giovedì 8 agosto 2019

11 Agosto 2019 – XIX Domenica del Tempo Ordinario


“Tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate”.

Continuiamo la lettura del capitolo 12 del Vangelo di Luca. Un capitolo estremamente importante, perché traccia il percorso che ogni discepolo deve seguire per fondare il Regno di Dio nella sua vita.
Oggi Luca insiste particolarmente sulla “tensione” verso la Vita, una “molla” che nella nostra vita di cristiani non deve mai allentarsi. Per questo dobbiamo spogliarci di tutta la zavorra che ci impedisce di camminare speditamente, dal peso, dalla stanchezza del “fare” troppo, del voler apparire ad ogni costo: cose che inevitabilmente addormentano la nostra anima.
Dobbiamo mantenerci “leggeri”, dobbiamo portare con noi solo lo stretto necessario, le cose che “durano”, che servono a darci la carica nel nostro percorso. E sono tante, come per esempio quelle emozioni intime, quel tesoro che nessuno potrà mai portarci via: l’amicizia e la vicinanza di tante persone buone; la gioia del sentirci utili agli altri, la consapevolezza di essere vivi e grandi perché figli di Dio e della Vita; la felicità che proviamo nel constatare che la nostra vita ha un senso, un ideale, per il quale siamo disposti a lottare, a combattere, a resistere e a soffrire; la commozione che procura la nascita di un figlio; la profondità dei sentimenti che scorgiamo negli occhi dei nostri cari, quando nel silenzio li ammiriamo e sentiamo la nostra anima che si fonde con la loro; i colori dell’autunno, il profumo dell’erba appena tagliata, il suono del vento, il canto degli uccelli; la gioia di sentirsi “vita” in mezzo a tanta Vita; la percezione che Dio c’è, che non c’è motivo di aver paura perché con Lui ci sentiamo protetti da tutto quanto possa capitarci. Sono solo emozioni, ma sono il “tesoro” che nessuno potrà mai portarci via. Sono la nostra forza, la carica potente per il nostro cammino.
Liberiamoci invece del superfluo, di tutto quello che è un peso, di tutto quanto ci ostacola, ci rallenta: evitiamo in tutti i modi di considerarlo il nostro tesoro, l’unico nostro interesse, l’unico riferimento, l’idea fissa del nostro vivere quotidiano.
Fatti borse vere, procurati nutrimento e beni che non passano, che durano, che non invecchiano, dove la ruggine, i ladri e le tarme non arrivano.
I soldi? Ci possono essere rubati. Le ricchezze? Possiamo perderle. L’auto? Ce la possono distruggere. Gli oggetti? Possono rompersi. Le persone? Possono morire. Tutto ciò che è di questo mondo è infatti destinato a passare. Solo l’anima, le nostre emozioni positive, il nostro tesoro celeste, rimarrà inalterato e nessuno potrà mai sottrarcele.
Impariamo a conservarlo e a gestirlo nella nostra anima e non avremo più bisogno di possedere alcunché. Impariamo ad arricchirci di soprannaturale e la nostra anima non avrà più bisogno di altre ricchezze. Tutto ciò che di materiale noi conquistiamo, prima o poi lo perderemo, e saremo infelici. Solo ciò che non possiamo perdere (Dio, l’anima) ci offrirà una vita “piena”, sempre, ora e in futuro.
Perché “dove è il nostro tesoro, là sarà anche il nostro cuore”. Allora chiediamoci: “Qual è la cosa a cui pensiamo di più durante il giorno? La cosa che tiene maggiormente impegnata la nostra mente? È il sesso? Sono i soldi? È il lavoro? Sono le paure del giudizio altrui? È l’odio?” Perché questo è il nostro tesoro, lì sta il nostro cuore! E l’amara realtà, ma noi ci trasformiamo con grande disinvoltura proprio in questo “tesoro”; diventiamo esattamente così (sesso, soldi, paure, odio ecc.) perché quello è il centro dei nostri interessi, della nostra vita: dov’è il nostro cuore, quelli siamo noi!
Tutte le raccomandazioni di Gesù riportate qui da Luca, hanno motivazioni diverse, ma sono legate tra loro da un unico tema: “Siate svegli, non dormite, siate consapevoli, state attenti, rimanete in tensione per non prendere sonno”. Perché, purtroppo, il sonno della ragione genera mostri, il sonno dell’anima genera morte.
L’uomo è combattuto sempre da due tendenze: quella di accontentarsi di quanto ha fatto, di fermarsi, di rinunciare a nuove esperienze, e quella contraria di andare sempre avanti, di evolversi, di progredire continuamente. Quante volte capita anche a noi di dire o di pensare: “Va bene così: sono abbastanza religioso; so amare gli altri; sono impegnato quanto basta, mi sento di essere nel giusto; per cui anche se non divento migliore, posso comunque fermarmi, posso finalmente riposarmi!”. Ma ci sbagliamo di brutto: perché fino a quando un organismo continua a crescere, dimostra di essere vivo; se invece smette di migliorare, di crescere, vuol dire che è morto, senza vita.
Tutte le nostre crisi esistenziali derivano quindi dallo scontro tra queste due voci: una che ci suggerisce di fermarci, di accontentarci del risultato raggiunto, l’altra, al contrario che ci sprona continuamente ad affrontare nuove prove, a provare nuovi stimoli, a progredire. È il nostro dilemma: perché nella vita o si va avanti e si progredisce oppure ci si ferma e si regredisce.
Troppi sono quei cristiani, purtroppo, che dormono credendo di essere svegli. Sono convinti di andare avanti e non si accorgono che sono immobili, immersi nelle loro fantasie, nei loro sonni.
Tenersi pronti, aspettare il ritorno del Signore in questa nostra “veglia” che si chiama vita, significa “convertirsi”, mettere a frutto i nostri talenti, quei doni che Egli ci ha consegnato al nostro ingresso nel mondo. Dobbiamo farlo: dobbiamo cambiarla radicalmente questa nostra vita, perché forse fino ad oggi, più che “vita”, è stato in realtà un sopravvivere nell’indifferenza e nel crearci false illusioni.
Per essi il risveglio al sopraggiungere del Padrone sarà decisamente duro, sarà come una sberla in faccia, un pugno allo stomaco. Si accorgeranno di non avere nulla da offrirgli.
Tenersi pronti, aspettare il ritorno del Signore in questa nostra “veglia” che si chiama vita, significa “convertirsi”, mettere a frutto i nostri talenti, quei doni che Egli ci ha consegnato al nostro ingresso nel mondo. Dobbiamo farlo: dobbiamo cambiarla radicalmente questa nostra vita, perché forse fino ad oggi, più che “vita”, è stato in realtà un sopravvivere nell’indifferenza e nel crearci false illusioni.
Ricordo una storiella molto carina che dice: «Un tizio bussa alla porta di suo figlio: “Carlo, svegliati”. Carlo risponde: “Non voglio alzarmi papà”. Il padre urla: “Alzati devi andare a scuola”. Ma Carlo: “Non voglio andare a scuola”. “E perché no?”, gli chiede il padre. “Per tre motivi, risponde Carlo. “Prima di tutto, è una noia; secondo i ragazzi mi prendono in giro; terzo odio la scuola”. E il padre gli risponde: “Bene, ora ti dico io i tre motivi per cui devi andare a scuola; primo, perché è tuo dovere; secondo, perché hai quarantacinque anni, e terzo perché sei il preside».
Una storiella che farebbe anche ridere, se in fondo non fosse così vera. Nella vita siamo tutti campioni nel campare scuse, nel giustificare le nostre scelte, pur sapendo che non sono quelle giuste; ci ostiniamo a sprecare tempo prezioso, trastullandoci con i nostri giocattoli preferiti (denaro, automobili, vacanze, vestiti, fama, potere).
I nostri propositi di conversione, talvolta anche seri e impegnativi, sono comunque proiettati costantemente nel “domani”, dovendoci prima occupare delle mille cose “più urgenti”; in pratica viviamo molto bene nel nostro “piccolo mondo”, convinti di poter raggiungere traguardi invidiabili, che poi, puntualmente, si rivelano inefficaci. Non amiamo “cure” spirituali drastiche; quelle che noi chiamiamo “conquiste”, sono in realtà esperienze provvisorie, superficiali, passeggere, temporanee: perché il punto fermo è che in fondo noi non vogliamo “crescere”, non vogliamo impegnarci, non vogliamo “guarire”; stiamo bene così.
Continuiamo ad illuderci di salvarci, assumendo eccezionali “compresse curative”: miracolosi “placebo”, infallibili “salvavita”, osannati dai “dotti” cerusici del momento, ma assolutamente inefficaci e inconcludenti.
Purtroppo, “svegliarsi” all’improvviso da questo nostro irresponsabile dormiveglia, sarà decisamente imbarazzante e doloroso: perché il momento della verità, il momento in cui tutte le nostre decantate certezze cadranno a pezzi, arriverà puntualmente per tutti. E allora scopriremo in un istante tutta l’inconsistenza e l’inutilità della nostra vita Ci accorgeremo di non avere nulla in mano: di ritrovarci davanti a Dio e a noi stessi, alla fine di un allucinante passaggio nel tempo, completamente nudi e indegni.
Solo allora capiamo il valore della vita: “Come ho fatto a vivere così? Come ho fatto a non accorgermi? Incredibile!”.
Nel sonno avevamo confuso l’irreale col reale. L’importante allora è svegliarci, vedere le cose che ci circondano nella loro giusta luce, vedere le persone per come realmente sono e non per come noi vorremmo che fossero, vedere le cose nella loro realtà, perché soltanto ciò che esiste è reale. Svegliarci e dire a noi stessi: “Tu ci sei”: è poter chiamare ogni cosa col suo nome, anche se quello che abbiamo scoperto non è per nulla edificante. Svegliarci significa dire: “Tu sei violenza: questo è il tuo nome. Tu sei trauma: questo è il tuo nome. Tu sei paura, terrore, soffocamento: questo è il tuo nome. Tu sei fallimento, abbandono, tradimento: questo è il tuo nome. Tu sei energia, forza, possibilità: questo è il tuo nome”. Chiamare ogni cosa per nome è fondamentale, perché dà forza, vigore, alla vita. Chiamare una cosa per nome significa farla esistere, renderla reale, dirle: “Mi piaccia o no, tu esisti!”.
A questo porta il senso di parole come “vegliare”, “consapevolezza”, “lucerna accesa”; termini che indicano appunto il vedere tutto ciò che c’è da vedere, il rendersi conto di ogni cosa, il non nasconderci nulla, il chiamare tutto per nome, con il suo nome.
“Se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate”. 
Quando viene Dio? Quando meno ce l’aspettiamo. Per questo non dobbiamo perdere tempo, per questo dobbiamo prepararci per essere pronti. Non sappiamo quando, ma egli verrà. Dio è come il ladro: viene nel momento in cui meno ce l’aspettiamo, viene al di fuori delle nostre logiche umane, viene secondo le Sue logiche, quelle divine.
Molte volte vorremmo che il nostro cammino di fede fosse programmato, vorremmo sapere quali passi dover fare, quali insidiosi pericoli evitare; vorremmo che la nostra “salita” fosse graduale, comoda, in modo da poter valutare preventivamente il percorso, gli ostacoli, la meta finale.
Ma non è così! Questo appartiene al nostro innato bisogno di sapere tutto, alla nostra curiosità, al nostro voler sottomettere ogni cosa ai nostri programmi: dove andare, chi e cosa incontrare, data e ora della fine del viaggio. È il nostro bisogno di gestire, di manipolare, di avere tutto sotto controllo! Ma Dio è ingestibile: nessuno mai sarà in grado di programmarlo, manipolarlo, controllarlo.
“Allora Pietro disse: Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?”. Il Signore rispose: “Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi”.
Le parole di Gesù valgono per tutti. La vita non è nostra: noi ne siamo solo gli amministratori e un giorno dovremo restituirla. Il tempo non è nostro, dobbiamo solo gestirne quel po’ che ci è stato concesso, mettendolo a frutto. Nulla ci appartiene, niente e nessuno è di nostra proprietà.
Da qui il dovere di trattare ogni cosa, ogni essere umano, ogni creatura vivente, con tutto il rispetto, l’amore, la cura, di cui siamo capaci. Soprattutto dobbiamo iniziare ad amministrare meglio noi stessi, il nostro mondo interiore, la nostra anima, evitando di “addormentarci”, di vivere nelle distrazioni, “fregandocene” di tutto e di tutti: perché il Padrone improvvisamente verrà e, che ci crediamo o no, pur nella sua misericordia, ci chiederà un dettagliato resoconto di come abbiamo amministrato questa nostra vita. Amen.


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