mercoledì 20 marzo 2013

24 Marzo 2013 – Domenica delle Palme

«Passione di nostro Signore Gesù Cristo, secondo Luca» (Lc 23,1-49).
Ogni evangelista, nel raccontare la passione di Gesù, ci mostra di lui un volto diverso. È lo stesso racconto, ma ognuno ne sottolinea un suo punto di vista, una immagine “sua” di Gesù. Questo ci ricorda che i racconti della passione, oltre che verità storiche, sono esperienze, racconti con cui chi ha scritto voleva dirci chi era Gesù, secondo il suo punto di vista.

a) Per Marco Gesù è l'abbandonato. Tutti lo abbandonano, ma proprio tutti. I discepoli dal monte degli Ulivi in poi lo abbandonano: mentre Gesù prega si addormentano per ben tre volte; Pietro impreca e nega di conoscerlo, Giuda addirittura lo tradisce.
Tutti fuggono: uno perfino lascia lì la veste pur di allontanarsi da Gesù. Romani e Giudei sono cinici: lo lasciano appeso alla croce sei ore e durante tutto questo periodo lo prendono in giro e lo deridono. Perfino quando Gesù muore: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” lo deridono. Eppure il velo del tempio si squarcia e il centurione afferma: “Veramente quest'uomo era figlio di Dio”. Sono due segni chiari che attestano che, nonostante l'abbandono in cui Gesù è lasciato, Gesù non è un falso profeta.
La passione di Marco ci aiuta quando ci sentiamo soli, quando tutti ci sono contro, quando noi stessi crediamo di aver sbagliato tutto o di essere noi stessi sbagliati.
Guardiamo Gesù e lo vediamo amareggiato: perfino i suoi amici più cari, quelli più intimi, quelli con i quali aveva condiviso le gioie e le fatiche, quelli che avevano detto: “Noi, non ti abbandoneremo mai; noi ci saremo sempre per te; su di noi puoi contare”, perfino quelli adesso se ne sono andati.
Ma ciò che è più drammatico è che perfino il suo Dio non parla, è in silenzio, tace. Forse anche lui lo ha abbandonato? Forse Gesù ha davvero sbagliato tutto?
In certi momenti della vita ci capiterà di credere di aver sbagliato tutto. Ci capiterà di aver voglia di farla finita, di toglierci di mezzo; ci capiterà di sentirci soli, abbandonati e traditi. Ci capiterà di essere additati, ridicolizzati, presi in giro, beffeggiati e umiliati.
Eppure Gesù non si sbagliò. Guardando a Lui, che credette in ciò che aveva dentro al di là di tutto e di tutti, voglio credere in me e in ciò che abbiamo dentro. Guardando a Lui andiamo avanti.
Quando leggiamo il vangelo di Marco osserviamo cosa può produrre la paura nelle persone: le fa abbandonare, tradire, negare chi amano. Nessuno si schierò con Gesù; nessuno prese le sue parti, nessuno si espose. Tutti ritennero più opportuno rimanerne fuori, non impicciarsi, non cercarsi rogne. Magari lo amavano; magari lo sentivano veramente come la loro vita, ma la paura li portò a negare i loro sentimenti d'amore.

b) Matteo, che in parte ricalca Marco, si pone una grande domanda: chi è il colpevole della morte di Gesù?
Per Matteo tutti contribuiscono a loro modo alla morte del Signore. Tutti ne hanno una parte: chi direttamente, chi indirettamente; chi agendo, chi non agendo.
Giuda? Giuda s'impicca perché si rende conto di essere stato un burattino in mano ai sommi sacerdoti. Giuda è nient'altro che una piccola pedina di uno scacchiere molto più grande. È un fantoccio che per denaro, per opportunità, vende il Signore e tutto sommato se stesso. Poi schiacciato dal senso di colpa, non regge e si uccide.
Giuda sono tutti quegli uomini che vendono ciò che hanno di più bello alla causa del lavoro, del denaro e dei soldi. Lavorano sempre, fanno orari impossibili, perché così “otterranno”. Ma non si accorgono che in questo modo stanno vendendo l'anima; non si accorgono che mettono sempre qualcos'altro prima dello spirito e dell'anima. Poi un giorno si svegliano e si accorgono di essere vuoti, insoddisfatti, senza niente, e si lasciano andare alla deriva, come se fossero già morti.
Pietro? Pietro è l'uomo del grande entusiasmo: “Io non ti rinnegherò mai”. Pietro fa grandi proclami, che poi si sciolgono come neve al sole e per ben tre volte tradirà il suo maestro e amico. Pietro, sono tutti coloro che non si conoscono, ma che credono di spaccare il mondo. Fanno grandi proclami, si augurano amore eterno, si giurano che saranno sempre fedeli e ne sono convinti. Ma in loro o c'è tanta innocenza o troppa presunzione o semplicemente tanta ignoranza: non si conoscono. Non conosco le esigenze e le difficoltà della fedeltà.
Pilato? Pilato se ne lava le mani e con questo gesto crede di tirarsi fuori, di essere esente da responsabilità. La sua stessa moglie lo aveva pregato di non avere a che fare con quell'uomo. Pilato, sono tutti quelli che dicono: “Io non c'entro”, e si credono a posto, si sentono tranquilli. Se c'è un problema, ma non mi riguarda direttamente, meglio lavarsene la mani. Se c'è chi soffre cosa c'entro io? Che ci pensino quelli delegati e preposti a questo!
E la folla? La folla è “il popolo bue” che si lascia condizionare dall'ultima moda e dalle tendenze. I sacerdoti e gli anziani la persuadono ad urlare: “Barabba”. E così quando Pilato chiede: “Chi dei due volete che vi rilasci?”, la folla in maniera imbecille e inconsapevole urla: “Barabba!”. La folla rappresenta tutte le persone che si lasciano condizionare, influenzare. Sono tutti quelli che non hanno un pensiero proprio, che vivono di frasi fatte, preconfezionate o di quello che sentono dire in giro. Sono quelli che non riescono a difendere una posizione o un'idea. Sono tutte quelle persone che credono ingenuamente che tutto il mondo sia Amici, il Grande Fratello, Uomini e donne ecc. Sono tutte quelle persone che corrono dietro all'ultima moda o all'ultimo prodotto.
La folla non ha personalità: vive solo come insieme, ma non come singolo. Nessuno di loro è il diretto responsabile della morte di Gesù, eppure proprio loro lo hanno condannato a morte. Matteo attraverso i suoi personaggi dice: “Siete tutti colpevoli, direttamente o no, perché tutti per paura o per interesse l'avete tradito e non avete preso le sue parti”.

c) Luca mostra invece Gesù come colui che perdona tutti.
Luca attenua le responsabilità dei vari personaggi: i discepoli sono rimasti fedeli a Gesù nelle prove; nel Getsemani si addormentano solo una volta e non tre ed è un sonno di tristezza; i nemici non presentano falsi testimoni come negli altri vangeli; Pilato per ben tre volte tenta di liberarlo perché è innocente; il popolo è addolorato per ciò che succede e perfino uno dei due ladroni è buono.
In Luca Gesù si preoccupa di tutti: guarisce l'orecchio del servo durante l'arresto, si preoccupa per la sorte delle donne mentre sale sul Calvario, perdona i suoi crocifissori e promette il paradiso al ladrone pentito. Gesù in Luca è colui che capisce i suoi nemici: fanno così perché vivono nel buio e nelle tenebre, altrimenti non potrebbero agire così.
Questo vale sempre: la gente è cattiva non perché sia cattiva, ma perché dentro è arrabbiata; la gente è nervosa, suscettibile, perché dentro è inquieta e non riesce a dar voce ai turbamenti interni; la gente giudica perché non conosce la misericordia con sé, non conosce la tenerezza, non conosce l'amore; la gente disprezza gli altri e umilia perché non sa andare dentro il cuore degli uomini.
Gesù li perdona non perché sia giusto ciò che fanno. Gesù li perdona perché sono ciechi, non ci vedono, scambiano il male per il bene e il bene per il male; credono di essere religiosi e invece sono atei; credono di rendere omaggio a Dio e uccidono suo Figlio; credono nelle regole perché non hanno coscienza; credono di sapere e vivono nell'ignoranza totale.
Quanta gente vive così! Credono di essere liberi e, invece, sono così condizionati che neppure se ne accorgono. Credono di essere i padroni della loro vita e invece sono seduti su di un treno. Dicono: “Io faccio la mia vita”, e non si accorgono che è il treno che li porta. Credono di conoscersi, ma non sanno dire cosa sono; credono di conoscere Dio perché hanno letto qualche libro o visto qualche documentario o trasmissione, per cui basta un libro di Dan Brown per metterli in confusione. Dio li perdonerà un giorno. Ma nessuno si giustifichi perché l'ignoranza (soprattutto quella “vestita” da sapere) uccide, distrugge, umilia e compie le peggiori atrocità.

d) Per Giovanni, invece, Gesù è l'uomo consapevole che va incontro volontariamente al suo destino. Anche se viene giustiziato in realtà è Lui il vero re.
È sovrano di se stesso e lancia una sfida: “Io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie”.
I soldati romani e le guardie del tempio che vanno ad arrestare Gesù cadono a terra tramortiti quando Gesù dice la frase: “Sono io”. Nel Getsemani Gesù non prega di essere liberato dall'ora della prova e della morte, come negli altri vangeli, perché quell'ora costituisce lo scopo di tutta la sua vita. Gesù è così sicuro di sé che il sommo sacerdote si sente offeso. Pilato ha paura di fronte al Figlio di Dio che gli dice: “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse dato dall'alto”. Giovanni non parla di Simone il Cireneo: è Gesù stesso che porta la propria croce. La sua regalità è confermata in tre lingue. Gesù non è solo, perché con lui, ai piedi della croce, c'è sua madre e il discepolo che egli amava. Gesù non grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”, perché il Padre è sempre con lui; le sue ultime parole esprimono, invece, una decisione solenne: “Tutto è compiuto”. Perfino la sua morte è fonte di vita perché da lui sgorga acqua viva. La sua sepoltura non è improvvisata, come negli altri vangeli; grazie a Nicodemo, il corpo è cosparso di cento libbre di mirra e aloe, come si conviene ad un re.
Il Gesù di Giovanni è l'uomo che è pienamente consapevole di ciò che succede. Per questo è il vero re. È il vero re perché è lui che domina la scena, è lui che “vuole” la sua morte. Non che Gesù voglia morire, ma non si vuole sottrarre alla fedeltà di ciò che crede e di ciò che sente. Per questo va fino in fondo, con grande dignità e regalità.
Il Gesù di Giovanni smaschera i falsi re di questo mondo: i politici, i calciatori, i potenti, gli uomini di successo, le attricette. Come Pilato e i sommi sacerdoti, credono di gestire e di dominare il mondo. Si sentono forti e chissà chi. Ma la vera regalità non è mai legata a ciò che fai o a ciò che hai; la vera regalità è legata alla persona che sei. Regalità è lottare per ciò che si crede e rimanere fedeli a ciò che si dice di credere. Regalità è andare fino in fondo e pagare di persona.
Perché quattro storie della passione? Non c'è stata un'unica passione?
Certo, ma ciascun evangelista ha “visto” con i propri occhi quanto accaduto e tutto questo ha parlato al cuore di ognuno in maniera diversa. Come succede anche a noi.

Anche quest'anno ci accostiamo alla lettura della passione: non siamo gli stessi dell'anno scorso, né saremo così l'anno prossimo. Quest'anno la passione ci parlerà in maniera diversa, quest'anno ci identificheremo di più in un personaggio piuttosto che in un altro; quest'anno emergerà più forte un sentimento piuttosto che un altro.
In silenzio, nel silenzio del nostro cuore, leggiamo e ascoltiamoci.
In silenzio, nel silenzio di chi sa di trovarsi di fronte alla vicenda del Figlio di Dio, ma anche alla vicenda di ogni uomo, lasciamo che queste parole ci entrino nell'anima.
In silenzio, nel silenzio della nostra anima, leggiamo questa vicenda e cerchiamo di capire dove noi siamo esattamente. Amen.
 

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