mercoledì 22 aprile 2009

26 Aprile 2009 - III Domenica di Pasqua

Dopo l'apparizione alle donne, quel mattino del primo giorno dopo il sabato, dopo che Pietro, incredulo, si era recato al sepolcro e, trovatolo vuoto, " tornò a casa pieno di stupore", ecco che Gesù affianca, nel loro cammino verso Emmaus, due discepoli, dei quali il Vangelo non dà l'identità, sappiamo, però, quanto fossero sgomenti e delusi, se l'autore del testo, mette sulle loro labbra queste parole: "noi speravamo che fosse lui il liberatore di Israele; ma son passati tre giorni...alcune donne ci hanno sconvolti...sono venute a dirci di aver avuto una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo...alcuni dei nostri sono andati al sepolcro, ma lui non l'hanno visto..." Un racconto stupendo, questo di Emmaus, un'esperienza nella quale quasi tutti ci siamo trovati, o, di fatto, ancora, per certi versi, ci troviamo, dato che la Presenza del Risorto, non è necessariamente visibile o tangibile, come qualunque altra presenza umana, fisicamente situata nel nostro orizzonte storico. "...ma Lui non l' hanno visto.."; quella di Cristo risorto, infatti, è una presenza di Grazia, di fede, ed è intelligibile, soltanto da un cuore, illuminato e fedele. Conosciamo tutti il racconto di Emmaus, sappiamo come bruciasse il cuore dei due discepoli, mentre il misterioso compagno di viaggio, spiegava le Scritture, e sappiamo, anche, quel che accadde alla locanda, quando, accingendosi a consumare la cena, "i loro occhi si aprirono e lo riconobbero", mentre l' Ospite, spezzava il pane, dopo aver detto la benedizione. In quello stesso momento, il Signore si sottrasse alla loro vista: il dono del Risorto aveva raggiunto il cuore dei discepoli, la luce della fede si era accesa, e si era riaccesa la speranza e l'amore, quell'amore che li ricondusse, poi, in fretta a Gerusalemme dagli apostoli, ai quali riferire l'evento: avevano riconosciuto il Signore Risorto alla frazione del Pane, avevano percorso un tratto di strada con Lui, avevano accolto nella mente, ormai illuminata, il senso delle Scritture, che convergono verso Cristo, unico Signore della Storia e unico Salvatore. Ora, nel cenacolo, ove si trovano gli Undici, che ascoltano i due rientrati da Emmaus, Cristo appare nuovamente, e questa sua apparizione è come il sigillo, che autentica quel racconto che aveva lasciato i discepoli, quasi sicuramente, scettici, se, di fronte all'improvvisa presenza del Cristo, rimasero ".. stupiti e spaventati, e credevano di vedere un fantasma." Il Signore risorto non è un fantasma, ed Egli stesso lo sottolinea: "Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho "; e Luca aggiunge quel particolare, così concreto, corposo e, al tempo stesso, tenero, della richiesta di cibo da parte del Maestro, quel pesce, che Egli mangiò arrostito. Una scena stupenda, calda e familiare, un tocco di delicatezza infinita, per quelle povere menti stordite dagli eventi, e per le nostre povere menti, che ancora vacillano, davanti alla grandezza sconfinata della Vita che ha vinto la morte. La Pasqua di Cristo, la sua Resurrezione, è la celebrazione della Vita, la rivelazione piena del mistero di Dio incarnato in Gesù di Nazareth, e del mistero dell'uomo, a Lui indissolubilmente legato, e per Lui destinato anch'egli a vincere la morte; è la grazia della Redenzione. La nostra pienezza di vita in Cristo è dono della Pasqua; la Liturgia eucaristica di questa domenica la offre, ancora una volta, alla nostra contemplazione, per la nostra gioia, per una pace da gustare e vivere in profondità di fede, in modo tale che diventiamo capaci di comunicare e testimoniare questi stessi doni agli altri. Nel nostro oggi, nella storia presente, in quel piccolo segmento di storia, che ognuno scrive, deve esser reso presente Cristo, con i segni della Passione e lo splendore della Resurrezione, il Cristo che la Chiesa incessantemente annuncia. Non è un discorso di sole parole, ma la testimonianza di un'esistenza, che sa, quanto grande sia stato il prezzo della redenzione: la Croce di Cristo, che la Scrittura ci ricorda e che ritroviamo nel Pane spezzato e nel calice del Sangue sparso. I segni della Passione, lo strazio della croce, neppure la gioia della Pasqua può cancellarli, è con essi che Cristo si presenta e si fa riconoscere: i segni del dolore sono anche i segni della gloria del Cristo, i segni dell'amore infinito di Dio per ogni uomo. A questo riguardo, il Papa Giovanni Paolo II, nella Enciclica "Dives in Misericordia", scriveva: "La croce è il più profondo chinarsi della divinità sull'uomo e su ciò che l'uomo chiama il suo infelice destino. La croce è come un tocco dell'eterno amore, sulle ferite più dolorose dell'esistenza terrena dell'uomo, è il compimento, sino alla fine, del programma messianico che Cristo formulò una volta, nella sinagoga di Nazareth: «Il Signore mi ha mandato a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vita, a predicare un anno di grazia del Signore...» (Lc 4, 18 19). La dimensione divina della redenzione, non si attua soltanto nel far giustizia del peccato, ma nel restituire all'amore, quella forza creativa nell'uomo, grazie alla quale, egli ha nuovamente accesso alla pienezza di vita e di santità che proviene da Dio " La celebrazione della Pasqua, questo lungo Tempo liturgico, che ci conduce nelle profondità Mistero, per esserne illuminati e rivitalizzanti, deve farci avvertire, con maggiore intensità e gioia crescente, la vocazione alla santità, quella santità quotidiana, che è esperienza viva e profonda della comunione col Padre, nel Figlio, e nello Spirito, esperienza della Presenza viva, da adorare, da amare e da proclamare ogni giorno, per condurre altri alla medesima comunione.

giovedì 9 aprile 2009

12 Aprile 2009 - Pasqua di Risurrezione del Signore

"Perché cercate tra i morti colui che è vivo?". L'angelo resta stupefatto della lentezza delle donne. Certo, lui, l'angelo, ormai contempla da vicino il mistero della vita. Ma noi... ma noi increduli, noi sconfitti, noi incostanti, come facciamo a credere? Eppure la notizia è qui, l'inizio di tutto è qui: la fede, la speranza, l'entusiasmo, la storia, la vita... Se ci si fosse fermati alla Croce, al venerdì, noi, come gli apostoli sgomenti, avremmo potuto fare mille considerazioni: sul fallimento, sulla speranza delusa, su come gli idealisti vengano sistematicamente eliminati da un potere becero, su, su, su... Bene dicono i discepoli di Emmaus, rientrando a casa da Gerusalemme: "Noi speravamo che fosse lui". Noi speravamo: terribile affermazione. Fine del sogno, fine delle belle parole, fine dell'euforia dei bei giorni. Se la nostra fede si fermasse a quella croce ci sarebbe ben poco da dire su Gesù di Nazareth. Nulla da dire su Gesù il Cristo. Se la storia si fosse conclusa a quel drammatico pomeriggio al Golgota, Gesù, come Gandhi o altri grandi personaggi, sarebbe rimasto un punto di riferimento morale, certo, ma nulla più. E invece nessuno, proprio nessuno aveva messo in conto lo stile di Dio, il suo piano strategico, la sua mossa finale, lo scacco matto alla solitudine e alla morte. Sicuramente, piazzata la pietra davanti al sepolcro, tutti, Pilato, il Sinedrio, la folla, i discepoli, avranno pensato ad una triste fine di uno dei tanti profeti che attraversano l'umanità periodicamente. Ma quella pietra non è riuscita a fermare Dio, quel sepolcro è rimasto ed è straordinariamente e inequivocabilmente vuoto. La morte non è riuscita a tenere tra le proprie braccia Dio. La tomba non è riuscita a contenere la sua forza, la sua strepitosa vitalità, la sua totale pienezza. È risorto, fratelli. Gesù è vivo, qui ora. Gesù non è morto, non è rimasto chiuso nel sepolcro. No: è vivo, è qui; è ovunque. E quindi (mi vedo la lenta ma inesorabile speranza che nasce nel cuore degli apostoli) se è risorto significa che davvero era il Cristo, che addirittura era il Figlio, che inauditamente è Dio. E allora si rileggono quegli anni, i gesti, le parole, le scoperte, tutto, tutto ora viene capito, tutto, grazie al primo dono ai credenti, lo Spirito. La smorfia di dolore si trasforma splendidamente in sorriso, in gioia, in annuncio. Ve li vedete questi undici sconfitti, pavidi, terrorizzati di fare la stessa fine del Maestro, venire sconvolti dentro, correre, precipitarsi a perdifiato lungo le mura della città, su fino al Golgota e lì a fianco, nel giardino, vedere delle bende, e credere. Capiamo che se questa è la straordinaria originalità del cristianesimo, da sempre gli scettici, gli increduli, abbiano cercato in tutti i modi di sconfessare questa professione di fede: ma no, che dite, non è risorto, si sarà ripreso da una morte apparente, l'avranno portato via i discepoli, o, che so, si sarà reincarnato! Poveri uomini, povera meschinità umana che stenta a credere che Dio sia padrone della vita, che Cristo abbiamo spalancato le paratie della gioia così da precipitare questa notizia lungo i secoli della storia. Gesù è vivo, amici, che ci piaccia o no, che ci crediamo o no, che ce ne accorgiamo o no. E' vivo: è incontenibile la sua vita, è straripante la sua forza. Non ci chiede permesso per amarci, non aspetta le nostre lentezze e le nostre obiezioni per esistere. Questa è la nostra fede, questa è la fede che i cristiani, a volte timidamente, a volte con lo splendore della santità, hanno professato.
Celebratela, dunque questa presenza, festeggiate, dunque questa notizia, non cercate tra i morti colui che vive!

giovedì 2 aprile 2009

5 Aprile 2009 - Domenica delle Palme

La settimana che oggi iniziamo, così grande, così importante da essere chiamata "santa", è il gioiello dell'anno liturgico, una perla troppo spesso dimenticata da noi cristiani, a vantaggio di feste forse più sentimentali ma intrise di tanto consumismo, come le feste di Natale.
Qui no. Un morto in croce non si vende, non suscita sentimenti di bontà.
Anzi: se ne parla poco e male di questo Dio che sale su di una croce e muore.
Ancora oggi ci rimane difficile da capire il mistero di una tomba vuota e del significato profondo della parola "resurrezione". Difficile al punto che la Chiesa si ferma stupita a meditare per tutta la settimana sulla grandezza dell'amore di Dio.
Allora fermiamoci anche noi, giorno per giorno, ora per ora, regoliamo i nostri orologi e il nostro tempo a questi momenti cruciali per la storia dell'umanità.
Ammiriamo, in silenzio, il vero volto di Dio, un Dio che si prepara a morire: Cristo celebra la sua presenza nell'ultima Pasqua, la nuova; viene arrestato, condannato, ucciso, sepolto, vive.
In questa preziosa settimana, qualunque cosa faremo, in ufficio, a scuola, a casa, potremo fermarci, socchiudere gli occhi e pensare a Cristo, ai suoi sentimenti, alla sua angoscia, alla sua bruciante passione, al suo desiderio.
Ora per ora assisteremo, con gli occhi della fede, allo spettacolo di un Dio che muore per amore.
Ironia dell'incoerenza umana: nel volgere di pochi giorni le stesse voci, le stesse braccia, non più con le palme aperte verso il cielo, ma con i pugni serrati, trasformeranno la loro gioia per il Messia, in una invocazione terrificante, in un agghiacciante sete di morte, "Crocifiggilo!".
Quanto è sciocco l’uomo! come sciocchi e tardi nel credere siamo anche noi, che ancora non ci rendiamo conto del tesoro che abbiamo tra le mani, disposti anche noi a trasformare velocemente con il nostro comportamento la preghiera di benedizione in grido di “morte”!
Eppure da quella croce pende il destino dell'uomo, con quel sangue è firmato il patto dell'Amicizia eterna di Dio, in quel pane è conservato il Cuore di Colui che desidera ardentemente di mangiare la Pasqua con noi.
Ma che razza di Re era Gesù?
Un re da burla che entra a Gerusalemme cavalcando un asinello e non un cavallo bianco, un re oltraggiato e preso in giro da annoiati soldati romani, un re senza armate, senza potere, senza rabbia, senza delirio di onnipotenza. Un re nudo, appeso ad una croce, cinto da una corona di spine; un re talmente sconvolto da avere necessità di un cartello che lo identifichi, che lo renda riconoscibile almeno alle persone che l'hanno amato.
Ecco: questa è la non festa che celebriamo in questa settimana: una festa che abbandona i trionfalismi, per lasciare spazio alla meditazione, allo stupore.
Questo è il nostro re, discepoli del Nazareno. Questo è il nostro Dio.
Un Dio che rischia, un Dio che – per amore – accetta di farsi spazzare via dall'odio e dalla violenza; un Dio che rischia tutto, anche di essere per sempre dimenticato, pur di mostrare il suo vero volto.
Un Dio che accetta di restare nudo, cioè leggibile, incontrabile, osteso, palese, evidente, perché ogni uomo la smetta di costruirsi improbabili devozioni, scure e distorte visioni di un Dio personale!
Questo è dunque il nostro Dio: un Dio amante, un Dio ferito, un Dio che fa dell'amore l'unica misura, l'ultima ragione, la sola speranza. Amen