giovedì 2 gennaio 2020

5 Gennaio 2020 – II Domenica dopo Natale


“In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,1-18)

Il vangelo che la Chiesa ci propone oggi, è lo stesso del giorno di Natale; un brano che è il più ricco, profondo e difficile di tutti i vangeli. Alcuni studiosi hanno passato la loro vita a studiare questa pericope giovannea: san Giovanni Crisostomo e Sant’Agostino hanno detto, per esempio, che si tratta di un testo che va al di là di ogni comprensione umana.
Senza alcuna presunzione, per quanto ci riguarda, cerchiamo almeno di capire il significato di alcune espressioni.
“In principio” (in ebraico berescit; in greco en arché) sono le stesse parole con cui ha inizio nella Genesi, il primo libro della Bibbia, il racconto della creazione.
In particolare come iniziava l’Antico Testamento? “In principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1). Giovanni invece dice no: “In principio c’era il Verbo!”
Il Verbo è la traduzione latina del termine greco “Logos”, che ha due significati: “Parola” e “Progetto”; per cui possiamo dire: “All’inizio c’era un progetto”.
Questo è meraviglioso: prima ancora di creare ogni cosa, Dio aveva un’idea, un progetto.
Allora noi, il mondo, non siamo qui per caso. Siamo tutti qui perché Dio ha un progetto su di noi. Se non avesse avuto un progetto su di noi, non ci saremmo. Se ci siamo è perché Dio aveva un motivo ben preciso per crearci, un motivo davvero importante.
Quindi Dio ha un progetto. Ma per attuarlo, ha bisogno di noi. Vogliamo allora dargli una mano?
Identificando poi il Logos, il Verbo, con Dio, Giovanni si scontra con la teologia del tempo. L’Antico Testamento infatti identificava la Parola di Dio con i Dieci Comandamenti (il Decalogo) che Dio ha dato a Mosè (Es 31,18). Ma Giovanni dice: “No, la Parola, il Logos esiste ancor prima di tutte le altre parole”. Una novità impensabile, che stabilisce la priorità e l’importanza assoluta della nuova Parola. Infatti Giovanni farà dire a Gesù: “Vi do un comandamento nuovo (kain¾n): che vi amiate gli uni gli altri” (13,34).
Ora, per dire “nuovo” in greco ci sono due possibilità: “neos” e “kainos”; nel primo caso vuol dire “nuovo” rispetto ad un “altro” già esistente; con kainos si vuol invece stabilire che un qualcosa è “nuova” nel senso che annulla tutto il resto: Gesù, il Logos, quindi non dà un “altro” comandamento, ma in assoluto uno “nuovo”, che mette cioè in secondo piano tutte le Parole precedenti.
“Egli era in principio presso Dio” (Gv 1,2). Questo, Gv ce l’ha già detto: perché lo deve ripetere? Perché la lingua ebraica scrive tutte parole in caratteri maiuscoli, attaccate l’una all’altra, e non aveva, come abbiamo noi oggi, il grassetto, il corsivo, la sottolineatura, ecc. Per cui per evidenziare un concetto lo ripetevano. Una ripetizione quindi che sta ad indicare un concetto veramente importante.
“Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (Gv 1,3). Anche qui la seconda parte è una ripetizione della prima. Ma cosa significa? Che tutto è stato fatto per volontà divina. Noi, in altre parole, siamo qui solo per volontà di Dio. Magari i nostri genitori non ci volevano... magari la gente ci rifiuta, ci respinge... magari noi stessi non ci accettiamo, siamo insofferenti verso noi stessi... ma Dio ci vuole, perché ha un progetto ben preciso su di noi. La creazione pertanto non è cessata il settimo giorno, ma si sta compiendo continuamente, anche oggi, perché Dio ha bisogno di noi: è per questo che ci ha creato.
“In lui (cioè nel Logos-Progetto) era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1,4).
Il termine “Vita” (zoé) appare ben 37 volte in Giovanni. Un termine quindi con cui egli intende qualificare il Progetto di Dio, vuol darne una spiegazione: il progetto di Dio è un progetto di vita: una vita con un nuovo stile.
Prima di Gesù infatti gli “uomini di Dio” erano gli uomini di preghiera, quelli che si mortificavano, quelli che rinunciavano a tutto, quelli che reprimevano l’affettività in quanto pericolosa, quelli che digiunavano e seguivano un’ascetica ferrea, che non avevano tempo per la carità, l’amore verso il prossimo. Ma Gesù dirà di questa gente: “Sepolcri imbiancati: essi all’esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume” (Mt 23,27).
Con Gesù, invece gli “uomini di Dio” sono quelli vivi, quelli che hanno vita, che sanno piangere, indignarsi, commuoversi, emozionarsi, che provano amore, misericordia, che si innamorano, che hanno slanci, che sanno stupirsi: più un uomo è vivo, più è pieno di Dio. L’essenza, il centro del Natale, è appunto la Vita, un bambino che nasce alla vita.
“La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1,5).
L’uomo che vive, cioè colui che ha accolto il messaggio di Dio, risplende, è luce.
Qui non si dice che lotta. A quel tempo, e anche oggi, ci sono molti fanatici che vogliono imporre le proprie regole e le proprie leggi ad altri. Qui, invece, è luce, splende, brilla: non costringe nessuno. Segue semplicemente la Luce, la luce vera, Gesù, il verbo incarnato, che è venuto nel mondo: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).
È Gesù-quindi, la vera luce che illumina ogni uomo: attenzione in questo a non prendere abbagli! Domandiamoci spesso: “Qual è la cosa più importante che dà luce alla mia vita?”. È il partner, i figli, i soldi, il lavoro, il successo, la gloria, l’essere famosi... cos’è dunque la cosa più importante che condiziona la nostra vita? Deve essere solo una: la Vita!
“Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe” (Gv 1,10).
Mondo è “kosmos”: in Giovanni non indica semplicemente il creato, il cosmo, l’universo: ma è un termine che in lui acquista un senso negativo: è il sistema politico, religioso, civile, sul quale si fonda la società umana, in contrapposizione a quella divina. Il potere, infatti, sinonimo di orgoglio, di superiorità, di mancanza d’amore, di rigidità, ecc., non può conoscere Dio, non si abbassa ad amarlo. È vero, tutte le persone sono “divine”, in quanto anch’esse create da Dio, impregnate di Dio: solo che si sono, per così dire, dimenticate chi sono veramente, si sono dimenticate che hanno dentro di loro l’impronta di Dio, vivono senza riconoscerlo e quindi senza riconoscersi più. Che tristezza! È come essere dei re e vivere da schiavi!
“Venne fra la sua gente ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11).
È una denuncia tremenda. Quelli che non l’hanno accolto come Vita sono gli stessi che poi gliela toglieranno sulla croce. È il popolo eletto, il popolo prediletto da Dio! Chi non accoglie la Vita e non la fa vivere in sé, uccide Dio, la Vita. È incredibile come nei vangeli quelli che hanno accolto Gesù siano stati proprio i più lontani da Dio, i peccatori: al contrario quelli che non l’hanno voluto accogliere, che l’hanno sempre combattuto, condannandolo alla morte di croce, siano stati proprio i più vicini alla religione, i sommi sacerdoti, i tenutari del tempio. Una triste constatazione!
Il progetto che Dio ha pensato per ciascuno di noi è, a questo punto, estremamente chiaro: “Essere suoi figli” (Gv 1,12). Attenzione, non “servi” di Dio, ma “figli” di Dio: non come sentiamo spesso ripetere in certe prediche, che l’uomo è fatto per servire Dio, che dobbiamo buttarci ai suoi piedi, temerlo, servirlo in tutto e per tutto per non incorrere nei suoi tremendi castighi!
Noi infatti non siamo i servi di Dio, ma i serviti da Dio: Lui stesso ce l’ha insegnato abbassandosi a lavare i piedi ai suoi discepoli (Gv 13,1-20). È Dio che serve noi: Egli non ci chiede più come una volta sacrifici cruenti, servizi, penitenze in suo onore: è Lui che è venuto a portare i suoi servizi, la sua disponibilità, il suo amore a noi. La “fede” non consiste più nel fare qualcosa per Lui e basta, ma accettare riconoscenti tutto quello che Lui fa per noi.
In questo è stato chiaro: “Non sono venuto per essere servito ma per servire” (Mt 20,28).
Siamo figli di Dio, perché è Lui che ci ha generati come tali, con tale privilegio.
Tocca però a noi “diventare” veri figli di Dio: non lo siamo semplicemente per nascita, per appartenenza ad un popolo eletto, come succedeva per la casta sacerdotale dell’antico testamento: per essere veramente tali, dobbiamo diventarlo, dobbiamo cioè essere noi a “trasformarci” in figli. Come? Amando gli altri. Non con preghierine, digiuni o fioretti, ma con l’amore vero; perché saremo figli, solo quando sapremo amare anche chi non ci ama, quando ameremo senza aspettative, quando perdoneremo con amore, sempre e tutti. Perché, come Giovanni chiarirà nella sua prima lettera: “L’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4,7-8).
“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14).
Più che “abitare in mezzo a noi” il verbo greco ™sk»nwsen dice letteralmente: “venne a piantare una tenda fra noi” (skenÐ = tenda); farebbe cioè riferimento all’esodo degli Israeliti dall’Egitto, durante il quale Dio li accompagnava assicurando la sua presenza in una “tenda”. (Es 33,7-11; 40,34-38). In pratica Giovanni introduce qui una novità rispetto al passato: Dio cioè non abiterebbe più nel tempio tra i sacerdoti, ma in una tenda in mezzo al popolo.
Questa di Giovanni è una visione teologica decisamente “trasgressiva”: Dio non è più in un luogo esclusivo, solitario, ma “in mezzo” al suo popolo, tra la “sua” gente. Dio non è più immobile, fisso, in un luogo prestabilito, ma in continuo cammino, insieme agli uomini. 
La presenza di Dio non è più legata quindi ad un “luogo” ma ad un “tempo”: vale a dire nell’esatto momento in cui c’è l’amore, lì c’è Dio.
“E noi vedemmo la sua gloria” (Gv 1,14).
Nell’Antico Testamento nessun uomo poteva vedere Dio: Gesù al contrario dirà: Dio si vede... “Chi vede me vede il Padre (Gv 14,9)”; in Gesù, cioè, c’è già tutto quello che è possibile vedere di Dio: gloria, potenza, amore. Possiamo pertanto dire che non è Gesù ad essere come Dio, ma è Dio che è come Gesù.
Quando la gente parla di Dio, dice tutto e il contrario di tutto. Il vangelo invece non solo è chiaro ma estremamente pratico: Dio è come Gesù: se vuoi sapere chi è Dio, guarda, imita, diventa, come Gesù. Tutto ciò che non è di Gesù, che non rispecchia Lui, non è da Dio; così non vengono sicuramente da Dio quelle pratiche religiose, quei pietismi puramente esteriori, quell’ascetismo formale, in quanto non si rispecchiano in Gesù, ma soddisfano semplicemente il nostro “ego”, la nostra voglia di esibirci. Gesù al contrario è “pieno di grazia e di verità”, ossia è “pieno di amore vero”: tutto quanto egli compie è “pieno di amore e di verità”.
È la caratteristica di Dio: l’amore del Dio di Gesù è un amore fedele, che non tradisce, che non cerca esibizionismi, personalismi, che non si vendica, che rimane sempre invariato nel tempo, anche se gli giriamo le spalle, anche se lo tradiamo.
Molte persone purtroppo pensano di aver perso l’amore di Dio, di aver fatto qualcosa di irreparabile nei suoi confronti, di essere indegni di Lui: ma Lui non è così! Lui rimane, Lui è fedele, sempre: “Qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri, Dio è più grande del nostro cuore” (1Gv 3,19-20). Una certezza ci deve sostenere sempre: l’amore di Dio non tradisce mai di fronte a niente, di fronte a nulla. Amen.



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