. Gesù non ha bisogno di chiedere a quelli che incontra per la strada il loro curriculum vitae o degli attestati di frequenza alle scuole rabbiniche del tempo. Nulla di questo. A Gesù basta vedere queste persone nella loro normalità per capire subito e a fondo chi erano nel profondo del loro cuore, nei pensieri, nell’anima.
“Se mi seguirete, Vi farò diventare pescatori di uomini”, dice loro a bruciapelo. È una proposta sconvolgente, un programma di cambiamento radicale che avrebbe rivoluzionato totalmente la loro esistenza. Ma loro accettano. Piantano tutto e lo seguono.
Anche se in seguito li troviamo a fare lo stesso lavoro con le reti, (Lc 5,1-11; Gv 21,1-8), anche se continuano a fare le stesse cose di prima, anche se intrattengono gli stessi rapporti con i loro familiari, i loro amici, anche se talvolta dimostrano di aver conservato il loro solito carattere, tuttavia non sono più gli stessi di prima: perché è la vecchia mentalità che essi hanno abbandonato; è il loro modo di vedere le cose, che è cambiato: è cambiato completamente il loro modo di rapportarsi col mondo. Se prima la barca (il lavoro) e la casa (la famiglia) erano l’assoluto, ora non lo sono più. Hanno capito che nella vita la cosa più importante, l’unica, è l’Amore; e l’amore lo puoi ricevere solo dalle persone, non dal lavoro, non dalla casa!
Una barca non ci può amare. Una villa non ci può amare: può essere grande o piccola, in ordine o in disordine, in centro città o in campagna, ma non ci può amare. Ci può ospitare, accogliere, ma non amare. Così il lavoro non ci può amare. Il lavoro semmai ci fornisce i mezzi per campare, ci garantisce una certa stabilità, un qualche prestigio sociale. Ma non ci può amare. E perché allora continuiamo a sognare case e ville sontuose, perché continuiamo a subordinare la felicità al possesso di ricchezze, di beni incalcolabili? Perché continuiamo a lavorare come dissennati, ponendo il lavoro, la carriera, la produzione, al di sopra di tutto e di tutti? La casa, le vetture, i beni, il lavoro, le ricchezze, non ci possono amare, e senza amore, non c’è alcuna felicità!
Ecco, in questo sta il nostro cambiamento; in questo sta la grande “conversione” della nostra vita. Se siamo convinti che la felicità risieda in quello che facciamo, in quello che abbiamo, stiamo costruendo la nostra vita su una bolla di sapone. È vero: la società consumistica di oggi continua a bombardarci di messaggi fasulli, ci ripete ossessivamente che il denaro, la ricchezza, il piacere, è tutto, è l’assoluto; ci investe continuamente di paroloni, sempre gli stessi, che si rincorrono con frequenza e precisione maniacale: lavorare, produrre, con orari sempre più lunghi, tutti i giorni della settimana, domeniche e feste comprese, una carriera da consolidare, soldi, tanti soldi, concorrenza sfrenata, libero mercato, globalizzazione. Ma sono chimere, solo e stupide chimere! La vita passa inesorabile, e alla fine capiremo che tutto ciò, tranne l’amore, è solo spazzatura.
Se scorriamo le pagine del vangelo, troviamo forse scritto che Gesù ha lavorato senza sosta, che è stato ansioso o angosciato per le consegne, intrattabile per la produzione o le scadenze? Che ha perso la calma per non aver raggiunto qualche “target”? Assolutamente no; lo troviamo invece continuamente a dare e ricevere amore e amicizia, ad usare carità, tenerezza, comprensione, sicurezza. Gesù non era ricco: ma come uomo era sicuramente molto amato e molto felice, perché era “libero” da preoccupazioni temporali.
Non potremo mai essere autentici discepoli di Cristo, non potremo mai essere la sua Chiesa, se non diventeremo anche noi “liberi”. Il termine stesso “Ecclesia” vuol dire letteralmente “i chiamati fuori”, i “diversi”: uomini, cioè, che non agiscono per far piacere agli altri, per avere la loro approvazione; uomini, al contrario, che sono “liberi”, completamente “affrancati” da qualunque tipo di pressione interiore, uomini che non hanno altro interesse se non quello di fare umilmente e fedelmente quello per cui sono chiamati, con amore e generosità, spinti non dalla sete di consensi, ma dalla sicurezza di fare la volontà di Dio.
“Il tempo è compiuto. Il regno è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (1,15).
I primi discepoli accolgono dunque l’invito di Gesù. Il tempo di scegliere, di lasciare le barche, di lasciare la loro casa, di convertirsi, in una parola di cambiare vita, è arrivato, è il loro “adesso”. Impossibile rimandare, far finta di nulla: e loro accettano senza indugi, senza tentennamenti: lasciano tutto e seguono Gesù per costruire il regno di Dio.
Quando si parla del regno di Dio, le persone sono disorientate: “Cosa vuol dire? In che consiste?”. Molti pensano al Paradiso, all’altra vita; altri a chissà cosa. Niente di tutto questo: il Regno di Dio è la Vita Vera, quella reale, quella che dobbiamo vivere oggi seguendo fedelmente le orme, gli insegnamenti di Gesù. Ogni scelta, ogni sforzo, ogni azione che noi facciamo per vivere questa Vita autentica, concorre a realizzare in noi il regno di Dio. Ecco perché è importante scegliere adesso, ecco perché non possiamo rimandare: perché è la scelta che cambia decisamente la nostra quotidianità, la scelta che realizza, che concretizza, che trasforma in vita vissuta oggi, ciò che un domani esploderà nella visione beatifica del nostro Dio. Il Regno di Dio è quindi agire adesso, subito: perché è adesso, subito, che dobbiamo mettere ordine al nostro disordine interiore.
I discepoli ricevono una proposta: ardita, rischiosa, provocante, controcorrente, fuori dai loro schemi. Ma le parole di Gesù riempiono la loro anima. Sentono i loro cuori incendiarsi di amore per Lui. Sicuramente si saranno chiesto: “Ma perché proprio noi? Cos’abbiamo noi di speciale?”. Nulla, non avevano nulla! Assolutamente nulla. E noi come loro.
Dio non ha mai scelto uomini con doti particolari, speciali, super-intelligenti o super-dotati. Ha scelto sempre persone umili, disponibili, persone pronte a farsi coinvolgere, a mettersi in gioco. Gesù non ha mai chiesto ai suoi discepoli di essere assolutamente perfetti, ma di essere disponibili, aperti: Pietro dubitò e lo rinnegò più volte, anche se per gli altri era una “roccia”; Giacomo e Giovanni erano presuntuosi, soprannominati “figli del tuono”, proprio per il loro carattere irascibile e permaloso, arrivisti al punto da pretendere per loro due i posti d’onore nel futuro “Regno” di Dio; Tommaso era sospettoso, malfidato, diffidente: se non toccava con mano, se non controllava personalmente, non credeva a nulla; Giuda era talmente attaccato ai soldi da arrivare a tradire lo stesso Gesù per trenta denari.
Ecco: una carrellata di miserie umane che ci confermano come Dio lavori con quel poco che ha a disposizione, uomini peccatori, pieni di difetti, pieni di limiti, immaturi; uomini, però, che alla sua chiamata non hanno esitazioni e si mettono completamente in gioco. Il vangelo dice che “subito lasciarono le reti”: lasciarono cioè “immediatamente” tutto quanto li teneva legati: le loro idee, i loro affetti, i loro pregiudizi, le loro “fissità”, le loro piccole manie, e lo seguirono.
Gesù passa e ci chiama. Anche a noi chiede sempre e solo la stessa cosa: di lasciare le nostre sicurezze maniacali, i nostri affetti malati, le nostre ricchezze fuorvianti, di fidarci di lui e seguirlo verso qualcosa di completamente nuovo, di sconosciuto, di incerto, ma di estremamente promettente e consolante.
La nostra vita, purtroppo, è un continuo aggrapparci a tutto, lavoro, famiglia, parenti, amici, soldi, idee, pur di non allontanarci dalle nostre posizioni. Il nostro più grande assillo è quello di cercare ovunque garanzie, certezze, rassicurazioni; vorremmo che il mondo girasse sempre secondo i nostri piani, ma questo è semplicemente assurdo. Se ci fermiamo anche solo a pensare a ciò che potrebbe succederci, è la fine; perché potrebbe veramente succederci di tutto. Se ci fissiamo a pensare al domani, al futuro, a cosa accadrà o non accadrà, se avremo o no la forza di affrontare l’imprevisto, beh, allora è davvero la fine!
Il segreto della Vita che Gesù ci offre, è invece di abbandonarci a Lui, di fidarci, di smettere di voler programmare ad ogni costo il nostro domani. Smettiamola di preoccuparci; comportiamoci come i discepoli del vangelo: si sono fidati di Gesù e Gesù li ha portati dove mai si sarebbero sognati di andare da soli. Gesù ha compiuto con loro un’opera meravigliosa, proprio perché essi hanno rinunciato di pianificare personalmente la loro vita, l’hanno donata a Lui: hanno smesso cioè di decidere autonomamente, lasciando che fosse Lui a decidere per loro. In altre parole non si appartenevano più: erano sempre loro, all’esterno nulla era cambiato, ma dentro di loro tutto era cambiato.
Ecco: questo significa “donarsi” a Dio; questo significa “seguirlo”, lasciare che sia Lui a portarci là dove vuole portarci. Donarsi a Dio, seguirlo, non comporta sicuramente alcuna affermazione personale, non significa diventare qualcuno, ottenere cariche, onori, riconoscimenti; molto più semplicemente significa “abbandonarsi”, lasciarsi guidare, lasciarsi modificare, trasformare, ricostruire, riplasmare da Lui.
Quel “vieni e seguimi” detto da Gesù, equivale ad una reale proposta di felicità, di vita piena, di vita vera, un’offerta di incalcolabile valore: non è un invito a fare un giro turistico, una vacanza, a festeggiare; ma è l'invito ad impegnarci in qualcosa di molto serio, alla Sua “sequela”, alla Sua imitazione. Preghiamo allora per avere il coraggio di “andare”, di non rinunciare mai a vivere la Sua vita, ad essere come Lui ci chiede; preghiamo di non resistergli mai, ma di essere sempre pronti, come i discepoli, di lasciare tutto e diventare come loro pescatori di uomini. Amen.


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