tag:blogger.com,1999:blog-9413294851847198372024-03-16T19:52:49.419+01:00"HABITARE SECUM"MEDITANDO LA "PAROLA" DELLA DOMENICAMariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.comBlogger806125tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-52034066001149012482024-03-14T07:57:00.001+01:002024-03-14T07:57:19.563+01:0017 Marzo 2024 – V DOMENICA DI QUARESIMA<p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial;"><b><span style="font-size: 12.0pt;"></span></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAxTyHRKx3ZlA8m4z2SLVhobZECOXaC9dOA_5eizp1jP55XmFp9aCAqydeOzi-eDLKYX0Z3BUK91J8x3mex1LEl0dXqFNg88UgZke5KKa3yNXUnUiLJWSqP9NJ18KcjM2l3ySsFXOqYZttT8yM_2raAeUmP-e0oTEi3XT9pneMAHsADS5QbxJBHnyvpX4/s673/pngtree-jesus-with-long-hair-looking-directly-toward-the-camera-picture-image_3183828.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="673" data-original-width="599" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiAxTyHRKx3ZlA8m4z2SLVhobZECOXaC9dOA_5eizp1jP55XmFp9aCAqydeOzi-eDLKYX0Z3BUK91J8x3mex1LEl0dXqFNg88UgZke5KKa3yNXUnUiLJWSqP9NJ18KcjM2l3ySsFXOqYZttT8yM_2raAeUmP-e0oTEi3XT9pneMAHsADS5QbxJBHnyvpX4/s320/pngtree-jesus-with-long-hair-looking-directly-toward-the-camera-picture-image_3183828.jpg" width="285" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Gv 12, 20-33 <br /></b><i><span style="font-size: 12.0pt;">In quel tempo, tra quelli
che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci.
Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e gli
domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e
poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta
l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico:
se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece
muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la
propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole
servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve
me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre,
salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre,
glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo
glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era
stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa
voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il
principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da
terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva
morire.</span></i><span style="font-size: 12pt;"> </span></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Il vangelo di oggi ci
introduce nel mistero della vita. Giunto a Gerusalemme, Gesù si trova in una
situazione estremamente critica: deve decidere se tornare in Galilea o rimanere
e andare avanti fino in fondo. Finché predicava nel territorio al nord aveva
avuto sempre compito facile con i suoi avversari: la Galilea distava da
Gerusalemme 15 giorni circa di cammino, e Lui sapeva che rimanendo in quella
regione lontana, la sua vita non sarebbe mai stata in serio pericolo.<br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ora però le cose sono cambiate:
capisce che il suo momento è arrivato e deve decidere cosa fare: e Lui senza
esitazioni, ma con fare risoluto (</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">tò pròsopon estèrisen, indurì il suo volto:
Lc 9,51</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">) sceglie Gerusalemme, pur sapendo che continuare la sua missione
nel Tempio, nella città “santa”, centro della religione e del potere, significava
sottoscrivere la propria fine.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La vita pone tutti, ogni
giorno, di fronte a situazioni difficili: e anche noi, come Gesù, dobbiamo affrontare
scelte obbligatorie, che non offrono alternative, che vanno fatte necessariamente,
anche se dolorose, senza possibilità di ritorno; scelte in cui siamo chiamati a
dare un senso alla nostra vita, a darle con decisione una forma, a modellarla,
perché anche per noi, è “giunta l’ora”, come scrive Giovanni, di “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">glorificare</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”
Gesù: attenzione però, perché il verbo, </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“doxàzo”, </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">che in greco significa
“</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">onorare, rendere gloria, glorificare</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”, nel testo giovanneo, perde
quella venatura esteriore, un po’ superficiale, tipica del lodare,
dell’osannare dell’elogiare una certa persona; qui acquista un significato particolare
che dice: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">rendere visibile la presenza di Dio”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, quindi un significato più
impegnativo, più difficile, in quanto coinvolge soprattutto la nostra esistenza,
il nostro comportamento, le nostre opere: in pratica, ci avverte che “è
arrivato il momento di </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“rendere evidente, visibile, trasparente,</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">nella
nostra persona</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">nella nostra vita</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">la presenza di Dio</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">,
rendendolo l’ispiratore unico, il motivo determinante delle nostre scelte. È esattamente
in questo senso che Gesù </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">glorifica</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> il Padre: infatti nessuno mai, più di
Lui, ha “reso visibile” la presenza di Dio nella sua persona: tutto il suo operare,
il suo vivere, il suo insegnare, è sempre in perfetta sintonia con il Padre;
l’occasione “culmine” poi di questo </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">glorificare, </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">avviene nella sua
passione: è infatti sul patibolo della croce che Gesù “documenta” al mondo la
sua “unione inscindibile” col Padre e la sua volontà, accettando di bere fino
in fondo il calice della sua morte sacrificale; è infine nelle mani del Padre,
che il Egli affida il suo spirito: gesto, di incalcolabile valore per noi, che
li accomuna nel riversare dall’alto della croce il loro infinito amore
sull’intera umanità.<br /></span><a name="_Hlk66986286" style="font-family: arial;"><i><span style="font-size: 12.0pt;">“Se
il chicco di grano </span></i></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">(in ebraico<i> <b>bar</b></i>)<i>, caduto in terra,
non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. </i></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Poiché la parola “bar”, in ebraico, oltre che “chicco
di grano”, significa anche “figlio”, è molto probabile che nel pronunciare
queste parole, Gesù stia alludendo alla sua persona; Egli infatti sa
perfettamente che quel “chicco di grano”, quel “bar”, quel Figlio che doveva
“morire” per portare “molto frutto”, era Lui, solo Lui! In questo senso,
riusciamo a capire meglio un Gesù che, giorno dopo giorno, accetta questa sua
inevitabile e dolorosissima missione mortale; riusciamo anche a immaginarlo, in
qualche momento, assalito dall’angoscia, dallo sgomento, scoraggiato,
sfiduciato: l’uomo Gesù, come noi tutti, odia la morte, non vorrebbe morire:
“Padre mio se è possibile, passi da me questo calice”; tuttavia, mai, neppure
per un istante, egli ha pensato di potersi sottrarre al volere del Padre, alla
sua missione: “Però non come voglio io, ma come vuoi tu” (Mt 26,39). Egli
conosce bene la sua missione: sa di essere la vittima di espiazione, sa di
dover pagare sulla croce il riscatto dell’intera umanità, per restituirle la
sua originale dignità.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ci rendiamo conto, allora,
che proprio per questo, abbiamo contratto con Lui un debito incalcolabile di
riconoscenza? Ebbene: c’è un solo modo per cercare di ridurlo: “glorificare”
Dio; rendere cioè visibile la “presenza di Dio in noi”, fare cioè in modo che
il “seme” della Parola e dello Spirito che Dio ha immesso in noi, e che noi
dobbiamo far “morire”, diventino nella nostra vita, “riconoscibili, evidenti”;
siano cioè determinanti per la nostra “crescita” spirituale e umana, e ci
trasformino in testimoni viventi di Gesù e del suo vangelo.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È chiaro che per poter
giungere a ciò, dobbiamo liberarci di molta zavorra: dobbiamo modificare le
nostre priorità, avere il coraggio di fare i conti con la vita; dobbiamo cioè
affrontare le contrarietà, le delusioni, le sofferenze, le sconfitte. Ma soprattutto
dobbiamo far morire il nostro io esibizionista, il nostro narcisismo, il nostro
egoismo: perché solo così lo Spirito ci trasformerà in Vita vera, e potremo
“glorificare” Dio, testimoniandolo al mondo intero. Solo così potremo umilmente
considerarci una piccola, infinitesimale cellula feconda e produttiva di
quell’Amore, “donato all’infinito”, che noi chiamiamo Dio. Amen.</span></p>
<p><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"> </span> </span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-8258007852447082622024-03-07T07:52:00.000+01:002024-03-07T07:52:06.824+01:0010 Marzo 2024 – IV DOMENICA DI QUARESIMA<p><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_KeKJuDW0AAmXKaVdN5KmbHknwuQmtb8JGqliI-VxE25gG25rrb5QsBwRGkg345Kf76XXbGucXlDm0sz1GP4nY03oixNIr-AtZWDpzmkhlbJkK0fIpQS8KkoRzWbIsb5mKtl5xi9X_j5vDqXXLVt4-jX42FNfb8t-tlYKt80qH5lZrlUNN_L-o-pDqOc/s800/gesu-e-nicodemo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="751" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_KeKJuDW0AAmXKaVdN5KmbHknwuQmtb8JGqliI-VxE25gG25rrb5QsBwRGkg345Kf76XXbGucXlDm0sz1GP4nY03oixNIr-AtZWDpzmkhlbJkK0fIpQS8KkoRzWbIsb5mKtl5xi9X_j5vDqXXLVt4-jX42FNfb8t-tlYKt80qH5lZrlUNN_L-o-pDqOc/s320/gesu-e-nicodemo.jpg" width="300" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Gv 3, 14-21 <br /></b><i><span style="font-size: 12.0pt;">In quel tempo, <a name="_Hlk66092833">Gesù disse a Nicodemo</a>: «Come Mosè innalzò il serpente
nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché
chiunque crede in lui abbia la vita eterna. </span></i><i><span style="font-size: 12.0pt;">Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque
crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha
mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia
salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è
già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di
Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno
amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque
infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non
vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia
chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».</span></i></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;">Il brano del vangelo di oggi,
lezione di alta teologia, è inserito nel lungo colloquio intrattenuto da Gesù
con un uomo di nome </span><a name="_Hlk66290332" style="font-size: 12pt;">Nicodemo, un fariseo “capo dei
Giudei”, personaggio importante dell’aristocrazia sacerdotale, profondo
conoscitore della Bibbia, della religione: insomma un saggio del tempo, un
maestro della Legge, un “pozzo di scienza”, diremmo noi oggi: un uomo però che
in cuor suo sente la mancanza di “qualcosa”, percepisce che esiste qualcosa di
più grande, di “oltre”, che supera i limiti del suo sapere. <br /></a></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Nicodemo </span><a name="_Hlk66290863" style="font-family: arial; font-size: 12pt;">è un uomo che non si accontenta, egli vuole capire,
soprattutto vuole vivere questo “di più”. Per questo decide di incontrare Gesù.
E Gesù gli fa una proposta nuova, imprevedibile, impensabile, umanamente
inattuabile: gli dice sostanzialmente che deve “rinascere”</a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">; in pratica:
“Quella che tu chiami vita, io la chiamo morte, un non-vivere. Se tu abbandoni
questo tuo modo di vivere, di pensare, di rapportarti, io ti farò vedere cos’è
la vita vera, quella eterna, quella che non finirà mai, quella che ti riempirà,
ti sazierà, ti renderà veramente, perfettamente felice”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Concetti difficilmente
comprensibili per il povero Nicodemo: ma lo sono, anche e soprattutto, per noi,
in questa società smaccatamente materialista: la richiesta di lasciare tutto,
di abbandonare la realtà, il corporeo, il tangibile, il verificabile; di scegliere
l’incorporeo, l’immateriale, il puramente spirituale, l’invisibile; di lasciare
il certo per l’incerto, il noto per l’ignoto, sono tutte categorie misteriose,
che incutono timore, che ci lasciano profondamente perplessi: seguirle
fidandosi ciecamente, rivoluzionando radicalmente l’esistenza, richiede una
forza, una convinzione, una fede difficilmente riscontrabile ieri e ancor più
oggi.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma Gesù era così, duemila
anni fa, come nel presente. Gesù è un uomo che fa sempre proposte sconvolgenti,
che va contro tutti gli schemi, le convenzioni e le abitudini. Gesù apre
orizzonti nuovi e impensati. Egli è davvero affascinante, attraente, perché ci
presenta un modo di vivere estremo, meraviglioso, da “ci manca il fiato” tanto
è intenso. Gesù è per le anime grandi, mal si concilia con chi ama il quieto
vivere, il tran-tran quotidiano, il piccolo cabotaggio: abbiamo a disposizione
infiniti esempi nelle vite dei santi, degli apostoli, dei martiri. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Nessuno di noi ha scelto di
entrare in questo mondo; il primo atto della nostra vita, le condizioni
materiali in cui essa è avvenuta, non sono dipesi da noi, non abbiamo avuto
possibilità di scelta. Ci è stata donata una vita, è vero, ma non è questa la “nostra”
vera vita.<br /></span><a name="_Hlk66290781"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">La
nostra vera esistenza coincide con la nostra “rinascita”: perché “rinascere”
significa “scegliere personalmente di vivere”: non ci basta più che altri ci
abbiano messo al mondo, ma siamo noi che ora, in questo mondo, decidiamo di “vivere
da protagonisti”; significa: “Ci sono e voglio esserci”, ma voglio “ripartorirmi”
come dico io: la prima volta l’ha fatto nostra madre, ma questa volta vogliamo
farlo noi; siamo noi che vogliamo esistere: da “ex-sistere”, “venir fuori”
“distinguersi”, emergere dalla massa, dal nulla; significa lasciare un segno in
questo mondo, essere felici di aiutare chi non lo è, vivere in maniera
appassionata. <br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Tutti dicono di vivere: ma la loro non è vita, è un
sopravvivere; solo i “rinati” nello Spirito, i rinati “dall’alto” vivono
realmente: perché lo fanno in una prospettiva spirituale, immortale, in una
prospettiva più alta, più ampia, seguendo le ispirazioni dello Spirito.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Se non viviamo in questa prospettiva, rimaniamo
radicati nella materialità di questo mondo; rischiamo di vivere unicamente per
il denaro, per il successo, per il lavoro, per la carriera, per il
divertimento: rischiamo cioè di trasformare tutte queste “suppellettili
coreografiche” in colonne portanti della vita, di renderle nostro unico scopo
di vita.<br /></span><a name="_Hlk160275697"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Noi
invece dobbiamo sempre aver presente chi siamo realmente (figli di Dio), da
dove veniamo (dall’Alto) e dove dobbiamo andare (nell’Amore di Dio): Dio non ci
ha affidati ad un inesistente destino, non ci ha abbandonati a noi stessi, ma a
ciascuno di noi ha assegnato un progetto ben preciso, unico, personale: una
vita da vivere, da costruire, da realizzare.<br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Controlliamo allora, ogni
tanto, il nostro </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">work in progress</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, l’avanzamento-lavori della nostra
“rinascita”; controlliamo attentamente cioè se la nostra vita si sviluppa nel
rispetto del progetto divino.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Chi crede in lui non è
condannato”, </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">ci ricorda Giovanni: dove “credere”, per lui, significa “fare
luce”, “portare luce” là dove regnano le tenebre, dove il peccato domina, dove
esistono situazioni che odiano la “Luce”. Chi rifiuta la verità, chi non
accetta di conoscere sé stesso, chi non vuole vivere la Vita, praticamente
rifiuta la Luce e si condanna da solo.<br /></span><a name="_Hlk160689298"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Distogliamo
allora il nostro sguardo da terra; alziamo finalmente gli occhi al cielo:
purtroppo noi abbiamo lo sguardo puntato continuamente sul basso, non ci
accordiamo della realtà meravigliosa che ci indica il cielo; abbiamo una
visione delle situazioni, bassa, ristretta, limitata, terrena, superficiale.
Siamo talmente presi dai nostri stupidi problemi, dai nostri piccoli fastidi
personali, che non sappiamo far altro che girare a vuoto intorno a noi stessi.<br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Guardiamo in alto, invece! Lasciamo da parte le nostre
banalità (come mi vesto, cosa mangio, la marca del nuovo telefonino, che
televisore, che computer, che auto mi devo comprare…), non angosciamoci, per
simili stupidaggini. Vale la pena rovinarci la vita per simili banalità
provvisorie? Guardiamo lassù.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Soprattutto quando ci sentiamo angosciati, soli,
depressi, finiti, quando intorno a noi tutto sembra precipitare nel nulla di
una vita insensata, alziamo gli occhi, guardiamo in alto!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Rivolgiamoci con fiducia a
Gesù, che dall’alto della croce, ci consola, ci assicura la sua protezione, il
suo amore; fissiamo il nostro sguardo su quel cuore pieno di misericordia e di
bontà, che continua a sanguinare per causa nostra; soprattutto abbandoniamoci
al suo amore: buttiamoci tra le braccia ferite, ma sempre spalancate e
accoglienti, della Vita e dell’Amore: é questo il nostro unico rifugio sicuro;
è questa l’unica possibilità che abbiamo per difenderci dai morsi velenosi e
mortali dell’antico serpente. Amen. </span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> </span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p> </o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-81102611573904295042024-02-29T07:37:00.002+01:002024-02-29T07:37:52.593+01:0003 Marzo 2024 – III DOMENICA DI QUARESIMA<p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial;"><b><span style="font-size: 12.0pt;"></span></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtn6Uie_szX4IjVzfPORUDnODQhbJmCQgO6nCglAc-qXjdKb0dzNc6PwKV-wKlsGib_-iQ4yJgcRQtDG4i_FXPjFc7TgPJhwZdG3Y7LfOo1DuX0sCNg3AHA4UqxvuwIZP8qU1-JAyt_pTVd9bHzNW1WLqoizcnZ39bkiskgvJPqayk-3AnGle-gqLmyEs/s1074/CastingoutMoneyChangers.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1074" data-original-width="848" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtn6Uie_szX4IjVzfPORUDnODQhbJmCQgO6nCglAc-qXjdKb0dzNc6PwKV-wKlsGib_-iQ4yJgcRQtDG4i_FXPjFc7TgPJhwZdG3Y7LfOo1DuX0sCNg3AHA4UqxvuwIZP8qU1-JAyt_pTVd9bHzNW1WLqoizcnZ39bkiskgvJPqayk-3AnGle-gqLmyEs/s320/CastingoutMoneyChangers.jpg" width="253" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Gv 2, 13-25 <br /></b></span><i><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Si avvicinava la Pasqua
dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi,
pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di
cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra
il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e <a name="_Hlk65489843">ai
venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della
casa del Padre mio un mercato!»</a>. I suoi discepoli si ricordarono che sta
scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la
parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose
loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli
dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e
tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo
corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che
aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre
era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che
egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro,
perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza
sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.</span></span></i><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;"> </span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Siamo in prossimità della
Pasqua, la festa ebraica per eccellenza, in occasione della quale tutti gli
israeliti si recano in pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme. È quindi,
soprattutto in quei giorni che, in quel luogo, c’è un’eccezionale affluenza di
persone, e di conseguenza, anche una maggior concentrazione di attività
commerciali. Il pio ebreo, come pure i commercianti, sanno bene che per tale
occasione la legge prescrive di presentarsi davanti a Dio, grande e
onnipotente, offrendogli in sacrificio animali, oggetti preziosi, denaro, in
segno di amore e di gratitudine.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La grande confusione di
persone, animali, venditori, banchi, merce, che regna fuori e dentro il tempio,
è quindi normale, ovvia. Come ovvia è anche la presenza dei “cambiavalute”: gli
Ebrei che vengono da lontano, disponendo di monete romane con le raffigurazioni
pagane dell’imperatore o degli dei, devono necessariamente cambiarle con le
monete ebraiche, perché solo con queste è possibile versare alle autorità del
Tempio la tassa di ingresso in denaro. Uno stratagemma che assicura ai grandi
sacerdoti e ai dirigenti un incasso enorme e continuativo di denaro,
trasformando addirittura il tempio in una specie di banca, quindi nel posto più
sicuro in cui conservare i cospicui proventi di questo “sacro” commercio, tanto
da far pensare che nel tempio, non si adora più Jahweh, il Dio di Israele, ma
il Dio denaro, Mammona, il Dio ricchezza.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Gesù, dunque, giunto
anch’egli a Gerusalemme, sale al Tempio e improvvisamente si trova di fronte al
baccano di questa enorme folla di pellegrini e venditori, impegnati i primi a
contrattare la merce, i secondi a richiamare urlando la loro attenzione: pertanto
non all’ingresso del Tempio di Dio, ma nel bel mezzo di un mercato affollato.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Di fronte a ciò cosa fa Gesù?
Si prepara una “frusta di cordicelle”, e con quella inizia a percuotere quanti
stazionano alle porte del tempio, compresi dirigenti e autorità, e
incalzandoli, rovescia i banchi con la loro mercanzia, cacciandoli tutti via!<br /></span><a name="_Hlk65516982" style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Un vangelo
singolare, molto forte quello di oggi: anche perché, leggendo attentamente tra
le righe, possiamo cogliere, nel comportamento di Gesù, un significato ben più
profondo del voler solo “ripulire” l’area del Tempio da gente indegna: possiamo
infatti vedere in prospettiva l’eliminazione, la distruzione finale del tempio
di Gerusalemme, peraltro apertamente confermata con le parole: “<i>Non resterà
qui pietra su pietra che non sia diroccata” (Mc 13,2)</i>. In altre parole Gesù
annulla non solo “quel tipo” di tempio, con la sua ritualità, con la mentalità
che lo anima, ma introduce una nuova concezione di “tempio”, un tempio più
stabile e prezioso di quello in pietra, un tempio nuovo costituito dalla sua persona
che, di fronte al tentativo dei giudei di distruggerlo, lui garantiva “in tre
giorni lo farò risorgere”: e Giovanni si premura di precisare: “<i>Egli parlava
del tempio del suo corpo” (Gv 2,19-21).<br /></i></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Con questo tempio indistruttibile, anche il modo di
rapportarsi con Dio viene completamente rinnovato, sostituito; Gesù infatti
introduce una nuova immagine di Dio, un Dio fino ad allora sconosciuto a tutti:
un Dio che non gradisce, né tantomeno pretende dall’uomo, “offerte” e sacrifici
“cruenti”, materiali; un Dio che, cosa fino ad allora impensabile e
improponibile, diventa lui stesso “offerta e sacrificio” per l’uomo: da quel
momento infatti, non è più l’uomo che si priva del pane, che se lo toglie di bocca
per poter compiere il suo sacrificio a Dio, ma è Dio stesso che si fa “pane”, e
diventa “nutrimento” per l’uomo.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Di conseguenza, il Dio di Gesù mette la parola fine anche
al tempo delle imposizioni divine, della paura, del rapporto “servile” con un
Dio Padrone, caratterizzato da una intransigente severità e regolamentato da
rigide prescrizioni di legge: Dio non vuole più essere “servito” in questo
modo: al contrario sarà Lui stesso, per primo, a servire e ad amare l’uomo.<br /></span><a name="_Hlk159916597" style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Già anticamente per bocca
dei profeti, </span></a><a name="_Hlk159180427" style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Dio aveva espresso la sua contrarietà per come
venivano compiuti i sacrifici in suo onore: “<i>Sono sazio dei vostri olocausti
di montoni e del grasso di pingui vitelli; smettete di portare offerte inutili”
(Is 1,11-13)</i>; e decretava: “<i>Voglio l’amore e non il sacrificio, la
conoscenza di Dio e non gli olocausti” (Os 6,6)</i>.<br /></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Gesù poi, nel
suo vangelo, è ancora più diretto: se la prende con l’esteriorità e
l’esibizionismo delle elemosine, con la legge puntigliosa del sabato, con le
riunioni in suo nome fatte senza convinzione, con le liturgie vuote e vanesie.
Dio insomma non sopporta queste cose, non le gradisce, non vuole più offerte
materiali: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Misericordia io voglio e non sacrificio” (Mt 9,13; 12,7).<br /></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Del resto,
che senso avrebbe mantenere la ritualità dell’antico tempio, un manufatto in
pietra destinato a scomparire, quando Cristo stesso si è fatto tempio, unico e
autentico santuario di Dio? “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri
adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali
adoratori. Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e
verità” (Gv 4,23-24).<br /></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Sono parole
chiare, determinanti, con cui Gesù stabilisce in via definitiva l’unico modo
con cui adorare Dio. Dio è Spirito, è presente ovunque: per pregarlo, lodarlo,
entrare in comunione con Lui, è sufficiente che il nostro “spirito”, la nostra
anima, comunichi, interagisca con Lui, non importa dove ci troviamo. Per
entrare in contatto personale con Dio non serve un luogo esclusivo, un tempio unico
e grandioso, impreziosito da capolavori artistici.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il Vangelo di oggi ci porta dunque a fare qualche
considerazione proprio sul comportamento dei cristiani in quegli “spazi
liturgici”, destinati fin dai primi secoli della Chiesa a raccogliere le
moltitudini dei fedeli per le celebrazioni comunitarie, le liturgie
sacramentali. Spazi che col tempo diventeranno nel mondo delle vere e proprie
meraviglie architettoniche, orgogliose dimostrazioni della religiosità del
nuovo popolo di Dio.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Certo, le Chiese possono essere anche di rara
bellezza, le liturgie e i canti possono estasiarci per la loro maestosa
solennità, ma se in esse non partecipiamo attivamente e consapevolmente, se
alla nostra voce non uniamo anche il nostro spirito, la nostra anima (“<i>mens
nostra concordet voci nostrae</i>”, raccomandava san Benedetto ai suoi monaci!), in
una parola, se non entriamo in sintonia con Dio, se la nostra partecipazione
non è per nulla “<i>actuosa</i>”, se non condividiamo quella “agàpe”, cioè quell’amore
profondo e vitale per Lui e per i fratelli, il nostro sacrificio, la nostra
liturgia, la nostra preghiera, la nostra lode a Dio, rimarranno sempre un culto
puramente esteriore, inanimato, sterile.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Osservando infatti la scarsa affluenza domenicale
nelle nostre chiese cattoliche, molti pastori giustamente si chiedono se i
cristiani di oggi sentono ancora il bisogno di frequentarle, di presentare a
Dio un degno sacrificio di lode. Giusta preoccupazione: ma sarebbe forse ancor
più utile chiedersi: “Ma quelli che frequentano regolarmente le nostre
liturgie, le nostre messe, percepiscono realmente la concreta presenza di Dio?
Quando escono dalla chiesa, provano veramente in cuor loro la pace della “sua”
benedizione, la serenità del “suo” perdono, la forza della “sua” misericordia?
Si sentono veramente rinfrancati, toccati, guariti, conquistati dall’amore di
Dio? Escono insomma seriamente consapevoli di dover trasmettere ai fratelli una
testimonianza più credibile della loro fede, della loro carità, dell’amore a
quel Dio, con cui hanno appena concluso un “<i>pretiosum et admirabile convivium</i>”
assumendo Cristo, vero Dio e uomo perfetto, sotto le specie di un po' di pane?”<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">In questa quaresima di conversione armiamoci allora di
ramazza, facciamo piazza pulita di tutte quelle icone squallide che deturpano
il “tempio” della nostra anima. Ripuliamolo a fondo, questo nostro tempio così
imbrattato: “cacciamo fuori”, come ha fatto Gesù, tutto ciò che schiavizza il
nostro cuore, restituendogli la sacralità, la grandezza, la bellezza che
merita, per poter rivivere con maggior partecipazione e dignità interiore, il
nostro “culto” sacrificale per eccellenza, la nostra “Eucaristia”, la nostra
Pasqua settimanale. Perché solo così potremo tornare a vivere “liberi e
immacolati” nell’amore gratuito e incondizionato di Dio nostro Padre.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Amen.</span></p>
<p><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"> </span> </span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-73884449041156760062024-02-22T07:39:00.000+01:002024-02-22T07:39:11.934+01:0025 Febbraio 2024 – II DOMENICA DI QUARESIMA<p class="MsoNormal"><b><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;"></span></span></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><span style="font-family: arial;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirkUSNx-nvwy7Pd5KfN0ab_EjWem0Kkiftveh0KgFE5fKzE68VE6orJ5kfu8YcjlmSNsWmuW0mVqZaTKwi8-SbGEfTYZ-yVCixGrO_YjcqsWUXCXLc0ni4L7S5FVH5Q6tvwCRfMZGC6WIN-O9FAhIQ9Ba1kfgYqN238O74XbO9sm_M67dDV43J4arX-Tw/s912/FZejVg7WIAECOZz.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="912" data-original-width="734" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirkUSNx-nvwy7Pd5KfN0ab_EjWem0Kkiftveh0KgFE5fKzE68VE6orJ5kfu8YcjlmSNsWmuW0mVqZaTKwi8-SbGEfTYZ-yVCixGrO_YjcqsWUXCXLc0ni4L7S5FVH5Q6tvwCRfMZGC6WIN-O9FAhIQ9Ba1kfgYqN238O74XbO9sm_M67dDV43J4arX-Tw/s320/FZejVg7WIAECOZz.jpg" width="258" /></a></span></b></div><b><span style="font-family: arial;"><br />Mc 9, 2-10 <br /></span></b><i><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">In quel tempo, Gesù prese
con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte,
loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti,
bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E
apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro
disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per
te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché
erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube
uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E
improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo,
con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno
ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai
morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire
risorgere dai morti.</span></span></i><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;"> </span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Oggi il Vangelo cambia
radicalmente ambiente. Domenica scorsa eravamo nel deserto, nella solitudine,
nella fatica, nella tentazione, nel pericolo di fare scelte sbagliate. Oggi
siamo invece in una situazione completamente opposta: la scena è dominata dalla
luce, dalla gioia, dalla felicità, dalla pienezza: è come “toccare il cielo con
un dito”. Domenica scorsa Gesù era solo, oggi è insieme a Pietro, Giacomo,
Giovanni, gli amati discepoli. Lì la voce e la visione del maligno, qui la voce
e la visione di Dio; lì la sofferenza, qui la gioia e la festa; lì il buio e le
tenebre, qui tanta luce e il volto di Gesù trasfigurato nel sole. A un Gesù
umano che “vive” le tentazioni come tutti noi, si contrappone un Gesù divino
che rivela a tutti la sua vera natura.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Che senso ha questo
cambiamento così repentino, in una quaresima che dobbiamo vivere come
un’esperienza rigorosa, votata alla penitenza, alla conversione, al sacrificio,
alla preghiera continua? Cosa significa?<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La spiegazione sta nel
messaggio che Gesù vuole trasmetterci proprio dal Tabor: Egli in sostanza vuole
anticiparci, già su questa terra, una piccola visione di quella che sarà la
felicità futura, quella finale, paradisiaca, fatta di luce, di amore, di contemplazione
divina. Ci dice in pratica che la quaresima non deve essere tristezza, ma
gioia, entusiasmo; che il nostro cammino di “conversione” deve essere fatto
volentieri, con il sorriso, con la fiducia nel suo amore. Gesù in poche parole
ci dice che la nostra vita potrà un giorno diventare radiosa solo se ora siamo
mossi dall’amore: perché solo l’amore potrà farci salire sull’eterno e luminoso
Tabor celeste, dove regna la felicità, l’Amore, e farci trasfigurare
contemplando quelle meraviglie che nessun occhio umano ha mai visto e mai potrà
vedere, meraviglie che commuovono, che trasmettono sensazioni e commozioni
uniche.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Una volta pensavo che
commuoversi fosse segno di debolezza, di mancanza di maturità. Oggi so che vuol
dire soltanto essere vivi: significa cioè percepire la nostra anima, chi siamo
dentro; significa lasciarsi toccare il cuore, farsi coinvolgere da ciò che ci
succede intorno; vuol dire non essere gelidi come il ghiaccio, impenetrabili
come la roccia, insensibili come un organismo arido, sterile. Vuol dire, in una
parola, lasciarsi “trasfigurare”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La vita è piena di questi
momenti di Trasfigurazione; per farne esperienza dobbiamo soltanto saperli
“vedere”: sono momenti in cui ci rendiamo conto di essere veramente amati, di
essere “speciali” per qualcuno; momenti in cui siamo particolarmente felici di
stare al mondo, di esistere, di amare, di credere, di donare; momenti che ci
danno la forza, il coraggio, di andare sempre avanti, di affrontare serenamente
le “discese” dai nostri Tabor, le croci, le crocifissioni di ogni giorno.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Senza queste “ricariche” di
Dio, di soprannaturale, di infinito, tutto rimarrebbe drammatico, angoscioso,
“nero”, invivibile. Ecco perché dobbiamo permettere alla Luce, al Calore, all’Amore
divini di entrarci dentro; perché dobbiamo accettare con entusiasmo che Dio ci
immerga completamente nella sua Vita, che viva in noi, che ci faccia
sussultare, commuovere, estasiarci, rinascere continuamente in Lui, per Lui.<br /></span><a name="_Hlk159084778"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">“Tabor”,
il monte della trasfigurazione e della felicità, in ebraico, oltre che
“principio di luce” significa anche “<i>ombelico, cordone ombelicale</i>”.
Ebbene: la nostra personale trasfigurazione ci impone di tagliare tutti i
cordoni “ombelicali” che ci legano al superfluo, tutte quelle dipendenze
inutili che ci ostacolano la crescita, che ci avvizziscono la vita. Insistere
nel vivere situazioni negative, esperienze traumatizzanti che ci procurano solo
dolore e disperazione interiori, significa scegliere una fine già annunciata,
una caduta nel nulla, implacabile e devastante. Se invece vogliamo rinascere,
se vogliamo camminare spediti verso la Luce, impediamo con determinazione che
zavorre pericolose ci rallentino, ci ostacolino: il nostro taglio deve essere
netto, risoluto, definitivo.<br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Soltanto un cordone ombelicale non va mai reciso: è
quello che ci lega a Dio; anzi dobbiamo conservarlo gelosamente, dobbiamo
proteggerlo con grande cura, perché per noi vuol dire salvezza, beatitudine,
trasfigurazione; troncarlo, significherebbe lontananza, condanna, perdizione,
morte. È l’unico canale attraverso cui Dio può riversare direttamente l’amore
nel nostro cuore. Un canale flessibile che, per quanto possiamo allontanarci,
ci terrà sempre uniti a Lui, evitando che malefici deliri ci inducano a perderci
nel vuoto. Solo così potremo andare serenamente ovunque la vita ci porti, anche
verso le sue inevitabili “prove”; solo così potremo affrontare i momenti più
duri e difficili: perché dentro di noi troveremo sempre nuova energia, nuova
forza, nuovo entusiasmo: perché il Dio-Amore abita stabilmente nel nostro
cuore. E potremo esclamare felici con Pietro: “Signore, è proprio bello stare
qui con te!”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma è proprio vero? È veramente bello per noi rimanere
soli con Dio, estasiarci di Lui nel silenzio della nostra anima, in Chiesa, nei
momenti di preghiera, di meditazione, nella Messa, nelle sacre liturgie? Oppure
il nostro “esserci” è frutto soltanto di stanche abitudini senza vita, senza
passione? Ebbene, la quaresima è il tempo degli esami, è il tempo ideale per
darci delle risposte sincere, per ritagliarci nuovi spazi di silenzio, per
aprire il nostro cuore a Dio con maggior sincerità e amore filiale, per
ristabilire nella nostra vita una perfetta armonia con Lui.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Per farlo, come ci ordina la Voce dalla “nube”,
dobbiamo “ascoltare”. Dobbiamo cioè “ascoltare” il Figlio, ascoltare la sua
Parola, ascoltare noi stessi, la nostra coscienza, ascoltare ciò che di bello,
di divino, hanno da dirci gli uomini nostri fratelli, la natura, il creato, la
vita. Dobbiamo insomma imparare ad ascoltare Dio con umiltà, con attenzione: è
da questo che dobbiamo ripartire; perché purtroppo oggi viviamo in un mondo in
cui i valori inalienabili della vita sono calpestati impunemente, abbandonati
nel totale disinteresse; il mondo, la natura, la società, lontani da Dio, sono
ormai allo sbando: orribili sono le città, orribili le periferie, orribili sono
le ideologie che imperversano, orribili le proposte martellanti e sguaiate
della pubblicità, orribile il linguaggio che ci raggiunge dal mondo della
politica, dello spettacolo, dell’informazione, orribili sono le nuove scelte di
vita.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È proprio vero! L’umanità intera necessita
urgentemente di “trasfigurazione”: di quella trasfigurazione vera, luminosa,
autentica, divina; ha improrogabile bisogno di rivestirsi con la bellezza unica
di Dio, che è Verità, Vita, Amore. Smettiamola di vivere allo sbando, di
ingannare noi stessi, ostinandoci ad indossare maschere demenziali di stolti e
idioti pagliacci, che si affannano a vivere senz’anima, senza luce, senza
calore, senza amore. Una scelta decisamente stolta, insensata! Amen.</span></p>
<p><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;"> </span></span> </p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-32146703628825607432024-02-15T07:23:00.001+01:002024-02-15T07:23:16.379+01:0018 Febbraio 2024 – I DOMENICA DI QUARESIMA<p><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgiQ-G3hU0x7ccyXi8gZAusC2lUZ-981PeJ0_w43JhjCtpwS8NpbINSnhxMBySDZ5AO_W434DUJVagjNnT-Hc86tz3QPnsE103iOTPRCWCHPgoCGOjzAp7YYWcP1RWjLaFvzjjHmoancoBmCXNebYQPaVlmzgiZEMZKs6BLB3htmxsLveL1MDpWrIPhRHY/s792/pngtree-jesus-is-standing-in-the-desert-with-a-beard-image_2914462.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="538" data-original-width="792" height="217" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgiQ-G3hU0x7ccyXi8gZAusC2lUZ-981PeJ0_w43JhjCtpwS8NpbINSnhxMBySDZ5AO_W434DUJVagjNnT-Hc86tz3QPnsE103iOTPRCWCHPgoCGOjzAp7YYWcP1RWjLaFvzjjHmoancoBmCXNebYQPaVlmzgiZEMZKs6BLB3htmxsLveL1MDpWrIPhRHY/s320/pngtree-jesus-is-standing-in-the-desert-with-a-beard-image_2914462.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Mc 1, 12-15 <br /></b></span><i><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">In quel tempo, lo Spirito
sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da
Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che
Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio,
e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e
credete nel Vangelo».</span></span></i><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È la prima domenica di
quaresima. La Parola ci riporta oggi al primo capitolo del vangelo di Marco,
che nel suo stile stringato ed essenziale, in tre versetti liquida l’esperienza
di Gesù nel deserto. Subito dopo la teofania del battesimo in cui la voce del
Padre lo riconosce come Figlio amato, Gesù deve affrontare un altro evento,
completamente diverso: lo stesso Spirito di Dio lo spinge nel deserto: cioè
quel Dio che come Padre lo qualificava come “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">figlio prediletto</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”, ora lo
manda, lo </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">spinge </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">addirittura, nel deserto, luogo di stenti, di
privazioni, dimora dei demoni e del male.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“Com’è possibile?” ci
chiediamo: “come può un Padre dimostrarsi così insensibile, incoerente, nel
mandare il figlio amato in un luogo tanto pericoloso, arido, inospitale, come
il deserto”?<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ovviamente, se cerchiamo di
capire il Vangelo con la mentalità di questo mondo, dimostriamo di non aver
capito nulla di Dio; soprattutto di non aver capito nulla della missione
salvatrice di Gesù. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Noi, purtroppo, con i
paraocchi della società contemporanea, siamo abituati a ragionare solo in un
certo modo: se una cosa è bella, buona, gradevole, e soprattutto se non ci fa
soffrire, vuol dire che viene da Dio, è un suo regalo, e quindi Dio è buono;
se, al contrario, una cosa è brutta, ostica, dolorosa, difficile, allora Dio è cattivo,
non gli importa nulla di noi, ci abbandona con indifferenza in balia del
diavolo e delle forze del male. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Solo che in questo caso specifico,
dimostriamo di non aver capito che “il deserto” non è un fatto negativo. I due
momenti, battesimo-deserto, che vedono protagonista lo Spirito di Dio, sono
infatti strettamente correlati, e si inseriscono perfettamente nel progetto
divino della redenzione umana attraverso l’incarnazione di Gesù: riconosciuto
“figlio di Dio” nel battesimo, Egli avrebbe potuto appellarsi alla sua natura
divina, rifiutando di misurarsi col male; al contrario, rimane coerente alla
sua realtà di uomo: accetta cioè di vivere fino in fondo questa vita umana con
le sue prove, talvolta anche difficili e dolorose, ma tutte con una prospettiva
altamente positiva e meritoria: perché nel “deserto”, luogo della prova e della
fedeltà di Gesù alla sua missione, Egli propone all’umanità una via, un
comportamento indispensabile ad ogni singolo uomo per amministrare
correttamente la sua vita, meraviglioso dono di Dio. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Un dono, la vita, che non è
un regalo già pronto, finito, incartato e infiocchettato: ma, come una pianta,
va coltivata, cresciuta, seguita, trattata con cura; è come un compito da
svolgere, un quadro da dipingere, un manufatto da costruire in tutta la sua
bellezza.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Dio ci affida questa
minuscola parte del suo universale “progetto” di vita, questa piccola tessera
che noi dobbiamo “elaborare, perfezionare” per poterla reinserire al suo posto
nel maestoso mosaico dell’intera creazione. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È una grande responsabilità,
che richiede lavoro, applicazione, volontà, coraggio. Le contrarietà sono
all’ordine del giorno, dobbiamo superarle: ma troppo spesso noi preferiamo
abbandonare il compito assegnatoci da Dio, senza combattere, senza lottare, dimostrando
di non aver capito nulla del suo progetto; perché Lui si aspetta da noi un
comportamento positivo, vuole che </span><a name="_Hlk158702069" style="font-family: arial; font-size: 12pt;">vinciamo i nostri
demoni, le tentazioni del male: ci vuole vincenti, vuole che il nostro impegno,
i nostri progressi, risplendano preziosi agli occhi del Padre.<br /></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Purtroppo le contrarietà, il dolore, le difficoltà, le
tentazioni che incontriamo in tale percorso, non sono delle pietre che Dio
semina sul nostro cammino per farci inciampare, per farci cadere, come se lui
si divertisse in questo. Lui non ama la nostra sofferenza: lui ama noi e vuole
che siamo sempre felici. Le prove, il dolore, la sofferenza, sono invece parte
integrante della vita umana, come ci insegna oggi Gesù stesso, che da uomo le
ha affrontate.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Lui ha vissuto tutto ciò nella sua vita umana senza
appellarsi mai, pur potendolo, alla sua natura divina!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Rileggiamolo allora quel versetto che inizialmente ci
aveva scandalizzato: </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto
rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche…”.</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il “deserto”, quindi, non è stata una “cattiveria” di
Dio Padre, ma la “fedeltà”, la coerenza di Dio Figlio che, assumendo le nostre
sembianze umane, ha accettato di farsi carico anche delle relative debolezze,
comprese anche le tentazioni di satana: e tutto questo, per diventare, come
dice Clemente Alessandrino, nostro “pedagogo”, nostro “maestro”, nostra guida:
per insegnarci cioè come dobbiamo comportarci nella nostra vita.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È quindi Dio, è la Vita stessa, che ci chiedono una
gestione responsabile dei nostri progetti: per questo motivo lo Spirito spinge
anche noi nel “deserto”: luogo difficile, impegnativo; luogo, che ci fa capire
come, per conquistare qualcosa di veramente importante, qualcosa di bello, di
assoluto, dobbiamo essere pronti ad affrontare anche un tempo di sacrifici, di prove,
di contrarietà, di solitudine interiore.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ebbene: </span><a name="_Hlk158873438" style="font-family: arial; font-size: 12pt;">la Quaresima
rappresenta questo nostro passaggio nel deserto; </a><a name="_Hlk158616958" style="font-family: arial; font-size: 12pt;">un passaggio che va fatto necessariamente:
perché è lì che dobbiamo spogliarci di noi stessi, vederci per quello che siamo
realmente; è lì che dobbiamo affrontare le barriere, gli ostacoli, le montagne,
per diventare solerti camminatori sulla strada che conduce a Dio. È un percorso
che tutti dobbiamo affrontare e concludere. È un’esperienza ineludibile. È il
nostro “esodo” dalla negligenza, dall’indifferenza, dalla nostra sciatteria
spirituale, dalla nostra tiepida e indolente quotidianità.<br /></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Fintanto che il tempo della vita ci scivola via, calmo
e silenzioso, noi stiamo bene nel nostro guscio autoreferenziale, tutto
funziona, siamo soddisfatti, non ci sono problemi di sorta. Improvvisamente
però, quando le cose cambiano, il meccanismo si inceppa, il rapporto con noi
stessi si incrina. Non ci accontentiamo più di quel che facciamo; non ci basta,
cominciamo a pretendere di più; siamo insoddisfatti, ci sentiamo soffocare; ciò
che prima ci andava bene, ora non ci soddisfa più. Nuove esigenze emergono;
nuovi lati del carattere bussano alla porta; nuove situazioni e sfide si
impongono.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È normale: siamo arrivati ai margini del nostro
“deserto”: non ci rimane che affrontarlo.<br /></span><span style="font-family: arial;"><a name="_Hlk158701103"><span style="font-size: 12.0pt;">Dio dice al popolo eletto: <i>“Ti
ho fatto camminare nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere
quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no, i miei comandi” </i></span></a></span><span style="font-family: arial;"><i><span style="font-size: 12.0pt;">(Dt 8,2). </span></i></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Soltanto il
deserto, infatti, può mostrare anche a noi cosa abbiamo dentro, solo il deserto
può toglierci le illusioni costruite negli anni, le incrostazioni, le nostre
maschere; solo il deserto può spogliarci, riportarci all’essenziale,
all’originale, alla nostra candida e innocente nudità.<br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Perché il deserto è “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">peirasmòs”,</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> vale a dire</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">
</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">controllo, prova, verifica</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Lo eviteremmo molto volentieri; lo vediamo come “zona
di pericolo”, zona insidiosa, dominata dai richiami della coscienza che ci destabilizzano,
ci scuotono dentro: molto meglio rimanere nel mondo, stordirli con il baccano,
con fiumi di chiacchiere insensate, con rumori assordanti, con vuoti
divertimenti, annegarli definitivamente nelle mille attrazioni inutili. Quanti
cristiani infatti oggi si riducono a vivere così! <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma la vita che viviamo è la nostra: è vero che le
esperienze positive, piacevoli, ce la rendono bella, godibile; ma sono quelle
dolorose che ci fanno crescere, che ci maturano, che ci trasformano in meglio.
È incontrando e vincendo i nostri demoni, che arriveremo ad incontrare i nostri
angeli. Non giustifichiamo la nostra accidia, lamentandoci di non poter far
nulla di meglio, di essere la vittima prescelta dal male, che la vita riserva a
noi solo difficoltà, problemi, amarezze. Non ricorriamo a falsi pretesti, per rinunciare
a combattere, non “tiriamo avanti” carponi, ma rialziamoci e marciamo eretti, da
vincitori.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Soprattutto perché lo dobbiamo a Dio, nostro Padre, che
pazientemente sta in attesa del nostro ritorno a casa.<br /></span><span style="font-family: arial;"><a name="_Hlk158701987"><span style="font-size: 12.0pt;">Mercoledì scorso il
sacerdote ci ha imposto la cenere sul capo: non è stato così, per gioco, ma per
ricordarci quanto siamo deboli e provvisori: è stata l’occasione per guardarci
con un po' più di umiltà. </span></a></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Ebbene, con
questa stessa umiltà, attraversando il nostro deserto quaresimale, riconosciamo
davanti a Dio la nostra debolezza, ammettiamo le nostre infedeltà, chiediamo la
sua costante e misericordiosa protezione. Soprattutto non dimentichiamo mai: <i>a
chi</i> apparteniamo, <i>da dove</i> veniamo, <i>dove</i> siamo diretti, <i>di
quale</i> dignità siamo rivestiti, e con<i> quale</i> dignità siamo chiamati a
presentarci. Buona quaresima! Amen.</span></span></p>
<span style="font-family: arial;"><span style="mso-bookmark: _Hlk158873438;"></span><span style="mso-bookmark: _Hlk158702069;"></span>
</span><p class="MsoNormal"><span style="mso-bookmark: _Hlk158616958;"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></span></p>
<span style="font-family: arial;"><span style="mso-bookmark: _Hlk158616958;"></span>
</span><p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-85667869302491923142024-02-08T09:36:00.012+01:002024-02-08T09:40:55.728+01:0011 Febbraio 2024 – VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO<p><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;"><b></b></span></span></p><span style="font-family: arial;"><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOLF9m8wEdlt3qJlCR51jpmWfyx79DzHJojnaRsbPqf7rnZeJCMRkzoUCQPZvQh7M8ZK4FZkBtqfz42-mMFHLkXxtDPqbiQA6Y0FBwE7l5IsjF7MZzLwyMqyye-OKMmELFpYamGM4MTI1TT_ZyTvPoO0s6AKU9e3yf45LEHRtT8rvGNoK7-A7m0Xoe97U/s1277/jesus_healing_the_sick_free_images.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1277" data-original-width="913" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOLF9m8wEdlt3qJlCR51jpmWfyx79DzHJojnaRsbPqf7rnZeJCMRkzoUCQPZvQh7M8ZK4FZkBtqfz42-mMFHLkXxtDPqbiQA6Y0FBwE7l5IsjF7MZzLwyMqyye-OKMmELFpYamGM4MTI1TT_ZyTvPoO0s6AKU9e3yf45LEHRtT8rvGNoK7-A7m0Xoe97U/s320/jesus_healing_the_sick_free_images.jpg" width="229" /></a></div><br />Mc 1, 40-45 <br /></b></span><i><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;">In quel tempo, venne da
Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi
purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo
voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu
purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse:
«Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e
offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come
testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a
divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una
città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.</span></span></i><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;">Il vangelo di oggi ci propone
il toccante incontro di Gesù con un lebbroso. È difficile per noi, oggi, capire
cosa volesse dire a quel tempo essere lebbrosi. In pratica erano dei morti
viventi. La lebbra, oltre che una malattia invalidante, era anche un oltraggio
alla persona, perché il lebbroso, confinato fuori dall’abitato, escluso dalla
comunità, doveva vivere lontano da tutti, tra stenti, privazioni, imposizioni.
Se qualcuno inavvertitamente si avvicinava al suo rifugio, il disgraziato
doveva allertarlo suonando un campanaccio e gridando: “lebbroso, lebbroso!”. Si
pensava infatti che il contagio della malattia si trasmettesse anche a
distanza.<br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Nel nostro caso, Marco dice
che “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">venne da Gesù un lebbroso”. </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È quindi il poveretto che prende
l’iniziativa e, contro ogni regola, si butta in ginocchio ai suoi piedi,
supplicando: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Se vuoi puoi guarirmi!</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”: è un uomo stanco, distrutto dalla
malattia: capisce di non aver ancora molto da vivere, di non poter continuare
una simile esistenza, nel disprezzo e nella solitudine. Capisce che da solo non
potrà mai venirne fuori: si rivolge quindi a Gesù e con il pianto in gola,
prostrato per terra, guardandolo umilmente negli occhi, con grande fiducia
mormora: “Signore, non ne posso più, ho bisogno di te, del tuo aiuto”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Per una persona consumata,
deformata, corrosa dalla malattia, evitata e schifata da tutti, è naturale
provare il desiderio, intenso, essenziale, di sentirsi accolta, amata, stimata;
di trovare qualcuno che le dimostri bontà, amore, che non la tratti con
disprezzo, non la respinga. È solo in questo modo, infatti, che lei potrà
nuovamente considerarsi una “persona umana” e non un miserabile rifiuto della
società; solo così ritroverà la forza di combattere, la gioia di vivere, di
riconquistare la sua rispettabilità, la sua dignità morale.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Gesù dunque, di fronte a
quest’uomo così psicologicamente provato, ridotto quasi alla disperazione ma ancora
con una grande volontà, dimostra subito di provare un sentimento forte,
intenso: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Mosso a compassione</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. Il verbo greco “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">splanknìstheis</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”,
più che compassione, indica quell’ amore profondo, viscerale, femminile, tipico
di una madre per il suo neonato, un insieme di amore, tenerezza, generosità, apprensione,
dolcezza.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Gesù dunque lo guarda, ma lo
fa con occhi diversi da quelli dei presenti: “Io credo in te; so che dentro
questo tuo corpo, reso così ripugnante dalla malattia, c’è una perla, c’è un
fiore profumato, c’è una forza grande e preziosa. Sei stato deformato dal
dolore della vita, ma io che ti conosco, vedo la bellezza interiore della tua
anima. Per questo voglio che tu possa tornare a risplendere nella tua
dignità!”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">E trasforma immediatamente
questo sentimento “materno”, in guarigione fisica; “s</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">tese la mano</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”:
l’amore diventa azione; “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">lo tocca</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”: il miracolo si compie, la lebbra
scompare.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Oggi tutti noi possiamo
vivere tranquilli, perché questa malattia è stata quasi del tutto debellata. Ma
c’è un’altra lebbra con cui dobbiamo fare i conti, meno visibile ma molto più
diffusa, dalle mille varianti, tutte gravi e invasive: è la lebbra dell’incomunicabilità,
dell’indifferenza, dell’incomprensione, dell’ermetismo, della chiusura totale
verso gli altri; è la lebbra di chi non ha alcun ideale per cui valga la pena
di combattere, di vivere; la lebbra di chi ha sbagliato e non riesce a
ritrovare la propria dignità; la lebbra del disagio di chi si sente incompreso,
vittima della società; la lebbra dell’essere ritenuti inaffidabili,
inesistenti, insignificanti. Ci sono ancora poi altre lebbre, moralmente più
distruttive: come quella dell’invidia, della superbia, dell’impudenza, della
maldicenza, dell’avarizia, della gola, della lussuria…: tutte
"malattie" che ci rendono ripugnanti nel cuore e nell’anima.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Purtroppo tutto il genere
umano è afflitto da questa persistente pandemia: sono pochi coloro che riescono
a vaccinarsi alla luce della Parola di Dio. Che fare allora?<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Come il lebbroso del vangelo,
buttiamoci anche noi ai piedi di Gesù; “malati terminali”, irriconoscibili,
chiediamogli a gran voce, umilmente, di tornare ad essere le creature
immacolate delle nostre origini: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Se vuoi, puoi purificarmi!”.<br /></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Entriamo più da vicino in
quella scena, riviviamola nel nostro cuore: un pover’uomo, abituato ad essere
rifiutato, respinto, che rimane sconcertato, sbalordito di fronte a Gesù che, a
differenza di tutti, gli va incontro, lo tocca, gli stende le mani, quasi ad
abbracciarlo, sfidando il pericolo del contagio. Un gesto di comprensione e
accoglienza, imprevisto e imprevedibile</span><a name="_Hlk63842862" style="font-family: arial; font-size: 12pt;">: “<i>Lo voglio,
guarisci</i>”. </a><a name="_Hlk63956033" style="font-family: arial; font-size: 12pt;">In
altre parole, “sii te stesso: sii puro, sii chiaro, schietto. È questo
il significato del verbo greco <i>“katharìzo”</i>, usato da Gesù: tornare ad “<i>essere
puri, immacolati”</i>, tornare <i>allo stato originale</i>”, tornare ad essere,
cioè, quell’<i>immagine di Dio</i>, che Egli, creandoci, ha impresso in
ciascuno di noi: una somiglianza che noi, purtroppo, con la lebbra delle nostre
infedeltà abbiamo deformato, alterato, distrutto.<br /></a><a name="_Hlk63956084" style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;">Ma, <i>“Guarisci!”</i>,
ordina con voce chiara Gesù anche a noi; “torna com’eri originariamente, </span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">ristabilisci la tua somiglianza divina, mediante una
radicale conversione di vita<i>”</i>.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Quante volte, purtroppo, nel
nostro delirio di onnipotenza, pretendiamo di cancellare questa nostra
somiglianza con Dio, vogliamo essere “diversi”: disprezziamo cioè la nostra
originale bellezza, dono incalcolabile, e preferiamo esibirci sul palco della vita
ostentando una ridicola maschera di noi stessi: non accettiamo di essere “immagine</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">
splendida</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">di Dio; preferiamo lasciarci stupidamente “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">deformare</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”,
dai tanti “burattinai” di questo mondo.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma la vita non ci appartiene:
e se fatalmente qualche evento tragico dovesse venire ad interrompere le nostre
allucinazioni, se improvvisamente tutto il nostro scenario fatuo e posticcio,
ci crollasse addosso, allora improvvisamente la nostra esistenza si rivelerebbe
in tutta la sua cruda, squallida realtà: impresentabili, indegni, colpevoli,
falsi. Allora, se avremo ancora un briciolo di umiltà per guardare nel profondo
del nostro cuore, se avremo il coraggio di scendere nella nostra coscienza,
nella nostra anima, potremo renderci conto che nel buio più totale, nonostante il
nostro assoluto disinteresse, l’abbandono insensato di ogni nostra dignità, un
piccolo spiraglio, un minuscolo raggio di luce è rimasto integro, intatto. È il
nostro “marchio di fabbrica”, è lo Spirito divino che Dio, ha impresso in noi, a
sigillo del suo amore; è quel “seme” di luce divina, eterna, inalterabile, che
da sempre ci inabita: potremo fare le peggiori cose nella vita, potremo
arrivare ad oscurare totalmente quella luce, potremo fossilizzarla,
insudiciarla, ma non potremo mai, in nessun modo, distruggerla, cancellarla,
demolirla.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È un po’ come scendere, dopo
anni, in un locale completamente buio, abbandonato: non vediamo nulla, siamo
avvolti nell’oscurità più totale, impenetrabile: ma sappiamo che al suo interno
esiste silenziosa e invisibile una determinante, inestinguibile energia:
dobbiamo solo premere un interruttore, e la luce immediatamente riesplode in
tutta la sua brillantezza.<br /></span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;">“Sii purificato!”.</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> Ecco: Gesù aspetta che, nella nostra confusione, nel
nostro rimorso e pentimento, ci decidiamo ad andare da Lui: e abbandonandoci
tra le sue braccia, riusciamo finalmente a ripristinare il “contatto” con Lui,
nostra Sorgente di Luce.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È l'unico modo per ottenere
che il fascio luminoso, sfolgorante, del suo amore misericordioso, torni a
illuminare il nostro cammino, a riscaldare il nostro cuore, a risanare le
nostre ferite, a restituirci la nostra primitiva, nobile, divina, somiglianza
col Padre. Amen.</span></p><p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;"><br /></span></span></p><p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;"><br /></span></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-14517935224920794642024-02-01T07:29:00.001+01:002024-02-01T07:29:42.750+01:0004 Febbraio 2024 – V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO<p><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><b style="font-size: 12pt; text-align: left;"><br /></b></b></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><b style="font-size: 12pt; text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyGAYzHnxc7JJn6w0Hb3GDgefXJD3kEt38vjJQk-MRhO0wDQIh-lQfDoeJXxMe7k71OR24f7mQSuql9HLx872w5fMLPPDeP55ucCl2fKgqE4JDSXjdc5SHYYICnZ0PMz_UZyzrxh1LRwzu0iRG8eqFilJ4wVpwiN5pGZoBL5q2vjTUr5s8GmJAFgPTADA/s889/Christ_Healing_the_Mother_of_Simon_Peter%E2%80%99s_Wife_by_John_Bridges.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="662" data-original-width="889" height="238" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyGAYzHnxc7JJn6w0Hb3GDgefXJD3kEt38vjJQk-MRhO0wDQIh-lQfDoeJXxMe7k71OR24f7mQSuql9HLx872w5fMLPPDeP55ucCl2fKgqE4JDSXjdc5SHYYICnZ0PMz_UZyzrxh1LRwzu0iRG8eqFilJ4wVpwiN5pGZoBL5q2vjTUr5s8GmJAFgPTADA/s320/Christ_Healing_the_Mother_of_Simon_Peter%E2%80%99s_Wife_by_John_Bridges.jpg" width="320" /></a></div> </b></b></span></div><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"><p><span style="font-size: 12pt;"><b style="font-style: normal;">Mc 1, 29-39 </b><b><br /></b></span><i style="font-style: italic;"><span style="font-size: 12.0pt;">In quel tempo, Gesù,
uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia
di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito
gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano;
la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del
sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era
riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e
scacciò molti demoni; ma non permetteva ai demoni di parlare, perché lo
conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si
ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui
si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!».
Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini. perché io predichi
anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea,
predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni.</span></i></p></span></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il vangelo di oggi ci
presenta un Gesù in piena attività: predica, consola, scaccia i demoni, prega,
guarisce tutti gli ammalati che incontra. Non fa a tempo ad uscire dalla
sinagoga, che viene subito informato che anche la suocera di Simon Pietro è
ammalata, è a letto con la febbre: e subito Lui la raggiunge e le tende la sua
mano guaritrice.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il vangelo non dice
nient’altro se non, appunto, che Gesù la guarisce; niente di straordinario:
egli lo fa con chiunque, lo fa con gente estranea e sconosciuta, e quindi, a
maggior ragione, lo fa con la suocera di uno dei suoi primi discepoli.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Potremmo quindi fermarci
tranquillamente qui, se non fosse per la curiosità di conoscere altri
particolari sulla vicenda come, per esempio, quale sia stata la causa
scatenante del febbrone che ha improvvisamente colpito la donna, in maniera
tanto grave e preoccupante, da richiedere l’intervento urgente di Gesù: una
curiosità sollecitata peraltro dalla voluta essenzialità del racconto di Marco.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Cerchiamo allora di capire
meglio questa particolare “situazione”, inserendola nel suo contesto più ampio.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Sappiamo, dal racconto di
Marco sul malessere della “suocera”, che Simone è sposato, ha una famiglia, e
possiede una casa sufficientemente ampia, in grado di ospitare anche la madre
di sua moglie. Sappiamo che la sua attività di capo famiglia è la pesca, alla
quale provvede nelle ore notturne, servendosi di reti e di una barca di sua
proprietà: un lavoro povero con cui tuttavia riesce ad assicurare alla sua
famigliola un’esistenza dignitosa. Ma sappiamo anche che poche ore prima, per
aderire alla chiamata di Gesù egli, senza alcuna esitazione, aveva abbandonato
tutto, casa, famigliari, attrezzatura e lavoro.<br /></span><a name="_Hlk157409455"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">E
allora pensiamo: non sarà forse questa “pazzia” di Simone la vera causa della
febbre improvvisa di sua suocera? Lei e la figlia infatti non lavorano, si
occupano soltanto della casa: Simon Pietro rappresentava pertanto il loro unico
sostentamento.<br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">C’è un verbo che fa pensare a questa possibilità: per
indicare la febbre della donna, Marco infatti usa il termine greco “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">purèssusa</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”,
da </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“purèsso”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> che significa, oltre che </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“avere la febbre”,</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> anche </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“essere
furioso, risentito, irritato; avere l’animo infuocato, bruciare dentro”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">:
significato che fa pensare appunto ad una persona afflitta non tanto da una
febbre corporea, esterna, quanto da un’alterazione spirituale interna; ad una
con l’animo “alterato, infuocato”; in altre parole, la suocera di Pietro, più che
febbricitante, era letteralmente in preda all’ira, arrabbiata furiosa, piena di
risentimento, prima di tutto con il genero, colpevole, secondo lei, di aver
stravolto di punto in bianco la loro tranquillità familiare; e poi con Gesù, da
lei ritenuto la causa scatenante di questa loro sventura.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Appena Gesù viene a conoscenza del suo malore, appena </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“gli
parlarono di lei”, </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Egli intuisce il vero dramma della donna: capisce
immediatamente la vera causa della sua “malattia”, del suo febbrone: “Questa
donna ce l’ha con me!”. Poteva benissimo far finta di nulla, come in genere
facciamo noi in questi casi; poteva tranquillamente dire: “Se ha qualcosa
contro di me, venga a dirmelo! È un problema suo, non mio!”. Ma Gesù non è come
noi: egli capisce che la donna si trova veramente in difficoltà. E fa la prima
mossa. È lui che va da lei. E appena entra in casa, le si avvicina, la fa
alzare prendendola per mano.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Fra i due c’è distanza, incomprensione, diffidenza,
non si conoscono: Gesù per questo </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“si fa vicino”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, riduce la distanza,
prende l’iniziativa, la </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“incontra”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, si fa conoscere.<br /></span><span style="font-family: arial;"><i><span style="font-size: 12.0pt;">“La sollevò”</span></i></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">: la donna è distesa, sulle sue,
non vuole avere nulla a che fare con Gesù, ma Lui le parla, le sta vicino,
finché lei gli dà ascolto e <i>“si solleva”</i>: si rasserena, si rialza cioè
dal suo sgomento, dal suo profondo disappunto, dalle sue angosce per ciò che le
sta accadendo.<br /></span></span><span style="font-family: arial;"><i><span style="font-size: 12.0pt;">“La prese per mano”</span></i></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">: Gesù le fa
capire con i fatti che vuole incontrarla, che vuole entrare in sintonia con
lei; vuole che “senta” chi è lui, le offre l’opportunità di capire, di farsene
un’esperienza diretta. E lei finalmente si lascia andare. E cosa avviene? <i>“La
febbre la lasciò”</i>.<br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Non sappiamo in realtà come sia successo, cosa i due
si siano detti. Ma queste poche parole ci confermano che la donna ha capito che
l’uomo accanto al suo capezzale non è né un pazzo, né uno fuori di testa. Il
capovolgimento dei suoi sentimenti è istantaneo e decisivo:</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> “si mise
servirli”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">; il rancore si tramuta immediatamente in umile servizio, l’ostilità
in amore per l’uomo straordinario che le sta di fronte; il volerlo evitare si
trasforma nello stargli docilmente vicina, a sua completa disposizione.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Finché la donna combatte Gesù, non può guarire: la
febbre rimane a livelli di sofferenza.<br /></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Ma quando lo ascolta, lo comprende, quando si lascia
toccare da lui, quando condivide le sue ragioni, allora tutta la sua animosità,
il suo rancore, la sua febbre, improvvisamente svaniscono. E finalmente capisce
che Simone, suo genero, di fronte alla chiamata di quell’Uomo, aveva preso la
giusta decisione! Lei aveva bisogno di aiuto, di comprensione, di rassicurazioni.
E Gesù gliele dà</span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Esattamente come continuerà a
darli a quanti incontra per le strade della Palestina. Ogni giorno. Il vangelo
infatti sottolinea: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Guarì molti che erano affetti da varie malattie e
scacciò molti demoni”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">.<br /></span><a name="_Hlk63273472" style="font-family: arial;"><i><span style="font-size: 12.0pt;">“Molti
demoni”</span></i></a><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">: certo, ai tempi di Gesù gli indemoniati dovevano
essere proprio tanti!<br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Oggi, al contrario nessuno ne parla più, sembrano completamente
spariti: in pratica, la gente non crede più al demonio. Un personaggio che non
si vede, non si tocca, che non va mai in televisione, non c’è, non esiste:
quindi, tutti tranquilli: il demonio è un fenomeno che non ci deve preoccupare.
È una favola d’altri tempi!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma noi sappiamo molto bene, che non è così. Il demonio
esiste, è presente, si dà da fare, eccome! Il Vangelo ce lo descrive come un
essere spirituale, un’entità ribelle, un “qualcuno” che ci spia in
continuazione, che ci segue ovunque; uno che è contrario all’Amore; uno insomma
che va costantemente combattuto, perché rappresenta un pericolo concreto e
costante per la nostra libertà, per la nostra serenità, per la nostra salvezza.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">E i “demoni” che ci riguardano sono tanti: “demoni”,
per esempio, sono tutte le continue lusinghe del male, accattivanti promesse di
felicità, luci scintillanti del peccato, che accecano completamente la nostra ragione.
Noi stessi possiamo essere autentici “demoni”, nel momento in cui adottiamo uno
stile di vita opposto a quello che ci suggerisce lo Spirito di Dio, la nostra
coscienza; “demoni” siamo noi quando, ammaliati dallo spirito che non è Vita,
che non è Amore, ci lasciamo limitare, distruggere, condizionare, accettando di
vivere con un’anima spiritualmente insensibile, svuotata, inerte, morta; siamo
noi, quando ci disinteressiamo della nostra vita spirituale, quando non
corriamo ai ripari, non appena percepiamo che essa è indebolita, ferita,
inerte.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Come combattere questo demonio? Con la preghiera.
Marco scrive che Gesù “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">al mattino presto, si alzò, si ritirò in un luogo
deserto, e là pregava</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. Non nella città, non tra la gente, non in mezzo
alla confusione, ma in un luogo deserto: la preghiera è veramente tale quando
nasce nel silenzio e nel raccoglimento del cuore; è infatti solo nel “deserto”
della penitenza dei sensi, nella solitudine della mente, nel mettere a nudo
l’anima, nel limitare il “troppo”, nel dominare le assurde pretese del mondo,
nel mortificare lo spirito e la volontà, che riusciamo individuare e combattere
i nostri demoni. È in tale “isolamento” che possiamo vincerli, come faceva
Gesù, con la preghiera: una preghiera che deve essere, come la sua, intensa,
umile, sincera, riconoscente; un dialogo intimo e intenso col Padre, un
atteggiamento di completo abbandono nelle sue mani, nella sua volontà. Una
preghiera insomma decisamente diversa da quella che noi facciamo di solito: una
misera lista di cose “irrinunciabili” da chiedere: una specie di lista “della
spesa”, che presentiamo a Dio ogniqualvolta la vita ci presenta un conto da
pagare, e pretendiamo che sia Lui a farlo. Questa non è preghiera, è un insulto
alla bontà di Dio.<br /></span><a name="_Hlk63097884"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Non è così, non è
comportandoci da arroganti, da presuntuosi, che possiamo vincere i nostri
demoni occulti e astuti! Amen.</span></span></a></p>
<span style="font-family: arial;"><span style="mso-bookmark: _Hlk63097884;"></span><span style="mso-bookmark: _Hlk63273472;"></span>
</span><p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-20356775026335860252024-01-25T10:58:00.000+01:002024-01-25T10:58:25.796+01:0028 Gennaio 2024 – IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO<p><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIc317vbqplAOp9D6-BEWGIT217eGdk6eCTZMBd9d-h0n8JU1Fhuog3UKzAaF01T-JXy65Y2a1diktBUdUcLfdAJDpNcLio8n00VUkbUY_jeKhDWiEWrjxyU-EaoKAa9yi5p74IyDCOjL7F8Mp8WSWs2x5fg3L7LBxBRCs60prN6dUNqEWVwUQs88FNr8/s595/Gesuleggerotolo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="595" data-original-width="486" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIc317vbqplAOp9D6-BEWGIT217eGdk6eCTZMBd9d-h0n8JU1Fhuog3UKzAaF01T-JXy65Y2a1diktBUdUcLfdAJDpNcLio8n00VUkbUY_jeKhDWiEWrjxyU-EaoKAa9yi5p74IyDCOjL7F8Mp8WSWs2x5fg3L7LBxBRCs60prN6dUNqEWVwUQs88FNr8/s320/Gesuleggerotolo.jpg" width="261" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Mc 1, 21-28 <br /></b></span><i><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">In quel tempo, Gesù,
entrato di sabato nella sinagoga [a Cafarnao]<b> </b>insegnava. Ed erano
stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha
autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo
posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «<a name="_Hlk62317737">Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? </a>Io
so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da
lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti
furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo?
Un insegnamento nuovo dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e
gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione
della Galilea.</span></span></i><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È sabato, giorno sacro per
gli Ebrei. Gesù, seguito dai quattro discepoli appena scelti, entra nella
sinagoga di Cafarnao e, senza tanti preamboli, si mette ad insegnare ai
presenti. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Per inciso: sappiamo dai
vangeli che Gesù non è mai entrato nelle sinagoghe per pregare o partecipare a
qualche riunione: qui lo fa, ma come sottolinea Marco, solo ed esclusivamente
per insegnare!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Un comportamento il suo, con
cui forse voleva farci capire che certe preghiere, certe catechesi o letture
teatrali, oggi come allora, non sono per niente gradite a Dio.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il che, tradotto in chiaro,
ci porta a pensare: se le nostre preghiere, le celebrazioni e le liturgie delle
nostre chiese non sono compiute con fede, esclusivamente a lode di Dio, se non
si trasformano in vita cristiana vissuta, in amore, passione, coraggio,
fiducia, in apertura e solidarietà verso i fratelli, rimangono soltanto delle
“sacre” rappresentazioni, spesso neppure belle ed edificanti, che lasciano Dio
completamente indifferente; se le nostre liturgie si limitano ad un insieme di
movimenti sciatti, disordinati, meccanici, consunti dall’abitudine, se la
nostra partecipazione è soltanto distratta ripetizione delle solite formule,
senza alcuna convinzione, senza presenzialità, consapevolezza, spiritualità,
ebbene: sono celebrazioni che non servono assolutamente a nulla, che non
riusciranno mai a creare quella particolare atmosfera soprannaturale attraverso
cui poter incontrare, ringraziare, lodare, il Dio della Vita.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ecco perché le liturgie
devono veramente emozionare, devono appassionare il nostro cuore, potenziare la
nostra fede, le nostre risorse; devono soprattutto soddisfare la nostra anima
creando quell’incontro specialissimo con l'Infinito, con il Dio Amore, che ha
scelto di “rimanere” con noi, in noi.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Gesù dunque entra nella
sinagoga, legge, spiega, in una parola, “insegna” e la gente si “stupisce”;
rimane sorpresa, ammirata, (in greco </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“exeplessonto”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“sbalordivano,
rimanevano sconvolti”)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, da ciò che dice, da come parla, perché lo fa con
“autorità”, con credibilità, convinzione e fascino: la sua esposizione è
decisamente superiore a quella degli scribi; tutti i presenti si rendono conto
che, a differenza loro, le sue parole provengono direttamente da Dio, le
sentono scendere in profondità nei loro cuori, cariche di umanità, di vita, di
liberazione.<br /></span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">“Non come gli scribi”</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">: un giudizio forte, pungente, quasi impietoso, questo
di Marco, ma assolutamente veritiero, concreto, reale: con Gesù non c’è
“scriba” che possa competere!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Un parere conciso, di quattro
parole, che ci invita a riflettere seriamente: noi, che ci riteniamo cristiani
osservanti, noi che partecipiamo assiduamente alle liturgie della Chiesa, che
pensiamo di conoscere bene la sua Parola, che talvolta siamo chiamati anche a
proclamarla nell’Eucaristia domenicale, ebbene proprio noi dobbiamo stare molto
attenti a non trasformarci in altrettanti “scribi”; dobbiamo cioè svolgere
sempre i nostri piccoli “ruoli” con grande umiltà, consapevoli dei nostri
limiti, per evitare che un minuscolo servizio a Dio, diventi occasione di vani
personalismi, di puerili protagonismi.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“Vigilate”, ci suggerisce tra
le righe il vangelo: perché lo “spirito impuro” dell’orgoglio, può introdursi
con grande facilità nell’animo di tutti.<br /></span><a name="_Hlk156636484"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Ma
chi erano esattamente questi “scribi”? Inizialmente erano dei semplici
funzionari incaricati a “trascrivere”, a ricopiare, i testi sacri (in greco <i>“grammatèus”
= </i>scrivano, amanuense), che gradualmente si sono imposti nella comunità con
una autorità così esclusiva, da ritenersi superiori allo stesso sommo
sacerdote, superiori persino alla stessa Torah, della quale si dichiaravano
infallibili interpreti, unici studiosi autorizzati a commentarla in pubblico
nelle sinagoghe: quando parlavano era come se parlasse Dio stesso in persona.
Solo che i loro interventi, i loro insegnamenti, erano diventati stucchevoli,
monotoni, sempre uguali: praticamente consistevano in aridi interventi
cavillosi, tenuti esclusivamente per lanciare accuse, critiche e rimproveri contro
le inosservanze nella condotta dei presenti. Il risultato? Una tortura, poiché
tutti, chi più chi meno, si sentivano colpevolizzati e mortificati: nessuno
infatti avrebbe potuto ritenersi del tutto innocente di fronte ai 613 precetti
della legge mosaica, particolarmente rigida e intransigente.<br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Poi nella sinagoga arriva
Gesù: con le sue parole autorevoli, con la sua legge dell’amore, egli fa
scoprire dai presenti un insieme di nuove emozioni, di sentimenti completamente
nuovi, che in un attimo annullano quel clima rigido e terrificante che condizionava
il loro rapporto personale con Dio. In sostanza Gesù dice: “Dio vi ama tutti,
proprio tutti; vi ama come figli suoi, di un amore senza limiti; questa è la </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">buona
notizia</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> (</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">eu-anghèlion</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> = il vangelo) che vi sto annunciando. Non ha
importanza se pregate esattamente come ordina la legge, oppure no, se siete in
regola con le purificazioni oppure no, se siete dei credenti perfetti oppure
no: Dio vi ama, sempre e comunque, al di là di queste cose. Egli ama ciascuno
di voi in maniera esclusiva, a prescindere da come siete, da come vi chiamate,
da come vi presentate”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Parole autorevoli,
convincenti, completamente nuove e diverse da quelle degli scribi: parole che
offrono nuove prospettive di salvezza; parole che infondono vigore nei cuori
dei presenti, poiché hanno finalmente compreso il valore rivoluzionario,
innovativo e risanante, di termini sconosciuti come </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“liberi, riscattati,
apprezzati, amati da Dio”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">. E lo dimostrano apertamente, esternando a gran
voce la loro profonda soddisfazione.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Nella sinagoga, tra i tanti,
c’è anche un uomo “dallo spirito impuro”, che improvvisamente si mette a
urlare; il suo spirito (</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">ruah</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">) non è quello di Dio, ma appartiene al
male, è “impuro”, è contrario a Dio; egli inveisce con rabbia, con odio, contro
la persona di Gesù, che ha appena parlato di salvezza, di misericordia, di
amore: </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?”.<br /></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Anche qui il testo ci porta a
fare alcune riflessioni: prima di tutto, perché questo tizio parla al plurale?
Che ruolo pensa di interpretare attribuendosi l’autorità di parlare a nome
degli altri? È chiaro che anche qui, come sempre, il maligno intende rappresentare
tutti gli uomini, ed è a nome della collettività che egli si esprime usando il
plurale. Ma perché tanta avversione nei confronti di Gesù e del suo messaggio?
In fin dei conti il Maestro entra nella sinagoga e predica tranquillamente;
solo che, fatto singolare, questa volta la gente capisce perfettamente quello
che l’oratore espone, lo apprezza e si immedesima immediatamente nella bontà
delle sue parole: è questo il motivo cruciale dell’avversione di satana.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">In pratica, con la sua
travolgente novità di un Dio che ama l’umanità intera in maniera costante,
profonda, gratuita, Gesù distrugge quella che è la teologia ufficiale,
l'insegnamento tradizionale degli scribi. Da qui la furia dello “spirito
immondo”, l’avversione rabbiosa contro Gesù, e contro quel Dio che Egli vuol
far conoscere a tutti.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Le persone che lo stanno
ascoltando, sono dei poveracci, imbottiti di tradizioni antiche, di
superstizioni popolari, di leggi opprimenti: le autorità religiose hanno sempre
insegnato loro che Dio è vendicativo, terribile, crudele, che può distruggere,
in caso di peccato, intere città: e tutti, indistintamente, soggiogati dalla
tradizione ebraica, ne sono fermamente convinti.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Sono l’immagine di chi non
pensa: sono solo dei “pensati” da altri. Non vivono: sono gli altri che vivono
per loro. Non possono neppure giustificarsi, dicendo: “Io faccio solo quello
che mi hanno ordinato; obbedisco e basta!”, perché tutti abbiamo una testa con
cui pensare e ragionare; e qualunque cosa facciamo, siamo solo “noi” che la
facciamo, siamo noi gli unici responsabili delle nostre azioni, è nostra unica
responsabilità accettare o rifiutare la voce di Dio.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Nei vangeli Dio non chiede
mai l'obbedienza. Possiamo leggerli e rileggerli, e non troveremo mai, neppure
una volta, Gesù che chiede di “obbedire” (</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">upakòuein</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">) a Dio. Mai!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Le parole “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">obbedire,
obbedienza</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”, sono presenti due sole volte in Marco, e quattro in tutti gli
altri vangeli (Cfr. Mc 1,27; 4,41; Mt 8,27; Lc 4,36; 8,25; Gv 3,36): ma non è
mai riferita all’uomo; quelle che obbediscono sono sempre le forze della natura
o quelle del male, ostili a Dio: una di queste volte è infatti presente nel
vangelo di oggi: </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“gli spiriti impuri obbediscono (upakòuûsin) a Gesù!”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">.
Gesù dunque non ci chiede mai di </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">obbedire </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">a Dio: ci chiede piuttosto,
ripetutamente e caldamente, di </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">assomigliare, </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">di</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> imitare </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Lui e il
Padre (Cfr. per esempio Lc 6,36-38; Gv 13,14; 15,10.12); una cosa che,
riuscendo ad attuarla, ci spalancherebbe nuovi orizzonti.<br /></span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">“Che vuoi da noi Gesù
Nazareno? Sei venuto a rovinarci?”. </span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Domande
folli, irrazionali, da dissennati, di chi non vuole arrendersi all’evidenza:
eppure quante volte assomigliamo anche noi all’indemoniato della sinagoga! È
proprio così: ce ne stiamo nascosti, indifferenti, ma quando Gesù ci smaschera,
quando ci mette di fronte alle nostre responsabilità, ai nostri sotterfugi,
reagiamo anche noi urlando: <i>Che vuoi tu da me?”</i>; ma Gesù, con uno
sguardo, manda in frantumi la nostra arroganza, le nostre solide impalcature, i
nostri progetti, i nostri alibi: come un uragano, spazza via ogni nostra
illusione, e tutto ciò che noi credevamo vero, reale, remunerativo, si dimostra
falso, inesistente, fallimentare!<br /></span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">“Taci! Esci da lui!”</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> sono le parole risolutorie e salvifiche di Gesù: sono
le Parole con cui Egli ci salva, ci libera dai nostri demoni; sono le uniche
Parole che possono estirpare dal nostro cuore, dalla nostra mente, tutti quegli
“spiriti immondi” che ci posseggono, e guarirci.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Guarire per mano di Gesù,
venire risanati, perdonati sacramentalmente, è un evento di misericordia, di
amore straordinario, meraviglioso: ci fa sentire nuovamente liberi, leggeri, ci
restituisce la nostra identità, la nostra dignità, la nostra serenità, la
nostra vita.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma guarire a volte “fa anche
male”, è addirittura “straziante”, doloroso; perché significa strappare
violentemente dal nostro cuore lo </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">spirito impuro</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">; dobbiamo cioè
distaccarci radicalmente da tutto ciò che credevamo certezza, libertà, fantasia
creativa, vita </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">(spirito)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> e che, al contrario, si è rivelato nient’altro
che insicurezza, schiavitù, distruzione, morte</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> (impuro)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È un’esperienza dura,
un’esperienza dolorosa che richiede coraggio: perché significa aprire,
spalancare, quelle porte sbarrate, che ci rifiutiamo sempre di aprire, sapendo
che nascondono realtà che ci fanno vergognare, scelte spiritualmente velenose,
detestabili.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Inutile tentare la fuga,
inutile opporci a tale purificazione: per risorgere a nuova vita, dobbiamo
necessariamente scendere nel nostro intimo e con la fiamma del dolore, del
rimorso, cauterizzare le ferite inferte dal maligno.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Percorrere la vita sulle orme
di Cristo, non è un gioco; richiede tutto il nostro impegno: perché è molto
meglio prevenire la cancrena, che dover poi ricorrere a dolorose amputazioni.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">In questo non basta essere
prudenti, aver timore, ma è necessario misurarci, combattere con coraggio,
fronteggiare quel nemico che è sempre pronto a colpire, a lacerare, a straziare
la nostra anima. Non permettiamogli scioccamente di anestetizzarci: è il suo
mestiere, e lo sa fare molto bene.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Pietro, nella sua prima
lettera, ci mette in guardia proprio da questo; scrive infatti: </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“adversarius
vester diabolus, tamquam leo rugiens, circuit quaerens quem devoret”; </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">come
un leone ruggente va cercando qualcuno da divorare; “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">cui resistite fortes in
fide”, </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">resistetegli, saldi nella fede</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">; </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">infatti, prosegue Pietro, </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“dopo
che avremo sofferto, Dio ci ristabilirà, ci confermerà, ci rafforzerà… (1Pt
5,8-10). </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Adottiamo questa raccomandazione come nostro programma di vita:
perché, dopo la sofferenza, avremo anche noi da Dio, serenità, conforto, amore
infinito. Amen.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-79899571935955683532024-01-18T09:21:00.002+01:002024-01-18T09:21:53.200+01:0021 Gennaio 2024 – III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO<p><span style="font-family: arial;"><a name="_Hlk156320974"><span style="font-size: 12pt;"><b></b></span></a></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoxe_HCo_LKnwgoEPLSuS4EDlKempkB3jFL1Z0oEgFOuVkPCwbfjSbr6wz4Gg3HgG_B9zWy5p5GwSmH0HyTE17gCVMpHSZjfRNb0bXS7ody-20LVdqvD1Du9dZSIQg96LRJ0aVGc_Nj79LXx4MrCGnf72Ma4SRHy3Yr7Hdxoo9DXhcPuGJ0GXSPxR3lj4/s600/Chiamata-dei-primi-discepoli.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="400" data-original-width="600" height="213" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgoxe_HCo_LKnwgoEPLSuS4EDlKempkB3jFL1Z0oEgFOuVkPCwbfjSbr6wz4Gg3HgG_B9zWy5p5GwSmH0HyTE17gCVMpHSZjfRNb0bXS7ody-20LVdqvD1Du9dZSIQg96LRJ0aVGc_Nj79LXx4MrCGnf72Ma4SRHy3Yr7Hdxoo9DXhcPuGJ0GXSPxR3lj4/s320/Chiamata-dei-primi-discepoli.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Mc 1, 14-20 <br /></b><i><span style="font-size: 12.0pt;">Dopo che
Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio,
e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e
credete nel Vangelo».<br /></span></i><i><span style="font-size: 12.0pt;">Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone,
mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro:
«Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito
lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio
di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch'essi nella barca riparavano le
reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca
con i garzoni e andarono dietro a lui.</span></i></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="mso-bookmark: _Hlk156320974;"><span style="mso-bookmark: _Hlk61626797;"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Gesù dopo il
Battesimo e la sua successiva permanenza nel deserto “delle tentazioni”, per
recarsi a Cafarnao, passa lungo le rive del “mare” di Genezareth; è qui che
incontra Simone e Andrea, due fratelli pescatori, che stanno gettando le reti,
e li invita a seguirlo per diventare suoi discepoli.<br /></span></span></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Non sappiamo
cosa Gesù abbia notato di tanto interessante in loro: due poveretti che stavano
semplicemente facendo il loro lavoro: un lavoro povero, umile, indispensabile
per la sopravvivenza, che non aveva assolutamente nulla in comune con la
missione che Gesù voleva loro affidare. Ma Egli vede più lontano di noi;
capisce al volo le possibilità, i pregi e i difetti di quanti incontra; lo
capisce dalle piccole cose, dai piccoli gesti. Egli dunque li osserva </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">(“vide”)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">
mentre svolgono il loro lavoro, come affrontano le difficoltà del momento, come
si comportano, e ciò gli basta.<br /></span><span style="font-family: arial;"><i><span style="font-size: 12.0pt;">“Se mi seguirete, Vi farò diventare</span></i></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;"> <i>pescatori di uomini”, </i>dice loro a bruciapelo. <br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È una proposta
sconvolgente, un programma di cambiamento radicale che avrebbe rivoluzionato
totalmente la loro esistenza. Ma loro accettano. Piantano tutto e lo seguono.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Anche se in
seguito li troviamo a fare lo stesso lavoro con le reti, </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">(Lc 5,1-11; Gv
21,1-8)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, anche se continuano a fare le stesse cose di prima, anche se
intrattengono gli stessi rapporti con i loro familiari</span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, i loro amici, tuttavia non sono più gli stessi: perché </span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">è la loro
mentalità, è il loro modo di vedere le cose, che è cambiato: ciò che è
completamente cambiato, è il loro modo di rapportarsi col mondo. Se prima la
barca e la casa erano l’assoluto, ora non lo sono più. Hanno capito che nella
vita la cosa più importante, l’unica, è l’Amore; e l’amore lo puoi ricevere
solo dalle persone, non da un lavoro, non da una casa! Una casa non ci può
amare: può essere grande o piccola, in ordine o in disordine, in centro città o
in campagna, ma non può in alcun modo amarci. Così pure una barca, una
professione, un lavoro, non possono amare. Il lavoro semmai ci fornisce i mezzi
per vivere, ci garantisce un certo benessere, un qualche prestigio sociale. Ma
non può amarci!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma se i beni, il
lavoro, le ricchezze, non ci possono amare, e senza amore non possiamo essere
felici, perché continuiamo a sognare dimore sontuose, ricchezze e beni
incalcolabili? Perché continuiamo a lavorare come dissennati, ponendo il
lavoro, la carriera, la produzione, al di sopra di tutto e di tutti?<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ecco, proprio
in questo deve consistere il nostro cambiamento, la grande “conversione” della
nostra vita. Se siamo convinti che la felicità risieda in quello che facciamo,
in quello che abbiamo, stiamo costruendo la nostra vita su una bolla di sapone.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È vero: la
società consumistica di oggi continua a bombardarci di messaggi fasulli, ci
ripete ossessivamente che il denaro, la ricchezza, il piacere, è tutto, è
l’assoluto; ci investe continuamente con i soliti paroloni, sempre gli stessi,
che si rincorrono con frequenza e precisione maniacale: lavorare, produrre,
consolidare la carriera, orari sempre più lunghi, impegni sempre più gravosi,
concorrenza sfrenata, libero mercato, globalizzazione, soldi, tanti soldi. Ma
sono chimere, soltanto stupide chimere! La ricchezza, il benessere, la carriera
non fermano il tempo: la vita continua a scorrere inesorabile, e solo se
rientreremo in noi, capiremo che tutto ciò, tranne l’amore, è solo spazzatura.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Se scorriamo
le pagine del vangelo, troviamo forse scritto che Gesù ha lavorato senza sosta,
che è stato ansioso o angosciato per le consegne, intrattabile per la
produzione o le scadenze? Che ha perso la calma per non aver raggiunto qualche
“target”? Assolutamente no; lo troviamo invece sempre impegnato a dare e
ricevere amore e amicizia, ad usare carità, tenerezza, comprensione, sicurezza.
Gesù infatti non era ricco: ma come uomo era sicuramente molto amato e molto
felice, proprio perché era “libero” da preoccupazioni temporali.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ecco: non
potremo mai essere autentici discepoli di Cristo, non potremo mai essere la sua
Chiesa, se non ci allontaneremo anche noi dalla mentalità del mondo. Il
termine stesso di Chiesa, in greco “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ecclesìa</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”, vuol dire letteralmente “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">i
chiamati fuori</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”, </span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">persone speciali, uniche, cioè, che non agiscono per
far piacere agli altri, per avere la loro approvazione; persone, al contrario,
che si sono completamente “affrancate” da qualunque tipo di pressione
interiore, persone che non hanno altro interesse se non quello di fare umilmente
e fedelmente quello a cui sono state chiamate, con amore e generosità, spinte
non dall’ansia di ottenere ricompense, ma dalla sicurezza di fare
la volontà di Dio.<br /></span><i><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">“Il tempo è
compiuto. Il regno è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (1,15).<br /></span></span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Per noi però
non è così facile convertirci, rinunciare a noi stessi: non siamo per nulla
entusiasti ad abbandonare ciò che siamo, ciò che sappiamo, ciò che viviamo, per
incamminarci verso qualcosa di nuovo, di sconosciuto, di impegnativo: noi siamo
abituati nella nostra vita a muoverci sempre con garanzie, certezze,
assicurazioni; vorremmo cioè che il mondo girasse sempre come vogliamo noi;
siamo reticenti, non ci sentiamo ancora pronti a seguire Gesù, preferiamo
rimanere seduti lungo la riva del lago, a riparare le nostre reti sdrucite!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma quando Gesù
chiama, questo non è ammissibile, è semplicemente assurdo!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La vita che
Gesù ci prospetta, è invece completamente diversa: dobbiamo semplicemente
abbandonarci, fidarci, lasciar fare a Lui, senza alcuna pretesa, senza alcun
diritto, senza calcoli pretestuosi.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Dobbiamo
convincerci, che quel “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">venite dietro a me</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”, più che un ordine, è una
proposta di felicità, di vita piena, di vita vera, un’offerta di incalcolabile
valore: non è un invito ad un giro turistico, ma l'invito ad una “imitazione”,
ad una “sequela”, sicuramente non facile, ma sempre commisurata alle nostre
possibilità: dobbiamo solo avere il coraggio di seguirlo, di fare il primo
passo, di non resistergli, e come i primi discepoli, Lui trasformerà anche noi
in “pescatori di uomini”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Già, perché è
proprio questo che noi, oggi, dobbiamo essere nella sua e “nostra” Chiesa:
“pescatori di uomini”. La necessità è evidente: oggi infatti la Chiesa sta
rinunciando al suo mandato divino di essere “mater et magistra”, alla sua
fondamentale missione pastorale: si lascia irretire dalle tentazioni mondane,
dalla notorietà, dal desiderio di essere “diversa”, di esibirsi, di ottenere
facili consensi dal mondo, applausi e ovazioni mediatiche; si illude che
spalancando semplicemente le sue porte, i figli lontani, i non credenti, i
senza Dio, meravigliati e spinti da questa sua innovativa, affrancante,
generosa accoglienza, si precipitino in massa a riempire i suoi spazi: ma non è
così! Perché “seguire Cristo come suoi discepoli”, consiste in ben altro: noi
tutti, infatti, siamo stati scelti e chiamati non per inseguire e giustificare
le paradossali e futili scelte di vita del mondo attuale, ma per annunciare,
diffondere, proclamare con fermezza i valori intangibili della nostra fede,
quei principi irrinunciabili che la moderna società, refrattaria a qualunque
suo adeguamento alla morale cristiana, rifiuta e oltraggia, giudicandoli
deliranti, farneticanti, anticaglie d’altri tempi.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Oggi anche
nella Chiesa la parola d’ordine è “libertà”, autonomia di giudizio,
adattabilità e apertura su tutto, a tutti: la Chiesa deve materialmente
aprirsi, deve spalancare le sue porte al mondo, deve uscire nel mondo, deve
identificarsi col mondo, percorrendo strade e crocicchi, invitando chiunque
alle nozze dello Sposo: solo che purtroppo, in tanto marasma, nessuno dei suoi
“messaggeri” si ricorda più di fare qualche cenno all’obbligo di indossare la
“veste nuziale”; oggi, nel moderno banchetto ecclesiale, è completamente
scomparsa la figura magistrale del “responsabile di sala” con il compito
specifico di “vigilare” preventivamente che il cibo servito ai commensali,
provenga rigorosamente dalle scorte del Vangelo, evitando così che la
moltitudine accorsa si nutra di cibo avariato, intossicato dal relativismo ateo
e gaudente della società contemporanea.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La Chiesa
cattolica sta purtroppo progressivamente allontanandosi dalla sua regale e
divina prerogativa, di essere cioè immagine vivente, espressione visibile di
Cristo, suo fondatore; sembra cioè che le sue urgenze siano altre, che abbia in
particolare rinunciato del tutto al suo compito di “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">nutrire</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” con la
Parola le folle, di “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">guarire</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” i feriti dal maligno, di “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">risuscitare</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”
i peccatori, morti alla Grazia, esattamente come Gesù ha insegnato di fare.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Così, però,
quel “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">fumo di satana</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”, tanto temuto dai santi pastori di un tempo, sta
progressivamente invadendo, ammorbando e soffocando i suoi settori vitali.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ci consola e
ci sostiene la promessa di Cristo: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Io sarò con voi fino alla fine del mondo
- èos tès suntelèias tù aiònos” (Mt 28,20)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">. Ed è vero: perché ci sarà
sempre nella Chiesa un insopprimibile manipolo di umili e santi profeti, che
con la loro voce, le loro preghiere, la loro predicazione e la loro vita
esemplare, riusciranno ad epurare ogni sudiciume e, come già il profeta Giona
per la biblica Ninive, scongiureranno la totale distruzione della Casa di Dio
terrena.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È quindi al
seguito di questi degni, instancabili e fedeli “pescatori”, che anche noi
dobbiamo prontamente tornare al “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">metodo</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” insegnato da Gesù; non abbiamo
più molto tempo, non abbiamo secoli a nostra disposizione, perché, come ci
ricorda Paolo, </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“il tempo si è fatto breve!” (1Cor 7,29). </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma esattamente
qual è questo “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">metodo</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” di Gesù? È amore, misericordia, condivisione,
fraternità, formazione: Egli per tutti è stato padre, pastore, medico,
taumaturgo: guardava le persone, le amava, le conquistava.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il suo era un
amore profondo, concreto; un amore misericordioso, fatto di accoglienza, di
ascolto, di empatia, di conforto, di emozioni, di pianto, di gioia, di fiducia;
ma era anche, non dimentichiamolo mai, un amore esigente, esclusivo, severo,
attento, un amore che quando necessario, rovesciava banchi e mercanzie,
sferzava venditori e ladri che occupavano vergognosamente l’area del sacro
Tempio.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">L’uomo
contemporaneo, galvanizzato, stordito dal falso e indecente edonismo ateo, vive
pertanto nella necessità vitale, di percepire, di sentire, di “toccare” con
mano, questo amore, questa </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">agàpe</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> che è Dio stesso; ha estrema urgenza di
questo amore che, unico nella sua simbiosi di misericordia e giustizia, riesce
a illuminare la sua mente, trasformare il suo cuore, risanare la sua anima. Noi
per primi, abbiamo personalmente bisogno di questo amore. La Chiesa tutta,
comunità di cristiani, ne ha assoluto bisogno! Amen.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="mso-bookmark: _Hlk156320974;"><span style="mso-bookmark: _Hlk61626797;"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p> </o:p></span></span></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-90836216563843521112024-01-11T07:04:00.000+01:002024-01-11T07:04:44.015+01:0014 Gennaio 2024 – II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO<p><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjh2xouYClgpfViuz18bu2wq-aJFnTbOoXjx72OPwQZRHH1Kv91s3K8q2FMjj3cwEcGX8WFOYyCh3Zv_Zg2sgEz5F1iZ3EuHfnJMzrwhUwgbEjy2sK4kqyJpgjKzSuJ8ycZLujjlh6DgrCDbGKnzsZ9OdpL0r7-2wO1ghh1p6sMxjd8L7IR6gXRXdO7t3I/s684/abbiamo-trovato-il-messia1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="460" data-original-width="684" height="215" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjh2xouYClgpfViuz18bu2wq-aJFnTbOoXjx72OPwQZRHH1Kv91s3K8q2FMjj3cwEcGX8WFOYyCh3Zv_Zg2sgEz5F1iZ3EuHfnJMzrwhUwgbEjy2sK4kqyJpgjKzSuJ8ycZLujjlh6DgrCDbGKnzsZ9OdpL0r7-2wO1ghh1p6sMxjd8L7IR6gXRXdO7t3I/s320/abbiamo-trovato-il-messia1.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Gv 1, 35-42 <br /></b><i><span style="font-size: 12.0pt;">In quel tempo, Giovanni
stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava,
disse: «Ecco l'agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare
così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano,
disse loro: «<a name="_Hlk61111877">Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbi -
che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?». Disse loro: «Venite e
vedrete»</a>. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno
rimasero con lui: erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che
avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello
di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse:
«Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù.
Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di
Giovanni; sarai chiamato Cefa», che significa Pietro.</span></i></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il Vangelo di oggi ci
descrive la “vocazione” dei primi discepoli di Gesù. Del primo conosciamo il
nome: è Andrea, fratello di Pietro; il secondo dovrebbe essere proprio colui
che descrive i particolari dell’incontro, Giovanni l’evangelista. Essi sono entrambi
discepoli del Battista: ed è sufficiente che quest’ultimo, vedendo passare
Gesù, dica: “Ecco l’agnello di Dio”, che i due, senza dire una parola, quasi
attratti magneticamente dalla sua personalità, abbandonino il loro maestro e si
mettano silenziosamente al seguito di Gesù, felici in cuor loro di poterlo
seguire. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Andrea corre poi dal fratello
Simone e cerca di coinvolgerlo nel suo entusiasmo: “Abbiamo trovato il
Messia!”, ma deve fare i conti con la diffidenza di quest’ultimo: Simone
infatti segue il fratello senza dimostrare al momento alcuna eccitazione, alcun
interesse o curiosità. Non per nulla Gesù, vistolo arrivare, gli cambia subito
il nome in “Cefa”, ossia “Testa dura, testa di pietra”. Simone poi, nonostante
sulle prime sia rimasto un po’ sospettoso, diffidente, superato il momento, si
entusiasmerà come e più degli altri, raggiungendo col tempo vette di pensiero,
di amore e di intuizione, inarrivabili da tutti gli altri.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Cosa ci fa capire tutto
questo? Che per seguire Gesù bisogna appassionarsi, lasciarsi entusiasmare,
lasciarsi andare. La sua chiamata riguarda il cuore non la mente. Rispondere
alla sua chiamata, significa seguirlo senza fare calcoli, senza compromessi, spinti
solo dalla forza del cuore, dai sentimenti, dalle emozioni.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È successo e succede così
anche per noi? Siamo veramente gente appassionata? Gente entusiasta? Siamo
felici di essere “Chiesa”? Viviamo con trasporto e partecipazione le liturgie
di lode? Ci emozioniamo? Beh, dobbiamo riconoscere che a volte è piuttosto difficile
scorgere nei nostri volti energia, interesse, emozione, vitalità, entusiasmo: è
più facile vedere persone che ogni tanto sbirciano l’orologio…<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Dobbiamo capire invece
l’importanza del lasciarsi appassionare da Gesù: perché solo se siamo
entusiasti, convinti, gioiosi, potremo a nostra volta coinvolgere altri a
seguirlo, come hanno fatto i primi discepoli del vangelo: il Battista con
Andrea e l'altro discepolo, Andrea con suo fratello Simon Pietro, Filippo con
Natanaele, e così via.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Del resto è una cosa
naturale: se incontriamo qualcuno o qualcosa che ci rende felici, che ci fa
vivere bene, soddisfatti, ne parliamo subito volentieri con gli altri,
desideriamo che anch’essi facciano la nostra stessa esperienza.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">A volte però siamo ancora più
diffidenti di Simone, preferiamo rispondere: “No, grazie, non mi interessa, non
fa per me!” e lasciamo cadere la cosa. Anche se non abbiamo neppure provato!
Infatti non è vero che non fa per noi: è che siamo sospettosi, abbiamo paura,
non vogliamo metterci in gioco. Ciò significa purtroppo che dentro di noi, nel
nostro cuore, non c’è entusiasmo, non c’è vita, siamo già morti!<br /></span><a name="_Hlk61516042"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">“<i>Che
cosa cercate?</i>”, chiede Gesù ai due discepoli: una domanda che continua a
ripetersi molto spesso anche in noi.<br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Attenzione alle parole: Gesù non chiede “chi” cercate,
ma “cosa” cercate. Sembra irrilevante, ma la differenza è fondamentale: perché
sono le “cose” che cerchiamo, che desideriamo, quelle che stabiliscono se, alla
fine, siamo degni del “chi” vogliamo incontrare.<br /></span><a name="_Hlk61283154"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Sappiamo
per esperienza che in genere il nostro cercare, il nostro desiderare, non va
oltre alcune “cose” concrete, come: l’auto nuova, i vestiti eleganti, gli oggetti
che fanno “tendenza”, un buon lavoro, vacanze e divertimenti, un cospicuo conto
in banca, una casa signorile.<br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma sappiamo anche che queste “cose” non placano il nostro
desiderio: sembra, ma non lo fanno! Una volta raggiunto l’obiettivo, infatti,
veniamo nuovamente presi dall’insaziabile voglia di “altro”, e continueremo a
trascinarci nell’insoddisfazione, alla ricerca angosciante di “cose” sempre
nuove.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">C’è però un “desiderio” profondo, vero, originale, di
origine soprannaturale, celestiale (desiderio, da “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">de-sidera</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”;
letteralmente: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">che riguarda le stelle</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, le cose celesti, il divino”); un
desiderio quindi inciso nella nostra anima, veramente speciale, senza limiti,
che ci appassiona, che crea appunto una tensione continua verso il divino,
verso Dio, al quale il nostro cuore anela inquieto fin dalla nascita, come ci
spiega sant’Agostino: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">inquietum est cor nostrum donec requiescat in te</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">,
il nostro cuore non trova pace finché non riposa in te” </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">(Confessioni, 1,1,1).<br /></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È solo questo che Gesù vuol sapere da noi: “Cosa
cercate?”, una domanda che espressa in altre parole, vuol dire: “Se cercate, se
desiderate la vita vera, quella immortale, la libertà assoluta, la completa
felicità, allora seguitemi, perché questo è proprio ciò che Io vi offro. Se
invece cercate “altro”, se cercate solo cose di questo mondo, provvisorie,
instabili, inutili, cercatele altrove!”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Alla domanda esplicita di Gesù, però, i due discepoli
rispondono con un’altra domanda, altrettanto chiara ed esplicita: “Maestro,
dove dimori?”. Una domanda peraltro che viene un po’ banalizzata dalla
traduzione italiana, che non rende perfettamente il significato profondo della
richiesta dei due: il testo greco dice infatti: “</span><b style="font-family: arial; font-size: 12pt;"><i>Pù mèneis</i></b><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">? </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">dove
rimani</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">?”; quindi non “dove abiti, dove stai di casa, dove dimori”, una
domanda cioè fatta con indifferenza, con distacco, tanto per sapere, per pura
curiosità; ma “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Dove ti trovi? Dove vai? Dove rimani</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">? una domanda che questa
volta dimostra interesse, coinvolgimento, voglia di seguirlo. Certo, il lettore
distratto difficilmente può cogliere la differenza, ma non l’autore del testo. Perché
Giovanni conosce perfettamente il profondo significato del verbo greco “</span><b style="font-family: arial; font-size: 12pt;"><i>mèno</i></b><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”
(rimanere): tant’è che nel capitolo 15 del suo Vangelo, in soli 7 versetti, lo
fa ripetere da Gesù, quasi con ostinazione, per ben 10 volte, volendo sottolineare
appunto la vitalità del rapporto che deve unire intimamente maestro e discepolo!
Così: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Rimanete in me</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> (</span><b style="font-family: arial; font-size: 12pt;">mèinate</b><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> en emòi) </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">come io in voi”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">; “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Chi
rimane in me”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> (o </span><b style="font-family: arial; font-size: 12pt;">ménon</b><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> en emòi)”; “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Rimanete nel mio amore</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” (</span><b style="font-family: arial; font-size: 12pt;">menèite</b><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">
en tè agàpe mou) e via dicendo </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">(Gv 15,4-10)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">.<br /></span><a name="_Hlk155686395"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">In pratica, Gesù ci invita
a “<i>rimanere</i>” <i>con</i> Lui; anzi <i>in </i>Lui: perché è proprio in quel
luogo privilegiato ed esclusivo che tutti noi dobbiamo raggiungerlo; è lì, nel
suo amore, nel suo e nostro cuore, che egli “<i>rimane</i>”: quindi non di un
luogo fisico si tratta, ma di uno stile di vita, di una vita dinamica, fertile,
fruttifera, ad imitazione della sua. Dobbiamo cioè vivere, pensare, agire,
conformandoci alla sua Parola, per seguirlo nel suo amore verso il Padre,
raggiungendolo <i>in</i> lui, e custodirlo con Lui nel “nostro cuore”: perché è
lì che Gesù ora “rimane”, è lì che ci aspetta.<br /></span></span></a><a name="_Hlk155806829"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Ecco, questo è il grande, unico desiderio che dobbiamo
realizzare nella nostra vita di discepoli: “rimanere” con Gesù nell’amore di
Dio, smettendo di cercare “<i>fuori</i>”, Colui che va cercato “<i>dentro</i>”.<br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La vera felicità
non sta nell’avere, nell’ottenere sempre più cose, nel crogiolarsi nei piaceri,
ma nel cercare, nel muoversi, nell’andare insistentemente alla ricerca del
Padre, dell’Amore assoluto, seguendo la strada indicataci dalla Parola, dal
Vangelo.<br /></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Per questo
Gesù risponde: “<i>Venite e vedrete</i>”. Non dà alcuna indicazione precisa,
ma: “Vuoi sapere dove sono? <i>Vieni e vedi</i>! Vuoi seguirmi? <i>Vieni e vedi</i>.
Vuoi conoscermi a fondo? <i>Vieni e vedi</i>! </span></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">“<i>Venire</i>”,
infatti, è un verbo di movimento, un verbo dinamico: Gesù non invita nessuno a
starsene seduto a pensare, aspettando che passi il tempo; il suo è un invito
perentorio: dovete muovervi, dovete uscire dalle vostre posizioni, dalle vostre
idee, dalle vostre convinzioni!<br /></span></span><a name="_Hlk61513135"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Il motivo per cui Dio ci fa
paura è sicuramente perché ci vuole protagonisti, responsabili. Non possiamo
ignorare la sua chiamata, è un fuoco che ci brucia dentro: non sono ammesse mezze
misure, compromessi, non sono tollerati “distinguo” o astuzie mentali: con Lui
dobbiamo sempre arrivare al “tutto”, il “poco o niente” non sono accettati. Con
lui dobbiamo tendere sempre al massimo, perché chi si accontenta del poco,
rischia di non ottenere neppure quello.<br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Quindi, tutti
dobbiamo “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">andare e vedere</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”; tutti dobbiamo fare piena esperienza di Lui,
dobbiamo calcare esattamente le sue orme, dobbiamo renderci conto di persona di
ciò che vuole da noi: non è ammesso fermarsi al “mi pare” al “si dice”;
ciascuno deve “andare e verificare”, deve controllare con i propri occhi. Dobbiamo
insomma poter dire come Giobbe: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Io ti conoscevo per sentito dire, o Dio; ma
ora i miei occhi ti vedono!</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">(Gb 42,5)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Sapere tutto
sull'amore è sicuramente una cosa buona; ma provare l’Amore, vivere l'Amore è
tutt'altra cosa. Conoscere interi trattati di teologia non ci autorizza a dire
di conoscere Dio. Ma solo quando abbiamo superato cristianamente le prove e i
dolori della vita, solo quando abbiamo provato la cruda sofferenza per la
perdita di un figlio, di un genitore o di una persona cara, possiamo capire cosa
significhi rifugiarsi nell’amore di Dio, cosa voglia dire fare esperienza del
suo amore.<br /></span><a name="_Hlk61342736" style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Per vivere il vangelo ci vuole coraggio,
determinazione. Il vangelo non è rassicurante: non ci dirà mai: “Andrà tutto
bene, tutto filerà liscio come l'olio”. Non è così.<br /></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Dio non ci
dirà mai: “Vivi tranquillo, non avrai mai problemi!”; ma: “Non aver paura della
tua debolezza, dei tuoi dubbi, delle difficoltà che incontrerai, perché io
sono sempre con te!”. Crediamo nelle sue Parole rassicuranti: le ha dette anche
a San Paolo, quando durante la sua missione era costretto a misurarsi con i
Giudei minacciosi: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Noli timere</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">non temere, continua a parlare, non
tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male!”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">(At
18, 9s)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">; una certezza che più tardi lo farà esclamare: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Siamo tribolati
da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, disperati, perseguitati, ma
non siamo abbandonati!”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">(2Cor 4,9)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">.<br /></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">E allora, anche noi, di cosa dobbiamo aver paura? </span></span><span style="font-family: arial;"><span lang="FR" style="font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: FR;">“<i>Si Deus pro nobis, quis contra nos?</i> </span></span><span style="font-family: arial;"><i><span style="font-size: 12.0pt;">Se Dio è dalla
nostra parte, chi può mettersi contro di noi? (Rm 8,31)</span></i></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">. Ecco, questa
è anche la nostra certezza. Amen.</span></span></p>
<span style="font-family: arial;"><span style="mso-bookmark: _Hlk155807321;"></span><span style="mso-bookmark: _Hlk61513135;"></span>
</span><p class="MsoNormal"><span style="mso-bookmark: _Hlk155686395;"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-10048214753043187362024-01-04T09:19:00.013+01:002024-01-04T09:22:17.229+01:0007 Gennaio 2024 – BATTESIMO DEL SIGNORE <p><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXyiV8y-DJhayxM3vnlElTJXLe17aXVkVsQaX8yeKc_Xwo0vil_OMRJRQilgKy69raxarpLFsta2MzbKkEKn2_jtp3AYU_prRgnerb2BYKzJoe4_bMcpIP7rS0Vhiu3EcBBVBbqVFikia3OtflWAPBF5y7jcNNUXLVUFQC0vWsaFzKk1g2d2kWY9PlN94/s587/BATTESIMO%202024.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="587" data-original-width="439" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgXyiV8y-DJhayxM3vnlElTJXLe17aXVkVsQaX8yeKc_Xwo0vil_OMRJRQilgKy69raxarpLFsta2MzbKkEKn2_jtp3AYU_prRgnerb2BYKzJoe4_bMcpIP7rS0Vhiu3EcBBVBbqVFikia3OtflWAPBF5y7jcNNUXLVUFQC0vWsaFzKk1g2d2kWY9PlN94/s320/BATTESIMO%202024.jpg" width="239" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br /><br /></b></span><div><span style="font-family: arial;"><b>Mc 1,7-11 <br /></b></span><i><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;">In quel tempo, Giovanni
proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di
chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua,
ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da
Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. <br />E subito, uscendo
dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come
una colomba. <a name="_Hlk154078107">E venne una voce dal cielo: "Tu sei il
Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento". (Mc 1,7-11).</a></span></span></i><p></p>
<span style="font-family: arial;"><span style="mso-bookmark: _Hlk154078107;"></span>
</span><p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Marco inizia il suo vangelo
presentandoci Giovanni Battista che, nel territorio posto in prossimità del
Giordano, va predicando a tutti la necessità di sottoporsi al battesimo. Un
battesimo piuttosto impegnativo il suo, un battesimo fondato sulla </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">metànoia</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">,
sulla “conversione”, ossia su di un radicale cambiamento di mentalità e di
valori. Un battesimo insomma che costituisce il segno, il simbolo, dell’avvenuta
conversione. In pratica il Battista dice: “Io, con il battesimo, vi tolgo i
peccati di un passato sbagliato, ma siete voi che dovete cambiare vita,
cambiare mentalità, modo di pensare, altrimenti che senso ha venire da me per
una semplice abluzione esteriore? non serve assolutamente a nulla”. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il Battista conosce
perfettamente i propri limiti e rilancia il suo messaggio in una prospettiva
nuova: egli sta con le spalle rivolte al passato, ma con il dito puntato in
avanti, per indicare l’arrivo imminente della nuova economia, quella dell’amore,
della grazia, non del provvisorio lavaggio delle colpe, ma del loro totale e
definitivo perdono.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È a questo punto che succede
qualcosa di impensabile, di imbarazzante. Confuso tra la folla accorsa da lui
al Giordano, gli compare improvvisamente lo stesso Gesù; e anche lui, come
tutti gli altri, si mette in fila per farsi battezzare, per farsi “lavare” i
peccati. Un fatto che poi metterà in difficoltà i primi discepoli della giovane
Chiesa: “che bisogno aveva Gesù di “lavare le colpe”, di farsi togliere i
peccati? Che voleva dimostrare con questo gesto? Che forse anche Lui aveva
peccato? Impossibile! E allora perché ricorrere al battesimo di Giovanni?”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Marco non si pone queste
domande. È lapidario: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Accade in quei giorni che Gesù venne da Nazareth</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”.
In quel verbo “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">accade</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” egli fonda tutta la spiegazione dei fatti. Egli
intende dire cioè che nella persona di Gesù si concentra il compimento, la
realizzazione, di tutte le promesse fatte da Dio nell’antica alleanza: non a
caso Gesù ha la stessa radice di Giosuè: di colui cioè che, come leggiamo nella
Bibbia, ha condotto il popolo dalla schiavitù alla terra promessa; e qui Gesù,
come Giosuè, conduce infatti tutti i popoli dalla schiavitù del peccato, alla
terra promessa dell’amore e della libertà.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Marco dunque dice che Gesù si
fa battezzare: all’inizio del suo ministero, cioè, si presenta in fila come gli
altri peccatori, in tutto solidale con gli altri uomini. Ma egli non confessa i
suoi peccati, come fanno loro: Lui si fa battezzare soltanto per trasformare il
battesimo di Giovanni, simbolo di morte, in un battesimo nuovo, simbolo di
vita.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Giovanni fa immergere le
persone perché “muoiano” al peccato, perché inizino una nuova vita, un
passaggio dalla morte del peccato, alla vita della conversione: tutto ciò che c’è
stato prima deve morire, deve venir estirpato, cancellato, eliminato. Ma Gesù
non vive questo battesimo di morte. Lui vive un battesimo di resurrezione.
Marco infatti fa notare questa differenza ricorrendo ad un verbo particolare:
per dire che Gesù “esce” dalle acque del Giordano, usa </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">anabàinon</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, che
vuol dire uscire, ma </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“salire”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, lo
stesso verbo usato quando, dopo la resurrezione, dopo aver vinto la morte, Gesù
esce, lascia questa terra per “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">salire</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” in cielo. Stesso verbo, stesso
significato.<br /></span><a name="_Hlk155163913"><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;">Lo
scopo del Battesimo di Gesù, quindi, non è tanto quello di affrancarsi dal
peccato originale, di purificarsi dai peccati (che lui non aveva), quanto
piuttosto, come ci dicono tutti i vangeli, nel far discendere sulla sua
persona, e con Lui su ogni uomo, il dono dell’amore del Padre.<br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Marco infatti continua: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">E subito salendo dall’acqua,
vide aprirsi i cieli</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”; letteralmente, vide i cieli “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">skizomènus</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”, </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">squarciati</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">,
</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">spaccati, aperti, rotti</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> in modo irrecuperabile: l’allusione alla
convinzione biblica sulla “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">chiusura</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” ermetica dei cieli, è chiara: fino
ai tempi di Gesù si credeva infatti che Dio, indignato per i peccati del
popolo, si fosse ritirato nella sua dimora celeste, sigillandone ogni ingresso.
Dio non si concedeva più, non si comunicava più al suo popolo. Non c’era più
comunicazione fra Dio e gli uomini. I cieli, luogo della dimora di Dio, erano
stati sbarrati per sempre. Per questo il profeta Isaia implorava: “Se tu </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">squarciassi</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">
i cieli e discendessi!”</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> (Is 63,19)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">. </span><a name="_Hlk155245137" style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Era la
speranza, il desiderio, che Dio tornasse finalmente a comunicare con l’uomo, a
rapportarsi ancora con lui, in un colloquio interminabile, eterno, senza l’interposizione
di altre chiusure.<br /></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ebbene: questa speranza si concretizza con il
battesimo di Gesù: è qui, infatti, nel momento stesso in cui lui “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">sale</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”
dalle acque, che i cieli si </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">squarciano</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">: Dio, in Gesù, attraverso Gesù,
polverizza ogni diaframma e torna a comunicare con l’uomo, torna a donarsi all’uomo,
e lo fa in maniera totale, radicale, definitiva. Marco non dice “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">i cieli si
aprono</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”: perché come si sono aperti, potrebbero anche chiudersi nuovamente;
egli usa un termine che richiama il senso di irreparabilità: la differenza tra </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">apertura</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">
e </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">squarcio</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> sta tutta qui: lo squarcio è un’apertura definitiva, violenta,
irrimediabile; da quel momento qualunque tentativo di chiusura sarà
impossibile, il passaggio creato da uno </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">squarcio</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> è destinato a rimanere
aperto per sempre. Ricordate? Marco usa questo stesso verbo “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">squarciare</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”
anche quando descrive i fenomeni avvenuti al momento della morte di Gesù: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">il
velo del tempio si squarciò in due dall’alto in basso</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”: il velo enorme che
nascondeva alla vista del popolo la presenza e la gloria di Dio,
improvvisamente, si </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">squarcia</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> in maniera irreparabile, definitiva. L’evangelista
cioè intende sottolineare nuovamente, come il Dio velato, il Dio nascosto, si sia
rivelato definitivamente in Gesù crocifisso. Lui stesso è l’immagine visibile
di Dio: è il Crocifisso, infatti, il segno tangibile dell’amore di Dio per gli
uomini, reso ormai visibile a tutti e per sempre; un segno che non potrà più
nascondersi alla nostra vista, anche se lo rifiutiamo, anche se non lo vogliamo
più, anche se lo umiliamo, se lo disprezziamo, se lo crocifiggiamo di nuovo.
Dio, dopo Gesù, non potrà mai più smettere di amare l’umanità. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La spiegazione? È la discesa
dello “Spirito”. Marco qui usa l’articolo: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">to pneuma</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”: non uno spirito
qualunque, ma “Lo Spirito”. L’articolo determinativo indica la totalità della
forza e della vita di Dio: ed ora tutto questo è in Gesù. Cioè tutto lo Spirito
è su Gesù. Non una parte, tutto. Gesù è il possessore dell’intero “Spirito”. In
Gesù si manifesta, non una parte di divinità, ma la pienezza della divinità: l’essenza
della divinità.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ecco perché analizzando il
Battesimo di Gesù, è impossibile non rilevare la stretta correlazione con il
racconto della sua morte: quando Gesù “muore” </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">(Mc 15,37)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> si dice infatti
che “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">spirò</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” (</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">ek-pneuo</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">). Gesù, nei vangeli, in realtà non “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">muore</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”
mai, nel senso che questo </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">verbo</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> non viene mai usato; non si dice mai che
Gesù </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">muore</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, ma che </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">emette lo spirito</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">. È chiaro che Gesù è morto,
ma usando questo termine gli evangelisti vogliono contemporaneamente dire che
il suo Spirito non muore, non può morire; egli rimane vivo, è già risorto, lui
vive già da allora e vivrà per sempre: lui non è mai morto. Sulla croce Gesù ha
"reso", ha restituito lo Spirito al Padre. Cosa vuol dire? Vuol dire
che lo Spirito che Gesù riceve qui durante il Battesimo, è quello stesso Spirito
(</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">pneuma</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">) che egli </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">emette </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">alla sua “morte”,</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">è quello <i>S</i></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">pirito che uscito da
Lui, continuerà a vivere su tutti coloro che vivranno come Lui; quello stesso
Spirito d’Amore che Egli dispenserà in dono a tutti nella Pentecoste,
lasciandolo in eredità alla sua Chiesa.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Poi Marco aggiunge: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">E ci
fu una voce (phoné) dal cielo</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. Anche prima di “emettere lo Spirito” sulla
croce, Gesù dà un forte grido (</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">phoné</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">): “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Dio mio, Dio mio, perché mi
hai abbandonato?</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">(Mc 15,34)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">. È la “voce” dell’amore di Dio. Tutta
la vita di Gesù è immersa nell’amore del Padre che lo sostiene, lo protegge e
lo spinge a realizzare, a compiere, il suo progetto di salvezza.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ed è quest’amore, questa voce
di Dio che, attraverso Gesù, ci fa sentire al sicuro, protetti, amati,
sorretti. Noi abbiamo bisogno di un amore che ci ami al di là di tutto, un
amore che ci sia sempre e in ogni caso; un amore che non venga mai meno per
nessun motivo; un amore che sia impossibile perdere. Solo così, forti di questo
amore, potremo affrontare qualunque difficoltà.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Qualcuno potrebbe dire: “Ma
io non lo sento questo Dio che parla!”. Certo, ma se non lo sentiamo, non è
perché Lui non parla, ma perché noi siamo sordi. Non lo sentiamo, perché siamo
distratti da mille altre voci, da altri frastuoni, dai tantissimi rumori che
coprono la sua voce. E poi, soprattutto, “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">dobbiamo</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">volerlo</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”
sentire. Cosa che non è automatica. Perché troppo spesso abbiamo paura di
conoscere quello che potrebbe dirci; preferiamo quindi non sentirlo, preferiamo
fare i sordi, preferiamo coprire la sua voce con i mille rumori di questo
mondo.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma è proprio qui che
sbagliamo: perché se vogliamo sentire la sua voce, dobbiamo creare intorno a
noi il cosiddetto “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">silenzio dell’ascolto</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">!”. Dobbiamo cioè mettere a
tacere tutte le voci inutili, gli urli sguaiati, assordanti. Dio non ama il
frastuono da discoteca: Dio ama il silenzio, il raccoglimento, la calma
interiore. Vi ricordate l’incontro di Elia con Dio? “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Dio non era nel vento
impetuoso, non era nel terremoto, non era nel fuoco, ma era in una brezza
leggera” (1Re 19,11-12)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">: questo deve succedere anche per noi: perché Dio
non è lontano, non ha bisogno di gridare, è “dentro” di noi: e parla, “sussurrando”,
alla nostra coscienza.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">E concludo con due verità,
entrambe consolanti: Dio ci ama di un amore incondizionato. E quando noi ci
sentiamo amati, troviamo la forza per affrontare qualunque cosa. Quando ci
sentiamo nell’amore di Dio, diventiamo assolutamente irresistibili.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">L’amore umano, anche il più
grande, il più bello, pone sempre delle condizioni: abbiamo imparato che per
essere amati, dobbiamo sempre dare qualcosa in cambio. Ma Dio non è così. Dio
non ci ama perché siamo bravi, perché dobbiamo contraccambiare. Dio ci ama semplicemente
perché siamo “noi”, siamo quella “sua” particolare creatura. Non dobbiamo
temere di aprirci con Lui, di non dirgli certe “nostre cose” per farlo contento
ed evitare qualche “penitenza”. Con Dio non è così. A Lui possiamo raccontare
veramente tutto, anche ciò di cui ci vergogniamo di più, anche ciò che ci fa
più male, che ci ripugna di più, che ci fa veramente schifo. Lui ci ama sempre
e comunque. Lui ci ama sempre e nonostante tutto: ci ama di un amore vero,
sincero, </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">gratuito</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">: un amore che sgorga dal suo cuore e che si chiama “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">grazia</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”.
Ma noi cosa dobbiamo dargli in cambio? Assolutamente nulla! Dobbiamo dirgli
soltanto: “grazie, Padre mio!”. Amen.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> </span></p></div>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-78584591542155913412023-12-27T18:43:00.008+01:002023-12-27T18:43:50.282+01:0031 Dicembre 2023 – SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE<p><span style="font-family: arial;"><b><span style="font-size: 12.0pt;"></span></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKuvHFakPwoLeHqz_7mVVUGL0cXTgH53-DSF_bFH1UPOfQNtDpJ8kD-lcH9HRU-zS4I0QjqKgHidt9_jc09Q3KgjaKBXK_QcvJwh140Me7NgDQ11HdgAgR6D9Uyn1Up2gzzllLnWUyaUfZwKxsoNzh_efjiQYfrD0pk5UZeWzZT0Ojibge1b9krTslRxU/s890/presentazione-signore-lalucedimaria.it-20230202.pg_.jpeg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="890" height="243" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKuvHFakPwoLeHqz_7mVVUGL0cXTgH53-DSF_bFH1UPOfQNtDpJ8kD-lcH9HRU-zS4I0QjqKgHidt9_jc09Q3KgjaKBXK_QcvJwh140Me7NgDQ11HdgAgR6D9Uyn1Up2gzzllLnWUyaUfZwKxsoNzh_efjiQYfrD0pk5UZeWzZT0Ojibge1b9krTslRxU/s320/presentazione-signore-lalucedimaria.it-20230202.pg_.jpeg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Lc 2,22-40 <br /></b><b><i><span style="font-size: 12.0pt;">[</span></i></b><i><span style="font-size: 12.0pt;">Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione
rituale, secondo la legge di Mosè, (Maria e Giuseppe) portarono il bambino
(Gesù) a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge
del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire
in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la
legge del Signore.<b>] </b>Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone,
uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo
era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto
la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si
recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò
che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e
benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in
pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e
gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle
cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse:
«Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come
segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima – affinché
siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna,
figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva
vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova
e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo
Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si
mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione
di Gerusalemme. <b>[</b>Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del
Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino
cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui<b>].</b></span></i></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> </span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Oggi è la festa della Santa
Famiglia, ma il Vangelo si concentra soprattutto su Maria e sul suo stato
d’animo. Quaranta giorni dopo la circoncisione, infatti, Maria e Giuseppe
salgono al tempio per assolvere due distinti obblighi della Legge: la
purificazione della madre e il riscatto del figlio primogenito. <br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È interessante notare come
Luca ripeta per ben cinque volte la parola “Legge”, quasi a sottolinearne
l’importanza. Si tratta infatti di una antica usanza, interpretata nel corso
dei secoli, e mantenuta viva dalla “tradizione”, che per il popolo era
vincolante come e forse più delle leggi scritte.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Maria e Giuseppe salgono
dunque al Tempio. E qui incontrano un personaggio singolare, un certo Simeone
(che vuol dire “Jahweh ha ascoltato”). Il Vangelo non ci dice se sia vecchio.
Ci dice però che era un uomo giusto e timorato di Dio. Si potrebbe pensare ad
un sacerdote, anche se si dice che lo Spirito Santo era sopra di lui (nei
vangeli i sacerdoti del Tempio non vengono mai descritti come assistiti dallo
Spirito Santo!). Ma Simeone più che un sacerdote del tempio, si rivela un
profeta, più che un uomo del culto, un conoscitore della vita.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Maria e Giuseppe cercano un
rappresentante della Legge per adempiere ai loro doveri, e trovano invece un
uomo dello Spirito, le cui parole non si riferiscono ad alcuna regola, ad
alcuna prescrizione da compiere, ma sono parole esaltanti, gravi, profetiche,
riferite al futuro del loro figlioletto. Essi rimangono colpiti di fronte a
tali dichiarazioni: ricordavano che i pastori avevano parlato di un
“salvatore”, che l’angelo, parlando con Maria, lo aveva definito “Figlio
dell’Altissimo”, ora quest’uomo parla di “luce per illuminare le nazioni”: ma
cosa significa tutto questo? Chi è in realtà questo loro figlio?<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Sono andati al tempio perché Maria,
la madre, venisse purificata, e invece trovano quest’uomo che preannuncia la
purificazione di Israele per opera del loro figlio: secondo lui, egli sarebbe
diventato la “pietra d’angolo”, che per molti sarebbe stata la base su cui sviluppare
la loro costruzione, mentre per altri sarebbe stata la “pietra di scandalo”, ossia
quella pietra d’inciampo, che li avrebbe fatti cadere <i>(1Pt 2,7; Rm 9,33)</i>.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Seguire Gesù infatti non è
mai semplice, indolore; non è come percorrere un bel sentiero, comodo, in
pianura, all’ombra, con frequenti fontanelle d’acqua e molte panchine su cui
riposare. Gesù ci mette davanti a scelte onerose, a crocevie misteriose, a
inevitabili cadute: le sue verità sono dure e radicali; ci mette di fronte a
noi stessi, senza alcuna possibilità da parte nostra di poterci opporre. Il suo
è un cammino di liberazione, di guarigione, di apertura, di smascheramento: con
Lui è impossibile sonnecchiare tranquilli. Le risposte che vuole sono sì sì, no
no: ed è proprio per questo che il suo vangelo, per alcuni è “vita”, per altri
“morte”. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Simeone dunque predice a
Maria ciò che avverrà: non le dice nulla, ma insieme le dice tutto. Ella
ascolta attentamente, anche se non comprende tutto di quanto le viene detto.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Maria non è sempre stata la
Madonna! Diceva in proposito sant’Ambrogio: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Maria è il tempio di Dio, non
il Dio del tempio!</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”: Ella cioè, nel corso dei secoli, è stata ricoperta di
così tanti privilegi e titoli soprannaturali, da impedirci di vederla così
com’era, madre giovanissima, quando ancora nessuno poteva pensare che
diventasse la “Madonna”!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il vangelo sottolinea più
volte che Maria, proprio nello svolgere la sua missione di madre, rimaneva
sorpresa, meravigliata, “non capiva”: accolse infatti il messaggio dell’angelo
senza capirne l’esatto significato, non avendo chiara tutta la sua importanza,
ma disse “si”. Non capì neppure il vero significato dei messaggi di suo figlio
Gesù, ma semplicemente lo seguì sempre con apprensione e amore. Questo fu il
suo grande merito: da madre che era, divenne sua umile discepola.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Lei conosceva la tradizione
profetica ebraica secondo cui il popolo eletto sarebbe stato salvato dal
Messia. Ma qui Simeone prevede un’altra cosa: suo Figlio sarebbe stato: “luce
per illuminare tutte le nazioni”, ma anche “rovina e resurrezione di molti in
Israele”. Sarebbe stato cioè un “Messia” completamente diverso da come tutti se
l’aspettavano: e, altra cosa importante, Egli sarebbe stato il Salvatore non
soltanto del popolo eletto, ma di tutta l’umanità.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma ciò che colpisce
particolarmente Maria è una frase del vecchio veggente: “a te una spada
trafiggerà l’anima”. A quale “spada” si riferiva Simeone?<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Forse alludeva ad alcune
espressioni del Figlio, oscure, difficili da capire, che le avrebbero causato
dispiacere, sconforto, incomprensione? Una cosa è certa: ben presto si sarebbe
resa conto che le sue aspettative materne, riposte nel figlio, si sarebbero
realizzate in maniera ben diversa da come lei pensasse.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Forse alludeva al profondo
dolore che avrebbe provato il suo cuore di madre, constatando che i suoi
vicini, i suoi compaesani si sarebbero espressi contro suo figlio, mal
sopportandolo; lo avrebbero deriso, rigettato le sue affermazioni
straordinarie, le sue opere miracolose: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Non è costui il carpentiere, il
figlio di Maria, il fratello di Giacomo, Ioses, Giuda e Simone?</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” (Mc 6,3);
per dire: “Ma chi si crede di essere? Conosciamo molto bene lui e la sua
famiglia!”. I parenti stessi lo rifiutano: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Neanche i suoi fratelli
credevano in lui</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” (Gv 7,5). Per gli scribi è addirittura un bestemmiatore,
uno stregone “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">posseduto da uno spirito immondo</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” (Mc 3,30) che “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">scaccia
i demoni nel nome del principe dei demoni</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” (Mc 3,22). Per i farisei
conservatori e per i dissoluti erodiani, entrambi allarmati dal suo
comportamento, è un dissennato perché “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">mangia insieme ai peccatori e ai
pubblicani</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” (Mc 2,16): e tra di loro decidono di farlo morire (Mc 3,6).<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Gesù insomma sarebbe stato
considerato da tutti un pazzo, uno stravagante, un fuor di senno: in pratica, uno
meritevole di morte. Sarà questa la spada preannunciata da Simeone?<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Oppure Simeone si riferiva a
quell’altra difficile prova che avrebbe dovuto affrontare, di dover cioè
anteporre ad ogni cosa, al suo stesso intimo legame di madre, la missione
soprannaturale di questo suo figlio, una missione che l’avrebbe portato sul
Golgota per essere crocifisso?<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Tutto questo Maria l’ha
intuito più che capito, l’ha gradualmente interiorizzato, e soprattutto l’ha
fedelmente praticato negli anni in cui Gesù, nella sua famiglia, “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">cresceva e
si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ebbene: è esattamente questo
lo spirito che dovrebbe appartenere ad ogni genitore, questo il comportamento
che dovrebbe regnare sovrano anche nelle nostre moderne famiglie: accogliere la
volontà di Dio, agire sempre nel rispetto condiviso dei propri doveri.<br /></span><a name="_Hlk154074287" style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Purtroppo,
in questi tempi, la “famiglia” sta vivendo una crisi profonda: </span></a><a name="_Hlk154594205" style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">la sua naturale composizione di padre, madre, figli,
non si presenta più come l’unico autentico modello di unione sociale; oggi c’è
la pretesa di considerare “famiglia” qualunque tipo di convivenza, sia etero
che omosessuale. Non esistono più doveri fondamentali come fedeltà, rispetto
reciproco, ma solo un latente egoismo esibito come amore; solo “diritti”
individuali, inizialmente dormienti, ma sempre pronti a riemergere per
sopraffare l’altro: è purtroppo questa l’immagine ricorrente delle attuali “libere
convivenze”, quasi sempre posticce, volubili, instabili, pronte a sfasciarsi
alla prima difficoltà. Nessuno più crede al matrimonio cristiano, unica
istituzione in cui è possibile coltivare, salvaguardare, accrescere i valori
umani e spirituali, unica vera, autentica, naturale famiglia.<br /></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma per questo
dobbiamo forse arrenderci e concludere che oggi è impossibile amarsi? No! Dico
soltanto che, come ci insegna la festa di oggi, i sentimenti profondi come
l’amore gratuito e disinteressato, l’accoglienza, il rispetto, la dedizione, rappresentano
il patrimonio esclusivo della “famiglia”, quella autentica, quella che Dio ha
sognato e voluto, creando la prima coppia uomo/donna, come esclusivi prosecutori,
con i figli, della sua opera creatrice.</span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">In essa,
anche oggi come allora, amarsi profondamente è possibile; restare fedeli è
possibile; avere dei figli, educarli, farli diventare degli adulti
responsabili, non solo è possibile, ma esaltante!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Maria e
Giuseppe ce lo documentano: è infatti nella loro famiglia che Dio ha scelto di
nascere, di sottomettersi alle naturali e normali dinamiche famigliari, di
vivere cioè tra le fatiche di una vita condivisa, di un rapporto di coppia,
superando sempre tutto con amore e tenerezza.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Riscopriamo
allora anche noi questo “antico” e infallibile modo di essere famiglia:
riscopriamolo nell'autenticità, nella sincerità, nella fede, nel difficile
cammino di amore e di comprensione reciproca.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">E perché queste festività natalizie
possano trasformarsi veramente nella festa dell’intera famiglia, noi genitori preoccupiamoci
di “presentare”, come Maria e Giuseppe, i nostri figli al “Tempio”: e se, una
volta cresciuti, e al Tempio non vogliono più andare, non scoraggiamoci: portiamoli
comunque spiritualmente con la preghiera, e con fede poniamoli ugualmente nelle
mani del Padre, per ottenere da lui una particolare benedizione, consapevoli
che questa, sicuramente, si trasformerà per loro in speciali grazie e in future
benedizioni divine. Amen.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-46793841602735744132023-12-21T07:34:00.000+01:002023-12-21T07:34:18.012+01:0024 Dicembre 2023 – IV DOMENICA DI AVVENTO <p><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggWnfBZtWPBhrQ2vqeffRvJ3EQOncYhkaNBd8nhsfVrY_VedGbOP5j31CW8y9o5KOPj6vR02FL_zeaOScvgk9T74lKZYdU7sxBwiqfxa7zHeqaGpUFVr9z1d45aJawhyphenhyphenitGFeKNeHF02BN1pwzd3P26oP3_cSMPA-AV7CKgYKseLqw3dHVmcJRSd6lXcc/s400/annunciazione.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="395" data-original-width="400" height="316" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEggWnfBZtWPBhrQ2vqeffRvJ3EQOncYhkaNBd8nhsfVrY_VedGbOP5j31CW8y9o5KOPj6vR02FL_zeaOScvgk9T74lKZYdU7sxBwiqfxa7zHeqaGpUFVr9z1d45aJawhyphenhyphenitGFeKNeHF02BN1pwzd3P26oP3_cSMPA-AV7CKgYKseLqw3dHVmcJRSd6lXcc/s320/annunciazione.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Lc 1,26-38 <br /></b><i><span style="font-size: 12.0pt;">In quel tempo, l’angelo
Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una
vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La
vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di
grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si
domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non
temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un
figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato
Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e
regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora
Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le
rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza
dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo
e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua
vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei,
che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria
disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E
l’angelo si allontanò da lei.</span></i></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> </span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Il vangelo di oggi ci
racconta ciò che è realmente accaduto! Con tutti i particolari. Dalle poche ma
magistrali pennellate di contorno, delicatamente incisive com’è nello stile di
Luca, emerge prepotentemente la grandezza del pensiero di Dio.<br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">In un paesino incollato ad un
pendio roccioso, lontano dalle grandi strade commerciali, in una misera ma
dignitosa casupola, ricavata nella roccia, avviene l’assurdo di Dio, l’inizio
di una storia diversa, una storia di salvezza. Dio, stanco di essere incompreso,
decide di venire a raccontarsi. La lunghissima storia di amicizia e di amore
col popolo di Israele non è stata sufficiente per farsi capire e Dio, alla
fine, sceglie di farsi uomo, di diventare uno di noi: ma per farlo gli serve un
corpo, ha bisogno di una madre.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">E Dio non sceglie la moglie
dell’imperatore, non una scienziata o un premio Nobel, non una dinamica
imprenditrice dei nostri giorni; ma una piccola adolescente, Mariam (la bella).
È a lei che Dio chiede di diventare la sua porta d’ingresso nel mondo. Contro
ogni buon senso, Maria accetta, ci sta; ci crede immediatamente, e noi, i
saggi, non sappiamo se ridere o scuotere la testa davanti a tanta meravigliosa
incoscienza; restiamo senza parole davanti alla sconcertante semplicità di
questo dialogo, davanti al coraggio di questa ragazza ancora acerba, che parla
alla pari con l’Assoluto, che gli chiede spiegazioni e chiarimenti.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma Dio non guarda con i
nostri occhi, non ragiona con la nostra mente. Per calarsi nella storia, Egli
sceglie Nazareth, un umile paesino sconosciuto, e come madre, sceglie una
altrettanto umile e sconosciuta bambina, Maria. E nel silenzio, senza pubblicità,
si consuma il grande mistero della divina umanità.<br /></span><a name="_Hlk153902135"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Nessun
satellite, nessuna diretta televisiva, nessun network è riuscito a riportarci
l’accaduto.<br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Solo un assordante silenzio ci parla ancora oggi; e ci
indica le illogiche scelte di Dio. A noi che cerchiamo sempre il consenso e la
notorietà, l’efficienza e la produttività, Dio propone una logica nuova,
diversa, la logica del “dentro”, basata sull’essenziale, sul mistero, sulla
profezia, sulla verità di sé, sui risultati imprevisti e sconcertanti.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Siamo alla fine dell’Avvento:
oggi è d’obbligo fermarci a meditare sulla figura di colei che offre il suo
grembo per il divino concepimento del Messia uomo.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">E che messaggio ci lancia
Maria? “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Accogliete il Signore!</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. Non
soltanto in occasione dell’imminente natale, ma durante tutta la nostra vita.
Sì, accogliamo il Signore! Perché sarebbe perfettamente inutile avergli
preparato la strada, per poi alla fine non accoglierlo.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma cosa significa “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">accogliere il Signore</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”? Significa fare
come ha fatto Maria. Accettare i suoi progetti, le sue proposte, lasciarsi
portare da Lui, fidarsi di Lui. Ogni giorno, in ogni luogo, in ogni situazione.
Sempre. Significa accettare di diventare la sua casa, significa accogliere
questo ospite unico, infinito, nella sua luce, nel suo amore, nella sua bontà.<br /></span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">“Non temere, Maria”</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">. Certo, non è stato facile per Maria accogliere questo progetto. Dio
non le ha certamente risparmiato le enormi difficoltà di questa scelta, perché
la sua doveva essere una scelta libera, da innamorata. Una risposta generosa,
franca, consapevole, dettata dall’amore, capite? Non come le nostre risposte:
stanche sul nascere, legate alle circostanze, plagiate dal rispetto umano,
condizionate dai nostri calcoli e dal nostro tornaconto. Avete ancora presente
il momento in cui abbiamo detto il nostro “si” a Dio? Quanti tentennamenti,
quante indecisioni, quanti ripensamenti! Altro che risposta libera e gioiosa:
la nostra adesione è tutto un programma. Eppure dovremmo avere sempre in mente
che “<i>hilarem datorem diligit Deus</i>:
Dio ama colui che gli dà con gioia” <i>(2Cor
9,7)</i>. Una risposta ragionata, calcolata, per Dio non è una risposta.
L’adesione a Dio deve essere un contratto irrevocabile, un concordato
irrinunciabile, un investimento perpetuo senza alcuna pretesa di interessi.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Certo, è sicuramente lecito
avere dei dubbi. Li ha avuti anche Maria: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Come
è possibile questo?</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. Ma i dubbi sono a monte, precedono la risposta;
devono semmai essere l’occasione per dare una risposta ancor più vincolante e
cosciente, più consapevole e autonoma.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Del resto i dubbi accrescono
la fede. E avere fede significa porre la propria certezza in Dio, sempre, in
qualunque situazione della nostra vita, bella o triste che sia.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La fede quindi fortifica la
nostra risposta, la rende ferma e immutabile, le toglie qualunque velleità di
ripensamenti; fede è totale fiducia in Dio, perché “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">niente è impossibile a Lui</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Anzi, come amava ripetere un
vecchio maestro, “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">tutto è possibile a chi
crede</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">"</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Eccomi, sono la serva del Signore</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">"; con queste parole Maria ha
fatto il suo atto di fede. Ha creduto, ha accolto Dio nella sua vita, si è
affidata a Lui, ha messo la sua vita a completa disposizione di Dio. Questa è
la fede; questo significa credere veramente. Questo è l’esempio che dobbiamo
seguire, il modo con cui anche noi dobbiamo rispondere alla nostra chiamata. La
fede di Maria non è stata tanto nel credere a un certo numero di verità, quanto
nell’essersi fidata ciecamente di Dio, nell’essersi completamente abbandonata a
Lui.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Maria ha accolto Dio nella
sua vita. Ha creduto che “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">nulla è
impossibile a Dio</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. Ha detto il suo "sì" a occhi chiusi, in
maniera totale e gioiosa. Ha concepito Cristo, come dice S. Agostino, prima nel
cuore che nel corpo.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È questo l’esempio luminoso
che ci viene proposto oggi da Maria. Imitiamola dunque, imitiamola con fede,
“concepiamo” anche noi Gesù nel nostro cuore. Diventiamo partecipi di questa
sua sublime vocazione. Del resto, come hanno scritto Origene e S. Bernardo,
“che beneficio avrei, se Gesù fosse nato soltanto una volta a Betlemme, e non
continuasse a nascere per fede nel mio cuore?”<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">E allora, coraggio, animo!
Proprio quando pensiamo di avere sbagliato tutto nella vita, quando non siamo
soddisfatti dei risultati ottenuti o ci sentiamo attratti dall’assordante
richiamo del mondo, guardiamo a Nazareth, guardiamo al silenzio di Maria, alla
sua umile dedizione, al suo composto modo di fare, e lasciamoci sbalordire,
lasciamoci incantare da tanta semplicità e fedeltà. Anche noi, sul suo esempio,
non abbandoniamo, non rinunciamo, non molliamo mai; per nessuna ragione.<br /></span><a name="_Hlk153902365"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Domani
è Natale. Presentiamoci anche noi a Betlemme, umilmente, senza pretese, così
come siamo: ascoltiamo anche noi la voce del Signore che silenziosamente dice
al nostro cuore: “lasciati amare; non preoccuparti di come hai preparato il tuo
avvento, sono io che ti vengo incontro!”. Capite? Che vogliamo di più da Dio?
Egli è così: noi dobbiamo solo aspettare; dobbiamo chiudere gli occhi, e
lasciarci incontrare! Amen.</span></span></a></p>
<span style="font-family: arial;"><span style="mso-bookmark: _Hlk153902365;"></span>
</span><p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>
<p align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;"><b><span style="color: red;"><span style="font-family: arial; font-size: large;">AUGURI! <br /></span><a name="_Hlk153903171"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: large;">BUON NATALE A TUTTI VOI,
E AI VOSTRI CARI!</span></span></a></span></b></p>
<span style="font-family: arial;"><span style="mso-bookmark: _Hlk153903171;"></span>
</span><p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-421582387128214902023-12-14T18:35:00.006+01:002023-12-14T18:35:40.159+01:0017 Dicembre 2023 – III DOMENICA DI AVVENTO <p><span style="font-family: arial;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHYj0xnY0b1L-3tBFnXZUOtbWjhIbenSWRtdMO_qpv4fnG5HLJxagZWde9N8hIQgkqO6vi6DwvJFwi0fFOY-e_w4ejjyPWWqq0nJyR2xd29npD5KNd6cUJq7NtS0VlRtxLMlcg3a6W9ONbT0S7XdEb1Bm9A0GTuXG2BJxCk6ySLtX2vZ3pKT2CzYsvckw/s409/san%20juan%20bautista.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="387" data-original-width="409" height="303" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHYj0xnY0b1L-3tBFnXZUOtbWjhIbenSWRtdMO_qpv4fnG5HLJxagZWde9N8hIQgkqO6vi6DwvJFwi0fFOY-e_w4ejjyPWWqq0nJyR2xd29npD5KNd6cUJq7NtS0VlRtxLMlcg3a6W9ONbT0S7XdEb1Bm9A0GTuXG2BJxCk6ySLtX2vZ3pKT2CzYsvckw/s320/san%20juan%20bautista.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Gv
1,6-8.19-28 <br /></b><i>Venne un uomo mandato da Dio: il
suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla
luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva
dare testimonianza alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i
Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi
sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli
chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il
profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una
risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io
sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come
disse il profeta Isaia». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi
lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il
Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo
nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo
di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo
avvenne in Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.</i></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial;">Siamo
alla terza domenica di Avvento, la cosiddetta domenica “<i>Gaudete</i>”:
rallegriamoci, perché il Natale, la venuta di Gesù nei nostri cuori, è vicino. </span><span style="font-family: arial;"><br />Il Vangelo
ci propone ancora una volta la figura del Battista. Ma oggi, a differenza delle
altre volte, non è l’asceta o il profeta intransigente, che annuncia la
distruzione se gli uomini non si convertono; qui è il testimone, il precursore,
una voce che annuncia Gesù già presente tra il popolo.<br /></span><span style="font-family: arial;">Il
Battista, nel racconto di Giovanni, è semplicemente un’indicazione, uno
strumento che dice: “Non guardate me, guardate più in là, guardate oltre me,
guardate ciò che sta dietro di me”. Non dice chi è colui che verrà o come
verrà. Dice solo “Preparate la via, verrà uno che non conoscete, io di fronte a
lui sono nulla”.<br /></span><span style="font-family: arial;">Ebbene:
questa è la particolarità dell’avvento. Il Battista sa che qualcosa deve succedere,
che qualcuno deve arrivare, ma non sa chi; egli aspetta, è in attesa; sa
soltanto che sarà un personaggio importante, al quale lui non si sente degno di
slacciargli i sandali.<br /></span><span style="font-family: arial;">Rimanere
in attesa, implica sempre, nel nostro immaginario, l’arrivo di qualcosa di
nuovo, un qualcosa di imprevedibile, di diverso, di insolito. È una sorpresa.
Del resto, se conoscessimo già tutto ciò che ci deve accadere, se tutto fosse
già documentato e scritto, che “novità” sarebbe per noi il prossimo Natale? Che
“Avvento” sarebbe il nostro?<br /></span><span style="font-family: arial;">Allora,
aspettare il Natale, significa: “Prepariamoci, perché ci succederà qualcosa che
supera ogni nostra previsione, un qualcosa che non possiamo pianificare, che
non possiamo controllare, che non possiamo gestire. Permettiamo allora a Dio-Vita
che ci faccia delle sorprese”.<br /></span><span style="font-family: arial;">Noi
invece, per curiosità, per autodifesa, vogliamo controllare sempre tutto, pianifichiamo
tutto, vogliamo gestire tutto, o per lo meno ci proviamo. Ma Dio è
l’ingestibile, Dio è il sempre nuovo, è il più grande, è l’oltre, il più in là.
Se Dio non ci sorprende, non è Dio. Se Dio non ci spiazza, non è Dio. Se Dio
non ci schiaffeggia, svegliandoci dal nostro letargo, rendendoci consapevoli di
dover rinunciare alle nostre umane certezze, non è Dio.<br /></span><span style="font-family: arial;">Nel
vangelo i sacerdoti, senza tanti preamboli, in modo diretto, pongono una
domanda al Battista: “Chi sei tu?”. Giovanni però tergiversa, non risponde a
tono: si preoccupa più di affermare chi non è: “Non sono Elia, né Cristo, né un
profeta”.<br /></span><span style="font-family: arial;">Un’indicazione
molto importante per noi: dobbiamo cioè rifiutare tutti quei ruoli, quelle
etichette che gli altri ci attribuiscono, ci incollano addosso, senza magari
conoscerci, solo per farci piacere, per lusingarci; è importante dire loro:
“No, non sono come voi pensate, come voi vorreste!”. Nella vita dobbiamo essere
sempre noi stessi! Presentarci con i nostri pregi, le nostre virtù, ma anche
con tutti i nostri difetti, le nostre debolezze. E questo non è sempre facile
da dimostrare. Per esempio, ci siamo mai esaminati a fondo, per capire chi
siamo veramente, come effettivamente ci comportiamo?<br /></span><span style="font-family: arial;">Siamo
uomini, è vero; siamo “buoni”, ok. Ma è troppo poco; nel mondo ci sono milioni
di uomini buoni. Siamo dei papà, delle mamme, dei bravi cristiani, degli onesti
lavoratori: sì, va bene, ma anche di papà, di mamme e di tutto il resto ce ne
sono milioni, è tutto vero quel che pensiamo di essere, ma è sempre troppo poco:
questi infatti sono semplicemente i “ruoli” che interpretiamo. Il ruolo è come
un vestito: è buono per andare al lavoro, per andare a scuola, a teatro, alle
feste. Ma poi quando siamo soli con noi stessi, quando andiamo a dormire,
quando vogliamo stare in libertà, il vestito ce lo togliamo, perché è un
impaccio, è solo una “copertura” a beneficio degli altri.<br /></span><span style="font-family: arial;">Certo,
il ruolo è anche comodo: molti di noi infatti si sono immedesimati in un certo ruolo,
e vivono sempre e solo quello; recitare sempre il solito ruolo effettivamente ci
rassicura, perché lo conosciamo, ci viene bene, è facile: ma ci limita
inevitabilmente la vita, ci fa vivere solo una piccola parte di tutte le nostre
possibilità. Se lo viviamo così, infatti, il ruolo ci ingabbia, ne diventiamo
schiavi, e invece di aiutarci a vivere, ci imprigiona; in pratica nasconde ciò che
siamo, il nostro essere “persona”, e di noi rimane solo il ruolo, l’involucro
esteriore: se infatti ci togliessimo di dosso, se ci levassimo questo vestito-prigione,
di noi, del nostro “essere”, non troveremmo nulla, il vuoto assoluto.<br /></span><span style="font-family: arial;">Allora,
</span><a name="_Hlk153257091" style="font-family: arial;">la domanda che dobbiamo porci è: “Al di là di tutti i
ruoli, di tutte le nostre coperture, le nostre falsità, chi siamo noi in
realtà? Chi siamo noi “dentro”, in profondità, nell’intimo della nostra
coscienza, della nostra anima?” Questo è il grande interrogativo.<br /></a><span style="font-family: arial;">In altre parole: “C’è in noi qualcosa
che ci rende unici agli occhi di Dio, irripetibili, diversi da tutte le altre
creature? C’è qualcosa che ci rende insostituibili?”. Perché se non troviamo
nulla che ci contraddistingue, vuol dire che noi, o un altro, è la stessa cosa;
vuol dire che di gente come noi ce n’è quanta ne vogliamo; vuol dire che non
siamo importanti, che siamo persone senza spessore, persone che “tirano avanti”
senza sussulti, che sopravvivono insieme ai loro doppioni, alle loro squallide
fotocopie: come se per vivere bastassero fotocopie!<br /></span><span style="font-family: arial;">A questo punto, per i pochi giorni che
ci separano dal Natale, la cosa importante da fare è di liberarci da tutto ciò
che non siamo. Dobbiamo cioè rifiutare, come il Battista, qualunque altra identità:
“no, non sono questo! Non sono io; io sono diverso, io sono io!”. Perché solo
se iniziamo a spogliarci di ciò che non è nostro, se ci scrolliamo di dosso le
incrostazioni che ci ricoprono, solo così la nostra vera immagine potrà
rivelarsi in tutta la sua originalità. E ne varrà sempre la pena!<br /></span><span style="font-family: arial;">Giovanni
Battista nel deserto ha trovato il motivo per cui vivere, ciò per cui è stato
creato, ciò che gli ha dato la forza di vivere; lui deve infatti richiamare
tutti all’essenziale: “Abbandonate il superfluo, preparate la via al Signore,
state attenti, non dormite, il Signore vi passa vicino, non lasciatevelo
scappare. Dio c’è, ma se dormite, se avete gli occhi chiusi non lo potrete
vedere”. Egli non è il Signore, è solo una voce che grida “attenzione”, è
strumento, è mezzo.<br /></span><span style="font-family: arial;">Ecco, questo
deve essere anche il nostro compito: dar voce all’infinito, a Dio, all’oltre, a
quella forza che ci inabita, ma che non ci appartiene. “Dai voce a Colui che
sta dentro di te!”: noi, che sappiamo appena balbettare, dobbiamo diventare la voce
potente di Dio che proclama la sua Parola: non siamo luce, ma dobbiamo
riflettere sugli altri la sua Luce; non siamo il sole, ma dobbiamo riversare
sugli altri il calore del suo Amore.<br /></span><span style="font-family: arial;">Siamo
insomma chiamati tutti a testimoniare il “di più” che ci portiamo dentro. Questa
è la nostra prima “risposta” che dobbiamo a Dio. “Essere strumenti di Dio” vuol
dire infatti proprio questo: permettere che sia Lui a sceglierci, ad
utilizzarci per suonare la sua musica, la sua sinfonia. Non siamo noi che
suoniamo. È Lui che “suona” noi: non siamo noi il Compositore divino, noi ci
limitiamo soltanto ad amplificare la Sua musica: creare è un ruolo che non ci
può appartenere, perché siamo solo degli strumenti, degli esecutori. Siamo semplicemente
un’onda, il mare è solo Lui. Noi siamo i raggi, Lui solo è il sole!<br /></span><span style="font-family: arial;">In
questo sta la grande generosità di un Dio che ci ama: noi siamo nulla, ma Lui
ci rende sue creature preziose; viviamo, ma la vita è un dono che viene da Lui;
siamo veri, ma siamo solo un riflesso della sua Verità assoluta; siamo liberi,
ma è un suo dono, per consentirci di amarlo; facciamo esperienze, impariamo,
programmiamo il nostro tempo, viviamo, facciamo conquiste, ma non siamo noi i
padroni della vita e del tempo. Il vero padrone è sempre e solo Dio. La nostra più
grande stoltezza è metterci al Suo livello, sentirci esclusivi proprietari
delle cose e delle persone. Le pensiamo nostre, ma non lo sono. Noi siamo solo i
provvisori amministratori del mondo e di quanto contiene, non saremo mai i
proprietari!<br /></span><span style="font-family: arial;">C’è
ancora chi rimane stupito delle chiese piene la notte o il giorno di Natale:
ciò che ci deve invece stupire, che ci deve veramente addolorare, è sapere che
ci sono ancora molte più persone che in cuor loro continuano a dire: “Non ci
interessi, Dio; non sappiamo che farcene di te”. Ecco: non cadiamo anche noi in
tale deserto dell’anima, ascoltiamo la “Voce”, spianiamo quella strada che dal
nostro cuore porta direttamente al cuore di Dio. Prepariamo in noi la venuta
della “Parola” che è Cristo, perché sia sempre Lui a dare senso alla nostra
“voce”. Perché solo in Cristo, Parola eterna di Dio, possiamo trovare il nostro
vero senso, il significato autentico della nostra vita. Amen.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: "Trebuchet MS",sans-serif; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: Calibri;"><o:p> </o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-35401269062280528292023-12-07T06:40:00.000+01:002023-12-07T06:40:08.039+01:0010 Dicembre 2023 – II DOMENICA DI AVVENTO <p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial;"><b><span style="font-size: 12.0pt;"></span></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj57FCo9NNHKVlmKa1Z61iJJQE9yfm_V0KnUjBrwUP0M4lNGCNNo2XUK2JiTergR6ZLee-1z-LaWyAqGkC45yNSFug1UxdnMJfdvSYPhp0yetCqpiw-5hj35hPiv60hGn67Ra6DW8dbmJgRBwfXxA79zuzM6kXJNmEUqlQDDnmrDhdUqgrA-rhAVbHhTAU/s581/2969_xl-Copia3.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="581" data-original-width="553" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj57FCo9NNHKVlmKa1Z61iJJQE9yfm_V0KnUjBrwUP0M4lNGCNNo2XUK2JiTergR6ZLee-1z-LaWyAqGkC45yNSFug1UxdnMJfdvSYPhp0yetCqpiw-5hj35hPiv60hGn67Ra6DW8dbmJgRBwfXxA79zuzM6kXJNmEUqlQDDnmrDhdUqgrA-rhAVbHhTAU/s320/2969_xl-Copia3.jpg" width="305" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Mc 1,1-8 <br /></b></span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come
sta scritto nel profeta Isaia: Ecco,
dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate
la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto
e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano
a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si
facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro
peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una
cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele
selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più
forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi
sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà
in Spirito Santo».</span></i><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Dove troviamo Giovanni il
Battista? Lo troviamo nel tempio? No. Eppure, in quanto “sacerdote”, figlio di
un sacerdote, questo posto gli sarebbe spettato di diritto. Ma non lo troviamo
nel tempio. Giovanni, ci dice Marco, è soprattutto “Voce” di uno che grida, è
annunciatore, messaggero: quindi non il chiuso di un tempio, ma gli spazi
aperti e selvaggi del deserto si addicono per la sua predicazione:
“Convertitevi dai vostri peccati”. <br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Lontano dalle comodità, dagli
agi dell’ambiente cittadino, nel deserto non esiste l’”ovvio”: se non si fa
qualcosa per sopravvivere, si muore. Lì conta solo l’essenziale. Nel deserto
non ci sono fronzoli o finezze: il deserto toglie tutte le sicurezze, le
convinzioni, i riferimenti: nella solitudine uno si trova solo davanti a sé
stesso, a quello che ha dentro. E arriva a vedere quella parte di sé che non
vorrebbe mai conoscere.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Nel tempio tutto è bello,
leggiadro: abbiamo le belle liturgie, il bel canto, la bella gente, la
sicurezza: stiamo bene e rilassati. Anche se ci parlano di Dio, anche se ci
chiedono di convertirci in nome di Dio, tutto è ovattato, tutto è soffuso, di
maniera, come la nostra conversione.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Nel tempio non serve
convertirsi sul serio; è sufficiente cambiare l’aspetto esteriore, ammantarci
di un velo di contrizione, molto apprezzabile a vedersi: una conversione che
non tocca il nostro cuore, che non convince l’anima: dentro rimaniamo tranquillamente
sempre gli stessi; l’importante è riuscire a camuffare, a dare alle nostre
iniquità, magari con “religiosi” distinguo, un aspetto moralmente positivo.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Questo nel deserto non è
possibile: nel deserto non si può barare. Il deserto è categorico: “No, amico
mio, così non va; devi convertirti, devi cambiare. Qui non puoi illuderti, non
puoi nasconderti. Dove vai? Qui non puoi fuggire, non puoi evitare la verità:
qui si vede subito se ami Dio, se il tuo cuore è veramente sincero”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È quanto ci fa capire oggi il
vangelo: per </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">credere</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> in Gesù Cristo,
dobbiamo necessariamente abbandonare quella nostra patina di copertura che
contrabbandiamo per religione. Non sono ammesse soluzioni di comodo.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È una verità dura, ma è così.
La “religione”, quella che conosciamo noi, per definizione, ci dà regole, ci
dice cosa dobbiamo fare e non fare, ci rassicura, ci dice che se faremo in un
certo modo andremo in paradiso e se invece faremo il contrario andremo
all’inferno; ci dice chi sono i buoni, quelli che per diritto saranno ammessi
al premio finale, e chi i cattivi, gli esclusi. Ma di tutte queste belle
“regole”, non c’è nulla negli insegnamenti di Gesù. Perché la religione di
Gesù, quella vera, quella profonda, ha un solo obiettivo: l’amore. L’amore è la
cartina di tornasole che ci dice quanto siamo sinceri nelle nostre
dichiarazioni di fede. Perché per essere degni dell’amore del Padre, per
poterlo pienamente godere nell’eternità, dobbiamo a nostra volta amare ogni
creatura, aver cura dei nostri fratelli, dobbiamo usare loro rispetto,
compassione, tenerezza, carità.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Se la regola della religione
è: “Quanto preghi? Quanto sei puro? Quanto se incontaminato? Quanto sei fedele
alle regole?”, la regola di Gesù è: “Quanto ami? Quanta fiducia dai alle
persone? Quanto le fai crescere? Quanto le stimi? Quanto credi in loro? Quanto
le rispetti?”. Ecco: adottare questo comportamento basato sull’amore, guidato
dall’amore, vuol dire “convertirsi”; vuol dire “credere al vangelo”. Questo è
quanto predica il Battista.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Un annuncio, il suo,
estremamente severo ma concreto e onesto. Talmente autentico nella sua
essenzialità, che la gente accorre in massa per farsi battezzare da lui. La sua
fama, la sua popolarità, il suo successo crescono di giorno in giorno, tanto da
allarmare seriamente le autorità religiose. Anche se nella sua predicazione non
ha mai rivendicato per sé il titolo di Messia, anche se ha sempre dichiarato di
non essere tale, che non è quello il suo ruolo, tuttavia per le autorità del
tempio rimane sempre un autentico pericolo, una mina vagante.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Per questo corrono ai ripari:
faranno cioè di tutto per isolarlo, screditarlo, diffamarlo, ostacolarlo,
carcerarlo, ucciderlo: e alla fine ci riusciranno.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È il solito normalissimo
percorso: quando non è possibile eliminare un avversario è sufficiente
distruggere la sua reputazione, denigrarlo pubblicamente. Non importa se ha una
condotta ineccepibile, se è una persona retta e onesta: l’importante è parlarne
male, diffondere maldicenze e calunnie sulla sua moralità, sulla sua
rettitudine professionale, per arrivare velocemente a distruggerlo del tutto.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma perché adottare questo
metodo odioso con il Battista? Perché è un personaggio carismatico, monolitico,
esigentissimo con sé stesso e con gli altri, uno che non guarda in faccia a
nessuno, che non le manda a dire, insomma un duro e un puro, e questo non piace
per niente alle autorità religiose che, al contrario, hanno molto, ma molto, da
nascondere.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La conversione che egli
predica, infatti, non è facile da accettare: il suo battesimo non implica una
semplice trasformazione di facciata: impone piuttosto a tutti di tornare alla
primitiva integrità, quella originale, quella di tornare ad essere immagine di
Dio, “nuove creature”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Oggi moltissima gente non
esita a definirsi cristiana; certo, il battesimo ci ha reso tutti “cristiani”,
figli di Dio: purtroppo però gran parte di questi cristiani si è fermata alla
registrazione del loro nome su qualche libro dei battesimi; e vivono
beatamente, in tutta tranquillità, nel dolce far niente, nascondendosi dietro
una facciata di comodo, una patina di perbenismo. Questo non è essere
cristiani: il battesimo ricevuto alla nascita si ferma all’acqua; ma, si sa,
l’acqua scivola via: un altro battesimo si impone: quello vero, reale,
autentico, quello di “fuoco”, quello dello Spirito; quello che Cristo stesso ha
affrontato: un battesimo che “marchia” la vita, che brucia dentro, che scava
nel profondo, l’unico che ci autentica alla radice come cristiani, come “uomini
nuovi”. È il battesimo che ci trasforma in “altri”, che ci supporta nella
realizzazione di quel progetto iniziale per il quale Dio all’origine ci ha
segnati con il soffio dello Spirito. Questo in pratica è il nostro vero traguardo,
quello che possiamo e dobbiamo raggiungere attraverso il battesimo di fuoco:
ridiventare meritatamente quelli che eravamo già, i figli di Dio, creati a
immagine e somiglianza del Padre. È la nostra trasformazione. È un “partorirci”
nuovamente tra fatiche, pianti, lotte e dolore; ma solo così potremo arrivare
ad essere “cristiani” autentici, i “benedetti” e prediletti del Padre.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Quindi, tradotto in pillole:
tocca a noi, soltanto a noi, dimostrare con la vita questa discendenza da Dio;
tocca a noi, nella essenzialità del “deserto”, spogliarci dagli orpelli
dell’apparenza, e rivestire i panni dell’autenticità cristiana, passando attraverso
il fuoco della fedeltà, della convinzione, della coerenza, il fuoco della
rinuncia, del sacrificio, della battaglia contro il male: perché è questa
l’unica via che può riportarci all’essenziale, alla Verità di Dio, all’Amore
Infinito.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Battesimo, in ebraico, vuol
dire “immergersi”: ecco allora che non una volta, ma ogni giorno, è necessario
che ci immergiamo dentro di noi, ogni giorno dobbiamo scendere nel buio della
nostra fragilità interiore, “nella mortalità” di questa vita, in ciò che ci
rende spiritualmente sfiniti, senza senso, disperati, per far emergere, dalla
finzione invalidante dell’apparire, la Luce ardente dello Spirito, la forza e
la decisione dell’”essere”, che dà colore e calore alla nostra vita.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Insomma, è solo dopo aver
percorso il nostro cammino di purificazione, di liberazione, di amore, dopo
aver vissuto il nostro Golgota, dopo aver superato la nostra autenticazione del
fuoco, che torneremo finalmente a far risplendere la nostra originale figura di
figli, creati dal Padre a sua immagine e somiglianza. Un percorso sicuramente
impegnativo, ma non impossibile: un percorso, soprattutto, che non va
semplicemente “pensato”: ma fatto e basta! Non abbiamo altre alternative! Amen.</span></p>
<p><span style="font-size: 12pt;"> </span> </p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-47349800300116829272023-11-30T07:13:00.005+01:002023-11-30T07:13:37.076+01:0003 Dicembre 2023 – I DOMENICA DI AVVENTO - anno B<p><span style="font-size: 12pt;"><b></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxOHBVumYpzXHIM41tp2-mlUNFfdNUq7s8JOUqlm1onW5Edn3D-4s1KG_d9DyO7ET0kldCWY0M70oE6WXL3M4C2oZVtaehARKSEZV8nNJCe2i4WKGgeFUSr16LFJOmVdsNdUncJojWcFyaM0ZGBGYvLCR3svk-WpUj3EeKpy1U56G3fGlXYQ2hL-jmpvI/s320/wpid-photo-jan-21-2014-800-pm.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="279" data-original-width="320" height="279" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxOHBVumYpzXHIM41tp2-mlUNFfdNUq7s8JOUqlm1onW5Edn3D-4s1KG_d9DyO7ET0kldCWY0M70oE6WXL3M4C2oZVtaehARKSEZV8nNJCe2i4WKGgeFUSr16LFJOmVdsNdUncJojWcFyaM0ZGBGYvLCR3svk-WpUj3EeKpy1U56G3fGlXYQ2hL-jmpvI/s1600/wpid-photo-jan-21-2014-800-pm.jpg" width="320" /></a></b></div><b><br /><span style="font-family: arial;">Mc </span></b><span style="font-family: arial;"><a name="_Hlk136622340" style="font-weight: bold;">13,
</a><b>33-37 <br /></b></span><i><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">In
quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché
non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver
lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo
compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete
quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del
gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi
addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».</span></span></i><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;">Dio
vuole incontrarsi con l’uomo. È il motivo chiave di queste domeniche che
precedono il Natale, e che fa da filo conduttore per tutto il periodo
d’Avvento. “</span><i style="font-size: 12pt;">Avvento</i><span style="font-size: 12pt;">” deriva infatti dal latino “</span><i style="font-size: 12pt;">ad-venio</i><span style="font-size: 12pt;">” che
letteralmente significa: “</span><i style="font-size: 12pt;">Ti vengo incontro</i><span style="font-size: 12pt;">”. <br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il
vangelo di questa prima domenica, ci vuol ricordare appunto la “venuta” di
Gesù: non tanto quella storica, verificatasi oltre duemila anni fa in quel di
Betlemme, e neppure quella finale, la “parusia”; ma quella privata, personale,
quella che Egli farà per ciascuno di noi, quando deciderà di prelevarci da
questo mondo. È la venuta che decreterà il nostro passaggio da questa vita terrena
a quella eterna, cui nessuno può sottrarsi, e che ci viene presentata oggi come
il “ritorno del padrone”. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Un
ritorno assolutamente certo, di cui però ignoriamo sia la data che l’ora. È
questa incertezza che ci impone una costante preparazione: dobbiamo cioè essere
sempre pronti ad accogliere il ritorno del Padrone, in qualunque momento della
nostra vita. Non possiamo correre il rischio di farci sorprendere impreparati,
di farci cogliere di sorpresa. Certo, per noi che viviamo sempre a pieno ritmo,
che siamo immersi nelle bellezze della vita, è decisamente sgradevole pensare a
queste cose.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È
innaturale immaginare la nostra fine: concludere di punto in bianco la nostra
esistenza, troncare la nostra vita, abbandonare i nostri affetti, i nostri
cari, rinunciare al compimento dei nostri progetti, immaginare quell’ultimo
istante in cui, volenti o nolenti, saremo costretti a passare definitivamente
la mano. È impensabile. Nessuno guarda con simpatia a queste realtà, tutti
preferiscono ignorarle, non pensarci, non approfondirne i particolari; molto
meglio preoccuparci del presente, del concreto, dell’immediato. Eppure sono
realtà che richiedono grande considerazione. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Come
deve essere allora questa nostra “attesa”? Ce lo insegna il Vangelo: deve
essere vigile, paziente, produttiva, costante. Noi invece ci stanchiamo subito:
vogliamo risultati, successi, traguardi facili e immediati; pretendiamo
raccolti veloci, abbondanti, senza applicarci alla semina. L’attesa è invece
sempre impegnativa, spesso snervante: dobbiamo soprattutto essere convinti che
il seme di Dio è quello migliore, che per germogliare e crescere, oltre ad un
terreno fertile, ha bisogno soprattutto della luce e del calore dell’amore. E
di tanta perseveranza: una virtù che oggi purtroppo è trascurata, obsoleta, di
altri tempi. Oggi le mode cambiano in fretta e noi con esse. Oggi tutto è in
divenire, tutto è mutevole. “Se Gesù con il suo Vangelo è ancora fermo a più di
duemila anni fa, noi che possiamo farci? Si adatti Lui ai nostri tempi moderni,
aggiorni Lui la sua Parola, ci segua; si allinei con le nostre esigenze, si
metta al passo coi tempi, e noi allora vedremo di seguirlo!”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Illusi!
Come pensiamo di cambiare noi le leggi eterne della natura, del tempo, di Dio? Siamo
noi che dobbiamo accettare, seguire, abbracciare queste leggi, questa è la
verità. Perché solo se continueremo a lavorare in silenzio, a dissodare, a
vangare il terreno, a concimare, a rimuovere pazientemente i sassi e le
sterpaglie, un giorno potremo vedere la fioritura e cogliere i frutti del
nostro lavoro.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il
vangelo di oggi ci insegna proprio questo: dobbiamo vegliare, dobbiamo
aspettare il ritorno del padrone lavorando: mai cedere al sonno della pigrizia.
Perché questo è il grande pericolo della vita: addormentarsi, vegetare,
sopravvivere.<br /></span><a name="_Hlk57042241" style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">“Vegliare” non vuol dire smettere di lavorare, far
finta di nulla, tirare avanti aspettando che “succeda qualcosa”: se non
facciamo nulla, non approderemo mai a nulla; “vegliare” vuol dire imparare a
conoscere oggi la “Voce”, mettere in pratica nel presente gli insegnamenti di
quel Dio che un giorno ci chiamerà. </span></a><a name="_Hlk57042799" style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">Perché quando Lui chiama non abbiamo scelta: dobbiamo necessariamente
rispondere, dobbiamo andare, costi quel che costi, anche se abbiamo paura,
anche se non capiamo il perché, anche se la morte ci terrorizza, anche se ci
sembra impossibile che tocchi proprio a noi.<br /></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ritagliamo allora dal
nostro tempo, oggi che possiamo, spazi di meditazione, pause di riflessione su
queste verità. Non lasciamoci frastornare dalle idee e dalle mode insulse del
momento: purtroppo viviamo situazioni in continua evoluzione, in costante travisamento;
i media ci spingono sempre al peggio, in realtà effimere, in altri pensieri, in
altre ambizioni, in altre priorità. Soprattutto, viviamo Cristo, la “Vita”.
Condurre una vita da morti, non si può definire vita.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Non prendiamoci in giro
dicendo: “Tanto, col tempo cambierò”. Succede che il tempo passa e le cose
restano come sono! Il tempo da solo non cambia nulla, scorre soltanto. “Quando
sarò più libero, quando avrò meno preoccupazioni, quando sarò anziano, quando
sarò “in pensione”, allora mi dedicherò a Dio”: sono propositi idioti, senza
senso; non c’è bisogno di essere liberi da ogni impegno per amare Dio; serve
piuttosto conoscerlo, volerlo incontrare, volerlo vedere, riconoscerlo nei
fratelli, assaporarlo; insomma dobbiamo viverlo, ora che possiamo, in famiglia,
nel lavoro, nella nostra professione. Se non lo amiamo oggi, come pensiamo di
poterlo amare domani? Non cambierà nulla. Sono solo fantasie, è un alibi
perverso con cui giustifichiamo la nostra apatia. E poi, chi ci garantisce di
avere tempo sufficiente per poterlo fare più tardi? <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Soprattutto non illudiamoci
di essere già delle brave persone: non diciamoci che sì, alla fin fine, non
siamo proprio così tanto male; non convinciamoci di essere come gli altri, anzi,
tutto sommato, migliori degli altri; di essere insomma dei cristiani “a posto”,
dei “quasi perfetti”, bisognosi al massimo di qualche piccolo ritocco ogni
tanto! Non dimentichiamo mai che furono i “perfetti” che procurarono a Gesù una
fine tragica sulla croce. Fu ucciso proprio da quelle persone che si
spacciavano per osservanti, le più in regola, le più brave, le più religiose.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Non creiamoci false e
ipocrite aspettative: già il solo pensare di essere migliori degli altri, ci
mette in coda a tutti, all’ultimo posto, perché la nostra altro non è che
subdola presunzione, una superbia ben truccata e difesa.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Quando
ero ragazzo mi capitava di incrociare spesso un monaco molto anziano che
invariabilmente, ricambiando il mio saluto, mi sussurrava sospirando: “Sta’ in
campana, Mario!”. Nient’altro. Solo queste parole. Una “perla” di saggezza, con
la quale evidentemente voleva mettermi in guardia dalle facili illusioni della
vita: “Sta’ pronto, sta’ in campana!”. Una raccomandazione, grave e minacciosa
per la mia età, che continua a risuonarmi nella mente.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Aspettiamo
allora l’incontro finale con Dio, pregando ogni nuovo giorno, al mattino, al
nostro risveglio, con grande umiltà: “Gesù, fammi parlare oggi come se le mie
parole fossero le ultime. Fammi agire come se quelle di oggi fossero le mie
ultime azioni. Fammi sopportare le contrarietà, come se fossero l’ultimo dono
che posso offrirti. Fammi pregare, come se la mia preghiera di oggi fosse
l’ultima possibilità, che ho qui su questa terra, di parlare con te. Ti
aspetto!” Amen.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-32295600402964373912023-11-23T07:31:00.010+01:002023-11-23T07:31:56.840+01:0026 Novembre 2023 – XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – CRISTO RE DELL'UNIVERSO<p><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZrIuY4_p7N1akQWLP6o0W_DbQpN0Tmvkwhnj6e7KdV5_ldkXkxv3irBVTbFIFoe0dRbNqg5HKpaQzRIU-2YbqJLfs3cWIJIaObLaVLeD2UngC0wkF0HqxfjMVzxqe_yIsp_aU71f3ofgCGLgJsxpniNkmhonggt-_nZFqUpjMNLdGfHN18nge2SgXxUY/s403/CRISTO%20RE%20-%20Giudizio-Universale.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="296" data-original-width="403" height="235" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZrIuY4_p7N1akQWLP6o0W_DbQpN0Tmvkwhnj6e7KdV5_ldkXkxv3irBVTbFIFoe0dRbNqg5HKpaQzRIU-2YbqJLfs3cWIJIaObLaVLeD2UngC0wkF0HqxfjMVzxqe_yIsp_aU71f3ofgCGLgJsxpniNkmhonggt-_nZFqUpjMNLdGfHN18nge2SgXxUY/s320/CRISTO%20RE%20-%20Giudizio-Universale.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Mt </b><a name="_Hlk136622340" style="font-weight: bold;">25,
</a><b>31-46 <br /></b><i><span style="font-size: 12.0pt;">In
quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà
nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua
gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni
dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore
alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che
saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità
il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame
e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero
straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete
visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli
risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da
mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto
straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti
abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re
risponderà loro<a name="_Hlk151396431">: “In verità io vi dico: </a><a name="_Hlk56411909">tutto quello che
avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”</a>. Poi dirà anche a quelli che saranno
alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per
il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da
mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi
avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete
visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto
affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo
servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che
non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se
ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».</span></i></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span><a name="_Hlk151449283"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><span style="font-family: arial;">Con questa domenica si conclude l’anno liturgico, e
come meditazione finale, la Chiesa ci propone la visione apocalittica di Gesù
Cristo, Re dell’Universo, attorniato dai suoi angeli, che giudica tutti i
popoli. È il giudizio universale, quel giudizio che tutti cerchiamo di
minimizzare, di annullare dalla nostra mente, perché a tutti, inutile negarlo,
incute una certa preoccupazione.<br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Di fronte a tale
scenografia restiamo sconcertati ed interdetti. Il clima è cupo, la visione di
questo giudice implacabile - come il possente Cristo di Michelangelo della
cappella Sistina - fa decisamente paura. Cos’ha a che vedere questa pagina con
il Gesù dolce e misericordioso del resto del vangelo? Matteo si è sbagliato? O
ci sbagliamo noi continuando a professare un Dio tutto miele, dal volto amoroso
e compassionevole?<br /></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Entrambe sono immagini che
appartengono a Gesù, e solo apparentemente sono in contrasto tra loro. Vediamole
nei particolari.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Prima di tutto l’immagine
di “Re” attribuita a Cristo: un paragone altisonante, maestoso, che però non ha
nulla a che vedere con il Gesù, umile e remissivo, Padre innamorato, Pastore
sollecito, che siamo abituati a vedere attraverso la Parola: perché, in realtà,
Egli è sì un Re, ma non un “Re” tradizionale, un battagliero conquistatore, un
dominatore, un governatore di popoli. Egli è un Re particolare, che entra nella
sua città cavalcando non un nervoso destriero bianco, ma un tranquillo e lento
somaro; un Re che si mette a lavare i piedi dei suoi sudditi; un Re che
svalorizza il potere umano, invitando tutti indistintamente a farsi servi degli
altri; un re che invece di dire ai suoi “amatemi”, li esorta con “amatevi” gli
uni gli altri; un Re contestato e deriso, un Re sconfitto più di tutti gli
sconfitti, fragile più di ogni fragilità. Un Re senza trono e senza scettro,
appeso nudo ad una croce, un Re che per essere identificato ha bisogno di un
cartello, un Re senza potere se non quello devastante dell’amore.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Dall’altro lato c’è poi la strana
immagine di un giudice incorruttibile e severo, che siede sul suo trono per
valutare, premiare e condannare: ma, guarda caso, lo fa anche qui in maniera
singolare, perché di fronte lui si presentano proprio quelle sue creature che per
salvarle, per riscattarle dal male, Lui stesso le ha talmente amato, da offrire
la propria vita per loro morendo sulla croce.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Cristo Re dell’universo, potrebbe
dunque sembrare una contraddizione, ma non lo è: perché la Chiesa, buona
conoscitrice delle necessità dei suoi figli, con questa festa, ci vuol
ricordare una grande realtà, un valore importantissimo, una verità
fondamentale: che Gesù - per noi suoi eletti, noi suoi figli, noi sua Chiesa -
rappresenta veramente il tutto. Lui è l’essenziale, lo sposo, il testimone del
Padre, il nostro intercessore presso Dio, il nostro avvocato. In una parola è
il nostro “Re” indiscusso, il nostro Signore e Maestro, colui che dà misura e
senso ad ogni nostra esperienza umana, che ci svela il mistero d’amore nascosto
nei secoli.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Dire quindi che Cristo è “Re
e sovrano” della nostra vita, significa riconoscere che il nostro percorso di
vita e di fede ha un senso, solo se fatto in lui, con lui, per lui.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ecco perché, alla fine
dell’anno liturgico, è molto gratificante per noi, ribadire con forza, tutti
insieme, come Chiesa, questa nostra certezza, perché siamo stati noi che lo
abbiamo eletto Re, noi che gli abbiamo detto “sì”; siamo stati noi che lo
abbiamo scelto come guida della nostra vita di Chiesa e di discepoli, noi a
volerlo nostro “unico rappresentante” di fronte al mondo.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Quindi, nessuna
contraddizione se oggi la Liturgia ci presenta un “Re amoroso e misericordioso”
e insieme un “Re giudice, giusto e inflessibile”; un re che verifica
minuziosamente la bontà delle nostre scelte di vita, la nostra coerenza su
quanto noi stessi gli abbiamo promesso, su quanto noi stessi ci siamo impegnati:
in una parola, se siamo stati o meno all’altezza del suo amore, donando anche
noi amore agli altri.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Gesù durante la sua vita
terrena non ha mai “giudicato” nessuno; e non lo farà neppure allora. Perché Dio
non giudica, Dio si limita a “rivelare”. Dio cioè renderà semplicemente visibile,
quello che noi abbiamo tenuto nascosto, i nostri pensieri, i nostri desideri, quello
che volutamente abbiamo lasciato nell’ombra, nell’incompiuto. Il suo
“giudizio”, il giudizio di questo Re misericordioso, consisterà quindi
semplicemente nel rendere pubblica, nello svelare la nostra reale situazione,
nel portare tutto a galla, allo scoperto: non ci sarà più alcun angolo buio nel
nostro cuore; nessun segreto potrà rimanere nascosto nell’ombra. Quel giorno
tutto “apparirà” nel vero senso della parola, tutto sarà chiaro, tutto
illuminato. E ognuno capirà da solo, senza bisogno di sentenze, se mettersi con
gioia alla destra del Re, o con vergogna alla sua sinistra.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma in base a quale “codice”
verrà valutata la nostra fedeltà? Il vangelo di Matteo elenca in proposito, con
una insistenza quasi puntigliosa, una serie di “situazioni”, come nutrire gli
affamati, dissetare chi ha sete, </span><a name="_Hlk56698347" style="font-family: arial; font-size: 12pt;">accogliere i forestieri,
vestire chi è nudo, assistere i malati, visitare i carcerati</a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">; situazioni
tutte che prevedono “movimento”, che esigono cioè da parte nostra un intervento
reale, che non si ferma alle belle parole, ma che è azione, interessamento,
preoccupazione. In una parola, significa mettere concretamente a disposizione
del prossimo il nostro amore.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È infatti questo il
“tesario” su cui alla fine saremo esaminati: non ci verranno richieste grandi
azioni, eroiche imprese, perlopiù impossibili, ma piccole cose, una buona
parola, una fraterna condivisione, uno slancio di carità, un sostegno morale…
Qualunque cosa, purché non rimanga un vago desiderio, perché </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“tutto quello
che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a
me”.<br /></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Questo infatti è l’unico
elemento su cui poggia il verdetto finale, lo stare alla destra o alla sinistra
del Re: l’aver fatto per i fratelli ogni cosa per Lui, a Lui, con Lui.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Una domanda accorata però
sgorga a questo punto da entrambe le schiere di quanti sono in attesa della
loro destinazione: </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“Quando Signore? Quando mai ti abbiamo incontrato?<br /></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Già, </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“quando?”.</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">
Nessuno di loro infatti si era mai reso conto della sua presenza nell’altro;
nessuno aveva mai capito di aver avuto davanti a sé non delle persone
bisognose, ma Dio stesso in persona! Nessuno se n’era mai accorto. Sì, perché
Dio non è visibile a occhio nudo, non è riconoscibile, non è individuabile; è
misterioso, si presenta sempre in incognito, per cui tutti, sia gli eletti che
i dannati, lo hanno amato o rifiutato, ignorando chi fosse realmente presente davanti
a loro: gli uni, amando le persone, hanno amato Dio in loro, pur non vedendolo;
gli altri, rifiutando di amare le persone, hanno rifiutato di amare anche Dio.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Amare Dio, attraverso il
prossimo, significa amarlo istintivamente, inconsapevolmente. I santi sono
diventati tali proprio perché amando il prossimo amavano Dio, lo amavano senza
sapere di amarlo, senza sapere di ottenere per questo dei meriti soprannaturali.
Se amiamo qualcuno, sapendo di ereditare le sue ricchezze, in realtà non lo
amiamo, lo stiamo solo adoperando per un nostro tornaconto. La stessa cosa
succede quando amiamo il prossimo allo scopo di avvicinarci a Dio, per ottenere
da Lui dei meriti, delle grazie! Lo amiamo, ponendo però delle condizioni.
Ebbene, anche in questo caso noi non amiamo veramente, ma semplicemente
“sfruttiamo” l’Amato. L’amore non va strumentalizzato, finalizzato,
condizionato: questo mai, in nessun caso. Neppure per arrivare a Dio: non
“dobbiamo” infatti amare il prossimo per compiacere Dio, assolvendo un nostro
impegno di cristiani; i fratelli, il nostro prossimo, vanno amati per loro
stessi, li dobbiamo sentire nell’anima, ci devono penetrare dentro, devono
toccarci il cuore: in una parola dobbiamo amarli come Gesù stesso ci ha
insegnato: perché amando loro amiamo Lui.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È una faccenda seria:
perché quando, alla fine della nostra breve vita, giungeremo davanti a Cristo,
Re dell’universo, dovremo giustificare le nostre scelte, le nostre decisioni,
l’esiguità del raccolto che abbiamo prodotto nella nostra vita: con un’unica
prospettiva che ci attende: </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“I maledetti al supplizio eterno, i giusti alla
vita eterna!”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">. Non abbiamo alternative!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Mettiamo allora da parte la
nostra bella “agendina” su cui annotiamo puntigliosamente, in vista del nostro
esame finale, le ore di preghiera, le messe, le confessioni, le opere buone, i
sacrifici fatti con cristiana rassegnazione; evitiamo di preparare giustificazioni
per le nostre deficienze, appuntando scuse e attenuanti semplicemente ridicole
e pretestuose.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Dimentichiamo tutti i
nostri bei discorsetti politici di autodifesa, perché il Signore ci chiederà
solo una cosa: se lo avremo riconosciuto nel povero, nel debole, nell'affamato,
nell'anziano abbandonato, nel parente scomodo. Sì, abbiamo capito bene: l’esame
finale sarà incentrato tutto sulla carità: solo che dovremo spalancare per
bene, fino in fondo, il nostro “bagaglio” interiore: perché solo così apparirà
chiaro se abbiamo lavorato bene, se abbiamo dispensato vero amore, e
soprattutto con che “cuore”, con quale dedizione l’abbiamo fatto.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Corriamo pertanto ai ripari
finché abbiamo ancora tempo; evitiamo in particolare che la nostra Messa
domenicale si esaurisca in Chiesa: non può, non deve avvenire! La nostra
celebrazione eucaristica deve continuare fuori, nella quotidianità, nella vita
di ogni giorno. Perché solo così il fondersi in noi del reale Corpo di Cristo,
e le proposte della sua Parola, potranno trasformarsi in autentici, concreti
strumenti di comunione e di amore con Lui e con i fratelli; solo così potremo
fare della nostra vita un reale veicolo di carità e amore. Non è certo per
quell’ora di Messa settimanale che ci salveremo: ma è nel lavoro, nello studio,
a scuola, all’università, nei lavori di casa, in ufficio, per strada, a piedi o
in macchina. È qui che dobbiamo portare Dio che, con l’Eucaristia, è diventato
noi: perché con Lui ci salveremo; ma solo ad una condizione essenziale: se
sapremo trasferire il nostro amore dall’</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">interno </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">all’</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">esterno</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, dal </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">vicino</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">
al </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">lontano</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, se sapremo cioè trasmettere e amare il volto di Cristo nel
volto dell’amico o dello sconosciuto che incontriamo ogni giorno.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Viviamo così e non
preoccupiamoci d’altro per l’incontro finale con Lui: perché se l’avremo amato
al meglio delle nostre capacità, diventando trasparenza della sua misericordia,
testimoni e portatori credibili del suo amore, verremo sicuramente accolti tra
le braccia misericordiose di Cristo, nostro Re, nostro Padre e Signore! Amen.</span></p>
<span style="font-family: arial;"><span style="mso-bookmark: _Hlk151449283;"></span>
</span><p class="MsoNormal"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-78630301222335368092023-11-16T19:33:00.006+01:002023-11-16T19:33:43.072+01:0019 Novembre 2023 – XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO<p><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi3LMcp6G06AED60KC1-yD2CPXenKSX0WBKOx0aOom_aBh7FLn0fBdReAius1qpwkwHJVVJYOQUBytTbwNCs1oikFHiW8n0qvldFzH1_fS6BaO_PgwQwVQmbCAeem00XmvZND9cdbbKnFGFZzrknJKqjVqSSPWXPpGM35NqgyThJh7BTL26nCYYZBRZ80/s600/Claude-Vignon-1629.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="427" data-original-width="600" height="228" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhi3LMcp6G06AED60KC1-yD2CPXenKSX0WBKOx0aOom_aBh7FLn0fBdReAius1qpwkwHJVVJYOQUBytTbwNCs1oikFHiW8n0qvldFzH1_fS6BaO_PgwQwVQmbCAeem00XmvZND9cdbbKnFGFZzrknJKqjVqSSPWXPpGM35NqgyThJh7BTL26nCYYZBRZ80/s320/Claude-Vignon-1629.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Mt </b><a name="_Hlk136622340" style="font-weight: bold;">25,
1</a><b>4-30 <br /></b><i><span style="font-size: 12.0pt;">In
quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un
uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi
beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le
capacità di ciascuno; poi partì. </span></i><i><span style="font-size: 12.0pt;">Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a
impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti
due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento,
andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo
molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. </span></i><i><span style="font-size: 12.0pt;">Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque,
dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati
altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei
stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo
padrone”. Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse:
“Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”.
“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel
poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Si
presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse:
“Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli
dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento
sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e
pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;
avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei
ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi
ha i dieci talenti. Perché <a name="_Hlk151055196">a chiunque ha, verrà dato e
sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha.</a> E
il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di
denti”».</span></i></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La
parabola di oggi è molto semplice: c’è un padrone che deve partire per un lungo
viaggio, e secondo l’usanza del tempo, affida il suo patrimonio ai servi più
fidati. Che succede allora?<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Che
egli consegna a ciascun servo perché la investa e la faccia fruttare al massimo. </span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">C’è
però in questo “affidare” una diversità, nel senso che non tutti ricevono la
stessa somma. A ciascuno, dice il vangelo, viene consegnato “secondo le proprie
capacità”: vale a dire che tutti ricevono “somme” diverse, commisurate però alle
reali possibilità di ciascuno, poiché ogni persona è diversa dall’altra, ognuna
dispone di adeguate caratteristiche personali.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">In
pratica cosa vuol dire Gesù a noi cristiani moderni: che Dio consegna ad ogni
sua creatura, fin dal primo istante di vita, un suo particolare patrimonio di
doni, costituito da sensibilità, raziocinio, ideali, fiducia, libertà, voglia
di vivere e di amare. Tutta una serie di proprietà con cui Dio ha dotato la
nostra vita: doni che aspettano solo di essere scoperti, individuati, e messi in
azione.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ecco
perché è fondamentale che ogni cristiano si chieda seriamente, con grande sincerità:
“Chi sono io? Quali sono le mie aspirazioni, quali i miei traguardi e le mie concrete
possibilità di raggiungerli?”. Perché tutti dobbiamo conoscerci in profondità;
tutti dobbiamo essere orgogliosi e soddisfatti delle nostre qualità, perché è
su di esse e con esse che dobbiamo “costruire” la nostra vita.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ci
sono invece troppe persone che non si pongono questo problema: invece di trarre
il meglio dalle proprie possibilità, passano l’intera vita a rincorrere dei falsi
ideali, a voler emulare questa o quella celebrità, a diventare anch’esse dei personaggi
“superiori” agli altri, felicemente realizzati e considerati: aspirano cioè ad avere
i soldi di uno, la bellezza di un altro, la cultura e la brillantezza di un altro
ancora. Ma senza far nulla in concreto. Così invece di guardare, di
interessarsi al “chi sono io”, inseguono delle macabre sembianze che non si addicono
alla loro dignità, non li rappresentano, non li identificano, non sono alla loro
portata, ma soltanto delle chimere, delle realtà inesistenti e irraggiungibili.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Brutta
cosa vivere di confronti! Infatti, se continuiamo a confrontarci con gli altri,
è chiaro che ciò che abbiamo, come siamo, non ci soddisfa, non ci riconosciamo
il giusto valore; per cui scopriremo continuamente che gli altri hanno di più,
che sono più fortunati, che sono dei privilegiati, convinti in cuor nostro che
se ci trovassimo noi al loro posto, saremmo di gran lunga migliori. E viviamo
male. Ma è solo perché siamo invidiosi degli altri: e invece di ringraziare Dio
per quel che ci ha concesso, continuiamo a roderci dentro, nel nostro
malcontento, nella nostra insoddisfazione.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">In
realtà, nessuno è sprovvisto di doti, di “talenti”, di possibilità: è che nella
nostra avidità pretendiamo sempre di più, trascuriamo ciò che già abbiamo, per fissarci
su ciò che ancora non abbiam; così facendo, però, dimostriamo tutta la nostra superficialità,
perché ci limitiamo a guardare soltanto in superficie, all’esterno, alle apparenze,
prendiamo in considerazione soltanto i risultati che gli altri hanno raggiunto,
ma non le fatiche, i sacrifici, le difficoltà che hanno dovuto affrontare per
raggiungere quel risultato. Noi insomma vorremmo subito, senza faticare, senza alcun
obbligo, tutto quello che gli altri hanno invece conquistato nel tempo, con
grande applicazione, con grande coraggio, osando, mettendosi completamente in
gioco.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Dovremmo
piuttosto concentrarci di più su noi stessi: inoltre non dovremmo mai
dimenticare che nessuno è proprietario di quanto nella vita è riuscito a
raggiungere, perché tutto gli è stato “permesso”, tutto “concesso”, e anche
tutto quanto produce gli viene lasciato provvisoriamente in “deposito”: niente di
questa vita potremo trattenere per noi stessi, tutto dovremo riconsegnare al ritorno
del padrone.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Già,
quanto produciamo: è questo il vero problema. Perché in questa vita non siamo
in vacanza, non possiamo considerarci dei semplici visitatori nullafacenti. Allora,
perché non sfruttiamo veramente quei doni che Dio ci ha prestato per questa
nostra vita, lavorando sodo finché siamo ancora in tempo, e poter raggiungere i
risultati che Egli si aspetta da noi? Perché non la “viviamo” veramente questa
nostra vita? Perché rimandiamo continuamente invece di scendere in campo, di
buttarci nella mischia? Troppe persone sprecano i loro giorni da “panchinari”:
sono presenti, marcano il loro cartellino, ma non hanno mai il coraggio di
entrare in gioco, di fare quelle scelte che diano uno scopo, un sapore alla
loro vita, che la trasformino, che le diano “colore”, intensità, tono. Nella
loro vita hanno scelto di non “scegliere” mai: un partner per la vita? tutti
van bene; gli amici? quelli che capitano a tiro; gli hobby? quelli meno faticosi;
le idee? quelle più comuni, le meno compromettenti. Non si chiedono mai cosa pretenda
la vita, cosa Dio stesso si attenda da loro: e così dissipano la loro esistenza:
hanno la possibilità di viverla, ma si lasciano vivere: il carro del tempo
passa, ci salgono su, e si lasciano trasportare. Non hanno il coraggio di
scendere e di fare a piedi, da soli, la loro strada, di andare avanti con le
loro gambe. Si dicono: “Ma noi non siamo mica fermi, noi progrediamo, andiamo
avanti!” e non capiscono che si stanno illudendo, non si accorgono che non sono
loro che progrediscono, ma è il tempo che va avanti, che cammina, che inesorabilmente
passa: loro si lasciano semplicemente trasportare, senza far nulla.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ci
sono cristiani che, come l’uomo del vangelo, nascondono la loro esistenza
sottoterra; pensano che sia meglio rimanere invisibili, che sia preferibile passare
la vita senza seccature; ma in questo modo sono già morti prima ancora di vivere.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La
vita è il dono, il “talento” più prezioso che Dio ci fa: è una tela bianca, completamente
vuota; solo se noi la dipingiamo, solo se la ricopriamo di colore e di calore, essa
si trasformerà in dono, in un regalo “nostro”, autoprodotto, da rendere con
soddisfazione a Dio, quando saremo chiamati.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La
vita restituisce sempre quello che noi costruiamo in essa: per questo dobbiamo “viverla”
intensamente nel bene. Tutti abbiamo avuto le nostre occasioni: solo che, il
più delle volte, noi le abbiamo ignorate, oppure le abbiamo impegnate in modo
sbagliato.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Non
abbiamo capito che un cristiano svogliato che passa la vita senza far nulla, che
ha “sotterrato” anche il dono più prezioso, quello dell’amore di Dio, rendendolo
inefficace, è semplicemente indifendibile. Vivere solo per cose futili, senza
mai trovare il tempo per un incontro spirituale, un’opera di carità, una
collaborazione benefica, una presenza consolante, non è vivere da cristiani: la
vita di chi vuol seguire Cristo è una vita in continua tensione nel bene, nella
carità, nelle opere buone. Non possiamo arrenderci mai, neppure quando, avanti
negli anni, pensiamo di aver raggiunto il nostro meritato “traguardo”: perché tutto
quel bene che abbiamo guadagnato nel corso dell’intera vita, investendo con
fatica i nostri talenti, sarà sempre un nulla, una miseria, rispetto a tutto il
bene che Lui continuamente ci riserva.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È proprio
condividendo quell’amore divino con tutti i fratelli, che investiremo i nostri “talenti”
positivamente e con maggior successo: e in questo dobbiamo impegnarci ovunque
ci troviamo: in parrocchia, nella società, in famiglia, negli ambienti in cui
viviamo e lavoriamo.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Pensiamoci
allora con calma, ma seriamente! Perché è un vero delitto perdere anche una
sola opportunità di dimostrare al mondo che Dio è Amore. Amen.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-29734927752845944162023-11-09T07:33:00.005+01:002023-11-09T07:33:30.379+01:0012 Novembre 2023 – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO<p><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyj6puhYTS-um74nZoe9j1aP9IUY4sx2eYomkZtvzmMRiRtXfLsvf2k30wvdvdEqRiiWHtyWruEMUZDbYr0ZeuCotiLVbi1IF05ysUkgJv5H13m9vN1JDx4MYfI9gfsRXAhvlmv2ZJJouOjzTa_ei0qghzTRmucT1x6Fzf8iAKDOF0-SzX9vgwEjNUItk/s997/ArtBook__053_053__ParableOfTheTenVirgins____.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="725" data-original-width="997" height="233" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyj6puhYTS-um74nZoe9j1aP9IUY4sx2eYomkZtvzmMRiRtXfLsvf2k30wvdvdEqRiiWHtyWruEMUZDbYr0ZeuCotiLVbi1IF05ysUkgJv5H13m9vN1JDx4MYfI9gfsRXAhvlmv2ZJJouOjzTa_ei0qghzTRmucT1x6Fzf8iAKDOF0-SzX9vgwEjNUItk/s320/ArtBook__053_053__ParableOfTheTenVirgins____.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Mt </b><a name="_Hlk136622340" style="font-weight: bold;">25,
1-1</a><b>3 <br /></b><i><span style="font-size: 12.0pt;">In
quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli
sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro
allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le
loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro
lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si
assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo
sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e
prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del
vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No,
perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e
compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e
le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa.
Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore,
signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».</span></i></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial;"><a name="_Hlk55122493"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">La parabola delle dieci vergini che aspettano lo
sposo, ci invita a meditare sulle ultime ore della nostra vita, sulle realtà
ultime veramente importanti, su quei doveri che sistematicamente tralasciamo. Dovremmo
pensare più spesso e più seriamente che la vita presente un giorno finirà, che
non viviamo su questa terra in pianta stabile, che la nostra è soltanto una
presenza provvisoria.<br /></span></a></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Abbiamo
ricordato, alcuni giorni fa, i nostri defunti, che ci hanno già preceduto là
dove anche noi prima o poi dovremo andare. Sì, perché la vita è un passaggio: è
il percorso da un punto di partenza ad uno di arrivo, dalla nascita alla morte;
una realtà che vale indistintamente per tutti, nessuno escluso: giorno dopo
giorno, il nostro nome sale inesorabilmente al primo posto, sulla lista di
quelli che vengono chiamati; siamo tutti in attesa del nostro turno per
l’incontro finale con lo Sposo, il nostro Creatore e Signore.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“Attesa”
e “Passaggio”: sono proprio queste due parole importanti che vengono proposte
dal Vangelo di oggi, alla nostra meditazione.<br /></span><i><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">“Vigilate, tenetevi pronti, perché non sapete quando
il vostro Signore verrà”.<br /></span></span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La
nostra vita, dunque, prima di tutto è “attesa”. Una dichiarazione che apre a
diversi interrogativi: attesa di chi? di che cosa? per quale motivo dobbiamo
condizionarci la vita nell’attesa di qualcuno che arriva quando vuole lui?
Certo, tra le tante nostre preoccupazioni quotidiane, quella di aspettare
l’incontro finale con Dio, non rientra certo tra le più urgenti. Eppure, “attendere”,
“aspettare”, rientra tra le categorie mentali più frequenti e comuni della
nostra vita: tutti, in qualche modo, siamo in costante “attesa” che prima o poi
si realizzi qualcosa che ci riguarda: un buon lavoro, una famiglia, la
sistemazione dei figli, una vita serena. Per questo elaboriamo sempre nuove
possibilità, ricaviamo esperienze, proviamo emozioni, superiamo difficoltà,
addirittura ci struggiamo, pur di ottenere sempre il massimo, in vista di un nostro
domani migliore. Tutti ci aspettiamo un futuro in cui vivere finalmente felici,
soddisfatti, ricompensati per tutti i nostri sacrifici. È una cosa naturale,
normalissima per chiunque. </span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Salvo
poi, arrivati ad un certo punto, dover ammettere a noi stessi di aver fallito,
di non aver ottenuto la completa realizzazione dei nostri sogni.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La
delusione più amara arriva in particolare per chi ha investito la propria
“attesa” soprattutto sull’apparire, sulla realizzazione della propria immagine,
sul potere, sulla gloria, sul possedere. Ci accorgiamo di aver miseramente
mancato il nostro obiettivo, di essere rimasti vittime delle gaudenti
prospettive del mondo, delle sue continue trovate consumistiche, che con le
loro lusinghe, ci hanno spinto in una obnubilante follia. E il rimorso per tale
fallimento ci angoscia l’anima.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Noi
cercatori di Dio, ancorché tiepidi, conosciamo bene la vera natura di quel
malessere: sappiamo che non c’è nulla di più deprimente nella vita dell’uomo
che la constatazione di essere rimasti sempre sordi alla “voce” di Dio, di aver
tradito la sua fiducia, il suo amore, di aver trasformato l’attesa della sua
venuta in totale “disattesa”. Per non aver saputo o voluto “aspettare” l’arrivo
dello Sposo in maniera appropriata, come meritava.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Abbiamo
sbagliato, ce ne rendiamo conto: forse continueremo ancora a sbagliare, perché
dimentichiamo facilmente che non è il “fuori”, il transitorio, il volubile, che
può riempire la nostra anima, che può appagarla, saziarla; è il “dentro” che
conta: è con la fede, con la generosità del nostro cuore, con la carità, con le
opere buone, che possiamo riempire di “olio” il vaso di scorta del nostro
cuore, assicurandoci un incontro con Dio luminoso e sereno.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Certo,
la morte è per molti un pensiero lugubre e fastidioso. “</span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Gli uomini,
non potendo evitare la morte, hanno deciso di non pensarci; ma il loro è un
rimedio ben misero!</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”, scriveva Pascal.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Per
il pensiero edonistico moderno, infatti, la morte è tabù: meno se ne parla,
meglio è.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">E
invece no; il Vangelo ci insegna che Dio ci ha creati e ci ha inviati nel mondo
per contribuire a perfezionare questa sua meravigliosa creazione, con l’impegno
di tornare, una volta ultimato il nostro lavoro, nella Casa d’origine.
L’importante è non farsi cogliere impreparati, ma in vigile attesa, indossando
la “veste nuziale”, muniti di una buona scorta di quell’olio, che abbiamo prodotto
lungo il nostro “percorso” terreno.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Non
consideriamo una sciagura l’arrivo dello Sposo! Prendiamolo invece con la gioia
di un evento importante e decisivo, di un ritorno tra le braccia del Padre,
sempre amorose e spalancate, consapevoli in cuor nostro di non aver sprecato
questa “attesa” con un “percorso” scellerato.<br /></span><a name="_Hlk55471532" style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">A volte, purtroppo, pensiamo scioccamente di essere immortali: siamo
convinti che, dopo i 60-70 anni, raggiunta la famosa e sudata </span></a><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">“pensione”, </span></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">saremo finalmente liberi di starcene tranquilli, di dare una svolta
significativa alla nostra esistenza, di iniziare cose più piacevoli, più
distensive, più divertenti. E in cuor nostro ci perdiamo in mille progetti. Ma
siamo degli illusi! Per quante persone, purtroppo, questi progetti rimangono
soltanto un miraggio, una fantasia! Null’altro che un sogno, cancellato dall’arrivo
imprevisto e imprevedibile dello “Sposo”.<br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Non dobbiamo mai abbassare
la guardia: perché il lavoro, le responsabilità, l’impegno, per raggiungere il
Regno dei cieli non finiscono mai; in questo non c’è “pensione” che tenga!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Anzi, più gli anni passano,
più dobbiamo impegnare seriamente il nostro tempo, consapevoli che l’arrivo
dello Sposo si fa ogni ora sempre più vicino.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Non serve più produrre per
questo mondo, ma dobbiamo farlo per l’altro, per il Cielo; dobbiamo
approfittare di questi giorni che il Signore ancora ci concede, per fare
qualcosa di più importante, più decisivo perché il nostro incontro con Lui sia
veramente meritorio. Non scommettiamo sul domani! Potrebbe non esserci un
domani.<br /></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">Ricordate come sono i
giorni che precedono una partenza importante, un avvenimento da lungo atteso?
L’eccitazione che cresce, la mente impegnata a ricordare le ultime cose da
fare, le ore che scorrono freneticamente. Ecco, la nostra vita dovrebbe essere sempre
così, carica di tensione, perché la nostra “partenza” finale da questo mondo,
arriva improvvisamente, quando meno ce l’aspettiamo: “</span></span><span style="font-family: arial;"><i><span style="font-size: 12.0pt;">raptim</span></i></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">”,
scrive sant’Agostino, rapidamente, precipitosamente.<br /></span></span><span style="font-family: arial;"><a name="_Hlk55493931"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">Non
a caso il vangelo di oggi termina con la raccomandazione: “Vegliate”, “State
svegli!”; a cui fa eco Luca, nel suo brano parallelo: “</span></a></span><span style="font-family: arial;"><i><span style="font-size: 12.0pt;">Estote
parati!</span></i></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">”, “Siate pronti!”.<br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Prestiamo allora la massima attenzione a questi inviti, non
sottovalutiamoli, per non trovarci all’improvviso, proprio per la nostra
superficialità, nella condizione di trovare la porta chiusa, di non venire
riconosciuti dallo Sposo, e di rimanere chiusi fuori, lontani dallo splendore
delle nozze e dalla calda Luce dell’Amore divino: una possibilità anche per noi
purtroppo concreta e reale. Amen.</span></p>
<span style="font-family: arial;"><span style="mso-bookmark: _Hlk55493931;"></span><span style="mso-bookmark: _Hlk150149308;"></span>
</span><p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-55360935314797896792023-11-02T07:40:00.001+01:002023-11-02T07:40:21.965+01:0005 Novembre 2023 – XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO<p><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIdGFhUFM3ptNHae9br4mo-b5vucqCZUbReCMVg8pjACfJn7meGe2Eb_iTGr4ntGLaD6uVKpa4lG3Icrk278dLlWOcUTNMNp5kRUWnkO0wJWE-03KciLvxM2qaf4WPU4IaaE9qwYkQn9Oj3ldC90nmESYEXKUE1k_6RiJwJoloScwhjvL_17ydj-6SbNo/s995/vangelo-2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="725" data-original-width="995" height="233" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIdGFhUFM3ptNHae9br4mo-b5vucqCZUbReCMVg8pjACfJn7meGe2Eb_iTGr4ntGLaD6uVKpa4lG3Icrk278dLlWOcUTNMNp5kRUWnkO0wJWE-03KciLvxM2qaf4WPU4IaaE9qwYkQn9Oj3ldC90nmESYEXKUE1k_6RiJwJoloScwhjvL_17ydj-6SbNo/s320/vangelo-2.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Mt </b><a name="_Hlk136622340"><b>23,
1-12 <br /></b></a><i><span style="font-size: 12.0pt;">In
quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla
cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. <a name="_Hlk149801433">Praticate
e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché
essi dicono e non fanno. </a>Legano infatti fardelli pesanti e difficili da
portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli
neppure con un dito. <a name="_Hlk149293160">Tutte le loro opere le fanno per
essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange;
si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle
sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla
gente. </a></span></i><i><span style="font-size: 12.0pt;">Ma voi non
fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti
fratelli. </span></i><i><span style="font-size: 12.0pt;">E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra,
perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare
“guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più
grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si
umilierà sarà esaltato».</span></i></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Oggi
Matteo ci riporta l'ennesimo scontro di Gesù con gli scribi e i farisei, nel
quale denuncia apertamente il loro comportamento incoerente e ipocrita. Ormai
conosciamo molto bene l‘atteggiamento di questi personaggi: conoscevano
perfettamente la legge della Bibbia, la insegnavano, ma erano anche molto astuti
nel trovare scappatoie ed eccezioni che li esentassero dal mettere in pratica
ciò che insegnavano. Quando invece la osservavano, lo facevano solo
esteriormente, mettendosi bene in mostra, esibendosi come persone religiose,
fedeli, osservanti, e disprezzando apertamente quanti non erano “giusti” come
loro; non tolleravano cioè le debolezze altrui, e invece di aiutarli, li
condannavano pubblicamente deridendoli. Ebbene: Gesù, gente come quella, non la
sopporta; la disprezza senza mezzi termini, offrendo alla gente la giusta
considerazione nei loro confronti: “Siate rispettosi di quello che insegnano,
perché la Legge la conoscono e la sanno predicare molto bene, ma non seguite il
loro esempio; non fate come loro, non meritano la vostra attenzione, perché
sono incoerenti, fasulli, gente che predica bene ma razzola male”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Parole
forti: parole che Gesù non pronuncia ad esclusivo beneficio dei suoi discepoli
e di quanti lo seguivano: ma parla anche di noi, si riferisce proprio a noi
persone evolute e razionali del nostro secolo: parla soprattutto ai pastori
super impegnati, ai cattolici praticanti, religiosi, pii e istruiti; parla a
quanti sono chiamati a testimoniare il vangelo, a noi che, col battesimo,
abbiamo il compito importante di portare il lieto annuncio di liberazione e di
vita, ai poveri, ai peccatori, ai deboli del nostro tempo. Egli parla alludendo
alla vita concreta di allora: ma è come se vedesse la nostra di vita, quella
tanto civile dei nostri giorni.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Si,
perché noi, super emancipati e colti, siamo proprio ben strani! Ci dichiariamo
in tutti i modi contrari a qualsiasi imposizione, a qualsiasi forma di
autoritarismo, di coercizione; ci indispettiamo se qualcuno si permette di far
pesare la sua carica, il suo ruolo su di noi; pretendiamo tutti, e giustamente,
la massima autonomia e libertà: eppure, da autentici idioti, non sappiamo fare
a meno dei “guru” di turno, dei “profeti”, dei “mistici” che, da buoni
ciarlatani, pretendono di darci il rimedio infallibile per i nostri problemi,
la dritta sicura su come evitare efficacemente le fragilità della nostra esistenza.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il
nostro è un tempo stracolmo di opinionisti, di sedicenti maestri, di tuttologi;
più aumenta il relativismo, l’insicurezza, il dubbio, più aumentano coloro che
hanno sempre qualcosa da dire, che si propongono come unici esclusivisti della
giusta soluzione. E purtroppo anche noi, pur nel nostro tanto decantato
scetticismo, ci lasciamo stupidamente fagocitare da una moltitudine di questi
“maestri” fasulli, che si esibiscono in televisione, sui giornali, nei mezzi di
comunicazione, negli ambienti di lavoro, nella scuola, in politica, in campo
sociale! Maestri che straparlano, che sbraitano, che urlano, che vogliono
imporsi ad ogni costo: non importa su chi e su che cosa, se in positivo o in
negativo, l’importante è urlare, apparire, esserci.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Gesù
invece, nella sua compostezza, è pratico, chiaro come sempre: egli ci spiega
come dobbiamo vivere nelle nostre comunità, nelle nostre famiglie, come
dobbiamo edificarci vicendevolmente nell'amore e nella pace, come dobbiamo
educare i nostri figli.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È
importante quindi che ci esaminiamo continuamente sulla nostra coerenza e
sincerità, per non incorrere nella facile contraddizione, nell'ipocrisia. È una
cosa che in qualche modo ci tocca tutti da vicino, perché in qualche modo siamo
tutti “maestri”: per cui tutti dovremmo chiederci con sincerità: “sono
realmente convinto di quello che insegno? Vivo coerentemente, col cuore, con
amore, quello che insegno, quello che predico? Io che raccomando agli altri la
preghiera, amo la preghiera? Dedico del tempo alla preghiera personale? Io,
genitore, che mando i miei figli in parrocchia per il catechismo, per la messa
domenicale, sono assiduo nei miei doveri di cristiano? Facciamolo allora questo
piccolo esame di coscienza!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ovviamente,
chi vive compiti istituzionali, sociali, politici, informativi o altro, chi in
altre parole gode di maggior prestigio e visibilità, è ancor più responsabile
della sua coerenza; non serve a niente fare bellissimi discorsi se poi non si
vive per primi l'onestà, la correttezza, lo spirito dei valori umani e
cristiani.<br /></span><a name="_Hlk497379173"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><span style="font-family: arial;">Nella vita, per essere persone coerenti, convinti
sostenitori della fede in cui crediamo, cittadini sempre in regola, abbiamo
bisogno di suggerimenti, indicazioni, consigli: dobbiamo affidarci al giudizio
di qualcuno più esperto e preparato di noi, che ci indichi con onestà dove
veniamo meno, dove siamo incoerenti, dove costruiamo i nostri sotterfugi, dove
pretendiamo dagli altri ciò che poi noi non facciamo, dove ci piace apparire,
farci vedere, dove cioè siamo così sfacciatamente sostenitori del nostro io, da
diventare addirittura sgradevoli, dove badiamo più a conformarci alle
esteriorità, alle consuetudini sociali, piuttosto che all'amore e alla verità
di Dio.<br /></span></span></a><span style="font-family: arial;"><a name="_Hlk149802165"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">Oggi
purtroppo pullula una grande quantità di cosiddetti “maestri”, che operano
indisturbati all’aperto, in pubblico; come il prepotente di turno, l’</span></a></span><span style="font-family: arial;"><i><span style="font-size: 12.0pt;">influencer</span></i></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"> del momento, il politico
di spicco, il prete mediatico e onnipresente. Quello che importa è che dobbiamo
evitare assolutamente questi falsi “dottori”, questi venditori di angoscia; noi
cristiani abbiamo già il nostro Maestro a cui ricorrere, a cui appoggiarci, su
cui contare con tutta la nostra fiducia; è quello autentico, l’unico: Cristo.<br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Non ci servono surrogati,
sedicenti profeti, santoni, futurologi, imbroglioni e parolai da strapazzo:
abbiamo già a nostra disposizione il Migliore in assoluto. È Lui soltanto che
dobbiamo seguire, è Lui soltanto che dobbiamo porre al centro della nostra
vita; sono Sue le Parole e gli esempi che dobbiamo seguire; e dobbiamo farlo
con riflessione adulta, con passione ferma e critica, con la verità del cuore,
senza deleghe fuorvianti. Siamo tutti chiamati alla scoperta di un Dio adulto
che ci tratti da adulti. In che modo? Vivendo come Lui ha fatto, facendosi
servo di tutti fino alla morte: “Il più grande tra voi sia servo”: è questa per
Lui la portata della vera “autorità”: una parola che in Lui acquista un senso
particolare, del tutto inusuale: l’autorità non è dominio, non è potere, non è
comando, ma puro servizio, umile impegno personale a beneficio della comunità”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">«Voi
siete tutti fratelli…». È la conseguenza del nostro “metterci a servizio” come ha
fatto Lui: perché in questo modo dimostriamo di essere tutti fratelli in quanto
tutti salvati, tutti perdonati.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ognuno
di noi ha un ruolo, un compito, un ministero appunto, tutti uniti nella comune
e primissima appartenenza alla fede attraverso il Battesimo; nessun Maestro, ma
solo fratelli chiamati a ruoli specifici: e più aumenta la responsabilità, più
deve crescere l'amore al Regno e ai fratelli che si servono. Perché, in buona
sostanza, essere fratelli significa che tutti ci prendiamo cura del buon
andamento della comunità, passando da una appartenenza alla Chiesa in maniera
asfittica e senza vita, ad una meravigliosa scoperta di essere tutti figli di
Dio, nella fatica della sopportazione reciproca e della visione evangelica
delle scelte obbligatorie. Essere fratelli significa evitare in tutti i modi
che nelle comunità prevalga l'aspetto umano, le simpatie, le antipatie,
introducendo il rischio descritto da Gesù, di diventare cioè professionisti del
sacro, primi della classe, ma con l’anima vuota.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Una
cosa è assolutamente trasversale, valida per tutti: chi vuole essere “grande”,
deve “abbassarsi”. Non c’è alternativa. Perché è nell'abbassamento che sta il
segreto della vita cristiana. Chi vive l'umiltà, sa dare valore a quelle cose
che sembrano piccole, ma che sono grandi, importanti, essenziali. Per chi vive
lo stile di Gesù non esistono posizioni trascurabili, tutto acquista nuovo
valore, nuovo significato: perché ognuno vive i carismi avuti da Dio. È Lui che
ci unisce; è Lui l'unico Maestro sicuro e infallibile. Amen.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-91570180554094984092023-10-26T07:38:00.001+02:002023-10-26T07:38:20.450+02:0029 Ottobre 2023 – XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO<p class="MsoNormal"><span style="font-family: arial;"><b><span style="font-size: 12.0pt;"></span></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJ3vad_MuKt-Jk7lQABSh3n-R212zeGt9PJmH1eqVURrz7I-qdR1_L3QFq4a9ICH5AkbWJY6yfs0w71RChA9Ndn3g2XVGNRuk-GrIck2zuA7d-R7cw-vkGXjXApKJebr7wbmIBFEHAmKS3e1Gu9EjbYZZ3J6BTj2-VhDfEEwek8MxteDSGsEztGdHagB0/s1099/vangelo-2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="1099" height="233" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJ3vad_MuKt-Jk7lQABSh3n-R212zeGt9PJmH1eqVURrz7I-qdR1_L3QFq4a9ICH5AkbWJY6yfs0w71RChA9Ndn3g2XVGNRuk-GrIck2zuA7d-R7cw-vkGXjXApKJebr7wbmIBFEHAmKS3e1Gu9EjbYZZ3J6BTj2-VhDfEEwek8MxteDSGsEztGdHagB0/s320/vangelo-2.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Mt <a name="_Hlk136622340">22,
34-40</a> <br />
</b><i><span style="font-size: 12.0pt;">In
quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei,
si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per
metterlo alla prova: «<a name="_Hlk54089301">Maestro, nella Legge, qual è il
grande comandamento?</a>». Gli rispose: <a name="_Hlk54088773">“</a><a name="_Hlk54078991">Amerai il Signore
tuo Dio con tutto il tuo cuore</a>,
con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo
comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te
stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i
Profeti».</span></i></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><span style="font-family: arial;">Dopo
aver fatto continue brutte figure con Gesù, i farisei per metterlo alla prova
scelgono questa volta una persona competente, il meglio del meglio, nientemeno
che un "dottore della Legge". E questi lo affronta subito impostando il discorso
sulla “sua” materia. Da notare che il verbo “<i>metterlo alla prova</i>” usato
qui da Matteo, è quello stesso <i>peirazo </i>usato per descrivere le
“tentazioni” di satana: in pratica l’evangelista paragona il comportamento dei
sacerdoti del tempio, degli scribi, dei farisei, sempre pronti a tentare, a
mettere alla prova Gesù, come opera di satana: un particolare che dovrebbe farci
riflettere! <br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma
cosa gli chiede dunque questo dottore, questo esperto legale? </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“Maestro, qual
è il più grande comandamento della legge?”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Anche
questa volta è la solita domanda provocatoria del “Pierino” di turno. Al tempo
di Gesù erano 613 i precetti della Torah ebraica: 365 negativi e 248 positivi.
Stabilire quale fosse il più importante era praticamente impossibile, poiché
per la tradizione rabbinica tutti, indistintamente, erano importanti e
obbligatori. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Del
resto, già da come si pone, lascia subito intendere il suo reale proposito: l’appellativo
di </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“maestro”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> con cui si rivolge a Gesù, infatti, è pronunciato in
maniera chiaramente provocatoria: non solo non ha alcuna intenzione di
approfondire le sue conoscenze (lui non ha nulla da imparare, sa già tutto!) ma
cerca piuttosto un pretesto per metterlo in difficoltà davanti al suo pubblico;
vuole cioè cogliere in fallo Gesù per offrire alle autorità l’opportunità di
condannarlo: e quale argomento è più indicato se non quello di indagare su cosa
Gesù pensi dei comandamenti e della legge? <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La
verità non gli interessa; e non è neppure curioso di conoscere realmente il
pensiero di Gesù; vuole semplicemente sfruttare l’occasione per avere la
conferma di cosa egli pensasse in merito ad una questione fondamentale e
delicata: il valore cioè dei comandamenti della Legge, visto che nella sua
predicazione Egli non solo ne prende le distanze ma arriva pure a trasgredirli.
Egli in pratica definisce “vecchi, sorpassati, incompleti” proprio quei
comandamenti che tutti ritenevano validi, e che tutti si sentivano obbligati ad
osservare. Una “interpretazione”, quella di Gesù, che inquietava seriamente le
autorità religiose; per cui la sua risposta serviva soltanto come riprova della
sua ortodossia, oppure come motivo di denuncia ufficiale. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma
Gesù sa perfettamente cosa vorrebbero sentirsi dire le autorità tramite il suo
interlocutore: “Il più grande comandamento? Ma è ovvio, è l’osservanza del
sabato!”. Sì, perché il rispetto del “sabato” era il comandamento più grande,
più considerato dagli ebrei; Dio stesso lo aveva rispettato, consacrandolo col
riposo dopo le fatiche della creazione. La sua osservanza equivaleva
all’adempimento di tutta la legge, e la sua disobbedienza era punita con la
morte </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">(Es 31,14)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Sappiamo
però che per Gesù questo comandamento non è per nulla importante, non è affatto
prioritario, tant’è che non ne tiene conto, non gli interessa: se deve fare
qualcosa di importante, come per esempio guarire un ammalato, lo fa
tranquillamente anche di sabato, perché per lui l’amore è molto più importante
della legge.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È
comunque una domanda ben congegnata, perché se Gesù avesse dato la risposta che
tutti si aspettavano, (“la legge del sabato”), il dottore della legge gli
avrebbe immediatamente contestato il suo comportamento: “È giusto, maestro: ma
perché tu non lo rispetti?”. Se invece avesse risposto diversamente, avrebbe
fatto la figura dell’ignorante, di uno che non conosce la legge, e questo
sarebbe stato altrettanto deleterio per Gesù.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il
dottore dimostra in questo modo di essere un esperto, un vero conoscitore delle
dispute legali: ma Gesù dimostra di non essere da meno, e gli risponde a tono
citando anche lui la Scrittura, dimostrando di conoscerla altrettanto bene: gli
fa capire cioè che il testo non va interpretato sulla base di una singola
citazione letterale, ma attraverso una visione d’insieme, una lettura completa
dei testi: e gli cita infatti un altro comandamento – altrettanto “grande”, anzi
sicuramente il “primo”, il più importante – riferito cioè a quella “preghiera”
che gli ebrei recitano due volte al giorno, al loro “Credo” ufficiale </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">(Dt
6,4-9)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutto il tuo
essere e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei
comandamenti</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. E fin qui tutto bene: il dottore non può che essere
d’accordo. “Amare Dio”, in fin dei conti, non è difficile, è un fatto interiore
che non si può misurare dall’esterno, e che quindi nessuno può conoscere né
giudicare: questa volta le autorità sono salve, Gesù non le condanna! Ma il
problema nasce subito dopo, con quel che segue: “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">E il secondo è simile al
primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Lv 19,18)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. Anche questo è
scritto nella Bibbia, ma è evidente a tutti che le autorità non lo tengono per
nulla in conto.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">A
rigor di logica, Gesù non dice nulla di nuovo. Ma in realtà, per come andavano
allora le cose, introduce una grande novità: condiziona cioè l’amore per Dio
all’amore per il prossimo: crea un legame indissolubilmente tra i due amori.
Come dire: “Amare Dio senza amare veramente le persone, non serve a nulla, non
è un vero amore per Dio. Pertanto, quello che voi ripetete ogni giorno nella
vostra preghiera, mettetelo anche voi in pratica, come faccio io!”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Che
dire? È chiaro che a questo punto il dottore si trova spiazzato: non ha parole,
non immaginava che il discorso prendesse una simile piega, è sorpreso,
ammutolisce: </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno da quel
giorno in poi, osò interrogarlo” (Mt 22,46).<br /></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Una
bella lezione: del resto Gesù non cita chissà quale teoria, ma risponde
attenendosi scrupolosamente a quanto già prescritto dalla legge ebraica. E
poiché si rivolge ad un ebreo, oltretutto ottimo conoscitore delle Scritture,
il succo è questo: “La legge ce l’avete e la conoscete: mettetela in pratica!”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma
non è tutto qui: il “</span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">novum</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” introdotto da Cristo nella legge antica
dell’amore è a dir poco rivoluzionario. Per tre motivi: prima di tutto per il
nuovo concetto di “prossimo”: per un ebreo il prossimo era un altro ebreo o al
massimo uno che abitava in Palestina; per Gesù, invece, “prossimo” è l’intera
umanità; inoltre, altra novità, dobbiamo amare questo prossimo “come noi
stessi”: ma attenzione, perché se ci fermassimo a queste sole parole, il nostro
amore non sarebbe comunque perfetto: per logica, infatti, se io mi amassi poco
o nulla, amerei poco o nulla anche il mio prossimo. Ebbene: Gesù annulla questo
aspetto riduttivo, e riconosce alla legge dell’amore una valenza divina,
universale: in altre parole, ama il prossimo tuo “non” come tu ami te stesso,
ma come Dio ama te, “come Io vi ho amati”. Una nuova e straordinaria
prospettiva si apre quindi davanti a noi: il termine di riferimento dell’amore
al prossimo non sarà più quello riduttivo, il “nostro”, ma quello di Dio,
universale, straordinario, senza limiti.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Per
Gesù amare l’uomo equivale amare Dio, e amare Dio equivale amare l’uomo.
Risultato: l’amore per Dio non lo si misura da quanto uno è pio o religioso, da
quante preghiere dice: ma da quanto amore nutre per i suoi fratelli. Il vero
credente non è colui che esegue alla lettera le prescrizioni religiose, ma
colui che vive realmente l’amore, colui che compie ogni sua azione elargendo
amore.<br /></span><a name="_Hlk149196872"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><span style="font-family: arial;">Un’attenta lettura di questo vangelo ci offre poi
altre considerazioni su cui meditare.<br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Prima di tutto, ci siamo
mai chiesto cosa significhi la parola “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">amore</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”? Etimologicamente deriva
dal latino “a-mors” (“a” privativo e “mors”, morte) che letteralmente vuol dire
“togliere la morte a qualcuno”, “dare la vita”; per cui “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">amare</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”
significa “rendere vivo”, vitale, colui che amiamo. Gesù vedeva intorno a sé
soprattutto persone che soffrivano: persone colpite da gravi malattie, come
ciechi, sordi, paralitici, lebbrosi, o addirittura persone morte. Egli le
“amava”: il suo amore le guariva, le toglieva dalla morte, reale o simbolica,
rimettendole in contatto con la vita. Egli dispensava amore a piene mani, e lo
faceva (altro insegnamento fondamentale per noi) non per avere un “ritorno”,
una ricompensa, un riconoscimento: neppure in termini di fama, perché chiedeva
sempre a tutti di non divulgare la cosa, di non parlarne con nessuno; non lo
faceva neppure per proselitismo: non diceva: “Ti guarisco ma tu devi credere in
Dio; tu devi venire in chiesa; tu devi obbedirmi; tu mi devi...”. Lui vedeva
semplicemente uno che soffriva, e con il suo “amore” lo liberava dalla
sofferenza, dal disagio.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Questo è l’amore di Gesù, e
questo deve essere anche il nostro amore: chi ama </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">rende vivo </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">l’altro;
chi ama vuole il meglio per l’altro, anche se ciò ci costa fatica e sacrificio;
perché ciò che è meglio per l’altro, non sempre coincide con quello che è
meglio per noi.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Altra considerazione: in
passato per l’ascetica cristiana amare il prossimo </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“come</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">noi stessi</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”
comportava un far passare in second’ordine l’amore per sé stessi, per la
propria persona; significava riconoscere all’amore per l’altro la priorità
assoluta: in questo modo amare se stessi, “amarsi”, era ritenuto una “debolezza
umana”, un peccato; equivaleva ad essere egoisti, narcisisti. La via maestra
per la santificazione personale passava quindi attraverso il sacrificarsi,
l’immolarsi completamente per gli altri; tant’è che a quanti volevano
intraprendere un cammino cristiano più impegnativo, venivano continuamente
ricordate le parole: </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“Se uno non rinnega sé stesso e non prende la sua
croce...”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">: era un cammino di vita che “doveva” essere impostato solo sul
sacrificio, sulla penitenza, sulla spersonalizzazione, sulla tolleranza, sulla
totale dedizione per gli altri. Oggi questa lettura del vangelo è stata
profondamente rivista: nessuno si permette più di affermare che Dio accetta al
suo servizio soltanto gli infelici, i frustrati, i pieni di sventure: perché non
è così!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma allora come dobbiamo </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">amare
noi stessi?</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> Esattamente come amiamo gli altri. “Amarci” infatti significa
volere il nostro bene, renderci vivi, vivere da vivi; significa lottare per ciò
che è bene per noi, fare in modo che la nostra persona sia retta, rispettabile
e rispettata. Gli altri ci evitano, ci ignorano, ci escludono? Invece di
continuare ad arrabbiarci, amiamoci! “Amarci” vuol dire migliorare il nostro
carattere, la nostra personalità; significa trasformarci, diventare amabili,
accettabili, ricercati; significa essere più aperti con gli altri, più
elastici, meno saccenti, meno giudicanti, meno pretenziosi; in una parola
“amarci” significa diventare migliori.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Pretendere dagli altri ciò
che noi non sappiamo o non vogliamo fare per noi stessi, è autentico
parassitismo.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Infine un’ultima
considerazione: il nostro amore deve essere “pieno”: dobbiamo cioè “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">amare in
pienezza</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. Il vangelo parla di amare </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“con tutto il cuore, l’anima e la
mente</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. Altrove aggiunge “</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">con tutte le forze</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> (Lc 10,27)</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">,
cioè con la concretezza, con le azioni. L’amore, per essere vero amore, deve
interessare tutte le nostre facoltà, tutte le nostre possibilità, l’intera
nostra persona, a tutti i livelli: altrimenti non è amore. Infatti: amare solo
con </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">mente </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">e </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">forze</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> senza </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">cuore</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, è volontarismo, è azione, è
amore freddo, senza passione, manca il sentimento. Amare con </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">mente</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> e </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">cuore
</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">senza le </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">forze</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, ossia le opere, è sentimentalismo, non c’è azione.
Amare con </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">cuore </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">e </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">forze</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> senza </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">mente</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">, è istintivo,
irrazionale, non c’è il pensiero, non c’è consapevolezza, non c’è lucidità.
Soltanto quando l’amore è mosso dall’intera nostra persona, da tutto di noi: </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">mente,
cuore </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">e </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">forze, </i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">solo allora è pieno, completo, perfetto. Solo in
questo modo “ameremo” veramente il prossimo; lo ameremo come Gesù ci ha
insegnato, esattamente come Lui stesso ci ha amati e continua ad amarci: senza
condizioni, senza tornaconti, senza pretese. Amen.</span></p>
<p><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"> </span> </span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-81920313414376663202023-10-19T08:33:00.007+02:002023-10-19T08:33:39.734+02:0022 Ottobre 2023 – XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO<p><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2C-43HXHXrjs4e1SUwpLZthow1F7F7I2thPl1ANjggwsfvkDy3IGPlr_KTrc79gpgckFQ8-OtHJFvyYRGkH39sz8K_AcRm_yLqrculGkCzLkCWErs9B05H5DIKlWVxXe1mHMuHXGlcrZbT65Cg4c5ZcPKRmR2_Ar4wG9o0Qf76lUOtbrc9lfdvL4iOx0/s709/Ges%C3%B9_date_a_Cesare.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="709" height="271" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2C-43HXHXrjs4e1SUwpLZthow1F7F7I2thPl1ANjggwsfvkDy3IGPlr_KTrc79gpgckFQ8-OtHJFvyYRGkH39sz8K_AcRm_yLqrculGkCzLkCWErs9B05H5DIKlWVxXe1mHMuHXGlcrZbT65Cg4c5ZcPKRmR2_Ar4wG9o0Qf76lUOtbrc9lfdvL4iOx0/s320/Ges%C3%B9_date_a_Cesare.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Mt </b><a name="_Hlk136622340"><b>22,
15-21 <br /></b></a></span><i><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">In
quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come
cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri
discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e
insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché <a name="_Hlk148591792">non guardi in faccia a nessuno</a>. Dunque, di’ <a name="_Hlk148593194">a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a
Cesare?</a>». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «<a name="_Hlk148592344">Ipocriti, perché volete mettermi alla prova?</a>
Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli
domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero:
«Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare
e a Dio quello che è di Dio».</span></span></i><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Possiamo
definire la scena organizzata dai farisei nei confronti di Gesù con alcune incisive
immagini: una riunione tra incapaci, un accordo subdolo e scellerato, un intervento
di falsi discepoli, una richiesta untuosa e melliflua, una proposta
trabocchetto per Gesù. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È
chiaro che tutto ciò che ruota intorno al tempio di Gerusalemme, non rientra
nelle simpatie di Gesù, proprio perché erano proprio i personaggi del culto,
gli scribi, i farisei, gli anziani del popolo, che si approfittavano apertamente
della loro posizione per compiere i loro loschi affari. Questa élite, più volte
pubblicamente redarguita da Gesù, da lui indicata come meno degna dei
pubblicani e delle prostitute, lo considera ormai un nemico da combattere in
ogni modo: per quella gente Egli è un uomo pericoloso, uno che deve essere
fermato ad ogni costo, poiché oltre a non rispettare le istituzioni religiose,
arriva a discreditarle apertamente! A questo punto, si riuniscono per decidere
sul da farsi: </span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">“tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo
nei suoi discorsi</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ormai
è guerra aperta, e riescono a coinvolgere nelle loro trame anche gli erodiani,
che è tutto dire: i farisei odiavano gli erodiani, li consideravano una feccia
schifosa da sterminare; però pur di realizzare i loro progetti perversi, si
abbassano a chiedere la loro collaborazione. Gesù è il nemico comune e, come
dice il proverbio, “chiunque odia il mio nemico, diventa mio amico”!<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Essi
dunque mandano una loro rappresentanza, con un discorsetto già preparato a
tavolino: ed iniziano con delle lodi chiaramente costruite, false, esagerate: “</span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Maestro,
sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai
soggezione di nessuno perché non guardi in faccia nessuno</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. Ma Gesù non si scompone,
li conosce molto bene, e con calma si rivolge loro: “<i>Ipocriti, perché volete
mettermi alla prova?” </i></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Anzi li paragona apertamente a satana, il
tentatore: Matteo infatti utilizza qui lo stesso verbo “tentare” (peiràzo) usato
nel racconto delle tentazioni <i>(4,1)</i>.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Finiti
i convenevoli, il gruppetto scopre immediatamente le carte: vogliono che Gesù
si esprima apertamente su un argomento spinoso, controverso: “</span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Dì a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il
tributo a Cesare?</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. Che praticamente equivale a dire: “Devi dirci, qui davanti a tutti,
ciò che pensi degli invasori romani”. La trappola è ben congegnata: qualunque
risposta egli darà, gli si ritorcerà contro; dicendo “sì”, si dichiarerebbe
favorevole al pagamento delle tasse e quindi, riconoscendo l’invasore come “il
signore” del popolo, incorrerebbe nel reato di infedeltà verso Dio, l’unico
“Signore” che gli ebrei devono riconoscere e servire (Dt 6,4-13); dicendo
invece “no”, si metterebbe automaticamente contro l’autorità romana, scegliendo
da solo la propria morte, veloce e sicura.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Vista
la situazione, Gesù la capovolge immediatamente. E lo fa magistralmente,
ignorando la loro provocazione e spostando i termini del discorso su un altro
piano: “Mostratemi la moneta del tributo”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Si
trattava di una moneta particolare, coniata dai Romani in argento, con incisa
l’immagine dell’imperatore e una dicitura che ne decretava la sua “divinità”.
Praticamente il simbolo del potere dominante: dove arrivavano quelle monete, lì
arrivava il potere di Roma, il dominio del “divino” imperatore.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Gliela
mostrano e Gesù: “</span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Di chi è questa immagine e l’iscrizione?</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. Gli rispondono: “</span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Di Cesare</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. E Lui: “</span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Rendete a
Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”. Cosa significa? Prima di
tutto che le tasse vanno pagate, certo: le monete di Cesare vanno restituite al
loro padrone. Ma la risposta continua: “Rendete a Dio quello che è di Dio”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">I
doveri quindi sono due: uno nei confronti dello Stato, del potere politico,
l’altro, molto più profondo e mirato, nei confronti di Dio.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Gesù
non perde occasione per richiamare all’ordine i suoi nemici. In altre parole,
con un tono piuttosto irritato, esclama: “Cari farisei, voi che vi date tanto
da fare col popolo, che vi ritenete i depositari dell’alleanza con Dio, voi che
siete la classe dirigente del sacro, che vivete all’ombra del tempio,
restituite a Dio il popolo che gli appartiene, quel popolo che Lui ha scelto,
che Lui ha riscattato, e che ha temporaneamente affidato alla vostra guida. Voi
invece cercate di impadronirvi di esso, di indurlo in errore con regole false,
con le vostre ideologie; cercate di attirarlo a voi, predicando un Dio, che non
è il vero Dio; subordinate Dio alle vostre teorie, al vostro pensiero, ai
vostri personali vantaggi e riconoscimenti, e questo è un terribile oltraggio
nei suoi confronti: il popolo è suo; vostro unico dovere è di ricondurlo a
Lui”. Parole crude che, come tutto il Vangelo, sono sempre di grande attualità.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Il
racconto ci offre infatti due spunti di meditazione, uno sulla domanda e
l’altro sulla risposta di Gesù. Vediamoli nel particolare.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Primo
spunto, la domanda: “</span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">Di chi è quest’immagine</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">?”. L’immagine incisa sulla
moneta rappresenta la persona che l’ha fatta coniare, stabilisce quindi chi ne
è il proprietario: quella di Cesare decreta che la moneta viene da lui, gli
appartiene e a lui deve tornare.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Un
discorso ovvio, che implica dei chiari riferimenti pratici: sappiamo infatti
che l’uomo è stato creato a “immagine e somiglianza di Dio” </span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">(Gn 1,26)</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">: noi quindi apparteniamo a
Lui, siamo sua proprietà, a Lui dobbiamo tornare! Dimenticare, perdere,
trascurare questa nostra indelebile dipendenza da Dio, significa tradire la
vita che lui ci ha donato, significa vivere una non vita, cadere in un falso
vivere, in una finzione esistenziale: per cui qualunque nostro legame ad altre
realtà che non siano Dio, qualunque attaccamento a persone, a cose, al mondo
intero, svilirebbe, deturperebbe la nostra somiglianza divina, ci renderebbe
schiavi, dipendenti e prigionieri: non saremmo mai più completamente liberi come
prima.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ci
capita mai, guardando il cielo stellato, ammirando la meraviglia di tutti quei
punti luminosi, di pensare che è da lì che noi veniamo, di sentirci “parte” di
tutte quelle luci, di provare una certa nostalgia di casa, una nostalgia di
cose grandi, immense? Ci capita mai, in certi giorni, di veder riflettere il
sole, la luce, nel volto e negli occhi delle persone amate? Ci succede mai di
essere pieni, quasi gonfi, di una inspiegabile felicità? Ecco, è in quei
momenti che possiamo sentire chiaramente il vero motivo per cui siamo nati, da
dove veniamo, a chi apparteniamo, chi è il nostro vero padre (Dio l’Altissimo).<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Altra
considerazione: <a name="_Hlk53557967">“</a></span><span style="font-family: arial;"><i><span style="font-size: 12.0pt;">Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio</span></i></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">”</span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">.
Certamente nel dare questa risposta, Gesù alludeva all’aspetto politico: “Dai a
Cesare, allo Stato, quello che è di Cesare, ciò che appartiene allo Stato”: è
quindi nostro dovere pagare le tasse; non possiamo essere uomini di fede se
evadiamo il fisco, se imbrogliamo la gente, se sfruttiamo i nostri dipendenti,
se noi ci arricchiamo e gli altri muoiono di fame, se creiamo lobby di potere.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma
la risposta </span><a name="_Hlk53658641" style="font-family: arial; font-size: 12pt;">di Gesù si presta ancora ad altre
considerazioni: non basta restituire il dovuto a Cesare, non basta riconsegnare
la nostra anima a Dio; c’è un altro dono essenziale, di proprietà divina, che
Dio concede in uso all’uomo, e che gli deve essere restituito: la vita! Ogni
giorno, infatti, Dio ci offre gratuitamente la meravigliosa possibilità di
poter dire: “Sono vivo!”.<br /></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Purtroppo la vita per molti
è un fatto scontato: non l’apprezzano, non sanno che farsene del tempo, delle
giornate, mesi, anni che hanno a loro disposizione; continuano a lamentarsi con
Dio per qualunque banalità, piuttosto che ringraziarlo umilmente per questo suo
incalcolabile dono.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La vita è invece un dono
che va custodito, onorato, amato: non ci è “dovuta”, non ci appartiene, un
giorno dovremo riconsegnarla nelle mani di Colui che ne è il padrone assoluto.
Finita la vita presente, non ne abbiamo un’altra di scorta con cui poter
rimediare al tempo sprecato in questa: quello che non facciamo oggi non potremo
farlo mai più.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Viviamola allora seriamente
questa nostra vita, viviamola con intensità, pienamente: abbiamo solo questa per
amare, agire, provare, sentire, per realizzare i nostri ideali, per diventare
insomma ciò che dobbiamo essere: immagine del Padre.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Non lasciamoci condizionare
dalla paura di sbagliare, dal giudizio della gente, da tutte quelle paure che
ci impediscono di vivere pienamente. Rimaniamo positivi, entusiasti: chiudiamo
gli occhi, e nel silenzio ascoltiamo ciò che il nostro corpo ci grida: “Voglio
vivere: voglio sentire la fragranza dei prati, della natura in fiore, il
profumo del mare; voglio provare la gustosità del cibo, dei frutti della terra;
voglio entusiasmarmi per i miei progressi, correre, ridere spensieratamente,
svagarmi, accarezzare, abbracciare, amare; voglio piangere quando sto male,
condividere il dolore degli altri, commuovermi per la loro gioia; voglio
inseguire i miei sogni, lottare per un mondo migliore e sentire che il tempo
che mi è stato concesso non sta fuggendo invano, ma ha un senso profondo e
meraviglioso per me e per il mondo intero. Sì, voglio vivere!”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Se arriveremo a tanto,
quando moriremo saremo in grado di restituire a Dio questa nostra vita “da
vivi”: ci troveremo ancora, cioè, nel pieno della vita. A Dio che ce l’ha
consegnata, riconsegneremo allora una vita palpitante, con tutto il suo
entusiasmo, con tutto il suo fascino: certamente non nella immobilità mortale
dei rinunciatari, dei falliti, di quanti si sono spenti per strada, senza
provare, senza sognare, senza combattere.<br /></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">Certo, l’uomo è un essere
molto particolare: si lamenta, impreca, quando le cose belle finiscono; ma non
sa ringraziare, non sa viverle adeguatamente quando sono nella sua
disponibilità; non capisce che all’amore si risponde con amore: che per amore
ha ricevuto la sua vita, e con amore deve restituirla al suo proprietario. </span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Amen.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-58713946744461173902023-10-12T09:57:00.006+02:002023-10-12T09:57:36.867+02:0015 Ottobre 2023 – XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO<p><span style="font-family: arial;"><b><span style="font-size: 12.0pt;"></span></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihwIKSrPTERCFY3uUpxE6KiJjMGT9FEzko6ft5fSBJ_9IX7pMFk3izGjpL5QH4QRrYdsRt0KmJULucofBM4bjMNqPM3ntxRBQgn2fIb_xPPPDutFSqd8Pfk1uAndE9bFa4sZhze_oD0xPda48Rbj_Xd0aLZniD3lWoHLL9ufEfEYHg_NQTxP4C6K_QWQM/s1063/Parable-banquet-%20aaaaaaaa.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1063" data-original-width="802" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEihwIKSrPTERCFY3uUpxE6KiJjMGT9FEzko6ft5fSBJ_9IX7pMFk3izGjpL5QH4QRrYdsRt0KmJULucofBM4bjMNqPM3ntxRBQgn2fIb_xPPPDutFSqd8Pfk1uAndE9bFa4sZhze_oD0xPda48Rbj_Xd0aLZniD3lWoHLL9ufEfEYHg_NQTxP4C6K_QWQM/s320/Parable-banquet-%20aaaaaaaa.jpg" width="241" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Mt <a name="_Hlk136622340">22,
1-14 <br /></a></b><i><span style="font-size: 12.0pt;">In quel tempo, Gesù, riprese a parlare
con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: </span></i><i><span style="font-size: 12.0pt;">«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo
figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi
non volevano venire. </span></i><i><span style="font-size: 12.0pt;">Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho
preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e
tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono
chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li
insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece
uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. </span></i><i><span style="font-size: 12.0pt;">Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano
degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete,
chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti
quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di
commensali.<b> </b></span></i><i><span style="font-size: 12.0pt;">Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava
l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito
nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e
piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».</span></i></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">La parabola di oggi paragona
il Regno di Dio ad un banchetto nuziale: un’immagine molto accattivante, molto
conosciuta e comprensibile a tutti. Quale occasione infatti è più aggregante e
gioiosa per parenti e amici di un matrimonio da favola, con un sontuoso pranzo
di nozze? <br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Le nozze celebrano l’unione
di due persone, sanciscono l’amore, la comunione di due cuori; sono l’apertura
di una finestra sul mondo della speranza, della novità di vita, della intensità
di sentimenti.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Non a caso i contemplativi
parlano di nozze dell’anima con Dio, per indicare l’incontro intimo, il
matrimonio celestiale, l’unione mistica dell’anima col suo Sposo divino.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ai nostri giorni, essere
invitati al matrimonio di una personalità molto importante, è una circostanza
impegnativa, di grande rilievo, molto ambita e apprezzata, un segno di
particolare stima, di amicizia, di considerazione.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Lo era anche ai tempi di
Gesù: le nozze erano considerate un evento importantissimo, duravano una
settimana, il banchetto era fornitissimo, straricco, e per chi riusciva a
malapena a mangiare una volta al giorno, era un’occasione imperdibile; il non
andarci era impensabile, perché rifiutare l’invito significava, sì, perdere un
lauto pranzo gratuito, ma soprattutto offendere gravemente gli sposi: era un
affronto, cui spesso potevano seguire spiacevoli conseguenze. Tant’è che il re
della parabola, indispettito per il rifiuto degli invitati, non capacitandosi
di tanta stupidità, manda per ripicca i suoi servi nelle piazze, nei crocicchi,
per le strade, per invitare a nozze chiunque incontrino.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Cosa vuol dirci Gesù con
questa parabola? Il significato più semplice, quello evidente, è che tutti, uomini
e donne, vecchi e bambini, saremo un giorno invitati all’eterno banchetto
celeste: ripeto, tutti! anche quelli più umili, quelli più poveri (gli
straccioni), quelli, in una parola, che sono considerati il rifiuto della
società. Tutti prima o poi verranno chiamati alla presenza di Dio e per tutti,
indistintamente, varrà un’unica condizione: indossare la veste nuziale, la
veste della “grazia di Dio, nuova, immacolata, o quantomeno lavata e stirata
dal Sacramento della Penitenza e dalle “opere buone”.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma non basta: questa parabola
ci offre, per l’immediato, anche un’altra interessante spiegazione: quel
banchetto nuziale, cui tutti siamo invitati a partecipare, si tiene nell’anima
di ciascuno: Dio, che la inabita, invita tutti ugualmente ad entrare in quella loro
personalissima esperienza di amore, di felicità, di intimità con cui il Figlio
celebra le sue nozze col nostro cuore, con la nostra anima.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Entrarvi, significa entrare
nell’intimità con Dio, rapportarsi con Lui nel silenzio della nostra coscienza per
dare un senso alla nostra vita.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Quando il cuore e l’anima
dell’uomo entrano in simbiosi con Dio, l’unione mistica che si instaura tra di
loro, non è altro che una pallida anticipazione dello stato di perenne
beatitudine che proveremo nel banchetto paradisiaco.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Gesù pertanto ci invita insistentemente
a “partecipare” a questo banchetto, a saziarci di Lui, a “vivere” la nostra
anima, e questo fin da subito, immediatamente.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Viviamola allora questa nostra
anima così dimenticata! Viviamola intensamente, non abbandoniamola, non
ignoriamola, non oltraggiamola. Se oggi la gente è depressa, esaurita, non ha
più voglia di vivere, è perché ha dimenticato di avere un’anima, ha dimenticato
completamente di rifugiarsi in essa, di trovare in essa la soluzione di tanti problemi,
instaurando un colloquio intimo, umile, sincero, con lo Spirito di Gesù, che
l’ha scelta a sua stabile dimora.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Un quarto degli italiani
prende farmaci contro l’ansia e la depressione: c’è chi li prende per dormire,
chi per alzarsi la mattina, chi per non deprimersi, chi per controllare
l’aggressività, chi per sopportare le contrarietà della vita. In una parola, cercano
di trovare la forza necessaria per “sopportare” la vita. Ciò che dovrebbe
essere fonte di felicità, è diventato un peso da sopportare: perché tutto
appare vuoto, inutile, tutto è vertiginosamente proiettato all’esterno;
l’introspezione, la meditazione, la riflessione, sono categorie sconosciute
all’uomo moderno, sono “out”. Oggi la persona è continuamente proiettata all’</span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">estremo</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">:
attività estreme, sport estremi, viaggi estremi, esperienze estreme, vacanze
estreme, sesso estremo. Il vivere “ordinario” non offre più nulla, non emoziona
più, non ha più stimoli apprezzabili.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Solo che nessuno si accorge
che dopo lo “sballo estremo”, segue il collasso interiore, la depressione, la
disperazione: guardandoci alle spalle, ci rendiamo conto di aver ignorato e
calpestato i limiti di un sano equilibrio, di aver sperperato ogni possibilità
di ascoltarci nel profondo, di seguire quei suggerimenti che Dio,
pazientemente, continua ad inviare al nostro cuore, all’anima, alla mente.
Abbiamo, in poche parole, soffocato stoltamente la nostra anima.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma cosa vuole esattamente da
noi quest’anima? Semplice. Vuole la nostra salvezza, il nostro star bene, il
nostro andare incontro a Dio, lo Sposo; l’anima vuole il meglio per noi, per la
nostra vita spirituale, vuole farci capire i veri motivi per cui valga la pena
di vivere.<br /></span><a name="_Hlk147995528"><span style="font-size: 12.0pt;"><span style="font-family: arial;">Ci
siamo mai chiesto “perché” viviamo? Quale sia lo “scopo” ultimo della vita?
Proviamo a chiederlo alle persone che ci stanno intorno, a quelle che
incontriamo: “Perché vivi?”; vi assicuro che le risposte saranno tutte di una
banalità spiazzante, perché nessuno conosce più la ragione per cui vive: la
vera, l’unica, profonda, trascendente ragione, per cui merita veramente vivere:
c’è chi vive per il lavoro, chi per il denaro, chi per fare carriera, chi per i
figli, chi perché “questa è la vita che fanno tutti”! Nessuno si sognerebbe più
di rispondere: “Per amare e servire Dio fedelmente”. <br /></span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma se ignoriamo questo motivo fondamentale, vuol dire
che alla nostra vita manca autenticità, vuol dire che tiriamo a campare,
trascinando i giorni, senza alcun mordente; vuol dire che siamo pronti a cogliere
al volo qualunque occasione, anche quelle più astruse e inconcludenti, pur di
dare una parvenza di senso alla nostra vita.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Non penso di esagerare: è sufficiente guardare le
“moderne” trasmissioni televisione: un concentrato di nullità, che ogni giorno esibisce
una folla di deficienti (nel senso che hanno un deficit di anima) orgogliosi di
fare sfoggio della loro preoccupante insipienza; gente che si cimenta in
comparsate insulse, che paga un prezzo esoso in termini di dignità, pur di “esserci”,
di essere ammirati, notati, imitati: già, l’etichetta che oggi tutti i
nullafacenti di professione ambiscono è </span><i style="font-family: arial; font-size: 12pt;">“influencer”</i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">! Persone purtroppo che
pur di raggiungere un soffio di notorietà, ancorché beota e insignificante, svendono
la loro anima accettando qualunque compromesso.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma cos’è che fondamentalmente manca a questa società?
Manca la percezione della presenza di Dio, manca l’ascolto dell’anima. Non la
sentono più, non sanno neppure cosa sia. Non è un caso che oggi tantissima gente,
giovani e meno giovani, amino così tanto le discoteche: quelle sale in cui una
musica collassante stordisce, inebetisce, copre e annienta tutto: con migliaia
di watt sparati nelle orecchie, in uno stato confusionale e catatonico per
alcool e droga, non c’è discorso, non c’è emozione, non c’è ispirazione
dell’anima che tenga: si immergono tragicamente nel loro nulla. Salvo poi
apprendere dai telegiornali i tragici risultati di tale alienazione.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È una difficile e drammatica situazione: ma </span><a name="_Hlk52970203" style="font-family: arial; font-size: 12pt;">l’invito di partecipare alle nozze in casa del “Re” vale
anche per loro, per tutti questi “storpi”, “zoppi”, “ciechi”; ma la loro veste
nuziale? Ecco: spetta a tutti noi cristiani il compito di aiutare questi nostri
fratelli nella ricerca di una loro veste nuziale, decorosa e appropriata: con
il buon esempio, con l’umiltà, con la carità, con tutta la nostra buona volontà:
proprio perché, in cuor nostro, sappiamo bene di non essere dei santi, di non
essere più meritevoli di loro. Troppe volte infatti anche noi ci “perdiamo” per
strada, viviamo da “frastornati”, in sbandamenti spiritualmente preoccupanti;
capita purtroppo anche a noi di buttarci allo sbaraglio, di “fuggire” dalla
“prigione” della nostra anima.<br /></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Dobbiamo fermarci!
Tiriamo i freni, usciamo dall’autostrada invitante e comoda di questo mondo
provvisorio, e imbocchiamo a piedi quel sentiero solitario e silenzioso che
porta al nostro cuore: e ascoltiamoci! Facciamolo, perché il vero coraggio,
quello autentico, non sta nel combattere contro i mulini a vento, contro un
mondo vanesio e insignificante, ma nell’ascoltare la propria anima,
nell’obbedire alla propria coscienza, al proprio cuore.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Oggi purtroppo,
anche tra i cristiani, sono veramente pochi quelli che conoscono il piacere che
viene dall’anima. Tutti cercano il piacere, nessuno cerca l’anima. Ci
accontentiamo dei surrogati di felicità: ci copriamo di “giocattoli” costosi
(auto, gioielli, telefonini, vestiti, ecc); cerchiamo esperienze inebrianti ai
limiti dell’assurdo, ci tuffiamo nel virtuale (internet) isolandoci dal reale;
cerchiamo ogni tipo di piacere: del sesso, della tavola, della gloria, della
notorietà.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Purtroppo però,
in profondità, la nostra anima urla per la mancanza di qualcosa che le dia “vita”.
Sente e soffre per l’assenza di ciò che nessuno può comprare, che nessuno può
regalare, se non Dio stesso: il soffio Vitale, la carezza dello Spirito.<br /></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">E allora
pensiamoci: “A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la
propria anima?”. Già, a che serve?!</span></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;"> Amen.</span></span></p>
<span style="font-family: arial;"><span style="mso-bookmark: _Hlk147995528;"></span>
</span><p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p> </o:p></span></p><p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt;"><o:p><br /></o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-7322537813495797462023-10-05T08:54:00.277+02:002023-10-05T10:47:18.337+02:0008 Ottobre 2023 – XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO<p><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12pt;"><b></b></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKoqA42AtPHTaOtdugus8_lAjnguU4PHdwoFDa-gMMB4Y07LQgL9T0U6i5ejLbHl8xIj1o3_AHUy-gs2EeqzaKpDXfX_H6RMWr4VA3Vy16e5rdeEGFqvuSYwbKIwC0-1WmOOg9r8SjzReey3kAdwCgJZjc3hNN1jlTsIehPsy0lh740Pp1BSjavS6znYQ/s622/vignaioli%20assassini.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="464" data-original-width="622" height="239" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiKoqA42AtPHTaOtdugus8_lAjnguU4PHdwoFDa-gMMB4Y07LQgL9T0U6i5ejLbHl8xIj1o3_AHUy-gs2EeqzaKpDXfX_H6RMWr4VA3Vy16e5rdeEGFqvuSYwbKIwC0-1WmOOg9r8SjzReey3kAdwCgJZjc3hNN1jlTsIehPsy0lh740Pp1BSjavS6znYQ/s320/vignaioli%20assassini.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Mt </b><a name="_Hlk136622340"><b>21,
33-43 <br /></b></a><i><span style="font-size: 12pt;">In
quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: </span></i><i><span style="font-size: 12pt;">«Ascoltate un’altra parabola: <a name="_Hlk52442797">c’era un uomo, che
possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò
una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei
contadini e se ne andò lontano. </a></span></i><i><span style="font-size: 12pt;">Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai
contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo
bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri
servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo
mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i
contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo
e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo
uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei
contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in
affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo
tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che
i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato
fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a
voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i
frutti». </span></i></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;">Per
la terza domenica consecutiva il Vangelo ci ripropone il tema della vigna del
Signore. Prima abbiamo visto la parabola degli operai dell'ultima ora e del
padrone buono, poi quella del comportamento contraddittorio dei due figli
all’invito di andare a lavorare; oggi abbiamo quella degli affittuari assassini
che vogliono impossessarsi della vigna in cui lavorano e finiscono per uccidere,
oltre agli incaricati alla riscossione, anche il figlio del padrone.<br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Da
notare che nelle tre parabole il comportamento dei vari “padroni” è sempre
stato improntato alla bontà, alla pazienza, alla massima comprensione. Il
padrone di oggi, poi, va addirittura oltre ogni aspettativa, rasenta
addirittura l’assurdo; il suo è un amore puntiglioso e illogico: nonostante i
suoi inviati vengano sistematicamente bastonati, lapidati, uccisi, lui continua
sempre a provarci, cerca di dare ai vignaioli assassini nuove opportunità di
ravvedimento. Alla fine, in un estremo tentativo di riscatto, arriva a mandare
il proprio unico figlio. Ma anche questi subisce la stessa barbarie, e viene
ucciso.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">L’allusione
è chiarissima: questo vangelo è la sintesi di secoli di storia del popolo
eletto. C’è stato un amore iniziale seguito poi dal rifiuto. I servitori sono i
profeti che, lungo il corso della storia di Israele, Dio ha mandato nella sua
“vigna” per richiamare il popolo, perché si accorgesse di essere sulla strada sbagliata;
ma Israele non si è ravveduto, non ne ha voluto sapere. Alla fine Dio ha
inviato anche suo Figlio, e di fronte alla sua crocifissione e morte, ha
trasferito altrove il suo Regno, fondandone uno nuovo con altri popoli. È il
primo grande esempio, ma la storia ci insegna che è sempre stato così: Dio si
ferma dove viene accolto, fa l'impossibile per farsi amare: se ciò non avviene, in punta di piedi se ne va.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">La
vigna è il segno dell’amore infinito di Dio, è la proposta di felicità
completa, di vita piena. Se questa proposta non viene accettata, Egli si
rivolge automaticamente ad altri popoli, ad altri contadini: u</span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">n
fenomeno che puntualmente si è ripetuto lungo i secoli: quando la fede di un popolo
si sclerotizza, si fossilizza, non si rinnova, quando quella fede muore, la Vigna di
Dio, il Regno dei cristiani, degli innamorati di Cristo, si trasferisce altrove.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Questo
dovrebbe preoccuparci seriamente, perché a</span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">nche
da noi la fede sta purtroppo perdendo il suo smalto, la sua spiritualità, il
suo entusiasmo, la sua vitalità; di questo passo, tra breve, non ci sarà più
traccia di quel cristianesimo profondamente vissuto e amato dai nostri padri. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 16px;">È u</span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">na parabola tragica quella di oggi: una parabola che dovrebbe veramente farci riflettere, perché è la storia di Dio e dell’umanità: è la nostra storia, è la storia delle nostre incomprensioni; è la storia del dolore di un Padre per le nostre infedeltà, di quel dolore di Dio, che noi alimentiamo con i nostri continui rifiuti.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">È la storia di questo nostro Dio sconsiderato, che continua a insistere, a ripetersi; la storia infinita di una Padre che continua a mettere a repentaglio la vita di suo Figlio, inviandocelo vivo ogni giorno nell’Eucaristia, pensando di suscitare in noi, </span><span style="font-family: arial; font-size: 16px;">con tale sovrumana e impensabile prova d’amore,</span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> rispetto, adesione, cambiamenti che al contrario da noi non arrivano! Come i v</span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">ignaioli perversi, noi continuiamo a rifiutarlo.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Ma p</span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">erché?
Forse Dio non è abbastanza buono con noi? Non dimostra di amarci abbastanza? Ci sentiamo
ingannati? No, al contrario! Perché Egli ci guarisce sul serio, ci fa risorgere, ci sfama, ci
perdona, ci illumina, ci fa sentire insomma perdutamente amati. Ma allora perché lo rifiutiamo? </span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Cosa
dovrebbe fare più di quanto ha fatto e continua a fare? Cosa dovrebbe promettere più di quanto ha già concretamente promesso? Cosa dovrebbe ancora dimostrarci, per essere accettato, amato, accolto nel nostro cuore?</span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> Assolutamente nulla! <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Abbiamo
avuto e sentito tutto, sappiamo tutto; tutta questa sua “grazia”, incessante e continua, dovrebbe bastarci, come scriveva Paolo ai Corinzi (2Cor 12,9): solo che purtroppo,
nella nostra “infermità”, rimaniamo impenetrabili, non assorbiamo nulla: siamo
fossilizzati, chiusi, insensibili. Non riusciamo a vedere in positivo; non
vediamo le migliaia di gesti d’amore che i nostri fratelli ci fanno grazie a Lui; non
vogliamo vedere la bontà di chi ci aiuta, di chi ci
sostiene. Siamo occupati continuamente a rimarcare i loro difetti, le loro
lacune, le loro debolezze, senza mai riuscire ad apprezzare il bene, la
cortesia, la gentilezza, la premura, di cui essi ci circondano. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">A
volte ce ne rendiamo conto soltanto quando qualcuno di essi viene a mancare.
Soltanto quando perdiamo una persona vicina, finiamo per accorgerci di quanto
fosse importante, di quanto ci amasse. Solo allora i nostri occhi, il nostro
cuore, finalmente, si aprono: ma è ormai troppo tardi. Ma a</span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">llora,
perché non farlo prima? Perché rimanere talmente incentrati nel nostro ego da
lasciare che anche un piccolo gesto negativo, un soffio appena indisponente, basti a
distruggere migliaia di gesti d’amore? <br /></span><a name="_Hlk52362169"><span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-style: italic;"><span style="font-family: arial;">Siamo la copia esatta dei vignaioli: come loro, dimostriamo solo egoismo: vogliamo possedere, possedere, possedere tutto anche
l’impossibile: ma la “vigna” non è nostra. Noi dobbiamo solo renderla fertile e
fruttuosa: dobbiamo lavorarla, amarla, custodirla, senza poterla possedere. Non
ci appartiene! La vigna è la nostra vita. Che non è nostra! Non ne siamo i padroni,
non possiamo campare alcun diritto su di essa, prima o poi dovremo lasciarla,
anche se in realtà ci comportiamo come se fossimo immortali. <br />Illusi! Non ci
rendiamo conto che al massimo </span></span></a><a name="_Hlk52362169"><span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-style: italic;"><span style="font-family: arial;">possiamo</span></span></a><a name="_Hlk52362169"><span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-style: italic;"><span style="font-family: arial;"> decidere come vivere, mai di vivere “per
sempre”! </span></span></a><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Tutto è dono, tutto ci è
gratuitamente affidato da Dio, nulla può essere preteso. Per questo dobbiamo
fidarci di Lui, abbandonarci a Lui, alla Vita; tutti noi siamo nelle sue
mani: esistiamo, siamo vivi, ma non siamo “nostri”! <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Quanta pazienza ha Dio con
noi! Anche quando, come i vignaioli, avanziamo pretese assurde, quando
cerchiamo di sovvertire l’ordine, quando non portiamo più frutto, ebbene: anche
allora Dio non ci abbandona; anzi ci manda continui “messaggi”, degli
avvertimenti importanti: “Stai attento perché le cose così non vanno!”. Ma noi
molto spesso non ce ne curiamo, andiamo avanti per la nostra strada, ridiamo e
facciamo finta di nulla. <br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Già, siamo tutti concordi
nel definire stupidi, cialtroni, assassini, quei lavoratori; ma noi? Forse che
noi accettiamo con profitto i “messaggi” che Gesù ci manda? E non sono pochi,
sono invece tanti e frequenti: così quando siamo insoddisfatti, quando siamo
nervosi, irritabili, quando non proviamo più stupore, né gioia, quando non ci
entusiasmiamo più per nulla; quando la vita cristiana è un peso, la Chiesa è un
peso, la famiglia è un peso; ecco, sono tutti segnali della nostra anima che
langue, che sta morendo. Sono messaggi importanti. Non illudiamoci
attribuendoli al super lavoro, ad un periodo particolarmente critico, pensando
che prima o poi tutto si sistemerà. Non è così,! I segnali che Dio ci
manda, vanno ascoltati. Smettiamola di continuare a comportarci stupidamente da vignaioli omicidi. </span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Amen.</span></p>
<p class="MsoNormal"><span style="mso-bookmark: _Hlk52362169;"><span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-style: italic;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></span></p>
<span style="font-family: arial;"><span style="mso-bookmark: _Hlk52362169;"></span>
</span><p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12pt; mso-bidi-font-style: italic;"><o:p><span style="font-family: arial;"> </span></o:p></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-941329485184719837.post-61281775705674128672023-09-28T10:40:00.000+02:002023-09-28T10:40:03.838+02:0001 Ottobre 2023 – XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO<p><span style="font-family: arial;"><b><span style="font-size: 12.0pt;"></span></b></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: arial;"><b><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1HrzjET_JtVvD_DyOgQNDRBDSQAuYatnEBA8333XqQuh_7ar342wMNhiPvG8HA_sZCDxEzZnzkiuxLKl2bo4tlr1uZuQ81a4J2yvJCFwl2dTE7qkcv6Y0p5tkP5MQIV5HWGZQTsdy0dvuHvqge1ZizwEBdwihZ9-KWbHDLwLMEZSOWb4M9c9kC6kQrg4/s547/120272591.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="394" data-original-width="547" height="230" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1HrzjET_JtVvD_DyOgQNDRBDSQAuYatnEBA8333XqQuh_7ar342wMNhiPvG8HA_sZCDxEzZnzkiuxLKl2bo4tlr1uZuQ81a4J2yvJCFwl2dTE7qkcv6Y0p5tkP5MQIV5HWGZQTsdy0dvuHvqge1ZizwEBdwihZ9-KWbHDLwLMEZSOWb4M9c9kC6kQrg4/s320/120272591.jpg" width="320" /></a></b></span></div><span style="font-family: arial;"><b><br />Mt <a name="_Hlk136622340">21,
28-32 <br /></a></b><i><span style="font-size: 12.0pt;">In
quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve
ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va’
a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi
andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore.
Ma non vi andò”. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il
primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute
vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via
della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece
gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi
siete nemmeno pentiti così da credergli».</span></i></span><p></p>
<p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;">Non
dobbiamo stupirci se Gesù oggi insiste, continuando la lezione di domenica
scorsa, nell’impartirci ulteriori insegnamenti: uno in particolare, altrettanto
provocatorio, altrettanto indigeribile, ma altrettanto essenziale. Dio, cioè,
non gradisce l’esteriorità, il manierismo, i giochetti politici; non ama il
doppio gioco, il nostro far vedere una cosa e pensarne un’altra, esibire in
chiesa una grande devozione, espressione di fede profonda, e poi, appena fuori,
far finta di nulla e rivestirci disinvoltamente di tutte le nostre misere
furbizie. Sono accorgimenti che conosciamo molto bene anche noi! Ma conoscerle
non basta!<br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Perché
se c’è una cosa che manda su tutte le “furie” il nostro Padre misericordioso,
una cosa che lo “irrita” profondamente, non è tanto il peccato, il mancargli di
rispetto, ma il comportamento falso, l’ipocrisia come sistema farisaico di vita,
l’essere cioè “sepolcri imbiancati”, belli all'esterno, ma dentro “pieni di
ogni putridume” </span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">(Mt 23,27),</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> in quanto pretendiamo di fargli accettare per
buone, sincere e convinte le nostre intenzioni, le nostre azioni, la nostra
vita, quando invece sappiamo perfettamente che non lo sono proprio.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Possiamo
dire, quindi, che con la parabola di oggi Gesù stabilisce la fondamentale
differenza tra il<i> “dire” </i>e il “<i>fare</i>”, tra “</span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">l’apparire</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">” e “</span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">l’essere</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”: i due figli, di fronte
all’ordine del padre di andare a lavorare nella vigna, si comportano in modo
ambiguo: il primo dice <i>“sì”</i> ma “non ci va”, l’altro dice <i>“no”</i> ma
poi, ripensandoci, obbedisce all’ordine del padre.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Entrambi,
ovviamente, si comportano negativamente: tuttavia Gesù dimostra di preferire,
tra i due, il ribelle, il contestatore, quello che impulsivamente dice “no”,
quello che ha il coraggio di esprimere con franchezza il proprio pensiero, che
non teme di esporsi, di mettersi in discussione; quello che poi, ragionando con
calma, decide di obbedire e va a lavorare; per Gesù questi è decisamente più
rispettabile dell’altro che, preoccupato di mantenere la sua immagine di figlio
educato, rispettoso, perfetto, risponde prontamente “</span><i style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt;">sissignore</span></i><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">”, ma in realtà non muove
un dito.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">L’insegnamento
che Gesù vuol qui trasmettere è chiarissimo: Egli non gradisce dai suoi figli,
dalla sua Chiesa, risposte inconcludenti; non vuole cioè una religiosità di
facciata, epidermica, senza senso, che si ferma superficialmente al rito,
all’esibizione canora, all’omelia reboante, ad una fede ostentata, falsa, infruttuosa.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Purtroppo
oggi, con la progressiva scristianizzazione della società, è in costante
crescita il numero di persone che se ne fregano dell’esistenza di Dio, che vivono
nell’indifferenza, nell’ignoranza religiosa più totale; di persone che credono
anche, ma si comportano in costante contraddizione con quel che in chiesa professano
di credere; in pratica di cristiani che adottano uno stile di vita inconcludente,
amorfo, in netto contrasto con quel “Credo” che a voce alta professano ogni
domenica davanti alla comunità; di quei cristiani, insomma, che esternamente
rispondono sempre con un “sì”, e poi, nella realtà, lo traducono puntualmente in
un “no”! Oggi sono tanti, tantissimi, troppi i cristiani sordi alla chiamata di
Dio, insensibili alle vibrazioni spirituali dell’anima, indifferenti alla
passione e all’amore di Dio.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Dobbiamo
onestamente riconoscere che i due figli della parabola rappresentano in maniera
perfetta i cristiani di oggi.<br /></span><a name="_Hlk146564987" style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">Un po’ tutti, infatti, </span></a><a name="_Hlk146788482" style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">assomigliamo a quel fantoccio
di figlio che risponde sempre “si” al padre, senza mai fare nulla, a quella
“icona”, </span></a><a name="_Hlk146622233" style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">a quella immagine deludente di cristiano superficiale e parolaio</span></a><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">! Anche noi rispondiamo troppo spesso con un “sì”, forse trascinati
dall’emozione di udire dentro di noi la voce di Dio che ci chiama; ma il nostro
“sì”, sopraffatto dall’indolenza, fagocitato dalla pigrizia, dal disinteresse, si
rivela inutile, nei fatti diventa un “no”, che annulla qualunque nostra debole e
superficiale velleità.<br /></span></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Succede anche però che talvolta ci immedesimiamo con l’altro figlio, e alla
chiamata di Dio che vuol affidarci un compito, reagiamo d’impulso con un
rifiuto: “No, non lo faccio, non ci vado!”. E perché mai? Semplice: nella
nostra fede ottusa, insignificante, rimaniamo sospettosi, diffidenti, non capiamo
ciò che Dio ci chiede; nella nostra meschinità pensiamo si tratti di qualcosa troppo
difficile, impossibile, di un impegno serio, pesante, che implica una costante applicazione,
tantissimo sacrificio. No, meglio evitare; e ce ne stiamo immobili, bloccati
dalle paure, dagli scrupoli, dall’egoismo, forse anche dalla vergogna di
apparire “troppo credenti” di fronte agli altri: insomma non vogliamo correre
rischi. Solo che subito dopo, rientrati in noi, rinsaviti, capiamo
immediatamente l’enorme importanza di essere scelti da Dio, di essere considerati
delle creature speciali, “amate” personalmente da Lui; ci rendiamo conto della
nostra stoltezza, e reagendo al nostro indolente immobilismo, con ritrovata
sincerità, con cuore aperto, gli esprimiamo il nostro “sì”: un sì, però, che ci
procura anche timori, paure, insicurezze, preoccupazioni, a causa della nostra volubilità
di cristiani tiepidi e incostanti.<br /></span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;">Al contrario, quando sentiamo la voce di Dio, quando intuiamo ciò che Lui vuole da noi, </span><span style="font-family: arial; font-size: 16px;">impariamo a non fare calcoli:</span><span style="font-family: arial; font-size: 12pt;"> smettiamola di tergiversare,
di far finta di nulla, usciamo coraggiosamente dal nostro guscio, abbandoniamo le
nostre false e inutili sicurezze: riprendiamo in mano la nostra vita. Certo, abbiamo
bisogno di una grande onestà, di un grande rispetto per la volontà di Dio: un
rispetto profondo, umile, sincero, risolutivo. Lasciamo pure che siano le canne
al vento, aride e secche, a fare chiasso sbattendosi tra loro per farsi notare.
Noi, lavoriamo sodo, nel silenzio, nella riservatezza! Guardiamo l’uomo Gesù: autentico,
trasparente, coraggioso, ben lontano dalle nostre piccole e grandi bugie, dalle
nostre meschinità: seguiamo le sue orme e cerchiamo di essere anche noi come
Lui, uomini “del sì” forte, inflessibile, definitivo. È vero: essere onesti,
sinceri, trasparenti, non ci garantisce una vita tranquilla, lo sappiamo; ma ci
farà sentire uomini e donne completi, realizzati, soddisfatti. Non ci farà
guadagnare tanti soldi e forse neppure tante amicizie, ma conferirà alla nostra
vita una dignità che nessuno potrà mai offrirci: quella di sentirci cristiani
autentici, figli di Dio, amati e benedetti.<br /></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;">Evitiamo allora di indossare davanti a Dio il nostro vestito “della
festa”, quello del perfetto cristiano, del credente fedele e devoto; indossiamo
invece quello modesto e “rattoppato” del debole ma sincero cercatore di Dio,
del discepolo innamorato che cerca di rispondere degnamente alla sua chiamata
non a parole, ma con azioni concrete. Senza questa integrità, senza questa convinta
e devota adesione, finiremo sicuramente col perdere la strada giusta, col
tradire la fiducia che Egli ha riposto in noi; finiremo col costruirci un altro
Dio da adorare, un Dio accomodante che ci assomiglia e ci accontenterà sempre e
comunque; una religione fine a sé stessa, che si esaurirà nell’esteriorità
della preghiera e del culto, nella menzogna e nel disinteresse! Non illudiamoci
oltre: </span></span><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;">è
ora di vivere finalmente da veri cristiani; smettiamo di celebrare il Dio della
vita con azioni di morte! </span></span><span style="font-family: arial;"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"> Comportiamoci da persone autentiche con Lui. Preghiamolo da
figli innamorati, non da esibizionisti ciarlatani: soprattutto non temiamo di
presentarci a Lui nell’imbarazzante nudità dell’essere così come siamo: figli
umili, fragili, certamente peccatori, ma animati da tanta buona volontà,
consapevoli del suo aiuto e del suo immenso amore.</span><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"> </span></span><span style="font-size: 12pt;"><span style="font-family: arial;">Amen.</span></span></p><p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><span style="font-family: arial;"><br /></span></span></p><p class="MsoNormal"><span style="font-size: 12.0pt; mso-bidi-font-style: italic;"><span style="font-family: arial;"><br /></span></span></p>Mariohttp://www.blogger.com/profile/04759601984235983617noreply@blogger.com0