giovedì 13 ottobre 2016

16 Ottobre 2016 – XXIX Domenica del Tempo Ordinario

«Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,1-8).

La parabola del vangelo di oggi ci presenta due personaggi: un giudice e una vedova. Per la Bibbia, il compito dei giudici era quello di difendere i più deboli: le vedove, appunto, i bambini e i poveri. Ma non è sempre così: in realtà, la stessa Bibbia condanna più volte le ingiustizie commesse con la complicità e l’appoggio degli stessi giudici (per esempio in 1Re 21,8-14; Am 5,10-33; Mic 3,1-2); come si vede, da che mondo è mondo, gli odierni problemi di malcostume sono sempre esistiti!
Questo giudice dunque non teme nessuno, se ne infischia altamente di quello che la gente può pensare o dire in giro. Non ha una coscienza morale che gli crei sensi di colpa o che lo faccia ricredere sui suoi comportamenti. Fare il male, per lui, non è mai un problema.
Di contro c’è poi una vedova, una donna che appartiene alla categoria più debole della società, sprovvista di autonomia e di protezione. Questa vedova continua ad andare ogni giorno dal giudice: il verbo greco all’imperfetto, ci indica proprio la ripetitività di questa azione, nel senso che ci andava di continuo, quotidianamente. Insomma è quella che noi oggi definiremmo più argutamente una “rompiscatole”.
Il fatto che si rivolga ad un solo giudice, e non davanti ad una corte giudiziaria, ci fa capire che il suo problema è di carattere amministrativo: vuol dire cioè che la poveretta, chissà da quanto tempo, sta aspettando di incassare del denaro che le era dovuto: ovviamente non dispone di soldi per potersi “comprare” un magistrato che le faccia ottenere giustizia.
È il classico caso di pessima gestione della giustizia in cui un giudice opportunista, disonesto, che pretende somme illecite per compiere il suo dovere, si trova a dover emettere una sentenza a favore di una povera donna che, essendo in miseria, non gli avrebbe mai assicurato un guadagno extra. Per cui rimanda continuamente il caso, lo accantona, e infine lo blocca in attesa di tempi migliori; la donna non disponendo della somma necessaria, non può fare nulla, il suo è un caso chiuso in partenza, impossibile. 
A prima vista non le rimane altro da fare che arrendersi.
Quanta gente, di fronte a situazioni apparentemente critiche, si scoraggia ed esclama: “Impossibile, non ce la farò mai!”. Ora, se nel corso della nostra vita alcune situazioni sono effettivamente impossibili da superare, non possiamo in ogni caso essere rinunciatari a priori; dobbiamo provarci sempre e comunque, per non correre il pericolo di scambiare per “impossibile” un’impresa che magari è soltanto “difficile”.
C’è chi invece si rassegna, si adegua; preferisce fare la vittima. 
Ma la donna della parabola ci dice: “Fai come me. Provaci sul serio, non per finta; non guardare alle difficoltà, abbi fede, fidati di te, delle tue forze e soprattutto del fatto che Dio è sempre con te; devi lottare con tutto te stesso”.
E allora non fingiamo con noi stessi: proviamoci, insistiamo, con tutte le nostre forze, usando tutte le tattiche possibili: tant’è che la strategia della donna di “rompere le scatole”, anche se non del tutto ortodossa, alla fine si è dimostrata vincente.
Il verbo greco “hypopiazein” (letteralmente “colpire sotto l’occhio, fare un occhio nero) in senso figurato significa “seccare, importunare, colpire qualcuno ripetutamente”. La vedova cioè diventa per il giudice un incubo costante, un autentico fastidioso "colpo in faccia", una continua e puntuale scocciatura. Una situazione insopportabile!
Non è che noi dobbiamo essere proprio così (di rompiscatole ce ne sono già troppi in giro!); ma se ci teniamo ad una cosa, se per noi è importante, vitale, dobbiamo percorrere tutte le strade a nostra disposizione. Non fermiamoci al primo tentativo; non sentiamoci incapaci e soprattutto non consideriamoci delle vittime. Il messaggio della parabola è chiaro: “Insisti: sii ostinato, caparbio, assillante; non arrenderti, non mollare, tieni duro”. Dobbiamo insistere, non per il piacere di fare le teste matte, i testardi, i cocciuti come i muli, ma perché crediamo fermamente in quello che facciamo, perché siamo spinti da una fede solida, una fede incrollabile. Qualunque nostra lotta tenace, forte, importante, deve avere come presupposto essenziale il nostro credere, il nostro essere certi che Dio ci dà una mano, e che prima o poi la soluzione si risolverà a nostro favore. Dobbiamo però fare attenzione: lottare, reagire, pregare, insistere, non significa pretendere che Dio faccia ciò che vogliamo noi: sarebbe un delirio di onnipotenza! Dobbiamo semplicemente non lasciare nulla di intentato: e ciò significa affidarci alla fede, significa percorrere quella strada nuova e sconosciuta che essa ci suggerisce. Se ci accontentiamo delle solite strade che conosciamo, la fede non serve: basta ripetere i passi che abbiamo sempre fatto; ma sappiamo già che questa scelta non ci porterà a nulla.
La situazione della vedova, come abbiamo visto, è dunque critica, sembra già una causa persa in partenza. Ma lei possiede ciò che serve, ciò che è determinante, ciò che fa la differenza: lei ha fede. Questa donna è sicura di una cosa: non sa come, non sa quando, ma sa per certo che qualcosa cambierà: e agisce di conseguenza. Se noi non abbiamo fede, se non crediamo che le cose possano cambiare, nella nostra vita non cambierà mai nulla. Questo è un assioma della vita. Ma se crediamo che qualcosa cambierà e ci attiviamo per questo, stiamone certi che accadrà. E anche questo è un assioma della vita. Sembra incredibile: ma ciò succede non per logica, ma per la forza unica della fede. Virgilio esprime con parole sue questa grande verità: “Possono, perché credono di potere”. Conclusione: se non crediamo in ciò che facciamo, non arriveremo mai a nulla.
Il vangelo dunque ci stimola a combattere contro il male che ci insidia: “Tira fuori la tua voce; lotta per la tua fede; se nel farlo, infastidisci, molesti qualcuno, pazienza: non è possibile andare sempre bene a tutti; fatti sentire; non arrenderti!”. In pratica ci invita a non accettare bavagli di alcun genere, a non avallare imposizioni intollerabili.
Allora, non uccidiamoci con le nostre mani, amiamoci: diamo spazio, diamo visibilità e forza alla nostra fede, ai nostri sani principi, alla nostra morale cattolica; noi ci siamo, alziamo la voce, facciamoci sentire! Comportiamoci soprattutto avendo sempre presente la voce di Gesù che chiede a noi: “Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà ancora la fede sulla terra?”.
Certo, durante il suo ministero su questa terra, Gesù di interrogativi ne ha posti tanti; ma quello di oggi, ci mette l’angoscia. Quello che trapela è un dubbio atroce per il domani, uno sguardo carico di tristezza per un futuro lontano che purtroppo è già diventato l’oggi.
Egli non si chiede: “Ci saranno ancora associazioni e movimenti cattolici, la gente andrà ancora in Chiesa, a Messa, farà ancora l’elemosina?” No, Gesù è angosciato perché vede che la sua Chiesa, quella che Lui ha fondato con tanto amore, oggi ha perduto la fede: vede che la preghiera è senza fede, vede che i Sacramenti sono vissuti senza fede, vede che l’annuncio del Vangelo è proclamato senza fede.
Di fronte al disinteresse religioso della società contemporanea, di fronte ad un mondo sempre più ingiusto, sempre più crudele, sempre più materialista, sempre più nemico di Dio, noi, suoi seguaci, ci siamo effettivamente demoralizzati, la nostra fede ha vacillato, è venuta meno, siamo caduti anche noi nell’apatia. Credere con assoluta coerenza oggi è diventata una rarità, è sempre più difficile: il cristiano è debole, frastornato, insicuro, non coglie più indicazioni certe neppure dai pastori, da quegli “Episcopoi”, ai quali Gesù ha affidato la guida e la custodia del suo gregge. Oggi il dubbio attanaglia il cuore dei fedeli: eventi come le guerre, le lotte per il potere, l’arricchimento personale truffaldino, l’egoismo imperante, il dilagare di ideologie amorali, sono diventate la “normalità”: Cristo stesso viene pubblicamente e impunemente irriso con opere di pseudo “artisti” e scrittori, peraltro osannati da una critica acefala. Tutto è messo in discussione, tutto è messo alla berlina, tutto è negato, tutto è oltraggiato.
Dio aveva consegnato all’uomo un mondo che poteva essere un capolavoro di misericordia, di fraternità, di amore. Egli, con la sua presunzione, lo ha ridotto a un covo di ladri, di malfattori, un accumulo di indifferenza, di ingiustizia, di malvagità.
Ebbene, quello che ci dice il vangelo di oggi è che non possiamo più ignorare una situazione tanto drammatica, non possiamo più avallare, in nome di un falso “buonismo”, una situazione che sta vanificando definitivamente l’autentico messaggio d’amore di Cristo.
La volontà decisa dei buoni, la loro azione personale, umile ma perseverante, la loro incessante preghiera, intrisa di fede vera, autentica, costante e fiduciosa, può fare il miracolo: “Io vi dico che [Dio] farà loro giustizia prontamente” afferma Gesù. 
Sarà Dio allora che interverrà a mettere le cose a posto. 
Fidiamoci di Lui, crediamoci. Anche se facciamo fatica a capire, stiamoci: ripartiamo, lavoriamo alacremente in questo mondo greve e insensibile, sicuri che la giustizia di Dio inizierà a contagiarlo, a guarirlo, partendo sicuramente col rinfrancare il nostro cuore. Amen.


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