giovedì 28 novembre 2019

1° Dicembre 2019 – I Domenica di Avvento – Ciclo “A”


“Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà” (Mt 24,37-44).

Dio arriva quando meno ce lo aspettiamo. Magari lo cerchiamo tutta la vita, o crediamo di cercarlo, e magari stoltamente convinti di averlo trovato, ci adagiamo senza fare più nulla, lasciando che la vita continui a scorrerci addosso, con i suoi desideri, le sue delusioni, le sue scoperte, le sue paure, i suoi entusiasmi e i suoi fallimenti.
Per questo abbiamo bisogno di fermarci, almeno qualche minuto, per guardare dove stiamo andando, di trovare un filo conduttore che dia un senso a tutte le nostre vicende.
Con l'avvento, tempo di silenzio, di meditazione e di revisione interiore, un nuovo anno liturgico si apre davanti a noi, portandoci al grande appuntamento col Dio in noi: il Natale.
Non il Natale delle vetrine, dei lustrini, della corsa agli acquisti senza senso: uno stravolgimento del vero Natale, una fiera insopportabile della bontà posticcia e fasulla, che ha ridotto il Natale di Gesù ad una festa di compleanno, priva di qualunque espressione d’amore per il festeggiato.
Non è questo il nostro Natale: perché noi abbiamo necessità di incontrare solo quel Dio, che ogni anno cerca di rinascere bambino nei nostri cuori, diventando nuovamente accessibile, incontrabile, con il suo volto sorridente, ben riconoscibile e invitante.
Da oggi iniziamo a leggere Matteo, il pubblicano peccatore divenuto discepolo di Gesù: il suo vangelo, ci accompagnerà e ci incoraggerà sull'impervia strada della nostra conversione.
Il brano di oggi, tipicamente escatologico, non è facilmente comprensibile, e rischia di essere letto in chiave sbagliata.
Gesù, come al solito, è straordinario; si spiega cioè riferendosi agli eventi antichi: al tempo di Noè, per esempio, tutti, buoni e cattivi, vivevano nella superficialità: mangiavano, bevevano, si sposavano e facevano figli ma non si accorgevano di nulla, non pensavano a nulla. Tutti vivevano nelle loro illusioni, tutti si guardavano bene dall’accorgersi di ciò che succedeva intorno a loro, dall’aprire gli occhi sul futuro, perché aprirli avrebbe richiesto un cambiamento radicale della loro condotta. Così venne il diluvio e travolse tutti. “Tenetevi pronti” è dunque il suo invito conclusivo, vegliate, state allerta, pronti, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. In quel giorno, infatti, uno sarà preso, l'altro lasciato; uno incontrerà Dio, l'altro no; uno sarà salvato, l'altro abbandonato a sé stesso. Dio è discreto, modesto, non impone la sua presenza, ma la sua venuta finale è improvvisa, imprevedibile, tremenda. Un chiaro riferimento, ovviamente, all’“eskaton”, alle realtà ultime, al ritorno finale e glorioso di Dio.
A noi però è chiesto, nel frattempo, di prepararci a fare memoria anche di un’altra venuta, meno traumatica e decisamente più consolante, quella di Cristo redentore che, assumendo le nostre sembianze umane, è venuto per riscattare l’umanità dal peccato.
La Chiesa dedica a questo evento quattro settimane: un “tempo favorevole” in cui spalancare il nostro cuore, aprire gli occhi, e lasciar esplodere il desiderio di incontrare Dio. Come?
Le vie sono tante, basta convinzione e buona volontà: da umili principianti, per esempio, cerchiamo di avvicinarci a Lui, ritagliandoci magari uno spazio quotidiano per la preghiera, per la meditazione della Parola; oppure prima di iniziare il lavoro o durante la giornata, facciamo una piccola deviazione per entrare in una chiesa e salutare Gesù Eucaristia; ancora: cerchiamo di aiutare, secondo le nostre possibilità, qualche nostro fratello più sfortunato di noi, con un gesto di solidarietà, una buona parola e così via. Sono piccole cose che, se vissute bene, ci aiuteranno sicuramente a sintonizzare la nostra anima col divino, preparandoci ad accogliere più degnamente l’Emmanuele, il Dio con noi.
Purtroppo in questo periodo veniamo sempre più bombardati da una assillante pubblicità in vista del Natale, che ne stravolge il suo messaggio religioso; immagini di un buonismo fasullo, che esaltano puramente l’aspetto gaudente di una festività senz’anima, ostentato con superficialità e stupidità.
Evitiamo allora che il Dio dei poveri, il Dio che viene per gli emarginati di ogni tempo, il Dio che a Natale non nasce nel sontuoso Tempio di Gerusalemme, ma nella grotta di Betlemme, continui ad essere sostituito da questo mondo con un buonismo sdolcinato e ipocrita. Se gli anziani soli, se le persone abbandonate, se i feriti dalla vita, non hanno anch’essi un sussulto di speranza nella notte di Natale, significa che il nostro essere cristiani, la nostra vita, il nostro esempio, il nostro annuncio di pace divina, sono ancora confusi, ambigui, travolti anch’essi da una inutile corsa al divertimento, alla spensieratezza, al benessere materiale.
Cerchiamo nei prossimi giorni di attesa che sono davanti a noi, di non farci travolgere da questo diluvio di parole e di immagini virtuali. Non lasciamoci fuorviare dalla mentalità edonistica del mondo, che è riuscito a banalizzare la festa sconvolgente di Dio che irrompe nella storia umana per salvarci da morte sicura.
Dobbiamo essere consapevoli di questo dramma che purtroppo si consuma ogni anno: da un lato Dio che si offre e si fa presente, dall’altro un’umanità assente, disinteressata, ignorante, che gli volta le spalle, che non si accorge di nulla: figli di Dio, che non vogliono vederlo.
Purtroppo Cristo può nascere mille volte a Betlemme, ma se non nasce dentro di noi è come se non fosse mai nato.
Per noi credenti, la solennità del Natale deve essere pertanto un pugno nello stomaco, una provocazione, un evento che ci obbliga a schierarci decisamente con Dio che, nella sua comprensione, nella sua dolcezza di Bambino, ci invita alla conversione.
In queste quattro settimane in Chiesa, nella tradizionale corona d’Avvento, viene accesa una nuova candela a settimana: quattro domeniche, quattro candele: per indicare un cammino di luce durante il quale siamo invitati a fare maggior chiarezza nella nostra vita, a far entrare in noi ogni giorno sempre più la luce di Dio, perché possa illuminare i nostri instabili passi.
Quattro candele che acquistano un significato solo se rappresentano un reale avanzamento, ancorché minimo, nel nostro cammino spirituale, se esprimono veramente la luce che rischiara il nostro buio opprimente, che illumina le nostre paure e le vince; se ci illuminano con la luce del Sole, di Dio, che ci dice: “Non abbiate paura, con me nessun buio vi potrà mai ostacolare. Non lasciatevi prendere dallo sconforto, dal pessimismo, dallo scoraggiamento, io sono con voi!”.
Ecco: a questo deve servirci l’Avvento: a riprenderci la nostra dignità di cristiani, per prepararci ad accogliere Colui che vuole abitare in noi, nella nostra “anima”, quel soffio divino del Padre, che “anima” la nostra vita.
Perché questo è tempo di riflessione, di cambiamento, di metamorfosi; un tempo vitale per poterci trasformare da inguardabili bruchi vermiformi, in leggiadre farfalle che si librano in alto, attratte dalla luce del Sole eterno. Amen.



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