giovedì 7 settembre 2017

10 Settembre 2017 – XXIII Domenica del Tempo Ordinario

«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello…» (Mt 18,15-20).
Il Vangelo di oggi ci rivela un Matteo preoccupato di veicolare gli insegnamenti di Gesù alla comunità del suo tempo. Il suo è un tentativo di “tradurre” lo spirito di Gesù in comportamenti e regole, destinati ai suoi contemporanei, a uomini che hanno vissuto più di duemila anni fa, in un ambiente e in una cultura molto diversa dalla nostra. Le sue sono regole destinate a mutare nel tempo, in quanto legate ad una particolare cultura. Quello che deve interessare a noi, e che rimane immutato nei secoli, è invece il messaggio di Gesù, quello che scaturisce dal suo insegnamento e dalla sua vita.
Ecco allora che il senso profondo del Vangelo di oggi ci deve impegnare tutti, perché nella sua semplicità, comporta uno sforzo costante, per nulla scontato: nei nostri rapporti con gli altri, cioè, dobbiamo usare umiltà, sollecitudine, discrezione e amore.
Se noi siamo convinti discepoli di Gesù, se Dio abita realmente nel nostro cuore, lo dimostriamo non attraverso la quantità delle nostre preghiere o mediante la frequenza con cui invochiamo il suo nome, ma da come ci comportiamo nelle nostre relazioni interpersonali, dalla qualità dei nostri rapporti con le persone che ci stanno vicino, da come insomma stiamo con gli altri. 
“Nella tua vita, qualunque cosa fai, falla sempre con amore”: è questa la massima che dobbiamo seguire sempre fedelmente. Anche quando litighiamo, quando lottiamo, quando entriamo in conflitto, non dobbiamo mai dimenticarci di amare l’altro. Può sembrare una battuta ma non lo è; perché nella vita può succedere che non si litiga mai con nessuno, che si è sempre ossequiosi con tutti, senza per questo amare nessuno; al contrario si può anche litigare continuamente con i fratelli, ma nello stesso tempo amarli sinceramente, di vero cuore. Possibile? Certo: a condizione che il “litigio”, il “robusto” scambio di opinioni (chiamiamolo così!), poggi su una reale onestà mentale, sia fondato nella carità, nell’amore fraterno: in questo modo ogni “scontro” lascerà ricchezza di vita, verità da imparare, apertura verso gli altri, e non una totale chiusura nelle proprie posizioni, nell’astio irrazionale, come di solito avviene. Ci sono persone infatti che per anni litigano testardamente sempre per lo stesso identico motivo: ciò vuol dire che non hanno saputo imparare, non hanno voluto capire. Ma a che pro allora litigare? Non serve assolutamente a nulla, è inutile, fa solo male: se per principio non si vuole imparare, non si crescerà mai. Non riduciamo la nostra vita ad una perenne disputa tra sordi!
L’insegnamento di oggi però va oltre: in una eventuale disputa, in una controversia, è indispensabile adottare sempre due atteggiamenti fondamentali: il primo è di evitare la pubblicità, di non mettere in piazza la lite col fratello, di non dare in pasto all’opinione pubblica i dissapori personali; la seconda è di riservare all’altro la nostra migliore carità, un maggiore esercizio dell’amore. Se un nostro fratello sbaglia, se c’è tra noi un problema, dobbiamo capire che in quel momento egli ha ancor più bisogno della nostra comprensione, del nostro amore: dobbiamo quindi agire nei suoi confronti con maggior riservatezza, con maggior gentilezza, con maggior attenzione. In una parola dobbiamo comportarci con grande carità e discrezione. È esattamente quanto ci sottolinea in apertura il vangelo di oggi: “Se c’è una questione irrisolta fra te e tuo fratello, va di persona, da solo”; e lo fa in aperto contrasto con quanto la legge antica imponeva: “Rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui” (Lv 19,17). A quel tempo era infatti normale denunciare apertamente l’operato di una persona: “se sai una cosa dilla a tutti”. Gesù, invece, propone una condotta del tutto nuova, rivoluzionaria, decisamente contro la legge e l’usanza del tempo. C’è qualcosa che non va, hai subito un torto da parte di qualcuno? Va da lui e chiarisci privatamente la cosa con lui. Solo così conoscerai personalmente il suo punto di vista: e forse ti ricrederai; forse le cose non stavano proprio come tu pensavi. Mai, in ogni caso, basare il nostro giudizio sulle chiacchiere, su quello che dice la gente.
Solo se ci parleremo lealmente, potremo capirci, potremo aiutarci, potremo venirci incontro e smettere di giudicare: perché quando le persone fanno qualcosa, lo fanno per motivi che esse ritengono buoni, per motivi che a priori noi non conosciamo; anzi, molto spesso non agiscono per cattiveria, ma per paura, per fragilità caratteriale, per ignoranza.
Noi, invece, cosa facciamo in genere? Piuttosto che chiarire con il fratello, corriamo dai nostri “confidenti” per sparlare, per malignare su di lui; confidenti, che poi a loro volta si sentono immediatamente in dovere di commentare il fatto con i loro “confidenti”, innescando così una reazione a catena di maldicenze inopportune, senza alcun fondamento, il più delle volte crudeli, ipocrite, ingiuste.
Smettiamola allora di creare incomprensioni di questo genere: comportiamoci da adulti! Ragioniamo da adulti! Soprattutto ascoltiamo l’interessato! Per ben quattro volte il vangelo insiste sul verbo “ascoltare”. “Se ti ascolterà ti sarai guadagnato un fratello; se non ti ascolterà prendi con te dei testimoni; se non ascolterà neppure loro, dillo alla comunità; se non ascolterà neppure la comunità, solo allora lo tratterai come un nemico”. Una incalzante ripetizione che ci impone con forza il comportamento da tenere con gli altri: ascoltare, ascoltare, ascoltare, ascoltare. Punto.
Chiediamoci allora: noi, in concreto, siamo sempre disponibili ad ascoltare il fratello? In particolare cosa preferiamo ascoltare? Forse preferiamo ascoltare le parole false e volubili dei ciarlatani di turno, piuttosto che la voce profonda e veritiera del nostro cuore? E poi, in che cosa consiste esattamente questo nostro ascoltare? Se abbiamo già deciso a priori che il fratello è colpevole, che ha sbagliato, significa forse ascoltarlo? Se rimaniamo caparbiamente attaccati alle nostre idee preconcette, significa che l’ascoltiamo? Se non accettiamo vedute diverse dalle nostre, possibilità e modi diversi dai nostri, quanto vale il nostro ascoltare? Ancora: se alcune cose le vogliamo sentire e altre no, questo per noi significa ascoltare il fratello? Se quello che ci dice ci ferisce, “ci manda in bestia” e ci chiudiamo nel nostro silenzio tirando su un muro tra noi, oppure “non vogliamo sentire ragioni”, come possiamo dire di ascoltarlo? Se mentre lui parla noi pensiamo soltanto a cosa ribattergli, significa ascoltarlo? Se abbiamo sempre già pronte le risposte ad ogni domanda, illudendoci di essere come Dio, significa ascoltarlo? Se il nostro problema è cosa diranno gli altri, preoccupandoci più di noi che di lui, vuol dire ascoltarlo? Sicuramente no: e se non sappiamo ascoltarlo, come possiamo pensare di amarlo?
La prima comunità cristiana di Matteo non era certamente perfetta: anche in essa c’erano senz’altro dei conflitti. Ecco perché egli sente la necessità di raccomandare: “In tutte le situazioni, ci sia fra di voi l’amore”. Del resto anche le comunità moderne non sono da meno; non esiste convivenza che sia esente da tensioni, da lotte, da scontri. Ma ciò è dovuto soltanto alla naturale conflittualità tra mentalità diverse, che però non esclude in alcun modo la possibilità di amare; litigare è facile, inevitabile, ma questo non è un problema, non pregiudica l’uso dell’amore fraterno; semmai un problema serio è quando due persone non litigano mai, quando due persone si dimostrano sempre e in tutto perfettamente concordi: perché nel migliore dei casi vuol dire che una delle due ha rinunciato ad essere se stessa, a camminare con le proprie gambe, “conformandosi” completamente all’altra. E questo non è un atteggiamento basato sull’amore; l’amore vero si dimostra soprattutto nel modo in cui si affrontano e si risolvono i problemi comuni, le abituali conflittualità. Solo in questo modo una comunità dimostrerà di aver raggiunto una piena maturità.
Senza la conflittualità, senza le difficoltà, senza le tensioni, una comunità non cresce. Ecco perché è determinante il modo con cui affrontiamo gli altri, perché dalla qualità del nostro approccio possono dipendere armonie o separazioni, unioni o rotture, involuzioni o crescite. Non c’è cosa peggiore del pensare che tutto vada sempre bene, del voler vedere sempre e tutto in rosa, anche quando il nero è d’obbligo! La politica del nascondere la testa sotto la sabbia, come fa lo struzzo, non è mai soddisfacente.
Dobbiamo essere sempre sinceri, accomodanti, ma anche risoluti, perché non è facendo valere le nostre ragioni che ci dimostriamo cattivi, che offendiamo l’altro o gli manchiamo di rispetto: ma è la forma, il modo con cui lo facciamo. Non esprimere né difendere il proprio punto di vista, non è indice di carità né di amore fraterno; spesso infatti lo facciamo per finto buonismo, per disinteresse, o per falsa modestia: ma questo adeguarci passivamente, talvolta irrazionalmente, alle idee, alla volontà del partner o del leader, non è sicuramente prova di bontà, quanto di una preoccupante carenza di personalità, di convinzioni, di maturità, di certezze personali.
Da qui l’importanza di confrontarci con gli altri senza pretendere di essere superiori a loro, esprimendo quello che abbiamo dentro, senza peraltro sentirci inferiori a nessuno; dobbiamo soprattutto agire empaticamente, ossia saper ascoltare l’anima delle parole di chi abbiamo davanti; dobbiamo avere sempre un ascolto che non giudica, che non cambia, che non stravolge, che non vuole fagocitare l’altro. Dobbiamo imparare a non manipolare gli altri per i nostri scopi; dobbiamo imparare a gestire, a dominare, l’invidia, la gelosia, la competizione, i sentimenti di odio, di rabbia o d’altro: sentimenti che disgraziatamente sono molto comuni anche in una “civile” convivenza. Purtroppo, per imparare bene tutto questo, non c’è una scuola specifica: per tutto c’è una scuola, ma non per imparare a “con-vivere”, a vivere bene insieme. Solo la vita può farlo, ma deve essere una vita guidata dal Suo Amore e dall’ascolto della Sua Parola. Amen.



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